La CEDU condanna nuovamente la Croazia per le espulsioni illegali
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha nuovamente condannato la Croazia (caso
Y.K. contro Croazia) per aver espulso un cittadino turco di etnia curda senza
garantirgli l’accesso effettivo alla procedura d’asilo e senza dare la
possibilità di ricorrere a un rimedio giuridico in grado di sospendere
automaticamente la sua espulsione.
La Corte ha riconosciuto la violazione dell’articolo 3 della Convenzione, che
vieta trattamenti inumani o degradanti, e dell’articolo 13, che tutela il
diritto a un ricorso effettivo, e ha disposto un risarcimento di 8.500 euro per
danno morale e 3.300 euro per spese legali.
Y.K., nato nel 1984, aveva raccontato di essere stato perseguitato e torturato
in Turchia per il suo attivismo politico. Dopo essere fuggito dal Paese, nel
febbraio 2021 era entrato irregolarmente in Croazia dalla Serbia. Arrestato a
Zagabria e trasferito nel centro di detenzione per stranieri di Ježevo, si era
trovato di fronte a diverse barriere burocratiche. Nonostante avesse espresso
più volte la volontà di chiedere asilo (anche in presenza dei rappresentanti
della Difensora civica croata e tramite il proprio avvocato), le autorità non
avevano registrato la richiesta e avevano continuato a trattarlo come una
persone migrante da espellere.
Secondo la Corte, la polizia croata approfittò della vulnerabilità del
richiedente – privato della libertà, senza contatti con il suo legale e
sottoposto a isolamento con il pretesto della quarantena Covid – per indurlo a
firmare documenti di “rimpatrio volontario” verso la Macedonia del Nord. Quel
consenso, osservano i giudici di Strasburgo, non fu affatto libero: Y.K. era
stato dissuaso dal presentare domanda d’asilo con la minaccia di restare a lungo
detenuto e con la promessa di una partenza “tranquilla” se avesse accettato di
lasciare il Paese.
La Corte ha sottolineato che le autorità croate erano perfettamente consapevoli
del rischio di persecuzione che l’uomo avrebbe corso in caso di ritorno in
Turchia e che, in ogni caso, prima di allontanarlo, avrebbero dovuto valutare se
la Macedonia del Nord fosse davvero un Paese sicuro, verificando l’effettivo
accesso alla procedura d’asilo. Nulla di tutto ciò è stato fatto. Inoltre, il
legale di Y.K. non aveva ricevuto copia dei provvedimenti di espulsione e non
aveva potuto presentare ricorso, perché nessuno dei rimedi giuridici disponibili
in Croazia prevedeva la sospensione automatica della misura di allontanamento.
Per la Corte di Strasburgo, la partenza di Y.K. non fu quindi volontaria ma il
risultato di una pressione esercitata dalle autorità con l’obiettivo di evitare
che potesse formalizzare la richiesta di protezione internazionale. In questo
modo, la Croazia ha violato i suoi obblighi derivanti dalla Convenzione europea
dei diritti dell’uomo, privando un richiedente asilo del diritto a essere
ascoltato e a ottenere una valutazione reale del rischio di persecuzione.
«La Corte europea condanna nuovamente la Croazia per violazioni dei diritti dei
richiedenti asilo – commenta il Consorzio Italiano di Solidarietà (ICS) –
Ufficio Rifugiati -. La sentenza, ormai definitiva, riconosce che la Croazia ha
violato il diritto d’asilo nei confronti di Y. K., cittadino turco di origine
curda, che cercava protezione dopo essere fuggito da persecuzioni politiche e
torture. Invece di garantirgli accesso alla procedura d’asilo, le autorità
croate lo hanno detenuto e poi espulso, esponendolo al rischio di nuove
violenze».
L’ICS sottolinea che la decisione «conferma quanto denunciato da anni dal Centro
per gli Studi sulla Pace di Zagabria e da numerose organizzazioni per i diritti
umani: la Croazia espelle sistematicamente e illegalmente i rifugiati, negando
loro il diritto di asilo, la rappresentanza legale e l’accesso alla giustizia».
Il Consorzio accoglie la sentenza come «una vittoria della giustizia e un
riconoscimento delle gravi violazioni in atto alle frontiere europee» e rinnova
l’appello alle istituzioni «a porre fine ai respingimenti, garantire accesso
all’asilo, assistenza legale e rimedi effettivi a tutte le persone in cerca di
protezione».
La sentenza, effettivamente, ribadisce un principio già affermato in precedenti
decisioni come M.H. e altri c. Croazia 1: uno Stato non può eludere il principio
di non refoulement fingendo che un richiedente asilo abbia “scelto” di partire,
se quella scelta è stata estorta in un contesto di detenzione e isolamento. Si
richiama così ancora una volta i Paesi europei al rispetto sostanziale, e non
solo formale, del diritto d’asilo e delle garanzie procedurali che ne sono parte
integrante.
1. Il capolinea dello stato di diritto: la Croazia e la rotta balcanica, tra
Schengen, l’Unione europea e violazioni sistematiche dei diritti umani alle
frontiere, Francesco Luigi Gatta – Diritto, Immigrazione e Cittadinanza. ↩︎