Tag - Dario Ruggieri

Le politiche migratorie in Messico: tutela dei diritti o strumento di controllo?
Un recente rapporto analizza le politiche migratorie del Messico e il loro impatto sui diritti umani. Il Paese si trova a bilanciare la promozione di strategie dichiaratamente umanitarie con la pressione costante degli Stati Uniti a limitare il transito delle persone. La realtà mostra un quadro complesso, in cui misure repressive e restrizioni convivono con iniziative apparentemente umanitarie, sollevando dubbi sull’effettiva protezione delle persone in movimento. INTRODUZIONE Questo documento è stato redatto dal Global Detention Project 1, a cura di Matthew B. Flinn, professore di Studi internazionali e Sociologia presso la Georgia Southern University, e di Chris-Ortiz Gonzalez, laureato alla Maxwell School of Citizenship and Public Affairs della Syracuse University. Global Detention Project (GDP) è un centro di documentazione internazionale il cui scopo è porre fine alle pratiche arbitrarie e dannose di detenzione legate alla migrazione in tutto il mondo e a garantire il rispetto dei diritti umani fondamentali di tutti i migranti, i rifugiati e i richiedenti asilo. Il rapporto mira a indagare in che misura il Messico agisca come estensione delle politiche repressive anti-migratorie degli Stati Uniti, nonostante il discorso umanitario che il governo ha cercato di promuovere, soprattutto durante la presidenza di Andrés Manuel López Obrador (AMLO) tra il 2018 e il 2024. Oggi alla guida del Paese c’è Claudia Sheinbaum, espressione della stessa area politica. Nel maggio 2024 il governo ha presentato una nuova strategia sulla migrazione, definita come un approccio umanitario e basato sui diritti nella gestione della migrazione irregolare. Il fulcro di questa strategia è la creazione dei “Centri multiservizi per l’inclusione e lo sviluppo dei migranti e dei rifugiati” (Estrategia Mexicana de Movilidad Humana: un modelo único 2), concepiti per offrire un’ampia gamma di servizi di sostegno. Sebbene le autorità insistano sul fatto che tali centri non saranno utilizzati per la detenzione, la storia del controllo migratorio in Messico – in particolare il suo ruolo di esecutore delegato delle politiche statunitensi – alimenta legittimi dubbi e giustifica lo scetticismo. Quando Andrés Manuel López Obrador (AMLO) è stato eletto presidente nel 2018, ha dichiarato di voler adottare una politica migratoria incentrata sui diritti umani. In questa prospettiva, nel maggio 2024 la sua amministrazione ha presentato una nuova strategia sulla gestione della migrazione irregolare, descritta come un approccio umanitario e basato sui diritti. Il fulcro del piano è la creazione dei “Centri multiservizi per l’inclusione e lo sviluppo dei migranti e dei rifugiati”, strutture che dovrebbero offrire un’ampia gamma di servizi di sostegno. Tuttavia, sebbene le autorità assicurino che questi centri non avranno finalità detentive, la storia del controllo migratorio in Messico – e in particolare il suo ruolo di esecutore delegato delle politiche statunitensi – invita a un giusto scetticismo. Come mette in evidenza questo documento di lavoro, fin dagli anni ’80, sotto la pressione degli Stati Uniti a implementare politiche migratorie più rigide, il Messico ha spesso adottato un linguaggio eufemistico per presentare pratiche coercitive come umanitarie, finendo di fatto per occultare violazioni degli obblighi in materia di diritti umani. IL QUADRO STORICO Per comprendere al meglio le politiche migratorie della presidenza AMLO, è necessario disegnare un quadro storico-contestuale del rapporto tra Messico e Stati Uniti. Sin dagli anni 80’ il rapporto tra i due Paesi è diventato molto forte. Fu in questo periodo che il Messico iniziò ad attuare una serie di politiche neoliberiste sotto la presidenza di Carlos Salinas de Gortari (1988-1994). La sua amministrazione smantellò le politiche economiche stataliste fondate sull’industrializzazione per sostituzione delle