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Dove e a chi sono andati a finire i soldi del PNRR?
A quattro anni dall’approvazione del PNRR, appare necessario cercare di iniziare a valutare quale sia stato il suo impatto territoriale, in termini delle politiche effettivamente attuate e dei progetti realmente concretizzati. Anche se le somme si potranno tirare soltanto al termine del Piano nel 2026, una prima lettura di ciò che sta succedendo nel nostro Paese si può tentare di abbozzare, utilizzando i primi dati di un progetto di ricerca finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca, che vede una collaborazione tra Openpolis e Scuola Normale Superiore. Un primo elemento interessante riguarda certamente chi sono i soggetti coinvolti nella realizzazione del Piano e i principali beneficiari. Si tratta di moltissimi interlocutori: dai ministeri e dalle aziende a partecipazione pubblica fino ai comuni, alle imprese e ai soggetti privati. Sicuramente centrali nella “messa a terra” delle opere sono i cosiddetti soggetti attuatori, ovvero gli enti incaricati di trasformare le risorse assegnate in interventi concreti. Si tratta, quindi, di attori intermedi ma fondamentali. Partecipano infatti ai bandi e agli avvisi pubblici promossi dai ministeri per ottenere i finanziamenti, individuano le opere da realizzare e seguono da vicino la fase di progettazione. Non sono però i soggetti che eseguono materialmente i lavori. Per la realizzazione concreta delle opere infatti bandiscono specifiche gare d’appalto e affidano l’esecuzione dei lavori a imprese o altri operatori. A livello numerico, gli enti che gestiscono il maggior numero di interventi sono i ministeri (67.825), i comuni (63.235), le società per azioni (20.584), le regioni (19.218) e le università (11.406). Se però si considerano le risorse PNRR assegnate, al primo posto troviamo le Spa con circa 38 miliardi di euro. Seguono i comuni (24,5 miliardi), i ministeri (18,8 miliardi) e le regioni (13,6 miliardi). Se invece dell’ammontare complessivo delle risorse si considera il costo medio dei progetti finanziati, si può notare che gli interventi di competenza delle Spa hanno un valore che si attesta intorno agli 1,8 milioni di euro. Il secondo dato medio più alto è quello dei progetti di competenza delle regioni con circa 707mila euro. Per quanto riguarda invece gli interventi di competenza comunale il valore è di 388mila euro circa. La media per i progetti ministeriali è di circa 278mila euro, mentre per le università ci si attesta sui 176mila euro circa. Ma chi sono i destinatari finali? I destinatari finali si suddividono in 55 categorie e i principali soggetti a beneficiare dei fondi del PNRR sono i comuni, che rappresentano circa il 39% dei destinatari finali. Troviamo poi le società a responsabilità limitata (28,3%), le aziende del servizio sanitario nazionale (6,3%), le università (5,7%), le società semplici (3,7%) e le Spa (3,4%). Tra le istituzioni comunali, quelle che figurano più spesso come destinatari finali sono Roma capitale, Torino, Fabbriche di Vergemoli in provincia di Lucca, Terni, Ulassai in provincia di Nuoro e Palù del Fresina nella provincia autonoma di Trento. Tra le Srl, particolarmente ricorrenti le ditte CampuStore di Bassano del Grappa, C2 di Cremona, MR Digital di Legnano (Mi), Rekordata di Torino e Gonzarredi di Gonzaga (Mn). Per quanto riguarda i soggetti del sistema sanitario, tra i principali destinatari finali figurano l’Azienda sanitaria locale di Salerno, l’Azienda sanitaria provinciale di Cosenza, l’Asl di Bari, quella di Napoli 3 sud e quella di Taranto. Relativamente alle università invece ai primi posti figurano la Federico II di Napoli, l’Alma mater studiorum di Bologna e le università degli studi di Milano, Padova e Bari. Per quanto riguarda le aziende semplici, la maggior parte dei destinatari finali più ricorrenti rientra nell’ambito agricolo. Ai primi posti troviamo infatti la Società agricola allevamento bestiame di Gonzaga, la Colle d’oro bio di Ispica (Rg), la Livon di San Giovanni al Natisone (Ud), la Bipoig Italia di Nogara (Vr), la società Allevamenti Plodari Mario e Massimo di Brescia. Infine, con riferimento alle società per azioni, i soggetti più ricorrenti sono la C&C con sede a Bari, Rete ferroviaria italiana, Gruppo Spiaggiari Parma, R-Store con sede a Napoli e Horizons