Tag - Turchia

Mosca torna al centro della partita siriana con l’appoggio di Ankara
La Russia torna a contare in Siria, rilanciando il suo ruolo di attrice protagonista in Medio Oriente, peraltro con il sostegno  della Turchia. Mosca per decenni ha sostenuto e aiutato, anche militarmente, la Siria governata e dominata dalla famiglia Assad. Perciò la caduta del presidente Bashar Assad lo scorso dicembre e […] L'articolo Mosca torna al centro della partita siriana con l’appoggio di Ankara su Contropiano.
Pacificazione alla turca: repressione dei Repubblicani e schermaglie con le FDS
È durato un tempo quasi nullo l’illusione di pacificazione interna della Turchia in seguito alla cerimonia simbolica di distruzione delle armi da parte del PKK, lo scorso luglio, e alla susseguente creazione di una commissione parlamentare apposita, incaricata di discutere i passi successivi del processo di pace. Immediatamente dopo, infatti, […] L'articolo Pacificazione alla turca: repressione dei Repubblicani e schermaglie con le FDS su Contropiano.
Nati nel limbo
Sono a Cipro da cinque giorni, è aprile 2024. Atterro a Pafos, sulla costa ovest, passando per Limassol,  risalgo poi verso Nicosia. Cammino in un’isola che è uno Stato e allo stesso tempo due. Non per chiunque, e nemmeno da sempre. Oggi, nel paesaggio e nelle istituzioni restano impressi i segni di una divisione che la storia politica recente ha inciso, trasformando differenze culturali, religiose e identitarie in una frattura politica e militare quotidiana. Cipro oggi è un Paese sovrano e membro dell’Unione Europea. A sud si estende la Repubblica di Cipro, riconosciuta dalla comunità internazionale, a nord la Repubblica Turca di Cipro del Nord, proclamata nel 1983 e sostenuta soltanto da Ankara. In mezzo corre la buffer zone delle Nazioni Unite che attraversa l’isola e divide in due anche la capitale. Camminando a Nicosia si avverte la cesura. A sud botteghe e caffè si alternano a palazzi veneziani, moschee e tribunali coloniali, strade dritte e viali ombreggiati portano a edifici moderni e torri di vetro. L’aria sa di Mediterraneo ma richiama anche Londra. A nord la lingua si fa turca, la moneta lira, le stesse case hanno un aspetto più dimesso, i ritmi rallentano e l’isolamento si percepisce nei servizi incerti e nelle strade meno curate. La città conserva la sua ossatura comune, ma ogni lato racconta un destino che si è allontanato dall’altro. La presenza greco-ortodossa e turco-musulmana risale al 1570, con l’arrivo degli ottomani. Cipro era già un crocevia conteso, ma il sistema dei millet organizzava la società in comunità confessionali autonome: gli ortodossi nel millet rum, i musulmani in quello islamico. Ogni gruppo amministrava matrimonio, eredità e istruzione attraverso le proprie istituzioni. Non esisteva una cittadinanza unitaria, ma una pluralità di sudditi che condividevano lo stesso spazio, con frizioni quotidiane che non degeneravano in antagonismo. Il vero salto avviene nel 1878, con l’amministrazione britannica. Londra non abolisce i millet, li riconfigura. La distinzione religiosa viene codificata come etnica e nazionale: gli ortodossi sono classificati come greco-ciprioti, i musulmani come turco-ciprioti. La cittadinanza coloniale, pur includendoli come natives of the colony, li etnicizza dall’interno, avviando un processo di nazionalizzazione che cancella la dimensione comune. Scuole, manuali e lingue d’insegnamento consolidano due identità contrapposte. Nel 1931, quando i greco-ciprioti si sollevano, la repressione britannica mostra come la priorità fosse impedire l’emergere di un’identità condivisa più che contenere i nazionalismi opposti. TIMELINE DI CIPRO 1570: Arrivo Ottomani 1878: Amministrazione britannica 1950: Referendum unione con la Grecia 1964: Scontri intercomunitari 1974: Colpo di Stato e intervento turco 1983: Nascita Turkish Republic of Northern Cyprus Dopo la Seconda guerra mondiale la spirale accelera. Con Makarios III e il referendum del 1950, in cui il 95% dei greco-ciprioti vota per l’unione con la Grecia, il nazionalismo greco-cipriota si istituzionalizza. Nasce l’EOKA, che considera i turco-ciprioti un ostacolo. La risposta arriva con l’appoggio di Ankara: prende forma il TMT, che rilancia con il progetto opposto, il taksim, la divisione dell’isola. Due nazionalismi costruiti in opposizione si fronteggiano, compiendo fino in fondo il meccanismo coloniale che aveva tradotto la differenza in conflitto. Il punto di rottura matura nel decennio che precede il 1974. Già negli anni Sessanta le tensioni esplodono in violenza, lo mostrano le fotografie di Don McCullin: nel 1964, nelle strade di Nicosia, immortala una donna in lacrime per un familiare ucciso durante gli scontri intercomunitari, un’immagine che gli valse il World Press Photo. Una donna greco-cipriota piange la morte di un familiare durante la guerra civile a Cipro. Don McCullin, Cipro (1964; stampa 2013), © Don McCullin. Per gentile