PRIMO MAGGIO. Lavoro minorile femminile in Africa
In occasione della festa dei lavoratori, un articolo dal continente africano.
Dal Ghana al Sudafrica, le bambine costrette a lavorare per sostenere la
famiglia e se stesse. E se le leggi per impedirlo ci sono, spesso restano
lettera morta
(Fonte: International Labour Organization)
di Federica Iezzi
Roma, 30 aprile 2022, Nena News – L’International Labour Organization (Ilo)
stima che circa 100 milioni di ragazzine siano coinvolte nel lavoro minorile a
livello globale. E un quinto delle ragazze africane entra precocemente nel mondo
del lavoro. Oggi milioni di bambine sono spinte a diventare lavoratrici per
prendersi cura di se stesse e delle proprie famiglie. Anche l’accattonaggio fa
parte del lavoro minorile, che secondo la definizione dell’Ilo è un lavoro che
priva i bambini della loro infanzia, delle loro potenzialità e della loro
dignità.
Secondo lo studio “Begging for Change”, condotto dall’organizzazione
Anti-Slavery International, non è raro trovare bambini costretti a mendicare per
il loro bisogno di sopravvivere. E sono proprio le ragazze a correre rischi
maggiori perché sono più vulnerabili allo sfruttamento sessuale e ad altre forme
di abuso.
In Ghana le minorenni sono spesso spinte a lavorare al posto dei fratelli maschi
in quanto i genitori di fatto considerano l’istruzione delle loro figlie un
investimento scarso, dal momento che ci si aspetta che si sposino e lascino la
famiglia. In altri casi, le ragazze vengono formate come domestiche, altra forma
di lavoro considerata tra le occupazioni meno regolamentate. Lavorando nel buio
delle singole case, le bambine sono spesso invisibili al mondo esterno e quindi
particolarmente vulnerabili alla violenza, allo sfruttamento e agli abusi.
Per combattere il lavoro minorile femminile, il governo del Ghana ha
implementato il National Plan of Action against Child Labor. Il programma,
coordinato delle politiche di sviluppo economico e sociale del Ghana, in
collaborazione con il Ghana Shared Growth and Development Agenda, dovrebbe
fungere da quadro operativo per migliorare la protezione dei minori e per
affrontare i livelli esorbitanti di disoccupazione giovanile nel Paese.
Settantacinque anni di brutale colonialismo europeo continuano ad avere un
impatto devastante sulla Repubblica Centrafricana e hanno aperto la strada a
molte delle difficoltà che il Paese continua ad affrontare oggi. Come lo
sfruttamento del lavoro legato alla raccolta di caffè, cotone, gomma e altre
risorse locali. Nella Repubblica Centrafricana esiste un quadro giuridico
nazionale consolidato per la protezione dei diritti dell’infanzia e il Paese ha
ratificato trattati internazionali chiave sui diritti dell’infanzia, tra cui il
Child Rights Convention e l’African Charter on the Rights and Welfare of the
Child.
Il Paese, tuttavia, non è parte della Convenzione dell’Aia del 1980, in materia
di minori. Sembra esserci un’ampia mancanza di applicazione di queste leggi.
Secondo l’Unicef, il 31% dei bambini dell’Africa centrale tra i 5 ei 17 anni
lavora.
Il Sudafrica è un Paese di origine, transito e destinazione per la tratta di
bambini. Anelli di traffico iniziano nelle zone rurali e maturano nei centri
urbani come Bloemfontein, Cape Town, Durban e Johannesburg. Il Paese ha compiuto
notevoli progressi per eliminare le più pesanti forme di lavoro minorile.
L’adozione della Phase IV of the National Child Labor Program of Action for
South Africa ha aumentato i finanziamenti per il Child Support Grant, destinati
ai bambini vulnerabili.
Dal 1990, a livello internazionale e regionale, l’Angola fa parte della
Convenzione sui Diritti dell’Infanzia, ratificata dall’Assemblea generale delle
Nazioni Unite. Adottati anche i suoi Protocolli Opzionali. Tuttavia, la crisi
economica derivante dal calo dei prezzi del greggio ha fatto sì che lo stato
angolano abbia meno fondi da investire in programmi sociali per migliorare la
situazione dei bambini e garantire il rispetto dei loro diritti, Nena News