unlimited con sede a Bologna. Da sottolineare che i soggetti appena passati in rassegna non sono quelli che ricevono più fondi dal Pnrr, ma quelli che ricorrono più spesso in qualità di destinatari finali dei vari interventi. E quali territori sono stati più beneficiati? A livello di progetti attivi possiamo osservare che la maggior parte (41.513) è localizzata in Lombardia. Seguono Campania (24.648) e Veneto (24.242). Se invece si considerano i volumi di risorse assegnate, al primo posto troviamo sempre la Lombardia con circa 13,4 miliardi di fondi PNRR. Sicilia e Campania hanno a disposizione un ammontare di risorse molto simile (circa 9 miliardi di euro), così come il Lazio (circa 8,9 miliardi). Nella maggior parte dei casi le opere sono finanziate completamente dal PNRR, ma in alcuni casi è possibile che alle risorse del Piano si aggiungano anche fondi provenienti da altre fonti di finanziamento, sia nazionali che europee. Se consideriamo anche queste possiamo osservare che l’ammontare di investimenti che è localizzabile in Lombardia sale a circa 19 miliardi. La Sicilia in questo caso può fare affidamento su 12,2 miliardi, la Campania su circa 11,1, il Lazio su 10,9. Se invece degli investimenti in termini assoluti si analizzano le risorse assegnate alle diverse regioni in rapporto alla popolazione residente, emerge un quadro abbastanza diverso. La Lombardia riporta infatti il livello di “investimenti pro capite” più basso (1.333 euro per abitante), seguita da Toscana (1.342,56 euro) e Veneto (1.376,62 euro). All’opposto, la regione con il valore più elevato è il Molise (4.485,31 euro pro capite). Valori relativamente alti si registrano anche in Basilicata (2.683,55 euro), Calabria (2.220,23 euro) e Sardegna (2.205,50 euro). Escludendo la Valle d’Aosta, la prima regione non meridionale a comparire è l’Emilia-Romagna, con 1.771,04 euro pro capite. Possiamo osservare infatti che a Roma sono attivi in totale 8.097 interventi per un valore superiore ai 5 miliardi. Per quanto riguarda le grandi città, a Milano i progetti finanziati sono 4.474 per un importo PNRR di 2,7 miliardi, mentre a Napoli sono in corso 4.102 progetti per un importo di circa 2,3 miliardi. Tra i comuni che ricevono più risorse troviamo anche Bologna (1,7 miliardi), Torino (1,6 miliardi), Genova (1,4 miliardi) e Bari (1,1 miliardi). Il primo comune non capoluogo per quantità di risorse assegnate è Termoli che può fare affidamento su circa 344 milioni di euro. Qui per approfondire: https://www.openpolis.it/la-sostenibilita-e-le-sfide-del-pnrr-soggetti-territori-modalita/. Giovanni Caprio
La situazione dei più giovani tra luci e ombre. Le analisi di Lancet e Openpolis
Ieri, 12 agosto, è stata la Giornata Internazionale della Gioventù 2025, che quest’anno ha avuto per tema “Azioni Giovanili Locali per gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e Oltre”, con l’obiettivo di sottolineate il ruolo unico delle ragazze e dei ragazzi nel tradurre le ambizioni globali in realtà guidate dalla comunità (https://www.un.org/en/observances/youth-day). La Giornata è stata l’occasione per Openpolis per fare il punto sulla condizione attuale di bambini e ragazzi nel nostro Paese e sulle prospettive future per le giovani generazioni. Openpolis ha utilizzato una ricerca condotta dagli esperti della Lancet Commission on adolescent health and wellbeing, pubblicata sulla rivista The Lancet, approfondendone alcuni aspetti con i dati disponibili per l’Italia. Le previsioni demografiche per il 2030 lasciano intravedere innanzitutto un Paese dove bambini e ragazzi saranno sempre meno. Una tendenza da monitorare per le conseguenze che potrebbe avere rispetto all’impegno verso le giovani generazioni. Quanti saranno i giovani in Italia, da oggi al 2030? Analizzando le statistiche sperimentali di Istat, è possibile avere una previsione di quanti saranno i giovani residenti nel nostro Paese da oggi all’inizio del prossimo decennio. In uno scenario di previsione mediano, intermedio tra quelli più pessimistici e quelli più ottimistici, i giovani residenti tra 10 e 24 anni potrebbero passare dagli attuali 8,6 milioni a 8,2 milioni nel 2030. Un calo vicino al 5%, che sfiora il 10% se si considerano i soli residenti tra 10 e 19 anni. In questa fascia d’età infatti si potrebbe passare dai quasi 5,7 milioni attuali a circa 5,1 milioni nel 2030. Questa