Nati nel limboSono a Cipro da cinque giorni, è aprile 2024. Atterro a Pafos, sulla costa
ovest, passando per Limassol, risalgo poi verso Nicosia. Cammino in un’isola
che è uno Stato e allo stesso tempo due. Non per chiunque, e nemmeno da sempre.
Oggi, nel paesaggio e nelle istituzioni restano impressi i segni di una
divisione che la storia politica recente ha inciso, trasformando differenze
culturali, religiose e identitarie in una frattura politica e militare
quotidiana.
Cipro oggi è un Paese sovrano e membro dell’Unione Europea. A sud si estende la
Repubblica di Cipro, riconosciuta dalla comunità internazionale, a nord la
Repubblica Turca di Cipro del Nord, proclamata nel 1983 e sostenuta soltanto da
Ankara. In mezzo corre la buffer zone delle Nazioni Unite che attraversa l’isola
e divide in due anche la capitale.
Camminando a Nicosia si avverte la cesura. A sud botteghe e caffè si alternano a
palazzi veneziani, moschee e tribunali coloniali, strade dritte e viali
ombreggiati portano a edifici moderni e torri di vetro. L’aria sa di
Mediterraneo ma richiama anche Londra.
A nord la lingua si fa turca, la moneta lira, le stesse case hanno un aspetto
più dimesso, i ritmi rallentano e l’isolamento si percepisce nei servizi incerti
e nelle strade meno curate. La città conserva la sua ossatura comune, ma ogni
lato racconta un destino che si è allontanato dall’altro.
La presenza greco-ortodossa e turco-musulmana risale al 1570, con l’arrivo degli
ottomani. Cipro era già un crocevia conteso, ma il sistema dei millet
organizzava la società in comunità confessionali autonome: gli ortodossi nel
millet rum, i musulmani in quello islamico.
Ogni gruppo amministrava matrimonio, eredità e istruzione attraverso le proprie
istituzioni. Non esisteva una cittadinanza unitaria, ma una pluralità di sudditi
che condividevano lo stesso spazio, con frizioni quotidiane che non degeneravano
in antagonismo.
Il vero salto avviene nel 1878, con l’amministrazione britannica. Londra non
abolisce i millet, li riconfigura. La distinzione religiosa viene codificata
come etnica e nazionale: gli ortodossi sono classificati come greco-ciprioti, i
musulmani come turco-ciprioti.
La cittadinanza coloniale, pur includendoli come natives of the colony, li
etnicizza dall’interno, avviando un processo di nazionalizzazione che cancella
la dimensione comune. Scuole, manuali e lingue d’insegnamento consolidano due
identità contrapposte.
Nel 1931, quando i greco-ciprioti si sollevano, la repressione britannica mostra
come la priorità fosse impedire l’emergere di un’identità condivisa più che
contenere i nazionalismi opposti.
TIMELINE DI CIPRO
1570: Arrivo Ottomani
1878: Amministrazione britannica
1950: Referendum unione con la Grecia
1964: Scontri intercomunitari
1974: Colpo di Stato e intervento turco
1983: Nascita Turkish Republic of Northern Cyprus
Dopo la Seconda guerra mondiale la spirale accelera. Con Makarios III e il
referendum del 1950, in cui il 95% dei greco-ciprioti vota per l’unione con la
Grecia, il nazionalismo greco-cipriota si istituzionalizza. Nasce l’EOKA, che
considera i turco-ciprioti un ostacolo.
La risposta arriva con l’appoggio di Ankara: prende forma il TMT, che rilancia
con il progetto opposto, il taksim, la divisione dell’isola. Due nazionalismi
costruiti in opposizione si fronteggiano, compiendo fino in fondo il meccanismo
coloniale che aveva tradotto la differenza in conflitto.
Il punto di rottura matura nel decennio che precede il 1974. Già negli anni
Sessanta le tensioni esplodono in violenza, lo mostrano le fotografie di Don
McCullin: nel 1964, nelle strade di Nicosia, immortala una donna in lacrime per
un familiare ucciso durante gli scontri intercomunitari, un’immagine che gli
valse il World Press Photo.
Una donna greco-cipriota piange la morte di un familiare durante la guerra
civile a Cipro. Don McCullin, Cipro (1964; stampa 2013), © Don McCullin. Per
gentile concessione delle National Galleries of Scotland
Dieci anni più tardi la crisi si radicalizza con il colpo di Stato
greco-cipriota e l’intervento militare della Turchia, presentato come difesa
della comunità turco-cipriota.
