Tag - Turchia

Tensione tra giudiziario e politica: un’analisi democratica attraverso il caso İmamoğlu in Turchia e il referendum sulla riforma della giustizia in Italia
Negli ultimi anni, sia la Turchia sia l’Italia hanno attraversato svolte critiche che ridefiniscono l’influenza delle istituzioni giudiziarie sulla sfera politica. In Turchia, l’arresto e il processo del sindaco metropolitano di Istanbul Ekrem İmamoğlu, minacciato da una pena fino a 2.430 anni di carcere e da un potenziale divieto politico, hanno provocato una profonda crisi che mette in discussione la posizione del potere giudiziario rispetto all’esecutivo e l’equità della competizione democratica. Nel frattempo, in Italia, la riforma della giustizia proposta dal governo Meloni  volta a separare le carriere di giudici e pubblici ministeri e a ristrutturare il Consiglio Superiore della Magistratura  è stata sottoposta a referendum costituzionale. Se approvata nel voto popolare, previsto tra marzo e aprile 2026, ridefinirebbe il ruolo istituzionale della magistratura. Questo articolo intende analizzare, in prospettiva comparata, il nesso tra il meccanismo politico-giudiziario reso visibile dal processo İmamoğlu in Turchia e la decisione del governo Meloni di ricorrere al referendum per attuare la riforma della giustizia in Italia. Che cosa è accaduto in Turchia? E che cosa sta accadendo ora? La transizione verso l’autocrazia in Turchia (2016–2025) L’apparente democratizzazione della Turchia dei primi anni 2000 ha ceduto il passo, nell’ultimo decennio, a una progressiva deriva autocratica. Dopo il fallito golpe del 2016, epurazioni massicce e riforme costituzionali hanno ampliato il potere esecutivo, portando alla rimozione di migliaia di magistrati e rendendo il sistema giudiziario strutturalmente dipendente dalla presidenza. Pertanto, il periodo 2016–2025 segna una fase in cui l’autoritarismo si è istituzionalizzato e la magistratura è emersa come uno strumento strategico del potere politico. L’arresto improvviso di İmamoğlu nel marzo 2025 ha provocato uno shock nazionale. Figura ampiamente ammirata, la sua detenzione ha generato proteste di massa riunite sotto lo slogan “Hak, Hukuk, Adalet” (“Diritti, Legge, Giustizia”). Considerato il principale sfidante dell’opposizione per la presidenza, il suo caso è stato definito “il segno che una competizione elettorale autentica in Turchia è ormai terminata” (Nistor & Popescu, 2025) e un “classico esempio di lawfare” volto a eliminare un rivale in ascesa e consolidare il potere del partito di governo (Tecimer, 2025). Le valutazioni concordano: i meccanismi legali operano ormai in modo trasparente a favore del potere esecutivo. Nel complesso, il periodo 2016–2025 rappresenta la trasformazione della Turchia da un regime competitivo-autoritario a un modello sempre più non competitivo. Il caso İmamoğlu costituisce una manifestazione simbolica di un sistema in cui la competizione democratica non solo è ostacolata, ma strutturalmente smantellata. La riforma della giustizia di Meloni e il percorso verso il referendum La decisione di sottoporre la riforma a referendum ha riacceso un dibattito fondamentale sul ruolo della magistratura nel sistema politico italiano. Oltre ai dettagli tecnici, il nodo centrale riguarda il futuro equilibrio tra potere esecutivo e potere giudiziario. La segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, ha dichiarato: “Questa non è una riforma della giustizia… Non interverrà sulla lunghezza dei processi, sul sovraffollamento carcerario né sulle misure alternative. L’obiettivo è un altro: indebolire l’indipendenza della magistratura affinché sia più assoggettata al potere di chi governa.” Aggiunge inoltre: “Il punto è semplice: Meloni ha detto che questa riforma le serve per avere le mani libere e porsi al di sopra della Costituzione.” Il dibattito tocca anche lo strumento referendario. Come sintetizzato da Pagella Politica: “La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi, ma non ha bisogno del quorum.” Ciò aumenta il rischio politico