concessione delle National Galleries of Scotland Dieci anni più tardi la crisi si radicalizza con il colpo di Stato greco-cipriota e l’intervento militare della Turchia, presentato come difesa della comunità turco-cipriota. Da quel momento l’isola si ridisegna: i turco-ciprioti vengono concentrati a nord, lasciando case e quartieri condivisi per generazioni con i vicini greci, mentre i greco-ciprioti residenti a nord vengono trasferiti a sud. LA TUTELA CHE DIVENTA CONTROLLO: IL PESO TURCO SU CIPRO Nel periodo successivo agli scontri intercomunitari molte persone trascorrono anni in alloggi provvisori o in villaggi recintati. La neonata repubblica de facto, riconosciuta soltanto dalla Turchia, si trova fin da subito in isolamento internazionale: embargo commerciale, esclusione da eventi sportivi e culturali, divieto di collegamenti aerei diretti con l’estero. Una condizione che alimenta una dipendenza strutturale da Ankara, che provvede a stipendi pubblici, investimenti e garanzie militari. Fattori che assicurano una stabilità solo apparente e che diventano al tempo stesso gli strumenti con cui la Turchia imprime sull’isola un preciso progetto politico e culturale.  Uno dei principali strumenti di rafforzamento del legame con Ankara è stato il progressivo trasferimento di popolazione dalla Turchia verso Cipro Nord, organizzato in diverse ondate dopo il 1974 e tale da modificare in profondità la composizione demografica dell’area. La prima, tra il 1974 e il 1979, portò circa quindicimila cittadini turchi a ottenere la cittadinanza della Turkish Republic of Northern Cyprus (TRNC) e l’assegnazione di villaggi e proprietà appartenuti ai greco-ciprioti. Negli anni Ottanta arrivarono professionisti e studenti, mentre negli anni Novanta il boom edilizio e la liberalizzazione dei permessi di lavoro alimentarono ulteriormente i flussi. Tra il 1996 e il 2011 il numero di cittadini turchi residenti nella TRNC passò da 3.700 a oltre 80.000. Le stime più recenti collocano la popolazione complessiva tra 400.000 e 800.000 abitanti, ma l’assenza di un censimento ufficiale dopo il 2011 impedisce di conoscere con precisione la consistenza attuale dei turco-ciprioti sull’isola.  Accanto ai cambiamenti demografici si è consolidata anche una pressione culturale. I turco-ciprioti, storicamente influenzati dal kemalismo – l’ideologia laica e nazionalista promossa da Mustafa Kemal Atatürk nella Turchia del Novecento, che relegava la religione alla sfera privata – si trovano oggi esposti a un processo inverso promosso da Ankara. Negli ultimi vent’anni sono state costruite più di cinquantadue nuove moschee, un numero che supera quello delle scuole. Sono stati aperti centri di formazione religiosa come l’Hala Sultan College of Theology e avviati corsi coranici finanziati dalla Diyanet e da fondazioni turche. Sul piano linguistico, il dialetto turco-cipriota, il Gibrislidja, è stato escluso dai media nazionali nel 2009 e definito un ‘turco sbagliato’.  Anche la vita politica è stata influenzata. Le elezioni presidenziali del 2020 sono state segnate da episodi di ingerenza documentati dal report indipendente di Raporluyoruz 1, un gruppo di avvocati, ricercatori e membri della società civile, che descrive il ruolo diretto dell’intelligence turca (MIT) nella campagna elettorale. Secondo il report, ad alcuni collaboratori del presidente uscente Mustafa Akıncı fu comunicato che sarebbe stato “meglio per lui, la sua famiglia e i suoi colleghi” ritirare la candidatura. Bambini che tornano da scuola attraversano la strada a Nicosia (Lefkoşa), sullo sfondo il volto di Erdoğan e una bandiera turca dominano la scena. PH: Federico Rinaldi Lo stesso documento segnala che l’ambasciata turca a Nicosia Nord convocò parlamentari locali per fare pressione a favore di Ersin Tatar e che quest’ultimo compì due visite improvvise ad Ankara, ricevendo la promessa di iniezioni di fondi nell’economia turco-cipriota. BÜLENT E LE SUE SORELLE: CRESCIUTI A NICOSIA, CITTADINI ALTROVE Una visuale del quartiere di Samanbahçe. PH: Federico Rinaldi Durante il mio viaggio, alloggio nella parte greca di Nicosia e continuo a muovermi avanti e indietro, passaporto alla mano. Un giorno capito per caso nel quartiere di Samanbahçe, nella parte turco-cipriota della città. È il primo progetto di edilizia popolare dell’isola: venti case disposte su una griglia regolare, una fontana bianca e grigia al centro che ne riprende i colori. L’atmosfera è ordinata, silenziosa e un po’ sospesa. Incontro per caso Pembe e Hamide, che vivono l’una di fronte all’altra da anni con le rispettive famiglie. Pembe e Hamide si incontrano dopo pranzo per una chiacchierata davanti casa Hamide e Fevzi davanti alla porta di casa Hamide è sposata con Fevzi, un uomo sulla sessantina, presenza autorevole e occhi gentili. Corre avanti e indietro per Nicosia in sella al suo motorino, e io l’ho soprannominato “Örümcek Adam”, l’uomo ragno. Insieme hanno tre figli: Bülent, il maggiore, e le sorelle minori Yağmur e Gülseren di ventitré e ventuno anni.  