importazioni, promuovendo invece riforme orientate al mercato e una maggiore integrazione nell’economia globale. Tra i cambiamenti più significativi vi fu l’incentivazione degli investimenti diretti esteri, in particolare attraverso l’espansione delle maquiladoras: stabilimenti di assemblaggio situati lungo il confine tra Messico e Stati Uniti, dove componenti importati venivano assemblati e riesportati. Successivamente, lo storico accordo NAFTA (1994) 3, firmato da Messico, Stati Uniti e Canada, si inserì nello stesso quadro teorico neoliberista. Tra i suoi principali obiettivi vi erano l’eliminazione delle barriere alle importazioni, la facilitazione della circolazione di beni e servizi tra i tre Paesi e la promozione di condizioni di leale concorrenza all’interno dell’area di libero scambio. Gli eventi dell’11 settembre sconvolsero poi molti equilibri, inaugurando la cosiddetta “guerra al terrore”, terreno propagandistico che accelerò il processo di securitizzazione negli Stati Uniti e spinse il dibattito sull’immigrazione e le politiche migratorie verso logiche di militarizzazione ed espulsione. Quando Felipe Calderón assunse la presidenza nel 2006, ribadì l’impegno del Messico a controllare la cosiddetta “immigrazione clandestina” lungo il confine meridionale del Paese. L’anno successivo, Stati Uniti e Messico lanciarono l’Iniziativa Mérida, un programma di cooperazione in materia di sicurezza volto a combattere la criminalità organizzata e rafforzare lo Stato di diritto. Tra il 2008 e il 2021, gli Stati Uniti stanziarono circa 3 miliardi di dollari nell’ambito di questa iniziativa, destinati alla riduzione della criminalità, allo sviluppo delle comunità e alla creazione di quello che veniva definito “un confine del XXI secolo” 4. TRA IDEOLOGIA E REALTÀ: LE POLITICHE DEL GOVERNO AMLO Le elezioni presidenziali messicane del 2018 hanno rappresentato la prima occasione in cui la questione migratoria è diventata un tema centrale nel dibattito elettorale. AMLO, che alla fine avrebbe vinto le elezioni, ha sottolineato la necessità di proteggere i cittadini centroamericani in transito nel Paese e di difendere i diritti umani delle persone migranti. Pur affrontando anche le esigenze dei migranti messicani negli Stati Uniti e la necessità di maggiori opportunità economiche in Messico, ha ribadito l’importanza di collaborare con il vicino settentrionale, piuttosto che limitarsi a svolgere il cosiddetto “lavoro sporco” 5. Oltre alla promozione di percorsi sicuri e legali basati sui diritti umani e sulle vie di ingresso legali, l’approccio “umanitario” del Messico ha anche posto l’accento sugli investimenti economici per combattere i fattori che spingono alla migrazione dall’America centrale. In questo contesto, l’amministrazione Obrador ha firmato il Piano di sviluppo globale per El Salvador, Guatemala, Honduras e Messico, volto a intervenire sulle cause profonde della migrazione e a ridurre i flussi verso il Messico meridionale. A titolo di esempio, il Messico si è impegnato a fornire a El Salvador 30 milioni di dollari per la creazione di posti di lavoro nel settore agricolo. Questo cambiamento di politica ha segnato il passaggio da un approccio centrato sull’applicazione della legge – spesso intrecciato con razzismo e xenofobia – a un modello di maggiore integrazione con l’America centrale, finalizzato a contrastare disuguaglianze, povertà e carenze di sviluppo. La nuova amministrazione ha inoltre iniziato a rilasciare un maggior numero di visti umanitari (Tarjeta de Visitante por Razones Humanitarias – TVRH 6). Secondo la legislazione messicana in materia di migrazione e rifugiati, le autorità competenti possono concedere questi visti a loro discrezione alle persone più vulnerabili, permettendo loro di circolare liberamente nel Paese e di lavorare legalmente per un periodo limitato. Il documento protegge i migranti dalla detenzione e dall’espulsione, offrendo al contempo la possibilità di percorrere rotte più sicure sul