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VERONA: A UN ANNO DALL’OMICIDIO DI STATO, TRASMISSIONE SPECIALE “PER NON DIMENTICARE MOUSSA DIARRA”
Speciale Moussa Diarra, per non dimenticarlo, per chiedere verità e giustizia (30 minuti). Ascolta o scarica 364 giorni dopo l’omicidio Diarra, un migliaio di persone hanno risposto all’appello della comunità maliana e del Comitato verità e giustizia: si sono ritrovate a Verona questo sabato 18 ottobre e hanno sfilato in una manifestazione partecipata e sentita, per ricordare Moussa e le altre vittime del razzismo dello Stato. Moussa Diarra è stato ucciso il 20 ottobre del 2024 da un agente della polfer alla stazione ferroviaria di Porta Nuova, una violenza inaccettabile la cui dinamica rimane non chiara. “Perché non sono stati utilizzati mezzi alternativi all’uso della pistola? Perché nessuno è intervenuto per rispondere al disagio psicologico che Moussa stava esternando, dopo anni di difficoltà dovute ad un tortuoso percorso di migrazione?” Sono queste alcune delle tante domande alle quali si pretende una risposta. A un anno dall’omicidio il corpo di Moussa è ancora a disposizione dell’autorità giudiziaria, poiché le indagini sono ancora in corso. La mamma, i fratelli e le sorelle lo stanno aspettando in Mali per poterlo piangere e seppellire. Al grido di “Verità e giustizia per Moussa”, la Verona migliore ha portato in piazza dignità, memoria e determinazione, chiedendo giustizia per tutti coloro che non possono più parlare. Moussa Diarra era nato in un villaggio nei pressi di Djidian, a circa 200 km dalla capitale del Mali, Bamako. Ancora minorenne, aveva lasciato la famiglia e deciso di raggiungere l’Europa. Aveva attraversato il deserto, era stato rinchiuso in un lager per migranti in Libia, poi attraversato il Mediterraneo, spedito nel centro di accoglienza di Costagrande, in provincia di Verona, poi chiuso a causa della pessima gestione. Moussa lavorava sfruttato nei campi e viveva in alloggi precari. Aveva trovato casa al Ghibellin Fuggiasco, struttura occupata per tre anni da attiviste e attivisti veronesi e nella quale vivevano oltre 40 persone. Anche a causa delle lungaggini burocratiche, fatte di documenti che non arrivano mai, Moussa aveva probabilmente sviluppato un malessere psicologico. La mattina del 20 ottobre di un anno fa’ vagava per la zona della stazione Porta Nuova di Verona, ha sbattuto i pugni sulle vetrine dei negozi, brandiva forse un piccolo coltello da cucina. Per questo, il poliziotto della polfer, per fermare la rabbia di Moussa, ha deciso di sparare direttamente al cuore. Alla manifestazione di sabato per Moussa Diarra erano presenti il fratello di Moussa, Djemagan, il Presidente dell’Alto Consiglio dei Maliani d’Italia Mahamoud Idrissa Boune e il Presidente della comunità maliana veronese Ousmane Ibrahim Diallo. In trasferta a Verona anche la signora Djenabou, madre di Moussa Baldé e il fratello Thierno, a rappresentare le troppe vittime di un sistema escludente, razzista e violento. La storia di Moussa Baldé ha infatti molte affinità con quella di Moussa Diarra. Baldé era nato in Guinea, attraversato il nordafrica e il Mediterraneo, poi finito nel cosiddetto sistema dell’accoglienza. Aveva subito una grave aggressione da parte di tre uomini a Ventimiglia, trovato con i documenti non in regola, quindi raggiunto dall’ordine di espulsione e rinchiuso nel CPR di Torino. Nel lager di Stato Moussa Baldé subisce altre violenze, poi una mattina viene ritrovato morto, in una cella dove era stato lasciato solo, in isolamento. Aveva 20 anni. I nomi delle troppe altre vittime del razzismo di questo paese sono stati scritti su alcuni cartelli depositati in un’aiuola di piazzale XXV aprile. In quel luogo è stato installato un nuovo memoriale per Moussa, dopo che per un anno fiori e foto posti davanti all’ingresso della stazione sono stati regolarmente danneggiati o rimossi. Lo speciale “Moussa Diarra, per non dimenticarlo” contiene le voci registrate durate la manifestazione del 18 ottobre 2025 a Verona: Djemagan Diarra, Mahamoud Idrissa Boune, Ousmane Ibrahim Diallo, La Marie Claire, Djenabou Baldé, Thierno Baldé, Alessia Toffalini e Giovanna.  