Bülent ne ha venticinque. Chiama le sorelle Anaconda e Kobra, dice che hanno sempre risposte taglienti e cattive. Non ha molti amici e, tra venti giorni, partirà per il servizio militare in Turchia, dove rimarrà per sei mesi,  ha infatti cittadinanza turca. Lo stesso vale per le sorelle: sono nate in Turchia e i genitori le hanno portate a Cipro all’età di due anni. Davanti alla porta di casa di Hamide con lei la figlia Gülseren a destra e Pembe a sinistra Di recente Bülent non ha lavorato e non sembra avere molta voglia di cercare un impiego. Sul braccio ha tatuato la frase fuck work, drink beer, che riassume con ironia la sua filosofia di vita. Mi fa sorridere, ma al tempo stesso dà l’idea di un giovane che fatica a immaginare un futuro diverso. Il mercato del lavoro per i coetanei turco-ciprioti, mi racconta, offre poco più del corrispettivo di  3 euro l’ora. Nonostante sia cresciuto a Nicosia, Bülent è cittadino turco, così come le sorelle. Per la legge della Repubblica di Cipro non sono considerati ciprioti perché la madre è arrivata sull’isola dopo il 1974 attraverso porti e aeroporti che Nicosia sud considera ‘illegali’. Questa esclusione non riguarda solo la loro famiglia, ma migliaia di casi simili, ed è il risultato diretto della normativa sulla cittadinanza. Nel 2002 è entrato in vigore il Civil Registry Law: l’articolo 109(1) stabilisce che chi nasce a Cipro dopo il 16 agosto 1960 è cittadino se almeno uno dei genitori lo è, a meno che l’ingresso o la permanenza di un genitore nella Repubblica non sia stato ‘illegale’. In questi casi la domanda passa al Consiglio dei Ministri. Poiché tutti gli ingressi dal Nord dopo il 1974 sono classificati come illegali, migliaia di richieste si trovano sospese in questa corsia discrezionale, inclusi i figli di matrimoni misti. La situazione si è irrigidita nel 2007, quando il Consiglio dei Ministri ha introdotto criteri ancora più restrittivi che hanno di fatto bloccato la quasi totalità delle domande, congelando migliaia di pratiche. Le stime parlano di almeno diecimila persone coinvolte, altre fonti alzano il numero fino a trentamila 2: giovani cresciuti a Cipro, che parlano il dialetto locale e hanno frequentato le scuole dell’isola, ma che non hanno mai ottenuto il documento che li renderebbe cittadini europei. È una questione che si trascina da quasi vent’anni e che ha creato una generazione sospesa in un limbo giuridico. Il paradosso è che il principio dello ius sanguinis, applicato senza esitazioni in altri casi, riconosce la cittadinanza anche a chi nasce a migliaia di chilometri dall’isola da un genitore cipriota, mentre chi cresce qui, da padre o madre turco-cipriota, ne resta escluso. Le domande di cittadinanza presentate dai figli di coppie miste vengono trasmesse al Consiglio dei Ministri e, dal 2007, la maggior parte resta sospesa o non giunge mai a esito. La Corte Suprema ha stabilito che questi giovani non sono tecnicamente apolidi, poiché possiedono quasi sempre la cittadinanza turca. Tuttavia la mancata cittadinanza della Repubblica di Cipro li priva dei diritti europei, con conseguenze dirette nella vita quotidiana. Sul piano dello studio, non possono iscriversi come studenti comunitari nelle università dell’UE e si trovano a dover pagare tasse elevate come studenti internazionali, con accesso limitato a borse e programmi di mobilità Erasmus+. Quanto al lavoro, non hanno la possibilità di esercitare liberamente la professione in Europa e necessitano di visti o permessi specifici, un ostacolo che li spinge spesso a cercare impiego in Turchia o nel mercato non riconosciuto del Nord. La mobilità è ugualmente condizionata: senza passaporto cipriota non possono viaggiare nell’UE senza visto, devono appoggiarsi a documenti turchi e spesso subiscono controlli più severi ai checkpoint interni dell’isola. Questa esclusione ha portato il tema al centro dell’agenda politica e internazionale. L’Unione Europea e le Nazioni Unite hanno più volte richiesto che le pratiche vengano trattate in modo trasparente e non discriminatorio: lo testimoniano la petizione al Parlamento europeo 3, i rilievi dell’Alto Commissariato ONU per i diritti umani e le raccomandazioni espresse nell’Universal Periodic Review del 2019 4 e del 2024 5.  