territorio nazionale. Il numero di visti umanitari rilasciati è aumentato costantemente, passando da 623 nel 2014 a 17.722 nel 2018, grazie sia all’incoraggiamento delle organizzazioni della società civile a richiedere tali visti, sia alle nuove iniziative promosse dall’amministrazione. Tuttavia, a fare da contraltare alla politica migratoria promossa dalla presidenza AMLO rimane l’indubbia dipendenza economica e politica del Messico dagli Stati Uniti. Dall’adesione al NAFTA, il principale partner commerciale del Messico è stato proprio il vicino settentrionale, con esportazioni e importazioni che oggi ammontano a circa 728,2 miliardi di dollari. Oggi, il 79,6% delle esportazioni messicane è destinato agli Stati Uniti 7. Tuttavia, il cedimento alle pressioni statunitensi contrasta con la posizione di AMLO sulla migrazione e con la retorica decoloniale che aveva caratterizzato la sua campagna presidenziale del 2018. Un’altra iniziativa significativa dei primi anni della presidenza AMLO, evidenziata nell’accordo congiunto con gli Stati Uniti, è stata il programma MPP, meglio noto come politica “Rimani in Messico”. Questa politica obbligava i richiedenti asilo a rimanere in Messico in attesa della decisione sulle loro domande. Di conseguenza, il Paese ha registrato l’afflusso di circa 71.000 richiedenti asilo rimandati al confine settentrionale, generando una crisi umanitaria in cui molti si sono trovati bloccati in condizioni pericolose, vulnerabili a estorsioni, rapimenti e stupri, e privi di accesso a servizi essenziali come assistenza sanitaria e istruzione 8. Questa politica ha anche comportato un accesso limitato all’assistenza legale e alla consulenza per i richiedenti asilo. Gli organismi internazionali hanno sollevato numerose preoccupazioni sulle condizioni all’interno dei centri di detenzione, rilevando che funzionari e agenti dell’immigrazione hanno avuto un ruolo significativo nelle violazioni dei diritti umani, con segnalazioni di torture e maltrattamenti ai danni dei detenuti. Nel 2024, il Comitato sui lavoratori migranti ha osservato che le autorità non hanno rispettato il limite di 36 ore di detenzione, che bambini e adolescenti continuano a essere trattenuti nei centri di detenzione e che queste strutture risultano prive dei servizi di base e regolarmente sovraffollate. Il comitato ha inoltre evidenziato l’assenza di azioni efficaci contro la corruzione e l’impunità, la discriminazione e la xenofobia, nonché la crescente militarizzazione del sistema migratorio 9. Il Gruppo di lavoro sulla detenzione arbitraria ha inoltre osservato che i funzionari messicani, comprese le forze di sicurezza, continuano a estorcere tangenti ai migranti, che vengono poi detenuti se non le pagano. L’aumento dei controlli e della militarizzazione ha contribuito ad aumentare la violenza e le violazioni dei diritti umani nei confronti delle persone migranti. Alcuni esempi dei problemi segnalati dai gruppi della società civile e riportati nella tabella della Migrant Law Clinic dell’Università Iberoamericana includono: 10: * Al confine settentrionale, la Guardia Nazionale ha inseguito e arrestato con la forza i migranti che tentavano di attraversare il confine, agendo di fatto come una pattuglia di frontiera statunitense. * Al confine meridionale, la Guardia Nazionale ha usato manganelli, scudi, gas lacrimogeni, pietre e bastoni per picchiare i migranti nel tentativo di arrestarli. * Le operazioni di contenimento sono state condotte di notte con equipaggiamento antisommossa, compreso l’irruzione in chiese e abitazioni private senza un’adeguata autorizzazione per inseguire e arrestare persone migranti. * Sono stati documentati casi di separazione delle famiglie durante gli arresti. * Sono stati segnalati atti di tortura contro uomini migranti detenuti nella stazione di immigrazione Siglo XXI e contro migranti di origine africana nella stazione di immigrazione Cupapé a Tuxtla * La Guardia Nazionale ha sparato contro un furgone a Pijijiapan, in