Le politiche migratorie in Messico: tutela dei diritti o strumento di controllo?
Un recente rapporto analizza le politiche migratorie del Messico e il loro
impatto sui diritti umani. Il Paese si trova a bilanciare la promozione di
strategie dichiaratamente umanitarie con la pressione costante degli Stati Uniti
a limitare il transito delle persone. La realtà mostra un quadro complesso, in
cui misure repressive e restrizioni convivono con iniziative apparentemente
umanitarie, sollevando dubbi sull’effettiva protezione delle persone in
movimento.
INTRODUZIONE
Questo documento è stato redatto dal Global Detention Project 1, a cura di
Matthew B. Flinn, professore di Studi internazionali e Sociologia presso la
Georgia Southern University, e di Chris-Ortiz Gonzalez, laureato alla Maxwell
School of Citizenship and Public Affairs della Syracuse University.
Global Detention Project (GDP) è un centro di documentazione internazionale il
cui scopo è porre fine alle pratiche arbitrarie e dannose di detenzione legate
alla migrazione in tutto il mondo e a garantire il rispetto dei diritti umani
fondamentali di tutti i migranti, i rifugiati e i richiedenti asilo.
Il rapporto mira a indagare in che misura il Messico agisca come estensione
delle politiche repressive anti-migratorie degli Stati Uniti, nonostante il
discorso umanitario che il governo ha cercato di promuovere, soprattutto durante
la presidenza di Andrés Manuel López Obrador (AMLO) tra il 2018 e il 2024. Oggi
alla guida del Paese c’è Claudia Sheinbaum, espressione della stessa area
politica.
Nel maggio 2024 il governo ha presentato una nuova strategia sulla migrazione,
definita come un approccio umanitario e basato sui diritti nella gestione della
migrazione irregolare. Il fulcro di questa strategia è la creazione dei “Centri
multiservizi per l’inclusione e lo sviluppo dei migranti e dei rifugiati”
(Estrategia Mexicana de Movilidad Humana: un modelo único 2), concepiti per
offrire un’ampia gamma di servizi di sostegno.
Sebbene le autorità insistano sul fatto che tali centri non saranno utilizzati
per la detenzione, la storia del controllo migratorio in Messico – in
particolare il suo ruolo di esecutore delegato delle politiche statunitensi –
alimenta legittimi dubbi e giustifica lo scetticismo.
Quando Andrés Manuel López Obrador (AMLO) è stato eletto presidente nel 2018, ha
dichiarato di voler adottare una politica migratoria incentrata sui diritti
umani. In questa prospettiva, nel maggio 2024 la sua amministrazione ha
presentato una nuova strategia sulla gestione della migrazione irregolare,
descritta come un approccio umanitario e basato sui diritti. Il fulcro del piano
è la creazione dei “Centri multiservizi per l’inclusione e lo sviluppo dei
migranti e dei rifugiati”, strutture che dovrebbero offrire un’ampia gamma di
servizi di sostegno.
Tuttavia, sebbene le autorità assicurino che questi centri non avranno finalità
detentive, la storia del controllo migratorio in Messico – e in particolare il
suo ruolo di esecutore delegato delle politiche statunitensi – invita a un
giusto scetticismo.
Come mette in evidenza questo documento di lavoro, fin dagli anni ’80, sotto la
pressione degli Stati Uniti a implementare politiche migratorie più rigide, il
Messico ha spesso adottato un linguaggio eufemistico per presentare pratiche
coercitive come umanitarie, finendo di fatto per occultare violazioni degli
obblighi in materia di diritti umani.
IL QUADRO STORICO
Per comprendere al meglio le politiche migratorie della presidenza AMLO, è
necessario disegnare un quadro storico-contestuale del rapporto tra Messico e
Stati Uniti.
Sin dagli anni 80’ il rapporto tra i due Paesi è diventato molto forte.
Fu in questo periodo che il Messico iniziò ad attuare una serie di politiche
neoliberiste sotto la presidenza di Carlos Salinas de Gortari (1988-1994).
La sua amministrazione smantellò le politiche economiche stataliste fondate
sull’industrializzazione per sostituzione delle importazioni, promuovendo invece
riforme orientate al mercato e una maggiore integrazione nell’economia globale.
