In viaggio con Marco Cavallo alla Camera dei Deputati per la chiusura di tutti i CPR
Nel pomeriggio di lunedì 20 ottobre, nella Sala Stampa della Camera dei
Deputati, si è chiuso simbolicamente anche nelle sedi istituzionali il lungo
viaggio di Marco Cavallo, il cavallo azzurro nato nel 1973 nel manicomio di
Trieste e divenuto, sotto la guida di Franco Basaglia, simbolo della liberazione
collettiva dalla segregazione.
Oggi, a oltre mezzo secolo dalla sua prima uscita fuori dalle mura dell’Ospedale
psichiatrico di San Giovanni a Trieste, Marco Cavallo è tornato in cammino per
chiedere la chiusura dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) e
l’abolizione della pratica della detenzione amministrativa: una forma di
internamento senza reato, in aperta contraddizione con la Costituzione italiana
e con la tutela dei diritti umani e la dignità della persona secondo tutti i
Trattati internazionali, come le numerose campagne politiche che si sono
succedute sin dall’epoca in cui tali centri erano definiti CIE (Centro di
identificazione e di espulsione) hanno finora dimostrato e ricordato alla
cittadinanza.
L’eredità della legge 180
Il viaggio, promosso dal Forum Salute Mentale e sostenuto da decine di
associazioni e cittadini, è partito da Trieste il 6 settembre e si è concluso a
Bari il 10 ottobre in concomitanza con la Giornata mondiale per la salute
mentale, attraversando in lungo la penisola e sostando davanti ai CPR di
Gradisca, Milano, Roma/Ponte Galeria, Palazzo San Gervasio e Brindisi/Restinco.
«Abbiamo viaggiato – racconta Carla Ferrari Aggradi, coordinatrice
dell’iniziativa – per chiedere la chiusura dei CPR, istituzioni della crudeltà e
dell’anticostituzionalità. Nessuna mediazione è possibile: la libertà non può
essere sospesa a chi non ha commesso alcun reato. La legge 180, che noi
continuiamo a difendere, è un bene comune, perché parla di accoglienza,
condivisibilità della vita e dei diritti».
Il silenzio delle istituzioni rispetto alle condizioni dei luoghi di detenzione
Dopo i saluti dell’onorevole Paolo Ciani che ha ospitato la conferenza, Peppe
Dell’Acqua, psichiatra che ha lavorato con Franco Basaglia e ha diretto per anni
il Dipartimento di Salute Mentale di Trieste, è intervenuto in collegamento
restituendo vividamente la gravità dei luoghi visitati:
«Nei CPR le persone finiscono per scomparire dal nostro sguardo e anche dalla
periferia della nostra anima. Subiscono violenze, assumono psicofarmaci e sono
sottoposte a continue privazioni. Ma la violenza più grande è la sottrazione del
tempo: vivono senza futuro, senza poter pensare al domani. È, questa, una delle
torture più dolorose delle istituzioni totali. Ecco perché ritengo che stiamo
vivendo una catastrofe della dimensione etica del nostro vivere».
Durante il viaggio, in ogni tappa si sono osservati cinque minuti di silenzio
davanti ai cancelli dei centri. «Perché – ha aggiunto Dell’Acqua – ciò che
accade in questi luoghi è indicibile».
La forza del collettivo
Il viaggio del cavallo azzurro è stato un processo corale e questo è stato
ulteriormente dimostrato dal fatto che in ogni città si sono formati gruppi di
lavoro, reti civiche, collettivi di artisti e tavoli di confronto.
«È stato un movimento dal basso – ha spiegato Ferrari Aggradi – che ha coinvolto
associazioni, artisti, parlamentari e cittadini. Abbiamo riscoperto la nostra
umanità, quella che non deve più affogare nel Mediterraneo o morire nei CPR. È
un viaggio di cura e di memoria, contro l’indifferenza».
Il percorso è stato documentato dal regista Giovanni Cioni, che ne trarrà un
film, restituendo volti e voci di questa nuova stagione di resistenza civile, il
cui estratto in anteprima sarà proiettato domani pomeriggio, 21 ottobre, al
Cinema Aquila in occasione di un secondo momento di chiusura dedicato alla
cittadinanza.
I diritti negati e la disumanizzazione all’interno dei CPR
Durante la conferenza, Veronica Scarozza, portavoce del Tavolo Asilo e
Immigrazione (TAI), ha presentato gli obiettivi e i primi risultati del lavoro
di monitoraggio dei CPR svolto insieme ai parlamentari del gruppo di contatto.
«Grazie alla collaborazione tra società civile e rappresentanti politici – ha
spiegato – abbiamo lavorato alla possibilità di entrare in centri altrimenti
inaccessibili. Le visite hanno confermato gravi violazioni dei diritti
fondamentali e un uso massiccio di psicofarmaci a scopo di sedazione delle
persone. In molti casi, i detenuti non hanno nome né volto. È una realtà
totalmente disumanizzante».
Il prossimo rapporto del TAI, in preparazione, sarà dedicato proprio alla salute
mentale nei CPR, dove «la sofferenza è resa sistemica e l’abbandono
istituzionale è totale».
La voce del Parlamento
A chiudere gli interventi, l’onorevole Rachele Scarpa (PD) ha ribadito il valore
politico del viaggio:
«Nei CPR entrano persone già fragili, ma spesso ne escono distrutte, con gravi
disturbi psichici e dipendenze da psicofarmaci. Ho visto persone entrare sane e
uscire malate. È un sistema patogeno, senza prospettiva, in cui il tempo e il sé
vengono svuotati. È un sistema che svuota il tempo e il senso del sé: una deriva
manicomiale. Si dice che chiuderli sia impossibile, ma si diceva la stessa cosa
anche per i manicomi. Basaglia ci ha insegnato che la libertà è terapia: oggi,
come allora, dobbiamo avere il coraggio di chiudere questi luoghi di
disumanità».