Chiapas, causando la morte sul posto di un uomo cubano, mentre un altro è morto in ospedale e altri tre sono rimasti feriti. CONCLUSIONI Il report è ricco di dati, talvolta contrastanti tra loro, a testimonianza della complessità della gestione dei flussi migratori da parte del Messico. Un dato, però, appare chiaro: gli Stati Uniti esercitano da tempo pressioni sul Messico affinché limiti il transito di migranti, rifugiati e richiedenti asilo attraverso il proprio territorio. Invece di promuovere azioni diplomatiche volte a incoraggiare il rispetto degli impegni internazionali del Paese, gli Stati Uniti hanno spinto il vicino a impiegare ogni mezzo necessario per bloccare migranti e richiedenti asilo. Il Messico ha risposto adottando politiche più incentrate sul controllo dei flussi, sulla realizzazione di obiettivi quantificabili e sulla detenzione, piuttosto che sulla protezione delle persone in movimento. Come estensione delle leggi sull’immigrazione statunitensi, il Messico ha sviluppato uno dei più grandi complessi di detenzione al mondo, incarcerando centinaia di migliaia di persone ogni anno. Nonostante le evidenze mostrino che tali misure non scoraggiano la migrazione, continuano a provocare gravi danni alle persone in movimento. I governi messicani recenti, pur dichiarandosi a favore dei diritti dei migranti, hanno spesso utilizzato un linguaggio ambiguo per mascherare politiche restrittive. Anche i leader populisti di sinistra più recenti hanno sostenuto i diritti dei migranti, cercando partnership regionali per affrontare le sfide migratorie e intervenendo sulle cause profonde della migrazione. Sebbene siano stati introdotti alcuni cambiamenti, come l’aumento temporaneo dei visti umanitari e dei tassi di approvazione delle richieste di asilo, permangono ampi margini di miglioramento. Gli esperti sottolineano che la COMAR (Comisión Mexicana de Ayuda a Refugiados 11) dovrebbe disporre di un budget più consistente e che il governo messicano dovrebbe adottare un riconoscimento di massa dei rifugiati, simile a quello concesso dalla Colombia ai venezuelani, offrendo loro lo status di protezione temporanea. Tuttavia, anziché adottare un vero approccio umanitario alla migrazione, il Messico ha fatto ricorso a vari eufemismi che gli consentono di presentare tali politiche come tali, mentre continua ad attuare misure repressive volte a placare le preoccupazioni degli Stati Uniti. Questo ha permesso a Washington di esternalizzare la gestione delle frontiere e di sottrarsi a responsabilità internazionali per le violazioni dei diritti umani. Con il ritorno di Trump al potere e l’introduzione di nuovi dazi, la storia sembra ripetersi, con nuove ondate di repressione e abusi. 1. Qui il documento pubblicato il 31 luglio 2025 ↩︎ 2. Secretaría de Relaciones Exteriores, “La Comisión Intersecretarial de Atención Integral en Materia Migratoria adopta el Modelo Mexicano de Movilidad Humana,” 2024 ↩︎ 3. 11 W. Cornelius, “Mexico: From Country of Mass Emigration to Transit State,” Inter-American Development Bank, 2018 ↩︎ 4. S. Brewer, “The Bicentennial Framework: Opportunities and challenges as U.S.-Mexico security cooperation begins a new chapter,” WOLA, 2021; C. R. Seelke, and K. Finklea, “U.S.-Mexican Security Cooperation: The Mérida Initiative and Beyond,” Congressional Research Service, 2017 ↩︎ 5. 33 S. Leutert, “Andrés Manuel López Obrador’s Migratory Policy in Mexico,” LBJ School of Public Affairs, 2020 ↩︎ 6. E. T. Cantalapiedra, “Las tarjetas de visitante por razones humanitarias: Una política migratoria de protección ¿e integración?” EntreDiversidades, 8(2(17)), Article 2(17), 2021 ↩︎ 7. Export Import Data, “Top Mexico Trade Partners in 2025: Key Trends and Opportunities,” 2025; D. Workman, “Mexico’s Top Exports 2023,” World Stop Exports, 2023 ↩︎ 8. Human Rights Watch, “Submission to the Universal Periodic Review of Mexico | Human Rights Watch,” 18 July 2023 ↩︎ 9. UN Committee on Migrant Workers, “Observaciones finales sobre el cuarto informe periódico de México,” April 2025 ↩︎ 10. PRAMI, “La Guardia Nacional en el control migratorio: Consecuencias de su integración a la Sedena,” Programa de Assuntos Migratorios Universidad Iberoamerican, 2022 ↩︎ 11. Qui il sito web ↩︎