Tra i cambiamenti più significativi vi fu l’incentivazione degli investimenti
diretti esteri, in particolare attraverso l’espansione delle maquiladoras:
stabilimenti di assemblaggio situati lungo il confine tra Messico e Stati Uniti,
dove componenti importati venivano assemblati e riesportati.
Successivamente, lo storico accordo NAFTA (1994) 3, firmato da Messico, Stati
Uniti e Canada, si inserì nello stesso quadro teorico neoliberista. Tra i suoi
principali obiettivi vi erano l’eliminazione delle barriere alle importazioni,
la facilitazione della circolazione di beni e servizi tra i tre Paesi e la
promozione di condizioni di leale concorrenza all’interno dell’area di libero
scambio.
Gli eventi dell’11 settembre sconvolsero poi molti equilibri, inaugurando la
cosiddetta “guerra al terrore”, terreno propagandistico che accelerò il processo
di securitizzazione negli Stati Uniti e spinse il dibattito sull’immigrazione e
le politiche migratorie verso logiche di militarizzazione ed espulsione.
Quando Felipe Calderón assunse la presidenza nel 2006, ribadì l’impegno del
Messico a controllare la cosiddetta “immigrazione clandestina” lungo il confine
meridionale del Paese. L’anno successivo, Stati Uniti e Messico lanciarono
l’Iniziativa Mérida, un programma di cooperazione in materia di sicurezza volto
a combattere la criminalità organizzata e rafforzare lo Stato di diritto.
Tra il 2008 e il 2021, gli Stati Uniti stanziarono circa 3 miliardi di dollari
nell’ambito di questa iniziativa, destinati alla riduzione della criminalità,
allo sviluppo delle comunità e alla creazione di quello che veniva definito “un
confine del XXI secolo” 4.
TRA IDEOLOGIA E REALTÀ: LE POLITICHE DEL GOVERNO AMLO
Le elezioni presidenziali messicane del 2018 hanno rappresentato la prima
occasione in cui la questione migratoria è diventata un tema centrale nel
dibattito elettorale.
AMLO, che alla fine avrebbe vinto le elezioni, ha sottolineato la necessità di
proteggere i cittadini centroamericani in transito nel Paese e di difendere i
diritti umani delle persone migranti. Pur affrontando anche le esigenze dei
migranti messicani negli Stati Uniti e la necessità di maggiori opportunità
economiche in Messico, ha ribadito l’importanza di collaborare con il vicino
settentrionale, piuttosto che limitarsi a svolgere il cosiddetto “lavoro sporco”
5.
Oltre alla promozione di percorsi sicuri e legali basati sui diritti umani e
sulle vie di ingresso legali, l’approccio “umanitario” del Messico ha anche
posto l’accento sugli investimenti economici per combattere i fattori che
spingono alla migrazione dall’America centrale.
In questo contesto, l’amministrazione Obrador ha firmato il Piano di sviluppo
globale per El Salvador, Guatemala, Honduras e Messico, volto a intervenire
sulle cause profonde della migrazione e a ridurre i flussi verso il Messico
meridionale. A titolo di esempio, il Messico si è impegnato a fornire a El
Salvador 30 milioni di dollari per la creazione di posti di lavoro nel settore
agricolo.
Questo cambiamento di politica ha segnato il passaggio da un approccio centrato
sull’applicazione della legge – spesso intrecciato con razzismo e xenofobia – a
un modello di maggiore integrazione con l’America centrale, finalizzato a
contrastare disuguaglianze, povertà e carenze di sviluppo.
La nuova amministrazione ha inoltre iniziato a rilasciare un maggior numero di
visti umanitari (Tarjeta de Visitante por Razones Humanitarias – TVRH 6).
Secondo la legislazione messicana in materia di migrazione e rifugiati, le
autorità competenti possono concedere questi visti a loro discrezione alle
persone più vulnerabili, permettendo loro di circolare liberamente nel Paese e
di lavorare legalmente per un periodo limitato. Il documento protegge i migranti
dalla detenzione e dall’espulsione, offrendo al contempo la possibilità di
percorrere rotte più sicure sul territorio nazionale.
Il numero di visti umanitari rilasciati è aumentato costantemente, passando da
623 nel 2014 a 17.722 nel 2018, grazie sia all’incoraggiamento delle
organizzazioni della società civile a richiedere tali visti, sia alle nuove
iniziative promosse dall’amministrazione.