Da quel momento l’isola si ridisegna: i turco-ciprioti vengono concentrati a
nord, lasciando case e quartieri condivisi per generazioni con i vicini greci,
mentre i greco-ciprioti residenti a nord vengono trasferiti a sud.
LA TUTELA CHE DIVENTA CONTROLLO: IL PESO TURCO SU CIPRO
Nel periodo successivo agli scontri intercomunitari molte persone trascorrono
anni in alloggi provvisori o in villaggi recintati. La neonata repubblica de
facto, riconosciuta soltanto dalla Turchia, si trova fin da subito in isolamento
internazionale: embargo commerciale, esclusione da eventi sportivi e culturali,
divieto di collegamenti aerei diretti con l’estero.
Una condizione che alimenta una dipendenza strutturale da Ankara, che provvede a
stipendi pubblici, investimenti e garanzie militari. Fattori che assicurano una
stabilità solo apparente e che diventano al tempo stesso gli strumenti con cui
la Turchia imprime sull’isola un preciso progetto politico e culturale.
Uno dei principali strumenti di rafforzamento del legame con Ankara è stato il
progressivo trasferimento di popolazione dalla Turchia verso Cipro Nord,
organizzato in diverse ondate dopo il 1974 e tale da modificare in profondità la
composizione demografica dell’area.
La prima, tra il 1974 e il 1979, portò circa quindicimila cittadini turchi a
ottenere la cittadinanza della Turkish Republic of Northern Cyprus (TRNC) e
l’assegnazione di villaggi e proprietà appartenuti ai greco-ciprioti.
Negli anni Ottanta arrivarono professionisti e studenti, mentre negli anni
Novanta il boom edilizio e la liberalizzazione dei permessi di lavoro
alimentarono ulteriormente i flussi. Tra il 1996 e il 2011 il numero di
cittadini turchi residenti nella TRNC passò da 3.700 a oltre 80.000.
Le stime più recenti collocano la popolazione complessiva tra 400.000 e 800.000
abitanti, ma l’assenza di un censimento ufficiale dopo il 2011 impedisce di
conoscere con precisione la consistenza attuale dei turco-ciprioti sull’isola.
Accanto ai cambiamenti demografici si è consolidata anche una pressione
culturale. I turco-ciprioti, storicamente influenzati dal kemalismo –
l’ideologia laica e nazionalista promossa da Mustafa Kemal Atatürk nella Turchia
del Novecento, che relegava la religione alla sfera privata – si trovano oggi
esposti a un processo inverso promosso da Ankara.
Negli ultimi vent’anni sono state costruite più di cinquantadue nuove moschee,
un numero che supera quello delle scuole. Sono stati aperti centri di formazione
religiosa come l’Hala Sultan College of Theology e avviati corsi coranici
finanziati dalla Diyanet e da fondazioni turche. Sul piano linguistico, il
dialetto turco-cipriota, il Gibrislidja, è stato escluso dai media nazionali nel
2009 e definito un ‘turco sbagliato’.
Anche la vita politica è stata influenzata. Le elezioni presidenziali del 2020
sono state segnate da episodi di ingerenza documentati dal report indipendente
di Raporluyoruz 1, un gruppo di avvocati, ricercatori e membri della società
civile, che descrive il ruolo diretto dell’intelligence turca (MIT) nella
campagna elettorale.
Secondo il report, ad alcuni collaboratori del presidente uscente Mustafa Akıncı
fu comunicato che sarebbe stato “meglio per lui, la sua famiglia e i suoi
colleghi” ritirare la candidatura.
Bambini che tornano da scuola attraversano la strada a Nicosia (Lefkoşa), sullo
sfondo il volto di Erdoğan e una bandiera turca dominano la scena. PH: Federico
Rinaldi
Lo stesso documento segnala che l’ambasciata turca a Nicosia Nord convocò
parlamentari locali per fare pressione a favore di Ersin Tatar e che
quest’ultimo compì due visite improvvise ad Ankara, ricevendo la promessa di
iniezioni di fondi nell’economia turco-cipriota.
BÜLENT E LE SUE SORELLE: CRESCIUTI A NICOSIA, CITTADINI ALTROVE
Una visuale del quartiere di Samanbahçe. PH: Federico Rinaldi
Durante il mio viaggio, alloggio nella parte greca di Nicosia e continuo a
muovermi avanti e indietro, passaporto alla mano. Un giorno capito per caso nel
quartiere di Samanbahçe, nella parte turco-cipriota della città. È il primo
progetto di edilizia popolare dell’isola: venti case disposte su una griglia
regolare, una fontana bianca e grigia al centro che ne riprende i colori.