Verona, chiuso il “Ghibellin Fuggiasco”, ma la lotta per il diritto alla casa non si ferma
Lo stabile che dopo oltre 30 anni di abbandono è stato recuperato dal Paratod@s per dare ospitalità e persone senza fissa dimora è stato chiuso dall’associazione stessa dopo quattro anni di occupazione. Nel settembre 2024 era stato annunciato dal Laboratorio Autogestito Paratod@s che lo stabile occupato durante l’inverno del 2021 sarebbe stato chiuso entro breve in quanto non persistevano più le condizioni di sicurezza e di dignità per le persone che ci vivevano. La struttura, nonostante l’auto-recupero e la manutenzione ordinaria eseguita dal Paratod@s in quattro anni di occupazione, era segnato dagli oltre 30 anni di abbandono da parte della proprietà. La storia del Ghibellin Fuggiasco Il Ghibellin Fuggiasco (il nome gli verrà affibiato dal Paratod@s stesso in un secondo momento) era uno stabile vuoto, in completo stato di abbandono da decenni, pieno di sporcizia e degrado. Il Paratod@s, per cercare di dare una risposta emergenziale a una decina di persone costrette a dormire in strada, decide di occuparlo. Era l’inizio del 2021, giorni di particolare freddo a Verona e dormire in strada poteva significare morire assiderati. Quell’occupazione fatta in sordina doveva rispondere a un’emergenza legata appunto al freddo invernale, nella speranza che le persone ospitate trovassero quanto prima una sistemazione più stabile e dignitosa, riuscendo a prendere in affitto una stanza, ad accedere ai dormitori o ad altri sistemi di accoglienza per le persone senza fissa dimora. Passano le settimane e i mesi, l’inverno svanisce, ma per queste persone non sembrava esserci una soluzione. La ricerca di una stanza in affitto era sbarrata per due motivi principali: Per motivi economici, perché, nonostante fossero tutti lavoratori, i loro contratti erano estremamente precari, con rinnovi mensili e con paghe misere che non davano la possibilità di prendere in affitto nemmeno un posto letto in una camera doppia, dati i prezzi sempre più in crescita in una città a forte vocazione turistica come quella di Verona. Ma c’era una altro fattore che impediva a queste persone di trovare una casa: il razzismo. Sono state numerose le volte che sia gli abitanti della casa occupata, sia le persone del Paratod@s che supportavano i ragazzi nella ricerca, si sono sentiti rispondere che i proprietari di casa non avevano intenzione di affittare a persone di colore, soprattutto se africane. Da qui nasce quella che può essere definita la lotta principale del collettivo del Laboratorio Autogestito Paratod@s: la lotta per il diritto alla casa. Il cortile del Ghibellin Fuggisco dopo la tinteggiatura È in quei mesi, nell’enorme difficoltà di trovare una casa, una stanza, un posto letto, che si prende atto e contezza che la casa, nonostante sia un bene primario che permette alle persone di viverci, dormire, ripararsi dal freddo o dal caldo al termine di una giornata di lavoro, sia diventata un bene di lusso. Un bene che, nel concetto di mercato liberale, stava escludendo le persone meno abbienti. Un fenomeno che con il passare del tempo non ha interessato solo persone prive di lavoro, ma anche lavoratori e lavoratrici, genitori divorziati, studenti e studentesse fuori sede che non potendosi permettersi un posto letto esoso si vedevano negato anche il diritto allo studio. È così che l’occupazione da nascosta diventa pubblica. Un lotta pubblica per cercare di sensibilizzare istituzioni, cittadini e cittadine sul fatto che il diritto alla casa stava venendo sempre meno e che le logiche di profitto associate ad un bene così vitale stavano annientando la dignità, e in alcuni casi, la vita, di quelle persone che questa società mette sempre più ai margini. Alla casa abbandonata viene