Nel 2024 il governo di Nikos Christodoulides ha annunciato quattordici misure correttive 6, tra cui la revisione delle domande arretrate e interventi su servizi, istruzione e attraversamenti di frontiera. Questi provvedimenti sono stati accolti con scetticismo dalle autorità del Nord, ma rappresentano un segnale di possibile apertura. OLTRE IL CONFINE: DIRITTI, MEMORIE E FUTURO Il principio di autodeterminazione, pilastro del diritto internazionale, per i turco-ciprioti resta una formula teorica. Tra la pressione culturale esercitata dalla Turchia e l’esclusione legale dalla cittadinanza della Repubblica di Cipro, la comunità subisce da anni un processo lento ma costante di cancellazione. Le sue radici, che affondano nella lingua, nella memoria e nella storia dell’isola, sono minacciate da due Stati antagonisti, e a pagarne il prezzo è il patrimonio storico e culturale incarnato in migliaia di vite. Hannah Arendt ricordava il paradosso dei diritti umani: restano fragili quando non esiste uno Stato pronto a difenderli. Nel caso della comunità turco-cipriota il paradosso è ancora più netto, perché non è l’assenza ma l’azione di due Stati a renderli vulnerabili. In questo vuoto, la società civile turco-cipriota ha mantenuto un ruolo decisivo di mediazione e difesa. Associazioni, sindacati e gruppi spontanei hanno dato voce a chi rischiava di restare invisibile, aprendo spazi di confronto e di tutela dei diritti. Le campagne del Movement for Resolution of the Mixed Marriage Problem per il riconoscimento dei figli di coppie miste, l’impegno del sindacato degli insegnanti KTÖS contro le interferenze di Ankara e i progetti culturali del Home for Cooperation e di PeacePlayers, che coinvolgono giovani greco- e turco-ciprioti, mostrano la pluralità di un attivismo che rimane centrale nel dibattito sull’isola.  Dal 2003, i nove checkpoint lungo la linea verde hanno reso più permeabile un confine che per decenni era invalicabile. Organizzazioni locali come HADE! chiedono l’apertura di nuovi varchi e il miglioramento di quelli esistenti, spesso congestionati da file interminabili. L’idea che questi passaggi possano trasformarsi in strumenti di pace è ormai parte della dinamica cipriota.  Io posso attraversare i checkpoint con un passaporto in mano, superare le postazioni dei caschi blu e in pochi minuti trovarmi dall’altra parte. Per Bülent invece, che qui è nato e cresciuto, quel confine resta spesso invalicabile. Ci siamo salutati con la promessa di rivederci a Nicosia al suo ritorno, immaginando un giorno in cui per lui sarà facile varcare quella linea quanto lo è oggi per me.  Bülent sulla sinistra accanto a Pembe e a suo marito, i vicini di casa 1. Report on the Interference in the 2020 TRNC Presidential Elections ↩︎ 2. In search of a legal bond: Turkish Cypriot children of mixed marriages in Cyprus, European Network on Statelessness (2023) ↩︎ 3. Petition No 0754/2020 by Derya Beyatli (Cypriot) on the discrimination of Turkish speaking Cypriots as EU-citizens ↩︎ 4. Cyprus’ responses to recommendations (as of 13 September 2019) ↩︎ 5. All country summary and recommendations related to the right to a nationality and the rights of stateless persons, European Network on Statelessness ↩︎ 6. Christodoulides reveals 14 CBMs for Turkish Cypriots, Financial Mirror (gennaio 2024) ↩︎
Rapporto MKG: Cinque giornaliste restano in prigione
L’Associazione delle giornaliste della Mesopotamia (MKG) ha dichiarato nel suo Rapporto sulle Violazioni dei Diritti dell’Agosto 2025 che cinque giornaliste sono ancora dietro le sbarre in Turchia. Il rapporto sottolinea che le giornaliste sono soggette a “doppia discriminazione”, non solo a causa delle loro attività professionali, ma anche a causa del loro genere. I principali risultati del rapporto includono quanto segue: – Una giornalista ha subito maltrattamenti, un’altra ha ricevuto minacce e un’altra è stata ostacolata mentre seguiva un servizio giornalistico. – L’imposizione di un braccialetto elettronico al giornalista Rahime Karvar è stata descritta come “la normalizzazione delle misure punitive che limitano la libertà di espressione”. – Si afferma che la durata della detenzione e i processi parziali minassero la fiducia nella giustizia. – La decisione dell’Istituzione per la pubbicità sulla stampa di sospendere a tempo indeterminato i diritti pubblicitari di otto quotidiani di Mersin è stata citata come un chiaro segnale di pressione economica sulla stampa locale. – Nell’ambito della censura digitale, i conti dei media tra cui Yeni Yaşam, Xwebûn, Welat News Agency (Ajansa Welat), Kaos GL ed ETHA sono stati chiusi. L’MKG ha anche richiamato l’attenzione sugli attacchi ai giornalisti in Palestina. Il rapporto ha ricordato che sei giornalisti, tra cui Maryam Abu Deqqa, sono stati uccisi in attacchi israeliani, sottolineando che si è trattato non solo di un attacco al diritto alla vita degli individui, ma anche al diritto della società all’accesso alle informazioni. Il MKG ha elencato le sue richieste come segue: – La liberazione dei giornalisti imprigionati – Processi giudiziari equi, imparziali e trasparenti – La revoca della censura digitale – Fine delle pressioni contro le giornaliste – Il rafforzamento dei meccanismi internazionali per proteggere il diritto alla vita dei giornalisti nelle zone di conflitto Il MKG ha concluso: “Un ordine mediatico libero e democratico è possibile solo in un ambiente in cui i giornalisti possono lavorare in condizioni di sicurezza e parità”. L'articolo Rapporto MKG: Cinque giornaliste restano in prigione proviene da Retekurdistan.it.