poiché anche un’affluenza bassa ma altamente mobilitata potrebbe deciderne l’esito. I sostenitori affermano che la riforma spezzerebbe il corporativismo giudiziario e aumenterebbe la responsabilità; i critici temono che possa ridurre il controllo sull’esecutivo. La campagna assume così la forma di un plebiscito sull’indipendenza della magistratura e sui limiti del potere governativo, fondandosi non solo su valutazioni giuridiche ma anche sulla fiducia nelle istituzioni. Le voci accademiche sottolineano che l’asse reale della riforma riguarda il potere, non l’efficienza. Giovanni Verde (Il Sole 24 Ore) scrive: “La riforma avrà scarse o nulle ricadute sull’efficienza del servizio, avendo come obiettivo quello del riequilibrio tra i poteri dello Stato.” Avverte inoltre: “Sarebbe necessaria una robusta partecipazione al voto, dato che la riforma riguarda il modo di essere della nostra democrazia.” Paolo Balduzzi osserva che un “Sì” chiuderebbe una battaglia durata decenni, mentre un “No” rappresenterebbe una sconfitta politica diretta per il governo. Qual è il collegamento? Quali sono le implicazioni future? La persecuzione di İmamoğlu e il referendum italiano rivelano una sfida comune alle democrazie contemporanee: stabilire se la magistratura resti garante della competizione democratica o diventi uno strumento dell’esecutivo. In Turchia, il caso İmamoğlu incarna un lawfare ormai istituzionalizzato che restringe lo spazio politico; in Italia, pur attraverso un processo democratico, la riforma costituzionale solleva dubbi di legittimità perché ridefinisce l’equilibrio tra esecutivo e magistratura. La traiettoria turca, culminata nel processo contro il sindaco della sua città più popolosa, minacciato da migliaia di anni di carcere, mostra come una giustizia politicizzata possa spingere un paese fuori dall’ordine democratico. Criminalizzare un sindaco eletto perché considerato una minaccia politica è un chiaro indicatore di come la perdita dell’indipendenza giudiziaria laceri la democrazia in modi difficili da recuperare. Per questo motivo, il dibattito italiano e il referendum del 2026 non rappresentano mere modifiche tecniche: sono un bivio esistenziale per l’equilibrio dei poteri. L’esperienza turca è un monito: quando la magistratura cade sotto l’influenza politica essa smette di amministrare giustizia e diventa uno strumento di coercizione. Le istituzioni resistono non solo grazie ai testi legali, ma perché la società ne difende l’indipendenza. In conclusione, la scelta dell’Italia nel referendum del 2026 plasmerà non solo il presente, ma anche la sicurezza democratica delle generazioni future. L’auspicio è che l’Italia non debba mai assistere al doloroso percorso che la Turchia ha già vissuto.   Reference List Aydın, Y. (2025). Turkey on the Path to Autocracy. In https://www.swp-berlin.org/publications/products/comments/2025C20_TurkeysPathToAutocracy.pdf. SWP (Stiftung Wissenschaft und Politik). Tecimer, Cem: The Arrest of Istanbul’s Mayor is TextbookLawfare, VerfBlog, 2025/3/28, https://verfassungsblog.de/the-arrest-of-istanbuls-mayor-is-textbook-lawfare/, DOI: 10.59704/a90a551daa4f28f6. Nistor, A., & Popescu, F.-A. (2025, November 17). ERDOĞAN’S TURKEY: BETWEEN THE DREAM OF DEMOCRACY AND THE AUTHORITARIAN TEMPTATION. HeinOnline. https://heinonline.org/HOL/LandingPage?handle=hein.journals/agoraijjs2025&div=29&id=&page= İBB iddianamesi açıklandı: Suçlamalar, cezalar, detaylar – BBC News Türkçe. (2025, November 11). BBC News Türkçe. https://www.bbc.com/turkce/articles/c3dny8yzgv3o Mantero, Maria. “Referendum costituzionale sulla riforma della giustizia, ecco cosa c’è da sapere.” SkyTG24, 30 ottobre 2025. Redazione Digital. https://www.italiaoggi.it/economia-e-politica/attualita/se-la-cucina-italiana-diventasse-patrimonio-unesco-quale-sarebbe-limpatto-sul-turismo-dly6eoke?refresh_cens Balduzzi, P. (2025, November 11). La riforma della giustizia alla battaglia finale. Lavoce.info. https://lavoce.info/archives/109370/la-riforma-della-giustizia-alla-battaglia-finale/ Giordano, E. (2025, October 