Scarpa ha raccontato anche le difficoltà istituzionali: «L’uso del potere
ispettivo dei parlamentari incontra ostacoli sempre maggiori. Dopo le nostre
visite in Albania, è stata perfino emessa una circolare per limitarne la
frequenza. Nei CPR italiani e in quello albanese non esiste uniformità di
accesso né trasparenza. È un sistema opaco che resiste al controllo democratico»
Luoghi di abbandono
Secondo la deputata, nei CPR «la carenza di assistenza sanitaria, spesso
delegata a gestori privati, crea isolamento totale. A differenza del carcere,
non esiste un ‘poi’: il trattenimento non conduce né al rimpatrio né a un
percorso di reinserimento. È un limbo di sofferenza, dove le persone vengono
sedate con psicofarmaci usati come strumenti di controllo”.
La psichiatria come controllo
La rappresentante del Forum Salute Mentale ha ribadito la propria opposizione
all’uso della psichiatria come mezzi di repressione. “Vogliamo che la
psichiatria torni a essere uno strumento di cura, non di controllo del
comportamento umano. È inaccettabile che venga ancora utilizzata per sedare,
contenere e zittire chi protesta o semplicemente soffre.”
La voce delle rivolte
L’accurata testimonianza da parte di Yasmine Accardo, intervenuta per conto di
Telefono SOS CPR, ha ricordato che “i CPR non sono mai stati chiusi per
decisione politica, ma grazie alle rivolte interne”. La memoria corre a Sillah
Osman, morto suicida nel CPR di Ponte Galeria, e a Wissem Ben Abdel Latif,
deceduto legato a un letto di contenzione nel reparto psichiatrico del San
Camillo.
“Chi si oppone a questi luoghi – è stato ricordato – sono prima di tutto le
persone trattenute. Ogni atto di autolesionismo, ogni sciopero della fame, ogni
fuga è anche un gesto politico. E noi, come società civile, dobbiamo essere
alleati, non spettatori.”
Una lotta che riguarda tutti
Dai movimenti siciliani del 1998 alla campagna “LasciateCIEntrare”, fino ai
decreti Minniti del 2017, la storia della detenzione amministrativa in Italia è
segnata da una lunga sequenza di compromessi e rimozioni. “Oggi entriamo nei CPR
solo con l’autorizzazione dei parlamentari – ha proseguito Accardo –. Siamo
considerati ‘soggetti ostili’. Ma continueremo, perché la detenzione
amministrativa è una questione che riguarda tutti, come la guerra, come Gaza,
come ogni negazione dell’umanità.”
“L’arte di restare umani”
Nell’intervento finale, Carlo Minervini ha ripercorso la storia simbolica del
cavallo azzurro: “Nel 1973 Marco Cavallo dovette abbattere i muri del reparto P
per uscire dal manicomio di Trieste, perché nel suo ventre portava i sogni e i
desideri di tutti i ricoverati. Da allora non ha mai smesso di cercare l’odore
dell’ingiustizia. Dodici anni fa ha attraversato gli OPG, e dopo quel viaggio fu
approvata la legge che li ha chiusi. Oggi torna per affrontare le nuove
istituzioni totali: i CPR.”
Ferrari ha ricordato che “il paradigma manicomiale sopravvive anche nelle
moderne strutture psichiatriche e nelle residenze del privato sociale, dove si
parcheggiano vite senza restituzione di cittadinanza. La legge 180 è un bene
comune: va conosciuta, difesa e praticata.”
Le tappe conclusive e la Cavallina Terrona
Durante la tappa pugliese, la piccola e coesa comunità del Centro Marco Cavallo
del Sud ha partecipato con la Cavallina Terrona, accanto al cavallo triestino.
“In Puglia – ha spiegato Minervini – ci sono due CPR, a Bari e Brindisi. L’8 e
il 10 ottobre abbiamo sfilato per chiedere la loro chiusura, con cento bandiere,
musica, silenzi e testimonianze. Speriamo che questa solidarietà colorata possa
oltrepassare i muri, arrivando a chi è recluso e invisibile.”
Verso una nuova stagione
Il viaggio ha creato una rete di associazioni, sindacati, cittadini e politici
che intendono proseguire insieme. “La situazione della salute mentale in Puglia
– ha aggiunto Minervini – è, come altrove, sconfortante: centri depotenziati,
risorse insufficienti, servizi privatizzati. Il viaggio di Marco Cavallo deve
risvegliare le coscienze e spingere a ricostruire una risposta pubblica e
comunitaria alla sofferenza.”
Oltre i muri, oltre il mare
La conferenza si è chiusa con un appello corale: “Vogliamo vivere bene insieme,
in pace, con diritti e dignità.”
Prossime tappe: la presentazione del film-documentario di Giovanni Cioni e del
rapporto parlamentare del TAI, che documenterà le visite ai CPR italiani e
albanesi.
E chissà – è stato menzionato in conclusione con un filo di speranza e una
grande ambizione – se il cavallo azzurro non riuscirà un giorno a varcare il
mare, per chiudere idealmente il suo viaggio proprio in Albania, davanti a quel
CPR che rappresenta oggi l’ultima, irrazionale, frontiera della disumanità.
Anna Lodeserto