L’atmosfera è ordinata, silenziosa e un po’ sospesa.
Incontro per caso Pembe e Hamide, che vivono l’una di fronte all’altra da anni
con le rispettive famiglie.
Pembe e Hamide si incontrano dopo pranzo per una chiacchierata davanti casa
Hamide e Fevzi davanti alla porta di casa
Hamide è sposata con Fevzi, un uomo sulla sessantina, presenza autorevole e
occhi gentili. Corre avanti e indietro per Nicosia in sella al suo motorino, e
io l’ho soprannominato “Örümcek Adam”, l’uomo ragno.
Insieme hanno tre figli: Bülent, il maggiore, e le sorelle minori Yağmur e
Gülseren di ventitré e ventuno anni. Bülent ne ha venticinque. Chiama le
sorelle Anaconda e Kobra, dice che hanno sempre risposte taglienti e cattive.
Non ha molti amici e, tra venti giorni, partirà per il servizio militare in
Turchia, dove rimarrà per sei mesi, ha infatti cittadinanza turca. Lo stesso
vale per le sorelle: sono nate in Turchia e i genitori le hanno portate a Cipro
all’età di due anni.
Davanti alla porta di casa di Hamide con lei la figlia Gülseren a destra e Pembe
a sinistra
Di recente Bülent non ha lavorato e non sembra avere molta voglia di cercare un
impiego. Sul braccio ha tatuato la frase fuck work, drink beer, che riassume con
ironia la sua filosofia di vita.
Mi fa sorridere, ma al tempo stesso dà l’idea di un giovane che fatica a
immaginare un futuro diverso. Il mercato del lavoro per i coetanei
turco-ciprioti, mi racconta, offre poco più del corrispettivo di 3 euro l’ora.
Nonostante sia cresciuto a Nicosia, Bülent è cittadino turco, così come le
sorelle. Per la legge della Repubblica di Cipro non sono considerati ciprioti
perché la madre è arrivata sull’isola dopo il 1974 attraverso porti e aeroporti
che Nicosia sud considera ‘illegali’. Questa esclusione non riguarda solo la
loro famiglia, ma migliaia di casi simili, ed è il risultato diretto della
normativa sulla cittadinanza.
Nel 2002 è entrato in vigore il Civil Registry Law: l’articolo 109(1) stabilisce
che chi nasce a Cipro dopo il 16 agosto 1960 è cittadino se almeno uno dei
genitori lo è, a meno che l’ingresso o la permanenza di un genitore nella
Repubblica non sia stato ‘illegale’. In questi casi la domanda passa al
Consiglio dei Ministri.
Poiché tutti gli ingressi dal Nord dopo il 1974 sono classificati come illegali,
migliaia di richieste si trovano sospese in questa corsia discrezionale, inclusi
i figli di matrimoni misti.
La situazione si è irrigidita nel 2007, quando il Consiglio dei Ministri ha
introdotto criteri ancora più restrittivi che hanno di fatto bloccato la quasi
totalità delle domande, congelando migliaia di pratiche.
Le stime parlano di almeno diecimila persone coinvolte, altre fonti alzano il
numero fino a trentamila 2: giovani cresciuti a Cipro, che parlano il dialetto
locale e hanno frequentato le scuole dell’isola, ma che non hanno mai ottenuto
il documento che li renderebbe cittadini europei.
È una questione che si trascina da quasi vent’anni e che ha creato una
generazione sospesa in un limbo giuridico.
Il paradosso è che il principio dello ius sanguinis, applicato senza esitazioni
in altri casi, riconosce la cittadinanza anche a chi nasce a migliaia di
chilometri dall’isola da un genitore cipriota, mentre chi cresce qui, da padre o
madre turco-cipriota, ne resta escluso.
Le domande di cittadinanza presentate dai figli di coppie miste vengono
trasmesse al Consiglio dei Ministri e, dal 2007, la maggior parte resta sospesa
o non giunge mai a esito. La Corte Suprema ha stabilito che questi giovani non
sono tecnicamente apolidi, poiché possiedono quasi sempre la cittadinanza turca.
Tuttavia la mancata cittadinanza della Repubblica di Cipro li priva dei diritti
europei, con conseguenze dirette nella vita quotidiana.
Sul piano dello studio, non possono iscriversi come studenti comunitari nelle
università dell’UE e si trovano a dover pagare tasse elevate come studenti
internazionali, con accesso limitato a borse e programmi di mobilità Erasmus+.
