Noi migranti non siamo vittime, ma uomini dalla schiena dritta
SFIDE. Diario di un viaggio dal Ciad alla Sicilia di Abdelkadir Hissen Abdallah
Alhilbawi, appena uscito per i tipi di Multimage, è il racconto del travagliato
cammino intrapreso da un quattordicenne dal Ciad attraverso la Libia fino in
Italia, percorso durato sette anni, a causa dei tentativi ripetutamente falliti
di varcare il Mediterraneo e della necessità di racimolare ogni volta di nuovo i
soldi per pagare i trafficanti, subendo prigionia e torture, lavorando anche in
Tunisia e Marocco, ma incontrando pure persone generose e stringendo amicizie
durature.
Abdelkadir AlHilbawi ha oggi 23 anni e vive a Palermo, dove studia e lavora. La
sua narrazione rivela una profonda capacità di introspezione ed un’autentica
spiritualità. Non è suo intento svolgere un’accurata analisi politica dei
problemi dell’Africa quanto piuttosto esprimere la sua sincera fede religiosa
che lo ha indotto all’empatia e alla condivisione in tutti i suoi incontri, lo
ha illuminato e sostenuto nei momenti di sconforto e che traspare nella sua
visione del mondo e dei rapporti fra i generi.
Lasciamo che sia lui a confidarci le motivazioni della sua scelta di scrivere.
> Non ho scritto questo libro per amore della scrittura o per cercare la fama,
> né il mio scopo era vantarmi o ostentare. Ci sono invece motivazioni più
> profonde e gravi, ragioni che mi hanno imposto di intraprendere questa
> difficile esperienza, con tutto il dolore che la rievocazione dei ricordi
> porta con sé.
>
> La prima di queste ragioni nasce dalle domande ricorrenti degli europei: chi
> sei? Da dove vieni? Come sei arrivato qui? Queste domande possono sembrare
> semplici, ma in realtà sollecitano un dolore difficile da esprimere, come
> fossero chiavi che aprono le porte di un passato pieno di sofferenza e lotte.
> È difficile per chi ha vissuto esperienze dolorose essere costretto a
> rievocarle, come se il sanguinamento delle ferite non fosse stato già
> abbastanza.
>
> Non si può immaginare il peso che un migrante porta sulle spalle, né la sua
> angoscia nel rispondere a interrogativi che per lui banali non sono. Non tutte
> le anime sono in grado di raccontare il dolore passato senza riviverlo. Io
> sono stato uno di quelli che hanno sofferto molto e l’ho capito chiaramente il
> giorno in cui mi sono presentato in tribunale per richiedere i documenti di
> protezione internazionale. Quel colloquio mi è sembrato un processo alla mia
> anima, come se fossi accusato di un crimine che non avevo commesso e il mio
> destino fosse nelle mani di persone che non sapevano nulla degli incubi delle
> mie lunghe notti. La notte prima dell’udienza è stata la più lunga della mia
> vita, come se aspettassi una condanna a morte o all’ergastolo.
>
> La seconda ragione è l’enorme flusso di dicerie e menzogne che ho sentito
> sulla Libia da quando sono arrivato in Europa. Tutti parlano della Libia come
> se fosse un inferno assoluto, dimenticando che la verità non è mai
> completamente nera. Sì, ci sono sofferenza, oppressione e sfide
> indescrivibili, e io stesso sono stato vittima di tortura, umiliazione e
> ingiustizia, ma ho anche incontrato persone che mi hanno aiutato nei momenti
> più difficili. È ingiusto negare il bene e sarebbe un’ingiustizia dimenticarlo
> anche nel mezzo del dolore. Ho imparato che il vero successo è affrontare le
> sfide e rialzarsi dopo le cadute, non dare la colpa agli altri e attribuire
> loro il peso delle nostre tragedie.
>
> La verità che molti non comprendono è che noi migranti non possiamo
> permetterci il lusso di rimanere nel ruolo di vittime, ma dobbiamo trovare il
> coraggio di imparare dalle esperienze, per quanto dure possano essere, a
> camminare a testa alta e con la schiena dritta. Uno dei più grandi errori che
> commettiamo è ridurre i nostri vissuti al solo lato negativo, mentre la vita è
> piena di lezioni che aspettano di essere valorizzate e apprezzate.
>
> La terza ragione, la più dolorosa, sono quegli incubi che non mi abbandonano:
> le voci dei carcerati nei centri di detenzione mi perseguitano come un’ombra
> costante. Ho cercato più volte di fuggire da esse, ma mi ritrovavo sempre
> prigioniero di quei ricordi, ogni notte. Scrivere è stato il mio unico
> rifugio, l’unico modo per sfogare i dolori che non osavo confessare nemmeno a
> me stesso. Ho provato la terapia psicologica, ma non riuscivo ad esprimermi,
> le lacrime erano sempre più veloci delle parole.
>
> Scrivere non è stato affatto facile, ho dovuto fermarmi per lunghi periodi
> quando mi trovavo davanti a passaggi carichi di dolore, a volte per una
> settimana o più. Ma ho capito che esprimersi, per quanto doloroso, è meglio
> del silenzio che uccide l’anima lentamente. Forse non sono riuscito a rendere
> pienamente giustizia alla storia in tutti i suoi dettagli, ma ho fatto del mio
> meglio.
Tappa dopo tappa il ragazzo Abdel aveva tenuto sui quaderni racchiusi nel suo
zaino il resoconto quotidiano delle sue avventure; giunto finalmente in Italia,
l’uomo Abdel ha rimesso mano agli appunti, stesi in arabo, e aiutato dal
traduttore automatico (e un poco da me) ha dato forma a questo libro, che è
innanzi tutto un documento e una testimonianza impareggiabile, ma che risulta
anche una lettura gradevole e variegata.
Troverete descrizioni di antiche città africane e di paesaggi sconfinati nel
deserto, pagine buffe dedicate a scaramucce sul lavoro o all’apprendimento dei
più diversi mestieri, momenti di tenera convivialità (persino con qualche
ricetta) e pause di meditazione e di preghiera, episodi avventurosi come gli
attraversamenti notturni delle frontiere o gli scontri con le milizie, spazi di
riflessione filosofica e rievocazioni commoventi come quella della morte della
madre.
Si avverte talvolta, a fianco di un’ironia sorridente, una eco musicale del
salmodiare dei versetti coranici.
Questa è l’opera prima di Abdel, ma altre sorprese sono nel cassetto.
Il libro sarà presentato in anteprima a Palermo nel pomeriggio di mercoledì 6
agosto a Moltivolti, centro sociale e culturale multietnico (e ottimo
ristorante!) di Ballarò.
Daniela Musumeci