30). Meloni’s bid to overhaul Italy’s justice system wins backing from lawmakers. POLITICO. https://www.politico.eu/article/giorgia-melonis-plan-overhaul-italy-justice-system-win-support-senate/ Non è una riforma della giustizia, serve solo a dire che la legge non è uguale per tutti. (2025, October 30). Partito Democratico. https://partitodemocratico.it/schlein-non-e-una-riforma-della-giustizia-serve-solo-a-dire-che-la-legge-non-e-uguale-per-tutti/ Lazzeri, F. (2021, September 21). Referendum sulla giustizia: guida alla lettura dei sei quesiti (di F. Lazzeri). www.sistemapenale.it. https://www.sistemapenale.it/it/scheda/referendum-giustizia-guida-lettura-quesiti Verde, G. (2025). Giustizia: una guida per il cittadino chiamato al prossimo referendum. Il Sole 24 ORE, 35. https://i2.res.24o.it/pdf2010/S24/Documenti/2025/09/19/AllegatiPDF/20250920-GDNAZCAR-10-NAZ-primo-piano-001.pdf Redazione Romagna
Parlamentari turchi da Ocalan, ma si gioca sporco sul processo di pace
Il 24 novembre si è verificato il tanto atteso viaggio in delegazione di alcuni parlamentari turchi ad Imrali, per incontrare Abdullah Ocalan in merito al processo di pace in corso fra stato turco e PKK, così come stabilito dalla commissione parlamentare “per la riconciliazione nazionale, la fratellanza e la democrazia”. […] L'articolo Parlamentari turchi da Ocalan, ma si gioca sporco sul processo di pace su Contropiano.
KURDISTAN: PER LA PRIMA VOLTA, ESPONENTI DEI PARTITI AL GOVERNO IN TURCHIA INCONTRANO OCALAN IN CARCERE
In Turchia la Commissione istituita nel parlamento per risolvere la questione curda ha incontrato oggi, lunedì 24 novembre, all’isola di Imrali, lo storico leader del movimenti di liberazione curdo e fondatore del PKK, Abdullah Öcalan, sepolto in carcere dal 1999. La visita, la prima di questa caratura politica in 26 anni, ha visto la presenza di Gülistan Kılıñç Koçyiğit, vicepresidente del Partito per l’uguaglianza e la democrazia dei popoli (partito DEM, sinistra curda e turca), Feti Yıldız, vicepresidente di MHP (l’estrema destra nazionalista) e Hüseyin Yayman, vicepresidente dell’AKP (il partito di Erdogan), mentre i socialdemocratici del Chp – in guerra da mesi proprio con Erdogan, che ha fatto incarcerare numerosi esponenti del partito kemalista – hanno rifiutato di partecipare alla delegazione. L’obiettivo ufficiale della visita era “documentare le opinioni di Öcalan su questioni politiche chiave per risolvere politicamente la questione curda”. I verbali del colloquio saranno secretati per 10 anni, ma si attendono dichiarazioni ufficiali nelle prossime ore. “È la prima volta in 26 anni che deputati del Parlamento turco – spiega Michele Borra, di Radio Onda d’Urto, inviato della nostra Redazione fino a poche settimane fa nei territori del Rojava controllati dal confederalismo democratico sul lato siriano del Kurdistan – si recano sull’isola-carcere di Imrali per incontrare Abdullah Öcalan, se si escludono le visite che nell’ultimo anno di trattative sono state concesse ai parlamentari del Partito Dem.  Stavolta ci sono anche un deputato dell’Akp di Erdogan e uno dell’Mhp, il movimento ultranazionalista dei lupi grigi, le due forze che compongono il governo turco. È una notizia storica perché, di fatto, con questo incontro la Commissione parlamentare per la “Solidarietà nazionale, la fratellanza e la democrazia” – quindi lo stato turco – riconosce per la prima volta Öcalan come interlocutore ufficiale nei negoziati in corso”. Il commento su Radio Onda d’Urto di Michele Borra, della Redazione di Radio Onda d’Urto. Ascolta o scarica
Il “piano di pace” per l’Ucraina nasce zoppo
Un Trump in chiara difficoltà interna – ha dovuto rovesciare la sua posizione sulla libertà degli “Epstein files”, dicendosi ora d’accordo perché tanto “non ho nulla da temere” – prova a rilanciare la politica di “pace” internazionale, stavolta sull’Ucraina. Secondo molti analisti non c’è alcuna contraddizione tra il Trump “pacifista” […] L'articolo Il “piano di pace” per l’Ucraina nasce zoppo su Contropiano.