Accoglienza al collasso: tra isolamento, revoche e opacità istituzionale
Il report di Action Aid pubblicato a marzo 2025 1 ci racconta i differenti aspetti che il sistema d’accoglienza ha vissuto nell’ultimo anno, disegnando una cornice sistemica e chiara della cognizione corrente che tutto l’apparato presenta. Formato da circa 50 pagine, il rapporto tocca diversi argomenti cruciali, dalle gare d’appalto alle condizioni che si vivono dentro i centri d’accoglienza alle politiche migratorie che i nostri governi implementano sulle differenti questioni. L’INVOLUZIONE DEL SISTEMA D’ACCOGLIENZA Il decreto-legge 20/2023, notoriamente conosciuto come decreto Cutro, ha profondamente cambiato il modello di accoglienza, riducendo i servizi di supporto come assistenza legale, psicologica e corsi di lingua. Questo ha comportato un aumento delle spese per affitti e logistica, ma ha anche deteriorato le condizioni di vita nei centri. Oggi, le risorse sono concentrate sulla gestione degli spazi piuttosto che sull’integrazione delle persone ospitate. I centri sono diventati più grandi, sovraffollati e isolati, limitando le opportunità di inclusione e lavoro. Strettamente interconnesso al decreto Cutro troviamo il capitolato 2024 voluto dal governo Meloni, firmato dal ministro dall’interno Piantedosi. Il capitolato ha il compito di indicare i servizi previsti per ciascuna tipologia di centro e i costi associati. Tra le varie criticità che il rapporto sottolinea, quelle principali sono: * Non c’è monitoraggio né valutazione: l’ultima relazione annuale del Viminale sull’accoglienza riguarda il funzionamento del sistema nel 2021 * Oltre la retorica sui “35 euro”, il nuovo capitolato aumenta i costi complessivi. A crescere però sono soprattutto i costi per il funzionamento delle strutture (affitto, trasporti, cibo). Ridotte drasticamente le spese per i professionisti e i relativi servizi alla persona * Vengono azzerati i servizi di informazione e orientamento legale, orientamento al territorio, assistenza psicologica e corsi di lingua italiana * Nel 2023 nascono i “centri temporanei”, che forniscono solo vitto, alloggio e assistenza sanitaria minima. Non sono previsti servizi sociali. Inoltre l’ accesso alle informazioni circa questi tipi di centri risulta molto scarno LA GEOGRAFIA DELL’ACCOGLIENZA Secondo i dati forniti dal ministero dell’interno, a dicembre 2023 il sistema di accoglienza poteva ospitare poco più di 143mila persone, di cui 97.718 nei Centri di accoglienza straordinaria (Cas), 5.010 nei centri di prima accoglienza (3,5% – Cpa e Hotspot) e 40.311 nel Sistema di accoglienza e integrazione (Sai). Dati alla mano, l’obiettivo di garantire un’accoglienza diffusa in piccole strutture, con un impatto limitato sulle comunità ospitanti e una maggiore capacità di integrazione degli ospiti, è stato gradualmente abbandonato. Si è dato invece spazio a grandi strutture di accoglienza collettiva, con interventi normativi che inoltre favoriscono la commistione della prima accoglienza con il trattenimento di chi fa ingresso sul territorio italiano. Inoltre, questo avviene in un contesto in cui nel corso dell’anno è stato fatto un uso consistente dell’istituto che permette la revoca dell’accoglienza 2, nonostante le molte pronunce dei tribunali 3 a tutela di persone estromesse dal sistema e la gradualità̀ della sanzione introdotta dal decreto 20/2023. Infatti, se nel 2022 le revoche sono state 30.500 circa e nei primi 9 mesi del 2024 poco più di 27.600, nel 2023 il dato registrato è quasi doppio, circa 50.900 revoche. Si tratta di una disposizione la cui attuazione è stata spesso considerata discriminatoria e in conflitto con principi costituzionali e della carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, come