dato quindi il nome Ghibellin Fuggiasco, rievocando il Dante rifugiato, vengono aperte le finestre fino a quel momento tappezzate e viene ridipinta di un celeste vivace che prende il posto del grigio, delle scrostature e dei segni di anni e anni di abbandono. Nei luoghi di lavoro, nei campi, nei cantieri, nei magazzino della logistica, la voce si sparge e chi è costretto a dormire in strada vede nel Ghibellin Fuggiasco una possibile casa in cui poter dormire alla fine di una dura giornata di lavoro. E così, la casa occupata che inizialmente ospitava una decina di persone inizia a ospitarne sempre di più. Il Ghibellin Fuggiasco diventa quindi una comunità che in oltre quattro anni di occupazione ha ospitato più di 150 persone, una comunità che ha dato da dormire a 52 persone in contemporanea, sintomo di un’emergenza abitativa allarmante. Una comunità che ha preso parola ed ha iniziato a lottare per il diritto alla casa, a intervenire nelle piazze, durante le manifestazioni, ma anche nei luoghi istituzionali, perché la lotta per la casa passa da tutti questi luoghi, mettendoci i corpi, i volti e parole. Azione dimostrativa fuori dal Comune di Verona per il diritto alla casa La lotta tramite il Ghibellin Fuggiasco non ha di certo portato a una vittoria universale del diritto alla casa, ma ha comunque il merito di aver messo il tema dell’emergenza abitativa al centro del dibattito politico cittadino, una cosa non da poco in una città ricca e ben pettinata, che ignora un problema che riguarda una fetta di popolazione sempre più ampia. Un problema che ora non si può più ignorare. Trascorsi quattro anni da quel freddo inverno del 2021, il 10 maggio scorso Il Ghibellin Fuggiasco viene chiuso per i motivi di cui abbiamo già parlato. Smette così di vivere un luogo pulsante, un luogo che è stato una casa per oltre 150 persone, un luogo di aggregazione anche per chi in quella casa non ci viveva ma che ci trovava uno spazio di socialità, di chiacchiere e un thè da prendere attorno ad una stufa accesa o nel cortile esterno, spazi umani che una società cinica vuole distruggere nell’indifferenza più totale. Anche questo è stato il Ghibellin Fuggiasco. I numeri della lotta Grazie alle molte battaglie, presidi, manifestazioni e interazione con le istituzioni, molti dei ragazzi che hanno popolato il Ghibellin Fuggiasco adesso hanno trovato un luogo più dignitoso in cui vivere: 15 persone sono stabilmente ospitate in strutture Caritas attraverso l’intervento del vescovo Pompili, tra dicembre 2023 e gennaio 2024. Altre 22 persone hanno avuto accesso a una casa AGEC grazie alla collaborazione con la cooperativa La Casa degli Immigrati. Su questo punto è doverosa una precisazione, anche in risposta alle illazioni di politici che le hanno accusate di aver scavalcato le liste di attesa per accedere alle case Agec. Nessuna lista è stata scavalcata in queste assegnazioni, in quanto gli appartamenti che oggi ospitano queste 22 persone non erano a norma, non avevano abitabilità e non rientravano nel piano di riatto di Agec. Dunque queste case, già vuote da anni, sarebbero rimaste vuote ancora per molti anni. Il regolamento Agec prevede la possibilità di affido ad associazioni del terzo settore che ne fanno richiesta, a patto che queste si accollino i costi di ristrutturazione per metterle poi in affitto a canone calmierato. Nel caso specifico La Casa degli Immigrati ha destinato questi appartamenti, previo pagamento di un canone di affitto, a persone migranti. Una soluzione questa, come le altre, che dovrebbe quindi rendere la società e, nello specifico gli abitanti della città di Verona, contenti che si sia trovato una soluzione per persone che altrimenti sarebbero state costrette a dormire in strada. Altre cinque persone che abitavano al Ghibellin