Turchia: accusa mostruosa per lo sfidante di Erdogan
> Da marzo, il sindaco di Istanbul Ekrem İmamoğlu è in carcere. Ora, in > un’accusa senza precedenti nella storia giudiziaria turca, il procuratore > generale chiede 2.352 anni di reclusione. Inoltre, il partito CHP (Partito > Popolare Repubblicano, laico e socialdemocratico, Ndt.) dovrebbe essere messo > al bando. Se dipendesse dal procuratore generale di Istanbul, Ekrem Imamoğlu, il politico democratico più popolare del Paese, dovrebbe scomparire per sempre in prigione. Sommando tutti i capi d’accusa contenuti nelle 3.900 pagine dell’atto d’accusa contro il sindaco di Istanbul, si arriva a 2.352 anni di reclusione. A ciò si aggiunge il fatto che la Procura generale di Istanbul ha chiesto ai colleghi di Ankara di presentare alla Corte costituzionale competente una richiesta di messa al bando del Partito Popolare Repubblicano (CHP). “Non si tratta di un atto d’accusa, ma di una dichiarazione politica da golpisti”, ha affermato il presidente del CHP, Özgür Özel, in una conferenza stampa. Già dopo l’arresto di İmamoğlu nel marzo di quest’anno, Özel aveva parlato di un colpo di Stato civile che metteva in discussione la democrazia in Turchia. Özel ha ora precisato questo concetto, affermando: “Questa volta i golpisti non arrivano con i carri armati come in passato, ma con le toghe dei giudici. Una manciata di persone che sono arrivate al potere attraverso le elezioni non vogliono perderlo attraverso nuove elezioni”. Erdoğan, Presidente della Turchia dal 2014. (www.bgnes.com ) Nell’atto d’accusa viene indicata una “organizzazione criminale” di cui İmamoğlu sarebbe stato il capo. Questa “organizzazione criminale” avrebbe avuto lo scopo di espandere il proprio potere attraverso la corruzione attiva e passiva, riciclare denaro e trasferire fondi dall’amministrazione pubblica in aiuti elettorali illegali per il CHP. Complessivamente, l’atto d’accusa elenca 142 capi d’imputazione, tra cui vari reati di corruzione come concussione, appropriazione indebita, riciclaggio di denaro e frode negli appalti. L’accusa è rivolta, oltre che contro İmamoğlu, anche contro altri 401 indagati. Essi avrebbero causato allo Stato turco un danno pari a oltre 3,6 miliardi di euro in un periodo di dieci anni. Tuttavia, i pubblici ministeri che hanno avanzato questa enorme accusa non sono stati in grado, negli ultimi mesi, né di redigere un atto d’accusa, né di presentare una sola prova. Al contrario, hanno rincarato la dose con un’accusa ancora più assurda contro Imamoğlu: spionaggio! L’accusa ora presentata chiarisce perché il CHP parla di un procedimento puramente politico contro il suo candidato alla presidenza. İmamoğlu, che dovrebbe candidarsi alle prossime elezioni contro il presidente Recep Tayyip Erdoğan e che avrebbe buone possibilità di vincere, viene presentato come un criminale e un egoista nemico dello Stato. “In qualsiasi procedimento legale regolare, un tribunale respingerebbe questa accusa a