stabilito ad esempio dal Tar della Liguria. Al 31 dicembre 2023 gli ospiti dei centri di accoglienza rappresentavano lo 0,23% della popolazione residente in Italia. La regione in cui si registra la presenza più elevata, rispetto alla popolazione residente, è il Molise (0,58%), mentre la Valle d’Aosta presenta l’incidenza più bassa (0,11%). Analizzando la capacità del sistema però è proprio nelle regioni del sud e delle isole che si hanno più posti disponibili (49.587 ovvero il 34,7%) e, in particolare, nel Sai. Infatti, se nelle altre aree del paese la quota di posti nel sistema ordinario si attesta tra il 17,3% e il 23,2% del totale, nel mezzogiorno questo dato arriva al 43,4%. Non stupisce dunque se tra le prime 10 province per quota di posti nel Sai solo una non si trova in regioni del mezzogiorno. Si tratta di Bologna che, oltre ad avere più posti nel Sai (56,28%) che nel Cas, è anche il territorio che offre più posti nel sistema ordinario in termini assoluti (2.137). Al secondo posto Catania con 1.842 posti nel Sai, che rappresentano il 91,3% dell’accoglienza sul territorio. Ma se dal punto di vista della distribuzione di posti tra Cas e Sai sono le regioni del mezzogiorno a rappresentare un esempio positivo, lo stesso non si può dire quando si parla di grandi centri di accoglienza straordinaria. La capienza media dei Cas, infatti, risulta di appena 10,7 posti nelle regioni del nord est, salendo a 14,6 nel nord ovest e a 16,6 al centro. Nelle regioni del mezzogiorno invece supera i 36 posti per centro. UN SISTEMA CHE NON TUTELA. L’ACCOGLIENZA DELLE PERSONE VULNERABILI Per quanto riguarda i minori stranieri non accompagnati (Msna) la normativa prevede strutture governative di prima accoglienza e strutture di secondo livello che coincidono in via prioritaria con il sistema Sai. In presenza di arrivi consistenti e ravvicinati di Msna, i prefetti possono attivare strutture di accoglienza temporanee esclusivamente dedicate ai minori (ovvero i Cas minori, di cui all’articolo 19 del d.Lgs. 142/2015). In precedenza, in caso di indisponibilità di posti nel sistema pubblico, il minore era temporaneamente accolto dal comune in cui si trovava (fatta salva la possibilità̀ di trasferirlo in altro comune in considerazione del suo superiore interesse). Adesso, con il decreto 133/2023 e la circolare del ministero dell’interno n. 94 del 17 gennaio 2024 si è stabilita l’inversione del criterio: in assenza di posti Sai, prima di sollecitare l’ente locale, si deve verificare la possibile collocazione in Cas minori. Un’altra strada perseguita, specialmente per i minori che arrivano in Italia come ultra sedicenni, è quella di inserirli in centri d’accoglienza per adulti. Questo, sottolinea il ministero del lavoro, segnala una grave discrepanza tra il trattamento nei centri di prima accoglienza rispetto ai Cas per adulti. Nel primo caso è previsto per i Msna un tempo massimo di permanenza di 45 giorni, trascorsi i quali devono essere collocati nel Sai. Nei Cas adulti però questo tempo si triplicherebbe. Un periodo decisamente troppo lungo anche considerando coloro che nel frattempo compiono i 18 anni, i quali vedono cessata l’accoglienza, perdendo persino la possibilità̀ di fruire della maggiore tutela che invece è garantita a chi, nella stessa identica situazione, ha trovato accoglienza nel Sai. Tutto questo avviene in un contesto in cui le presenze complessive in centri destinati ai Msna passano da circa 2.500 nel 2018 a oltre 6.800 nel 2023. Questa crescita è avvenuta anche grazie ad un aumento delle presenze nel Sai e questa è certamente una buona notizia. Al contempo però bisogna registrare nel 2023 una crescita del 177% delle presenze in Cas per Msna rispetto all’anno precedente. Per quanto riguarda la condizione femminile all’interno del circuito dell’accoglienza, è solo grazie al rapporto annuale del Sai 4 che conosciamo il totale delle donne accolte nel sistema nel corso del 2023 (13.874) e grazie alle informazioni