Öcalan: il Rojava è la mia linea rossa
Pervin Buldan, esponente della delegazione di Imralı, ha affermato che Öcalan ha ripetutamente sottolineato che “il Rojava è la mia linea rossa”, aggiungendo: “Escludere i curdi ed eliminare i loro successi non porterà alcun beneficio alla Turchia”. Pervin Buldan della delegazione di Imralı del partito DEM, ha parlato a JINTV del processo di pace e della società democratica e dell’ultimo incontro con Öcalan. Öcalan: il Rojava è la nostra linea rossa Pervin Buldan ha affermato che Abdullah Öcalan ha espresso valutazioni sulla Siria settentrionale e orientale e sugli sviluppi in Siria. Ha spiegato che Öcalan ha discusso di questi temi con la delegazione statale, aggiungendo: “Con noi, con la delegazione del DEM, ha parlato solo di politica turca, ma so che lo ha ripetuto più volte: ‘Siria e Rojava sono la mia linea rossa. Per me, quel posto è diverso'”. Ha sollevato questo punto sulla Siria più volte. Oltre a ciò, tuttavia, vorrei sottolineare che non ha espresso con noi valutazioni sulla Siria e sul Rojava. Ne ha discusso principalmente con la delegazione statale, ha dibattuto la questione lì e ha persino affermato che, se si fossero presentate l’opportunità e le circostanze avrebbe ritenuto importante stabilire una comunicazione anche con loro. Sì, ha sottolineato più volte l’importanza della comunicazione con il Rojava. Ha espresso il desiderio di parlare con loro, dibattere con loro e valutare insieme quale percorso intraprendere e quale decisione prendere. “Questo non è ancora avvenuto, ma se in futuro si faranno progressi e si creerà un’opportunità del genere, magari attraverso incontri e contatti con i funzionari del Rojava, crediamo che la questione sarà risolta più facilmente”. Pervin Buldan ha anche richiamato l’attenzione sulle dichiarazioni del governo sulla Siria settentrionale e orientale, commentando: “La Turchia, in questo senso, sulla questione del Rojava e della Siria, deve schierarsi dalla parte del popolo curdo”. Escludere i curdi, lanciare un’operazione contro di loro o vanificare i successi del popolo curdo non porta alcun vantaggio alla Turchia, e nemmeno i curdi in Turchia lo accetteranno. Questo deve essere compreso chiaramente e credo che sia necessario pensare in modo più razionale e prendere decisioni corrette per risolvere la questione attraverso il giusto percorso e metodo. Pertanto, anche la Turchia monitora attentamente gli sviluppi in Siria, gli accordi, i negoziati con il governo di Damasco, ecc. Ma i curdi sono estremamente sensibili a questo tema. Il Rojava è la zona più sensibile del popolo curdo. Quindi, non importa quanti passi facciamo verso la democratizzazione in Turchia, anche la più piccola perdita in Rojava, o un’operazione militare in quella zona, causerebbe una grande devastazione tra il popolo curdo. Un simile approccio non sarebbe accettato. Nessuno lo accetterebbe. Soprattutto, il signor Öcalan non lo accetterebbe. Quindi non importa quanti passi facciamo verso la democratizzazione in Turchia, anche la più piccola perdita in Rojava, o un’operazione militare in quella zona, causerebbe una grande devastazione tra il popolo curdo. Un simile approccio non sarebbe accettato. Nessuno lo accetterebbe. Soprattutto, il signor Öcalan non lo accetterebbe. Credo che se la Turchia affronta questa questione con un’intesa che la vede al fianco del popolo curdo, ne rispetta i successi e ne riconosce il diritto a vivere in ogni regione con le proprie conquiste, la propria lingua, identità e cultura, e cerca di risolvere la questione su basi democratiche, legali e costituzionali, allora sarà la Turchia stessa a guadagnarci. In questo modo, non partendo da una situazione di perdita o di perdita, ma partendo da una situazione di vittoria e di aiuto agli altri, una comprensione e un consenso comuni possono effettivamente risolvere questa questione. Tre concetti chiave Pervin Buldan ha affermato che Öcalan ha sottolineato tre concetti chiave: “Possiamo pensare alle questioni della società democratica, della pace e dell’integrazione come a un unico pacchetto. Considerarle separatamente o scollegate l’una dall’altra sarebbe un errore, sarebbe sbagliato. Öcalan ha sottolineato l’importanza di adottare misure rapide e sincronizzate che possano intrecciare tutti questi aspetti e di garantire che l’integrazione diventi finalmente realtà”. Mettiamola così: è stata istituita una commissione. Questa commissione ha iniziato i suoi lavori e il suo vero scopo è quello di approvare le leggi il più rapidamente possibile. Perché senza leggi sull’integrazione, nulla può essere attuato. Certo, possiamo parlare di pace, possiamo parlare di democratizzazione, possiamo certamente discutere delle ingiustizie e dell’illegalità in Turchia e di come si possano approvare nuove leggi per affrontarle. Ma l’integrazione è qualcosa di molto diverso. Oggi ci sono migliaia di persone sulle montagne con le armi in mano. Sì, simbolicamente si è svolta una cerimonia di scioglimento. Il PKK ha dichiarato il suo scioglimento. Ma ci sono ancora persone armate. Ora, queste persone armate devono deporre le armi e tornare in Turchia, e le barriere che impediscono loro di partecipare alla politica democratica devono essere rimosse. Questo può diventare realtà solo attraverso le leggi che emergeranno dalla commissione. L'articolo Öcalan: il Rojava è la mia linea rossa proviene da Retekurdistan.it.