Tuttavia, a fare da contraltare alla politica migratoria promossa dalla
presidenza AMLO rimane l’indubbia dipendenza economica e politica del Messico
dagli Stati Uniti.
Dall’adesione al NAFTA, il principale partner commerciale del Messico è stato
proprio il vicino settentrionale, con esportazioni e importazioni che oggi
ammontano a circa 728,2 miliardi di dollari.
Oggi, il 79,6% delle esportazioni messicane è destinato agli Stati Uniti 7.
Tuttavia, il cedimento alle pressioni statunitensi contrasta con la posizione di
AMLO sulla migrazione e con la retorica decoloniale che aveva caratterizzato la
sua campagna presidenziale del 2018.
Un’altra iniziativa significativa dei primi anni della presidenza AMLO,
evidenziata nell’accordo congiunto con gli Stati Uniti, è stata il programma
MPP, meglio noto come politica “Rimani in Messico”.
Questa politica obbligava i richiedenti asilo a rimanere in Messico in attesa
della decisione sulle loro domande. Di conseguenza, il Paese ha registrato
l’afflusso di circa 71.000 richiedenti asilo rimandati al confine
settentrionale, generando una crisi umanitaria in cui molti si sono trovati
bloccati in condizioni pericolose, vulnerabili a estorsioni, rapimenti e stupri,
e privi di accesso a servizi essenziali come assistenza sanitaria e istruzione
8.
Questa politica ha anche comportato un accesso limitato all’assistenza legale e
alla consulenza per i richiedenti asilo.
Gli organismi internazionali hanno sollevato numerose preoccupazioni sulle
condizioni all’interno dei centri di detenzione, rilevando che funzionari e
agenti dell’immigrazione hanno avuto un ruolo significativo nelle violazioni dei
diritti umani, con segnalazioni di torture e maltrattamenti ai danni dei
detenuti.
Nel 2024, il Comitato sui lavoratori migranti ha osservato che le autorità non
hanno rispettato il limite di 36 ore di detenzione, che bambini e adolescenti
continuano a essere trattenuti nei centri di detenzione e che queste strutture
risultano prive dei servizi di base e regolarmente sovraffollate. Il comitato ha
inoltre evidenziato l’assenza di azioni efficaci contro la corruzione e
l’impunità, la discriminazione e la xenofobia, nonché la crescente
militarizzazione del sistema migratorio 9.
Il Gruppo di lavoro sulla detenzione arbitraria ha inoltre osservato che i
funzionari messicani, comprese le forze di sicurezza, continuano a estorcere
tangenti ai migranti, che vengono poi detenuti se non le pagano.
L’aumento dei controlli e della militarizzazione ha contribuito ad aumentare la
violenza e le violazioni dei diritti umani nei confronti delle persone migranti.
Alcuni esempi dei problemi segnalati dai gruppi della società civile e riportati
nella tabella della Migrant Law Clinic dell’Università Iberoamericana includono:
10:
* Al confine settentrionale, la Guardia Nazionale ha inseguito e arrestato con
la forza i migranti che tentavano di attraversare il confine, agendo di fatto
come una pattuglia di frontiera statunitense.
* Al confine meridionale, la Guardia Nazionale ha usato manganelli, scudi, gas
lacrimogeni, pietre e bastoni per picchiare i migranti nel tentativo di
arrestarli.
* Le operazioni di contenimento sono state condotte di notte con
equipaggiamento antisommossa, compreso l’irruzione in chiese e abitazioni
private senza un’adeguata autorizzazione per inseguire e arrestare persone
migranti.
* Sono stati documentati casi di separazione delle famiglie durante gli
arresti.
* Sono stati segnalati atti di tortura contro uomini migranti detenuti nella
stazione di immigrazione Siglo XXI e contro migranti di origine africana
nella stazione di immigrazione Cupapé a Tuxtla
* La Guardia Nazionale ha sparato contro un furgone a Pijijiapan, in Chiapas,
causando la morte sul posto di un uomo cubano, mentre un altro è morto in
ospedale e altri tre sono rimasti feriti.
CONCLUSIONI
Il report è ricco di dati, talvolta contrastanti tra loro, a testimonianza della
complessità della gestione dei flussi migratori da parte del Messico.
Un dato, però, appare chiaro: gli Stati Uniti esercitano da tempo pressioni sul
Messico affinché limiti il transito di migranti, rifugiati e richiedenti asilo
attraverso il proprio territorio.