Fuggiasco hanno trovato posti letto attraverso la collaborazione con la cooperativa La Milonga, anche questi tramite pagamenti di affitto, mentre una persona ha ottenuto un posto letto attraverso i servizi sociali del Comune di Verona. A queste persone che oggi hanno un posto sicuro dove poter vivere, ne vanno aggiunte una trentina che hanno ottenuto la residenza fittizia attraverso il dialogo con l’Ufficio Anagrafe del Comune di Verona e la collaborazione con la rete sportelli sociali. Purtroppo, sei persone sono state escluse da qualunque tipo di percorso e soluzione da parte delle istituzioni, nonostante la pressione esercitata nei mesi successivi, affinché si trovasse una sistemazione. Queste persone a oggi sono senza fissa dimora. Questi sono numeri, ma dietro questi numeri ci sono i nomi, i volti e le storie di quelle persone che, anche se parzialmente, grazie ad una lunga battaglia hanno visto riconoscere un proprio diritto, quella di avere un luogo dignitoso in cui vivere, il diritto alla casa, un diritto che molti danno per scontato e che altri addirittura non riconoscono come tale. Ma è necessario guardare oltre questi numeri, conoscere i nomi dei ragazzi, conoscere i loro volti e le loro tormentate storie di un passato fatto dalla fuga dalla guerra, da una dittatura, dalla fame o banalmente dall’impossibilità di avere un’alternativa. Storie di persone che hanno vissuto l’inferno del lager in Libia, dall’attraversamento di un deserto che è un cimitero a cielo aperto, proprio come il fondale del Mar Mediterraneo. Compagni e compagne di viaggio di molti dei ragazzi che hanno attraversato il Ghibellin Fuggiasco, persone che hanno visto in quella casa fatiscente un luogo a cui aggrapparsi per dare un senso ad una traversata disumana, un luogo da cui provare a ricostruire la propria vita. La denuncia La chiusura della casa rappresenta un’azione necessaria perché il valore della vita umana non è minimamente paragonabile al valore della proprietà privata abbandonata; occupare per necessità non può e non deve essere considerato un reato come lo è oggi. Reato per cui il Laboratorio Autogestito Paratod@s, e non chi abitava nella casa, ha subito una denuncia di cui dovrà rispondere legalmente. Una denuncia per aver recuperato un luogo abbandonato da oltre trent’anni, in completo disuso, pieno di sporcizia, topi e degrado, un luogo a cui è stata ridata una seconda vita, un’occupazione per necessità fatta senza togliere niente a nessuno, se non il rischio igienico sanitario che una struttura in quello stato rischiava di diffondere nell’intera zona. “Il Ghibellin Fuggiasco è forse la dimostrazione che l’azione dal basso di auto-recupero di un edificio abbandonato sia una pratica possibile, realizzabile e necessaria.” Una denuncia per aver dato la possibilità ad oltre 150 persone di avere un luogo in cui ripararsi, ed oggi, dopo lunghe battaglie, una casa in cui vivere con dignità e in completa sicurezza. Tra le persone che hanno vissuto e popolato il Ghibellin Fuggiasco c’era anche Moussa Diarra, il ragazzo maliano di soli 26 anni che è stato ucciso in stazione lo scorso 20 ottobre 2024 da un poliziotto della Polfer. Heraldo
VERONA: CHIUSA L’OCCUPAZIONE DEL GHIBELLIN, MA “LA LOTTA È ANCORA APERTA”. TRASMISSIONE SPECIALE CON LE VOCI PROTAGONISTE