Messaggio per la Giornata mondiale della pace di Abdullah Ocalan: la pace non è solo un desiderio, ma una realtà concreta
In un messaggio per la Giornata internazionale della pace, Abdullah Öcalan ha affermato che la pace non è un desiderio ma una realtà concreta, affermando: “La trasformazione sociale non è solo un diritto per i nostri popoli; è anche il compito fondamentale della nuova era che ci attende”. Il leader curdo Abdullah Öcalan ha inviato un messaggio alla manifestazione a Istanbul in occasione della Giornata Internazionale della Pace, con il motto “Democrazia e pace prevarranno sulla guerra e sullo sfruttamento”. Il messaggio del leader curdo recita quanto segue: “A coloro che lottano per la pace e la democrazia… Il nostro appello alla pace e a una soluzione democratica non è una mera manovra politica, ma un passo strategico e una svolta storica. Con questo appello, si spalancano le porte a una nuova era, sia in Turchia che in tutto il Medio Oriente, dove guerre e distruzione saranno sostituite da una vita democratica basata sulla pace. Questo non è solo un auspicio; è una realtà concreta che deve essere costruita con un forte potenziale e con serie azioni concrete. Perché la vera pace non è solo il tacere delle armi o la fine dei conflitti. La vera pace è possibile solo quando libertà, democrazia e giustizia sociale si incarnano in tutti gli ambiti della vita. Questa trasformazione sociale non è solo un diritto per i nostri popoli; è anche il compito fondamentale della nuova era che ci attende. Attraverso la lotta del nostro popolo, i valori di pace, democrazia e libertà attecchiranno sicuramente e troveranno il loro posto nella vita sociale. Questo Paese sarà ora la patria di coloro che considerano la pace e la vita democratica sia un loro diritto che un loro dovere. In occasione del 1° settembre, invito i nostri popoli ad abbracciare questo dovere storico e ad ampliare ulteriormente la marcia per la pace e la libertà. Convinto che tutti riconosceranno la gravità di questa epoca, rifletteranno su se stessi e agiranno in armonia con lo spirito di pace, vi saluto tutti con il mio infinito amore e rispetto”.   Abdullah Öcalan Isola di Imrali L'articolo Messaggio per la Giornata mondiale della pace di Abdullah Ocalan: la pace non è solo un desiderio, ma una realtà concreta proviene da Retekurdistan.it.
IHD presenta l’elenco delle richieste in occasione della Giornata internazionale delle vittime di sparizioni forzate
In occasione della Giornata internazionale delle vittime delle sparizioni forzate, l’Associazione per i diritti umani (IHD) di Van ha invitato la Turchia ad assumersi la responsabilità della sorte delle persone scomparse, a ratificare gli accordi internazionali e a porre fine all’impunità. La sezione di Van dell’Associazione per i Diritti Umani (IHD) ha pubblicato una dichiarazione esaustiva il 30 agosto, Giornata internazionale delle vittime di sparizioni forzate. In una conferenza stampa tenutasi sabato, l’organizzazione ha presentato dieci richieste chiave volte a garantire che i casi siano trattati legalmente e socialmente. Serpil Sezer, rappresentante di IHD, ha ricordato che le sparizioni forzate hanno una lunga storia in Turchia. Gli intellettuali sono stati vittime di questa pratica durante il genocidio armeno del 1915. Successivamente, durante il colpo di stato militare del 1980 e soprattutto negli anni ’90, assunsero nuovamente un carattere sistematico. “Solo nel 1994 ci sono state oltre 500 denunce documentate di sparizioni forzate”, ha affermato Serpil. Ha sottolineato che si tratta di un crimine contro l’umanità non soggetto a prescrizione. L’IHD ha elencato le sue richieste in occasione della Giornata internazionale delle vittime di sparizioni forzate come segue: L’attuazione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e della Corte costituzionale turca La revoca delle restrizioni al diritto di manifestare in piazza Galatasaray a Istanbul Il riconoscimento della responsabilità dello Stato nei casi di sparizione forzata Divulgazione della sorte degli scomparsi e restituzione delle loro spoglie alle famiglie Fine dell’impunità per i colpevoli e i responsabili La creazione di norme giuridiche chiare che definiscano la sparizione forzata come un crimine contro l’umanità, la prevengano e la puniscano. Inoltre IHD ha invitato la Turchia a firmare e attuare la Convenzione delle Nazioni Unite per la protezione di tutte le persone dalle sparizioni forzate e lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale. IHD ha sottolineato che è necessario intensificare la cooperazione con le istituzioni internazionali, come il Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulle sparizioni forzate. Inoltre le organizzazioni per i diritti umani, come IHD stesso o l’iniziativa “Madri del sabato”, dovrebbero essere sostenute nel loro lavoro e non ostacolate. L'articolo IHD presenta l’elenco delle richieste in occasione della Giornata internazionale delle vittime di sparizioni forzate proviene da Retekurdistan.it.
L’accademica Nese Ozgen: l’isolamento è il più grande ostacolo alla pace.