Invece di promuovere azioni diplomatiche volte a incoraggiare il rispetto degli
impegni internazionali del Paese, gli Stati Uniti hanno spinto il vicino a
impiegare ogni mezzo necessario per bloccare migranti e richiedenti asilo. Il
Messico ha risposto adottando politiche più incentrate sul controllo dei flussi,
sulla realizzazione di obiettivi quantificabili e sulla detenzione, piuttosto
che sulla protezione delle persone in movimento.
Come estensione delle leggi sull’immigrazione statunitensi, il Messico ha
sviluppato uno dei più grandi complessi di detenzione al mondo, incarcerando
centinaia di migliaia di persone ogni anno.
Nonostante le evidenze mostrino che tali misure non scoraggiano la migrazione,
continuano a provocare gravi danni alle persone in movimento.
I governi messicani recenti, pur dichiarandosi a favore dei diritti dei
migranti, hanno spesso utilizzato un linguaggio ambiguo per mascherare politiche
restrittive. Anche i leader populisti di sinistra più recenti hanno sostenuto i
diritti dei migranti, cercando partnership regionali per affrontare le sfide
migratorie e intervenendo sulle cause profonde della migrazione.
Sebbene siano stati introdotti alcuni cambiamenti, come l’aumento temporaneo dei
visti umanitari e dei tassi di approvazione delle richieste di asilo, permangono
ampi margini di miglioramento. Gli esperti sottolineano che la COMAR (Comisión
Mexicana de Ayuda a Refugiados 11) dovrebbe disporre di un budget più
consistente e che il governo messicano dovrebbe adottare un riconoscimento di
massa dei rifugiati, simile a quello concesso dalla Colombia ai venezuelani,
offrendo loro lo status di protezione temporanea.
Tuttavia, anziché adottare un vero approccio umanitario alla migrazione, il
Messico ha fatto ricorso a vari eufemismi che gli consentono di presentare tali
politiche come tali, mentre continua ad attuare misure repressive volte a
placare le preoccupazioni degli Stati Uniti.
Questo ha permesso a Washington di esternalizzare la gestione delle frontiere e
di sottrarsi a responsabilità internazionali per le violazioni dei diritti
umani. Con il ritorno di Trump al potere e l’introduzione di nuovi dazi, la
storia sembra ripetersi, con nuove ondate di repressione e abusi.
1. Qui il documento pubblicato il 31 luglio 2025 ↩︎
2. Secretaría de Relaciones Exteriores, “La Comisión Intersecretarial de
Atención Integral en Materia Migratoria adopta el Modelo Mexicano de
Movilidad Humana,” 2024 ↩︎
3. 11 W. Cornelius, “Mexico: From Country of Mass Emigration to Transit
State,” Inter-American Development Bank, 2018 ↩︎
4. S. Brewer, “The Bicentennial Framework: Opportunities and challenges as
U.S.-Mexico security cooperation begins a new chapter,” WOLA, 2021; C. R.
Seelke, and K. Finklea, “U.S.-Mexican Security Cooperation: The Mérida
Initiative and Beyond,” Congressional Research Service, 2017 ↩︎
5. 33 S. Leutert, “Andrés Manuel López Obrador’s Migratory Policy in Mexico,”
LBJ School of Public Affairs, 2020 ↩︎
6. E. T. Cantalapiedra, “Las tarjetas de visitante por razones humanitarias:
Una política migratoria de protección ¿e integración?” EntreDiversidades,
8(2(17)), Article 2(17), 2021 ↩︎
7. Export Import Data, “Top Mexico Trade Partners in 2025: Key Trends and
Opportunities,” 2025;
D. Workman, “Mexico’s Top Exports 2023,” World Stop Exports, 2023 ↩︎
8. Human Rights Watch, “Submission to the Universal Periodic Review of Mexico
| Human Rights Watch,” 18 July 2023 ↩︎
9. UN Committee on Migrant Workers, “Observaciones finales sobre el cuarto
informe periódico de México,” April 2025 ↩︎
10. PRAMI, “La Guardia Nacional en el control migratorio: Consecuencias de su
integración a la Sedena,” Programa de Assuntos Migratorios Universidad
Iberoamerican, 2022 ↩︎
11. Qui il sito web ↩︎