Quanto al lavoro, non hanno la possibilità di esercitare liberamente la
professione in Europa e necessitano di visti o permessi specifici, un ostacolo
che li spinge spesso a cercare impiego in Turchia o nel mercato non riconosciuto
del Nord.
La mobilità è ugualmente condizionata: senza passaporto cipriota non possono
viaggiare nell’UE senza visto, devono appoggiarsi a documenti turchi e spesso
subiscono controlli più severi ai checkpoint interni dell’isola.
Questa esclusione ha portato il tema al centro dell’agenda politica e
internazionale. L’Unione Europea e le Nazioni Unite hanno più volte richiesto
che le pratiche vengano trattate in modo trasparente e non discriminatorio: lo
testimoniano la petizione al Parlamento europeo 3, i rilievi dell’Alto
Commissariato ONU per i diritti umani e le raccomandazioni espresse
nell’Universal Periodic Review del 2019 4 e del 2024 5.
Nel 2024 il governo di Nikos Christodoulides ha annunciato quattordici misure
correttive 6, tra cui la revisione delle domande arretrate e interventi su
servizi, istruzione e attraversamenti di frontiera. Questi provvedimenti sono
stati accolti con scetticismo dalle autorità del Nord, ma rappresentano un
segnale di possibile apertura.
OLTRE IL CONFINE: DIRITTI, MEMORIE E FUTURO
Il principio di autodeterminazione, pilastro del diritto internazionale, per i
turco-ciprioti resta una formula teorica. Tra la pressione culturale esercitata
dalla Turchia e l’esclusione legale dalla cittadinanza della Repubblica di
Cipro, la comunità subisce da anni un processo lento ma costante di
cancellazione.
Le sue radici, che affondano nella lingua, nella memoria e nella storia
dell’isola, sono minacciate da due Stati antagonisti, e a pagarne il prezzo è il
patrimonio storico e culturale incarnato in migliaia di vite.
Hannah Arendt ricordava il paradosso dei diritti umani: restano fragili quando
non esiste uno Stato pronto a difenderli. Nel caso della comunità turco-cipriota
il paradosso è ancora più netto, perché non è l’assenza ma l’azione di due Stati
a renderli vulnerabili.
In questo vuoto, la società civile turco-cipriota ha mantenuto un ruolo decisivo
di mediazione e difesa. Associazioni, sindacati e gruppi spontanei hanno dato
voce a chi rischiava di restare invisibile, aprendo spazi di confronto e di
tutela dei diritti.
Le campagne del Movement for Resolution of the Mixed Marriage Problem per il
riconoscimento dei figli di coppie miste, l’impegno del sindacato degli
insegnanti KTÖS contro le interferenze di Ankara e i progetti culturali del Home
for Cooperation e di PeacePlayers, che coinvolgono giovani greco- e
turco-ciprioti, mostrano la pluralità di un attivismo che rimane centrale nel
dibattito sull’isola.
Dal 2003, i nove checkpoint lungo la linea verde hanno reso più permeabile un
confine che per decenni era invalicabile. Organizzazioni locali come HADE!
chiedono l’apertura di nuovi varchi e il miglioramento di quelli esistenti,
spesso congestionati da file interminabili. L’idea che questi passaggi possano
trasformarsi in strumenti di pace è ormai parte della dinamica cipriota.
Io posso attraversare i checkpoint con un passaporto in mano, superare le
postazioni dei caschi blu e in pochi minuti trovarmi dall’altra parte. Per
Bülent invece, che qui è nato e cresciuto, quel confine resta spesso
invalicabile.
Ci siamo salutati con la promessa di rivederci a Nicosia al suo ritorno,
immaginando un giorno in cui per lui sarà facile varcare quella linea quanto lo
è oggi per me.
Bülent sulla sinistra accanto a Pembe e a suo marito, i vicini di casa
1. Report on the Interference in the 2020 TRNC Presidential Elections ↩︎
2. In search of a legal bond: Turkish Cypriot children of mixed marriages in
Cyprus, European Network on Statelessness (2023) ↩︎
3. Petition No 0754/2020 by Derya Beyatli (Cypriot) on the discrimination of
Turkish speaking Cypriots as EU-citizens ↩︎
4. Cyprus’ responses to recommendations (as of 13 September 2019) ↩︎
5. All country summary and recommendations related to the right to a
nationality and the rights of stateless persons, European Network on
Statelessness ↩︎
6. Christodoulides reveals 14 CBMs for Turkish Cypriots, Financial Mirror
(gennaio 2024) ↩︎