Nese Ozgen, membro del Forum europeo per la libertà e la pace (EFFP) e coordinatrice della campagna “Voglio visitare Öcalan”, ha affermato che l’isolamento resta il più grande ostacolo al raggiungimento della pace. A seguito all’appello di Abdullah Öcalan per una risoluzione pacifica e democratica della questione curda, il 5 giugno l’EFFP ha lanciato la campagna “Voglio visitare Abdullah Öcalan”con l’obiettivo di migliorare le condizioni che consentirebbero a Öcalan di guidare attivamente il processo. Nese Ozgen ha sottolineato che la campagna include accademici, politici e giornalisti fuggiti dalla Turchia a causa di pratiche antidemocratiche. “Il nostro obiettivo fondamentale è che il nostro Paese raggiunga la pace e la democrazia”, ha affermato. La libertà del sig. Öcalan deve essere garantita Nese Ozgen ha sottolineato la necessità di migliorare le condizioni fisiche di Öcalan e di ottenere il suo rilascio, sostenendo che una parte negoziale non può partecipare efficacemente senza libertà politica. Ha inoltre sottolineato l’importanza di consentire a tutti – studenti, donne, giovani – di incontrare Öcalan e ascoltare la sua voce. “In definitiva, l’obiettivo è la liberazione di Öcalan e il riconoscimento del suo diritto di parlare liberamente”, ha affermato. Azioni e iniziative proseguono Descrivendo un’ampia rete di quasi 300 iniziative e attivisti a sostegno della campagna, Nese Ozgen ha osservato che oltre 100 donne provenienti da 13 paesi hanno inviato lettere al Ministero della Giustizia turco chiedendo incontri con Öcalan. Ha anche fatto riferimento nell’ambito della campagna a una visita in Turchia di luglio di 39 giornalisti, accademici e parlamentari. L’8 agosto, l’EFFP ha pubblicato un rapporto completo che sottolinea l’importanza della libertà fisica, di parola e di pensiero di Öcalan. “Il nostro lavoro continua”, ha affermato. Il sostegno viene da gruppi diversi Nese Ozgen ha menzionato più di cento organizzazioni e individui che sostengono la campagna. Ha citato l’attivista ambientale indiano Ashish Kothari, che ha creativamente collegato come esempio dell’ampio sostegno intellettuale alla campagna le filosofie di pace di Gandhi e Öcalan,. “Queste voci diverse si uniscono attorno alla pace e alla democrazia”, ha affermato. L’isolamento è il più grande ostacolo alla pace Nese Ozgen ha concluso sottolineando il coraggio, la perseveranza e la solidarietà globale necessari per difendere la pace. Ha sottolineato che i sostenitori della democrazia e della pace sono stati stigmatizzati per due decenni e ha chiesto di amplificare le loro voci sia in Europa che in Turchia. “L’EFFP mira non solo a parlare della Turchia e del Kurdistan in Europa, ma anche a costruire una diaspora che rafforzi le forze democratiche all’interno della regione”, ha affermato.   The post L’accademica Nese Ozgen: l’isolamento è il più grande ostacolo alla pace. first appeared on Retekurdistan.it. L'articolo L’accademica Nese Ozgen: l’isolamento è il più grande ostacolo alla pace. proviene da Retekurdistan.it.
Sull'accordo di pace tra Armenia e Azerbaigian
L'8 agosto 2025, Armenia e Azerbaigian hanno siglato uno storico accordo di pace mediato dagli Stati Uniti, ponendo fine a decenni di conflitto nel *Nagorno Karabakh. La nuova intesa include capitoli sulla cooperazione economica e i rapporti commerciali, segnando un punto di svolta nelle relazioni tra Armenia e Azerbaigian. Le implicazioni di questo accordo di pace sono nuove e di vasta portata, poiché implicano un maggior coinvolgimento degli USA in Asia con un ruolo ancora più importante della Turchia, con il disappunto dell'Iran che vede tagliati ancora di più i suoi rapporti con la Russia. L'accordo è stato accolto bene anche da Israele.  Vi riproponiamo un audio con il giornalista Murat Cinar. 
Libertà per Mehmet Çakas e tutti i prigionieri politici curdi
Nostro fratello Mehmet Çakas, poiché la sua richiesta di asilo politico in Germania non è stata accolta, è andato in Italia e ha presentato lì la sua richiesta di asilo politico. Mentre era in Italia, è stato arrestato a causa del mandato di arresto internazionale (Red Notice) emesso dalla Germania. Dopo circa quattro mesi di detenzione in Italia, il tribunale italiano ha deciso di estradarlo in Germania con la condizione che non fosse estradato in Turchia. I tribunali tedeschi, con l’accusa di essere un “dirigente del PKK”, hanno condannato nostro fratello a 2 anni e 10 mesi di carcere. A due mesi dalla fine della pena, lo Stato tedesco ha deciso di espellerlo e consegnarlo alla Turchia con la motivazione che la sua richiesta di asilo politico in Germania non era stata accettata. Durante il periodo in cui era detenuto in Italia, Mehmet ha espresso chiaramente la sua opposizione all’estradizione in Germania, affermando che temeva di essere successivamente estradato in Turchia. Il tribunale italiano, accogliendo questa preoccupazione, lo ha consegnato alla Germania solo con la garanzia che non sarebbe stato estradato in Turchia. Mehmet era stato costretto a recarsi in Italia per presentare una nuova richiesta di asilo a causa del rifiuto della Germania. Tuttavia, è stato arrestato una settimana prima della sua prima udienza in Italia e quindi non ha potuto partecipare al processo di asilo, che è rimasto in sospeso. La Germania, sostenendo che Mehmet non ha un permesso di soggiorno né in Germania né in un altro