dinamica assume proporzioni differenti lungo la penisola: a fronte di un calo medio del 9,5%, un elemento che salta subito all’occhio è che tutte le province mostrano una variazione percentuale negativa, anche se con ritmi di decrescita previsti molto diversi. Guardando le province che si posizionano meglio, ovvero quelle con le diminuzioni percentuali meno accentuate, troviamo Parma (-1,1%), Bolzano (-1,2%) e Piacenza (-1,6%). Seguono Bologna (-3,4%), Pavia (-3,9%) e Ragusa (-4,3%). È evidente come queste province si trovino prevalentemente nel nord Italia, in particolare in Emilia-Romagna. Questo dato suggerisce una maggiore resilienza demografica in queste aree, sebbene il calo sia comunque presente. All’estremità opposta della classifica, emergono scenari decisamente più critici. Le province per cui si prevede la contrazione più severa nella popolazione 10-19 anni sono Caltanissetta (-18,6%), Enna (-18,1%), Nuoro (-17,2%), Barletta-Andria-Trani (-17,0%) e Taranto (-15,8%). Seguono una serie di province quasi interamente situate nel sud Italia e nelle isole. Openpolis approfondisce anche i segnali di disagio tra i più giovani: nell’ottobre scorso l’Istat ha stimato come quasi il 14% dei minori si sia trovato in povertà assoluta nel 2023. Si tratta dell’incidenza più elevata della serie storica dal 2014. Mentre problemi socio-economici attraversano anche la vita dei giovani adulti. “Il nostro Paese, sottolinea Openpolis, – nonostante i miglioramenti rispetto al decennio scorso – resta infatti ai vertici in Europa per quota di neet, giovani tra 15 e 29 anni che non studiano, non lavorano e non sono in formazione. In termini educativi, non va sottovalutato come negli anni della pandemia si sia registrato un calo netto negli apprendimenti degli studenti. In particolare tra chi veniva da famiglie più svantaggiate e probabilmente aveva anche meno strumenti durante la fase pandemica”. E la tendenza al peggioramento negli apprendimenti peraltro non si è invertita con la conclusione della pandemia. I recentissimi dati delle prove Invalsi mostrano come nel 2025 gli alunni che raggiungono i traguardi previsti al termine del primo ciclo d’istruzione siano scesi al 59% in italiano e si mantengano sul 56% in matematica. Così come si continuano a intravedere, anche a pandemia terminata, segnali di recupero non completo nell’indice di salute mentale degli e delle adolescenti. Si tratta di uno degli aspetti su cui il rapporto insiste maggiormente. I ricercatori di Lancet sottolineano come i disturbi mentali e le espressioni di disagio siano la principale causa di carico di malattia tra gli adolescenti in tutti i Paesi. L’insorgenza di sintomi di disagio emotivo, come ansia e umore basso, è più comune durante l’adolescenza che in qualsiasi altro momento del corso della vita. Openpolis evidenzia però anche alcuni segnali positivi, a partire dalla mobilitazione attiva: la quota di 18-19enni che hanno preso parte ad associazioni ecologiche, per i diritti civili e per la pace è stata pari al 3,3% nel 2024 (2,4% nel 2023) e risulta molto superiore rispetto al resto della popolazione (1,6%). In questo segmento di età è interessante osservare anche un ritorno – dopo il calo successivo alla pandemia – alla partecipazione in associazioni di volontariato. E pone l’accento su quanto sia fuorviante una narrazione tesa a descrivere giovani e adolescenti come indolenti e ripiegati su sé stessi. Già oggi ragazze e ragazzi sono agenti di cambiamento per le loro comunità; sviluppare e incoraggiare questa propensione deve essere un obiettivo delle politiche pubbliche in materia. In questo senso, da alcuni anni i rapporti della commissione Lancet sul benessere degli adolescenti hanno sottolineato l’importanza dell’investimento su questa fascia d’età. Osservando come gli investimenti durante l’adolescenza, e in generale su bambini e ragazzi tra i 10 e i 24 anni, possano produrre un triplice vantaggio: per i giovani di oggi, per gli adulti che diventeranno e per la prossima generazione di bambini di cui saranno genitori. Quindi, in generale, per l’assetto attuale della società e per quello degli anni a venire. Qui per approfondire l’analisi di Openpolis: https://www.openpolis.it/la-condizione-dei-giovani-in-italia-in-vista-del-2030/#linvestimento-sugli-adolescenti-puo-avere-un-triplice-effetto-positivo.     Giovanni Caprio