priori”, ha affermato uno degli avvocati di İmamoğlu. Ma in questo procedimento c’è ben poco di legale. Al contrario, dopo il loro arresto, i collaboratori di İmamoğlu sono stati sottoposti a pressioni. Se non avessero testimoniato contro di lui, avrebbero dovuto prepararsi a scontare pene detentive. Due dei suoi avvocati e centinaia di manifestanti che si erano impegnati per il rilascio di İmamoğlu sono stati arrestati. I giornalisti che hanno osato mettere in dubbio la versione ufficiale su İmamoğlu sono stati citati in giudizio. Il presidente Erdogan sta facendo di tutto per rimanere al potere oltre la fine del suo mandato nel 2028. A tal fine, non può tollerare un’opposizione efficace che denunci le ingiustizie economiche e sociali o renda pubblico il clientelismo all’interno del governo. Erdogan passa quindi all’attacco preventivo. I pubblici ministeri di Istanbul si lasciano strumentalizzare dalla politica del governo. L’assurdo teatrino del processo contro Imamoglu si trasforma in una tragedia per la Turchia. -------------------------------------------------------------------------------- TRADUZIONE DAL TEDESCO DI THOMAS SCHMID CON L’AUSILIO DI TRADUTTORE AUTOMATICO. Helmut Ortner
TURCHIA: CHIESTI DUEMILA ANNI DI CARCERE PER IL SINDACO DI ISTANBUL IMAMOGLU
Il procuratore capo di Istanbul, Akın Gürlek, ha chiesto una condanna di 2.352 di carcere per il sindaco di Istanbul e leader del Chp Ekrem Imamoglu. 142 i capi d’accusa contestati dalla Procura della città sul Bosforo a quello che in teoria dovrebbe essere il principale sfidante di Erdogan alle prossime elezioni presidenziali. Secondo le quattromila pagine prodotte dalla Procura di Istanbul, Imamoglu sarebbe “fondatore e leader” di un’organizzazione criminale che avrebbe provocato perdite per lo Stato per circa 3,8 miliardi di dollari in un decennio. Nell’inchiesta sono coinvolti 402 sospettati e 105 persone che sono già detenute. Le accuse nei loro confronti sono, tra le altre, corruzione, tangenti, frode, manipolazione di appalti pubblici, riciclaggio e direzione di organizzazione criminale. Ekrem Imamoglu è stato rieletto sindaco di Istanbul nel 2024. Esponente del chemalista Chp, è considerato il principale sfidante dell’attuale presidente turco Erdogan per le prossime elezioni presidenziali, fissate per il 2028. Akın Gürlek, il procuratore capo di Istanbul che chiede 2.352 anni di carcere per Imamoglu, è un personaggio a dir poco controverso, legato a doppio filo con il regime dell’Akp di Erdogan e dei suoi alleati dell’Mhp. Prima della nomina a Procuratore capo della megalopoli, è stato vice-ministro della Giustizia. In passato, ha firmato alcune decisioni molto discusse contro l’ex parlamentare e co-presidente dell’Hdp curdo-turco (oggi Partito Dem) Selahattin Demirtas, il giornalista in esilio Can Dündar e i membri del movimento “Accademici per la pace”. Sulla vicenda, ai microfoni di Radio Onda d’Urto è intervenuto il giornalista Murat Cinar. Ascolta o scarica.