fornite dal Servizio Centrale a ActionAid e Openpolis abbiamo il dato relativo alla presenza di donne nel sistema al 31 dicembre dello stesso anno (8.683). Da queste informazioni si evince un ricambio più lento in confronto agli uomini (40.638 accolti nell’anno a fronte di 22.312 presenze al 31 dicembre). Le donne, in altri termini, restano per un periodo più lungo all’interno dei progetti di accoglienza e di accompagnamento all’autonomia. Un elemento da tenere ben presente per una programmazione efficace. I dati disponibili evidenziano inoltre una crescita particolarmente sostenuta delle presenze femminili nei centri Sai. Una tale evoluzione è il risultato degli ampliamenti della rete, prima a seguito della crisi afghana e poi di quella ucraina, che ha portato nel paese soprattutto donne (e minori). Inoltre, il decreto legge 133/2023 individua tutte le donne richiedenti asilo come “vulnerabili”, di fatto convogliando la loro accoglienza nei centri del Sai, creando le premesse per una possibile “femminilizzazione” del sistema. Il potenziale protagonismo della rete Sai nell’accoglienza delle donne migranti può certamente offrire loro percorsi di accoglienza di maggiore qualità̀. Tuttavia il rischio è che a fronte di un numero insufficiente di posti nel Sai, ritorni in campo l’accoglienza straordinaria, con i connessi problemi di doppi standard che vedrebbero alcune migranti ricevere i servizi di accoglienza previsti dalla legge attraverso il circuito Sai, mentre altre, con i medesimi titoli, potrebbero restare incastrate nel circuito dei Cas, se non addirittura in quello dell’accoglienza temporanea. Inoltre, risulta opportuno avviare un’ampia riflessione sul concetto di vulnerabilità̀. Da una parte è positivo che almeno le donne trovino accoglienza nel Sai, al contempo però affermare che tutte le donne siano “vulnerabili”, oltre a evidenziare un approccio paternalistico, significa equiparare le loro diverse situazioni con il rischio che i casi effettivamente più vulnerabili non siano poi riconosciuti come tali. CONCLUSIONI Dal 2018, il progetto “Centri d’Italia” denuncia gravi difficoltà nell’accesso ai dati sul sistema di accoglienza per migranti, dovute a un sistematico ostruzionismo da parte del Ministero dell’Interno. Nonostante sentenze favorevoli (Tar e Consiglio di Stato), mancano trasparenza e collaborazione. Le leggi che impongono la redazione e pubblicazione del Piano Nazionale Accoglienza e di una relazione annuale al Parlamento non vengono rispettate. L’ultima relazione risale al 2022 (dati del 2021). Il Viminale spesso nega o fornisce informazioni incomplete, frammentarie o non utilizzabili. Nemmeno le richieste ordinarie o le vittorie legali garantiscono l’accesso ai dati. Il ministero sostiene spesso di non disporre delle informazioni, nonostante ne abbia l’obbligo per legge. La trasparenza è sistematicamente ostacolata, in violazione del Freedom of Information Act (FOIA 5) e delle linee guida ANAC. Le richieste di accesso non vengono né accolte né riformulate, contravvenendo ai doveri di legge verso la società civile, le ONG e la stampa. Il sistema di accoglienza soffre di mancanza di visione, pianificazione e valutazione. A questo si aggiungono nuove normative (DL 145/2024) che introducono automatismi per l’accesso ai servizi, discriminando chi arriva via terra e penalizzando chi non presenta tempestivamente domanda d’asilo, anche se vulnerabile. Queste misure appaiono in contrasto con le direttive europee e rischiano di escludere le persone più fragili. In generale, il quadro complessivo evidenzia un approccio repressivo, privo di analisi e programmazione, che mina il funzionamento del sistema di accoglienza e la tutela dei diritti fondamentali. 1. Scarica il rapporto ↩︎ 2. Si veda: La revoca dell’accoglienza dei richiedenti asilo. Scheda ASGI – Ottobre 2024 ↩︎ 3. Contrastare le prassi illegittime di Questura e Prefettura: giurisprudenza e formazioni, Asgi ↩︎ 4. Consulta il rapporto ↩︎ 5. Cos’è il FOIA ↩︎