paese europeo, ha deciso di espellerlo e consegnarlo alla Turchia. Come famiglia, riteniamo che questa situazione rappresenti una tragica violazione sia del diritto tedesco che di quello italiano. Lo Stato tedesco, da un lato, ha interrotto il processo di asilo in Italia emettendo un Red Notice, e dall’altro, pur non avendo prove di attività illegali di Mehmet secondo le leggi tedesche, lo ha condannato basandosi sull’inclusione del PKK nella lista delle organizzazioni terroristiche dell’UE e su una lunga sorveglianza, concludendo che fosse un “dirigente del PKK”. Con questa condanna, ha violato il suo diritto alla libertà e ora, con l’intenzione di estradarlo in Turchia, cerca di condannarlo a passare il resto della sua vita nelle carceri turche, trasformando la nostra vita in un incubo. Noi, come famiglia, ci siamo affidati al diritto e ai valori europei, credendo che l’Europa fosse un porto sicuro per i diritti umani e le libertà. Siamo stati costretti a lasciare il nostro paese, il nostro popolo, la nostra lingua e la nostra cultura. Tuttavia, la situazione che stiamo vivendo oggi getta un’ombra amara sull’immagine dell’Europa come porto sicuro. L’ingiustizia subita da molti curdi di fronte al diritto europeo dimostra che questi diritti e libertà non sono sempre validi per gli “stranieri” e che le norme giuridiche europee possono essere facilmente ignorate quando si tratta di loro. Come curdi e “stranieri”, chiediamo che le norme giuridiche europee siano applicate equamente a tutti coloro che cercano rifugio. Rifiutiamo fermamente che i curdi diventino oggetti di scambio politico ed economico tra gli stati europei e la Turchia. Mehmet ha attualmente cinque fascicoli di processo in Turchia, con mandati di arresto pendenti, e ha un’udienza prevista a Erzincan nel settembre 2025. Viene processato secondo l’articolo 302 del codice penale turco (ergastolo aggravato). Durante la sua detenzione in Italia, lo Stato turco aveva già richiesto la sua estradizione attraverso un Red Notice. Considerando la mancanza di un processo equo in Turchia, la sua scarsa reputazione in materia di diritti umani e la sua politica repressiva contro i prigionieri politici curdi, l’estradizione di Mehmet sarebbe una chiara violazione del diritto europeo. Questo è particolarmente grave quando si tratta di un’accusa ai sensi dell’articolo 302. Come famiglia, ci stavamo preparando ad accogliere nostro fratello all’uscita dal carcere la prima settimana di ottobre, pronti a vivere finalmente in libertà dopo 2 anni e 10 mesi di detenzione. Tuttavia, la decisione della Germania di estradarlo in Turchia ci ha posto di fronte a una realtà terribile: nostro fratello rischia di passare il resto della sua vita nelle carceri turche. Questa prospettiva è per noi una fonte di dolore immenso e una tragedia che oscura il nostro futuro. L’estradizione di Mehmet creerebbe un precedente per altri casi simili, aprendo la strada a nuove espulsioni di curdi verso la Turchia da parte della Germania e di altri paesi europei. Anche se all’apparenza questa questione può sembrare riguardare solo i curdi, in realtà tocca tutti gli stranieri in Europa e, nel tempo, può coinvolgere anche i cittadini europei. Perché quando l’illegalità inizia ad essere applicata come eccezione agli “altri”, col tempo questo concetto si allarga fino a minacciare l’intera società europea. Per questo motivo, noi, la famiglia di Mehmet Çakas, facciamo appello ai curdi in Italia e in Europa, agli stranieri, agli amici del popolo curdo, alle persone sensibili e coscienti in Europa: uniamoci per fermare questa palese ingiustizia e impedire l’estradizione di Mehmet in Turchia. La libertà prevarrà.Libertà per Mehmet Çakas e per tutti i prigionieri politici detenuti in Europa, siano essi curdi o appartenenti ad altri popoli. La famiglia di Mehmet Çakas Messaggio di Mehmet Çakas: “Prima di tutto, invio i miei saluti e il mio affetto a tutti gli amici, compagni, giornalisti, e ai sostenitori della causa curda che hanno condiviso solidarietà con me durante la mia detenzione, riempiendo la mia cella di colori, lettere e immagini. Anche se è stata presa una decisione di espulsione nei miei confronti, credo nel diritto e nella vostra solidarietà e nella vostra lotta, e penso che l’ingiustizia nei miei confronti finirà. Tuttavia, se la decisione di espulsione non verrà annullata, mi aspetto che le autorità italiane rispettino la condizione posta durante la mia estradizione verso la Germania – cioè la promessa che non sarei stato estradato in Turchia – e che l’Italia mi riprenda. Infatti, prima di essere arrestato su richiesta della Germania, avevo già presentato domanda di asilo in Italia. Chiedo quindi che questo processo venga immediatamente riattivato e che mi venga concesso il diritto di soggiorno. Faccio appello ai curdi in Italia, agli amici del popolo curdo, alle organizzazioni per i diritti umani, agli operatori giuridici e al popolo italiano, che so essere legato ai principi di giustizia, affinché creino un’opinione pubblica per accelerare il mio processo di asilo in Italia e per garantire che la decisione del tribunale italiano di non estradarmi in Turchia venga rispettata.” The post Libertà per Mehmet Çakas e tutti i prigionieri politici curdi first appeared on Retekurdistan.it. L'articolo Libertà per Mehmet Çakas e tutti i prigionieri politici curdi proviene da Retekurdistan.it.