SIRIA: TRUMP ACCOGLIE AL-SHARAA ALLA CASA BIANCA. L'(EX?) JIHADISTA TRA INTERESSI DEL CAPITALISMO GLOBALE E TENSIONI INTERNE
Il presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump ha incontrato a Washington l’autoproclamato presidente siriano Ahmed Al Sharaa. È la prima volta, da quando la Siria è stata dichiarata stato indipendente nel 1946, che un leader siriano mette piede nello Studio ovale della Casa Bianca. Le questioni principali sul tavolo sono due: la surreale adesione della Siria – governata da personaggi, a partire dallo stesso Al Sharaa, che hanno militato in Daesh e/o in altre formazioni jihadiste fino a ieri – alla Coalizione internazionale anti-Isis a guida Usa; e la volontà degli Usa di stabilire una propria base militare nel sud del Paese, vicino Damasco. Ovviamente, il tema del confronto è molto più ampio e riguarda aspetti differenti, anche se connessi tra loro: tra questi la promessa di rimuovere Al Sharaa e altri esponenti del suo cosiddetto “governo di transizione” dalle liste nere Usa dei ricercati internazionali per terrorismo, l’impegno statunitense a rimuovere almeno alcune delle sanzioni che da decenni stritolano l’economia e la popolazione siriana, ora estremamente provata anche da 15 anni di guerra civile, l’adesione di Damasco agli Accordi di Abramo. Sullo sfondo ci sono gli interessi – spesso contrastanti – di diverse potenze capitaliste regionali e globali, dalla Turchia di Erdogan (principale sponsor del nuovo regime siriano) a Israele, dagli Usa alla Russia fino alle monarchie del Golfo. Il futuro della Siria, infatti, è centrale rispetto al processo di ridefinizione dei rapporti di forza nella regione che ha subito un’importante accelerazione dal 7 ottobre 2023, con la guerra portata da Israele in tutta l’area. Su Radio Onda d’Urto, abbiamo approfondito questi aspetti con il giornalista Alberto Negri, editorialista de Il Manifesto. Ascolta o scarica. Per delineare un quadro completo della situazione, però, è importante tenere in considerazione la situazione interna siriana, in particolare per quanto riguarda la società e le sue numerose componenti anche nazionali, religiose e linguistiche. Da questo punto di vista, Al Sharaa sta tentando di rafforzare la propria legittimità politica, al momento piuttosto debole. Il suo “governo di transizione” non può contare su un consenso ampio per diversi fattori. Il più importante riguarda proprio la composizione eterogenea della società siriana dal punto di vista delle differenze culturali e religiose. Diverse comunità non si sentono rappresentate da un governo che da un lato si dichiara protettore dei diritti delle minoranze, dall’altro è espressione diretta di gruppi salafiti e jihadisti. I massacri ai danni della popolazione alawita nelle regioni della costa occidentale e quelli contro i drusi nell’area meridionale di Sweida – compiuti da milizie islamiste inquadrate nell’attuale esercito governativo – hanno alimentato diffidenza, paura e malcontento nei confronti di Damasco. Nonostante avesse dichiarato l’intenzione di costruire una democrazia dopo oltre sessant’anni di regime degli Assad (incassando l’endorsement di tutte le cancellerie europee e occidentali), Al Sharaa ha organizzato elezioni che sono state più che altro una selezione diretta – da parte sua – di gran parte dei parlamentari e dalle quali sono state escluse Sweida, l’area a maggioranza drusa, e soprattutto i territori controllati dall’Amministrazione autonoma democratica del nord e dell’est e dalle Forze Siriane Democratiche a guida curda e araba. Non solo, dopo aver simulato un approccio democratico, aperto a tutte le religioni e culture, e aver promesso una costituzione che rappresentasse tutte le componenti siriane, il governo di transizione di Al Sharaa ha scritto da solo la propria Carta, senza alcun tipo di consultazione, e ha iniziato a disporre leggi di chiara impronta islamista. Di tutto questo abbiamo parlato con Tiziano Saccucci, dell’Ufficio di informazione del Kurdistan in Italia, con particolare attenzione alle trattative in corso tra Damasco e l’Amministrazione autonoma del confederalismo democratico, cioè l’autogoverno rivoluzionario e socialista del Rojava e del nord-est siriano (oltre un terzo del Paese). Ascolta o scarica.
Definitiva la sentenza CEDU: per Demirtas è la volta buona per la scarcerazione?
La Corte Europea per i Diritti dell’Uomo (CEDU) ha respinto l’ultimo ricorso presentato dal Ministero della Giustizia turco contro la sentenza di scarcerazione per Demirtas e, di riflesso, per tutti i condannati nell’ambito del cosiddetto “processo Kobane”. Ora la sentenza è definitiva e, dal punto di vista della legalità formale […] L'articolo Definitiva la sentenza CEDU: per Demirtas è la volta buona per la scarcerazione? su Contropiano.