Si è chiusa l’esperienza di occupazione abitativa del Ghibellin Fuggiasco. Attiviste e attivisti del Laboratorio Autogestito Paratod@s di Verona hanno comunicato alla stampa una decisione presa già da alcuni mesi e che a portato alla chiusura definitiva dello stabile di viale Venezia 51, lo scorso 10 maggio. Il tempo intercorso da allora è servito a Paratod@s per elaborare una posizione politica da rendere pubblica e anche per continuare a trovare una soluzione abitativa alle decine di migranti che senza il Ghibellin non hanno un posto dove abitare. L’idea di occupare lo stabile abbandonato da trent’anni, che si trova a lato dello spazio Paratod@s, era stata presa nel 2021. All’epoca decine di giovani originari principalmente da alcuni paesi dell’Africa occidentale, erano stati ospitati nei locali in affitto da compagni e compagne, dove da dieci anni si svolgono attività politiche e culturali. Era poi scaturita l’idea di occupare la struttura adiacente al Laboratorio. Non doveva essere un’occupazione di lungo periodo, precisano nel comunicato diffuso oggi il collettivo Paratod@s, “pensavamo si trattasse di una situazione temporanea e non immaginavamo l’inizio di un percorso”. I coinquilini che alloggiavano al Ghibellin erano perlopiù lavoratori in regola con il permesso di soggiorno, provenienti principalmente da Mali, Burkina Faso, Senegal, Gambia e Nigeria. Oltre 150 quelli ospitati negli anni: hanno alloggiato nei due piani dello stabile occupato, in alcuni periodi, anche da 60 persone contemporaneamente. Negli stessi spazi aveva trovato alloggio anche Moussa Diarra, ventiseienne maliano ucciso dalla Polizia il 20 ottobre scorso. “Le condizioni igienico/sanitarie e le problematiche strutturali dell’edificio non consentivano più di garantire il pieno rispetto della dignità umana. E se non abbiamo tenuto fede all’impegno di chiudere prima dell’inverno è stato solo per non aggiungere altro disagio alla già grave emergenza freddo, gestita con numeri e modalità che da sempre riteniamo insufficienti e non adeguate”, è scritto nel comunicato stampa. “Negli anni si è venuta a creare una comunità di lotta composta da attivisti e migranti“, aggiungono ai nostri microfoni da Paratod@s, ripercorrendo l’esperienza. “Speravamo che l’enormità del problema sollevato e la nostra spinta dal basso avrebbero portato a risposte concrete e ad un cambio radicale di visione sul tema casa, accoglienza e dormitori”. Negli anni qualche risposta è arrivata, lo riportano i numeri diffusi oggi da Paratod@s: “15 persone sono stabilmente ospitate in strutture Caritas, attraverso l’intervento del vescovo Pompili, tra dicembre 2023 e gennaio 2024; 22 persone hanno una casa AGEC (tra quelle non comprese nel piano di riatto/assegnazione dell’ente) attraverso la collaborazione con la cooperativa La Casa degli Immigrati; 5 persone hanno ottenuto posti letto attraverso la collaborazione con la cooperativa La Milonga; 1 persona ha avuto posto letto attraverso i servizi sociali del Comune di Verona; circa 30 persone hanno ottenuto la residenza fittizia, attraverso il dialogo con l’ufficio anagrafe del comune di Verona e la collaborazione con la rete sportelli; 6 persone sono state escluse da qualunque tipo di percorso e soluzione da parte delle istituzioni, nonostante la pressione esercitata nei mesi successivi, affinché si trovasse una sistemazione”. Compagni e compagne di Paratod@s rivendicano un’esperienza che “ha mostrato come l’azione dal basso di autorecupero di un edificio abbandonato sia pratica possibile, realizzabile e necessaria. In una città come Verona, con centinaia di edifici pubblici vuoti, con un mercato immobiliare intossicato dal profitto, in cui a student3 universitari3 vengono chiesti 500 euro per un posto letto, i progetti di Hotel/cohousing sociale dovrebbero essere pubblici e accessibili”. Radio Onda d’Urto ha incontrato la comunità del Ghibellin presso il Laboratorio Autogestito Paratod@s e ha realizzato una trasmissione speciale con i protagonisti dell’esperienza dell’occupazione abitativa. La prima parte della trasmissione (37 minuti). Ascolta o scarica La seconda parte della trasmissione (42 minuti). Ascolta o scarica Con le voci di Rachele Tomezzoli, Giuseppe Capitano, Osasuyi, Alessia Toffalini, Bakari Traoré, Sekou.