Ancora in fiamme la Mezza Luna Fertile, pur con aliti di pace
Sudan Nonostante avessero annunciato il loro assenso ad una tregua umanitaria temporanea, le milizie “Forze di supporto rapido” hanno bombardato il Kordofan, poche ore dopo gli attacchi dei droni su Atbara e Omdurman. Una commissione di esperti delle Nazioni Unite ha accusato le milizie di aver commesso atrocità contro i civili a El Fasher, nel Darfur settentrionale. Le Forze di Supporto Rapido e il Movimento di Liberazione del Popolo Sudanese del Nord (SPLM-N) hanno bombardato la città di Dilling, importante centro del Kordofan Meridionale. Un drone delle Forze di Supporto Rapido ha bombardato diverse località a El Obeid, nel Kordofan Settentrionale. L’Emergency Lawyers Group, un gruppo per i diritti umani che monitora le violazioni in Sudan, ha riferito che 6 persone sono state uccise e 12 ferite quando un proiettile ha colpito all’interno dell’ospedale di Dilling. Tunisia La famiglia del prigioniero politico tunisino Jawhar Ben Mbarek e i suoi avvocati hanno lanciato un grido d’allarme, avvertendo di un pericolo imminente che potrebbe costargli la vita dopo che 10 giorni fa aveva intrapreso uno sciopero della fame totale e a tempo indeterminato, all’interno del carcere “Belli” nel governatorato di Nabeul (nord). Un gesto di protesta contro l’”ingiustizia politica” e un “processo iniquo”, subiti nel procedimento noto come “cospirazione contro la sicurezza dello Stato 1”. Ben Mbarek, professore di diritto costituzionale, è una delle figure di maggior spicco dell’opposizione al presidente Kais Saied da quando quest’ultimo ha dichiarato lo stato di emergenza il 25 luglio 2021. È una figura di spicco del Fronte di Salvezza Nazionale, una coalizione di personalità politiche e partiti di opposizione, in particolare il partito islamista Ennahda. Inizialmente è stato condannato in un processo farsa a 18 anni di carcere. Turchia /Israele La giustizia turca ha emesso mandati di arresto per genocidio contro il primo ministro israeliano Netanyahu e diversi politici e militari israeliani, tra cui il ministro della guerra Katz e il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir. I mandati di arresto riguardano un totale di 37 sospetti. Tra questi, figura anche il capo di Stato Maggiore israeliano, Eyal Zamir, secondo quanto riferito dalla procura di Istanbul, che denuncia il “genocidio e i crimini contro l’umanità perpetrati in modo sistematico da Israele a Gaza”. La giustizia turca cita anche il caso dell’Ospedale dell’amicizia turco-palestinese nella Striscia di Gaza – costruito dalla Turchia – colpito e completamente distrutto a marzo dall’esercito israeliano. Turchia/Kurdistan Ankara sta vagliando un progetto per far rientrare i combattenti e i civili curdi rifugiati in Iraq. Una legge è allo studio ed è oggetto di discussioni in una commissione parlamentare che coinvolge anche deputati curdi. Secondo una fonte di Ankara, la proposta prevede prima il ritorno dei civili e poi l’amnistia per i combattenti che consegnano all’esercito iracheno le loro armi. Alcuni capi del movimento della guerriglia non saranno ammessi al rientro ma otterranno asilo politico in altri paesi. La proposta di legge dovrebbe essere discussa in parlamento entro novembre. Di seguito un’intervista all’avvocato di Ocalan, sul processo di pacificazione: LA PACE INCERTA TRA CURDI E TURCHI: UN PERCORSO DIFFICILE, CORAGGIOSO E DI SPERANZA PER I CURDI. – Anbamed Pakistan/Afghanistan Il secondo round di trattative a Istanbul è fallito. Lo ha ammesso il ministro della guerra di Islamabad, Assif, che ha però assicurato che gli scontri di frontiera non riprenderanno se non ci saranno attacchi da parte dei Talebani pakistani rifugiati in territorio afghano. La crisi tra i due paesi è arrivata al culmine in seguito ad una serie di attacchi di guerriglieri a postazioni di confine in Pakistan, con decine di vittime: l’aeronautica di Islamabad ha bombardato la stessa capitale afghana Kabul. Le mediazioni di Doha prima e adesso di Ankara non sono riuscite ad avvicinare le posizioni dei due paesi. ANBAMED