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“Pensare Migrante”: una tre giorni di talk, reportage, teatro, fumetto e musica
Baobab Experience compie 10 anni e festeggia con “Pensare Migrante” una tre giorni, dal 12 al 14 dicembre, alla Città dell’Altra Economia (Roma). «Una programmazione bellissima» – spiegano le attiviste – «che spazia dall’arte al giornalismo di inchiesta, dai numeri alle storie, al di fuori di tutto quello che avete già sentito sul tema della migrazione. Ribalteremo assieme tutti i dogmi per superare ogni barriera fisica e mentale!» PROGRAMMA Scarica in .pdf VENERDÌ 12 DICEMBRE 18:30 – Talk – 10 anni di migrazione. Cronaca di un continente che cambia rotta Cosa è successo  Annalisa Camilli, Giornalista di Internazionale; Gianfranco Schiavone, Presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà Cosa abbiamo fatto Eleonora Camilli, Giornalista de La Stampa; Marco Bertotto, Direttore Programmi di Medici Senza Frontiere Italia; Andrea Costa, Presidente Baobab Experience; Tiziano Rossetti, Cofondatore TOM (Tutti gli Occhi sul Mediterraneo); Luca Faenzi, Ufficio stampa Sea-Watch; Collettivo Rotte Balcaniche; Pietro Gorza, Presidente di On Borders (in collegamento dalla frontiera USA-Messico) 21:30 – Concerto Senegal Drum Ensemble Permormance live di Tamburi di Gorée e Tam Tam Morola SABATO 13 DICEMBRE 11:30 – Proiezione del Reportage “Trafficanti di uomini” realizzato da PresaDiretta segue Talk IL TRAFFICO DI ESSERI UMANI: UN AFFARE TRA STATI Riccardo Iacona, autore e conduttore di PresaDiretta, Rai3; Pablo Castellani, giornalista e filmmaker; Nancy Porsia, giornalista freelance e producer esperta di Medio Oriente e Nord Africa; Lam Magok, attivista di Refugees in Libya; Alice Basiglini, responsabile comunicazione e campagne di Baobab Experience; Sarita Fratini, fondatrice di JLProject 14:30 – Proiezione del Documentario: “This Jungo Life” segue Talk PRIMA PERSONA PLURALE LA PAROLA A CHI ATTRAVERSA, CHI RESTA, CHI PARLA Il regista David Fedele dialoga con Hasan Adam, Baobab Experience, e Mahamat Daoud, Refugees in Libya 16:00 – Talk INTERSEZIONALITÀ DELLE LOTTE COME SI TENGONO INSIEME I FRONTI DEL PRESENTE Giulio Cavalli, scrittore, giornalista e regista teatrale; Francesca Mannocchi, giornalista e documentarista; Fatima Idris, attivista per le donne vittime di tratta; Lorenzo D’Agostino, giornalista indipendente; Francesco Cancellato, Direttore di Fanpage 17.30 – Live recording PUNTATA LIVE DI SCANNER: IL PODCAST DI VALERIO NICOLOSI Valerio Nicolosi, giornalista di FanPage; Alice Basiglini, responsabile comunicazione e campagne di Baobab Experience 18:30 – Presentazione libro RACCONTARE IL REALE: GRAPHIC JOURNALISM E FUMETTO COME FORMA DI ATTIVISMO Alessio Trabacchini, editor presso Coconino Press – Fandango, Course Leader del Triennio in Comics & Visual Storytelling presso Naba Roma; Lorenzo Palloni, fumettista, co-fondatore della rivista La Revue; Mauro Biani, vignettista, illustratore e blogger; Harry Greb, street artist e attivista; Rebecca Valente, illustratrice e fumettista e docente del Master di Illustrazione e Graphic Novel della Scuola Internazionale di Comics di Torino; Maria Cristina Fortuna, illustratrice e attivista di Baobab Experience Lə autorə e lə protagonistə delle storie di “Tu sai cosa mi è successo”, l’antologia a fumetti sulle testimonianze raccolte da Baobab Experience in questi dieci anni 20.30 – Talk PROPAGANDA BAOBAB Diego Bianchi, conduttore di Propaganda Live; Andrea Costa, Presidente di Baobab Experience 21.30 – Spettacolo teatrale “IL SECOLO È MOBILE” DI GABRIELE DEL GRANDE DOMENICA 14 DICEMBRE 10:30 – Talk L’ITALIA ILLEGALE VIOLENZE ISTITUZIONALI E ABUSI CONTRO LE PERSONE MIGRANTI Francesco Ferri, redattore del progetto Melting Pot Europa; Giuseppe De Marzo, coordinatore di Rete dei Numeri Pari e Direttore Scuola Giustizia ecologica e ambientale; Marco Omizzolo, Sociologo e docente di Sociopolitologia delle migrazioni all’Università La Sapienza; Yasmine Accardo, attivista in LasciateCIEentrare e Mem.Med – Memoria Mediterranea; Alberto Barbieri, Coordinatore generale di MEDU; Ilaria Cucchi, senatrice di AVS  12:00 – Talk SIAMO FATTI DI MEDITERRANEO: ITALIANI METICCI Luca Misculin, giornalista de Il Post, scrittore e autore del libro Mare Aperto; Alessia Candito, giornalista de La Repubblica 14:30 – Talk MIGRAZIONE: LA GRANDE SMENTITA Donata Columbro, giornalista e divulgatrice della cultura statistica; Ginevra Demaio, Ricercatrice di Centro Studi e Ricerche Idos; Mariachiara Fortuna, statistica e attivista di Baobab Experience 15.30 – Talk IMPERIALISMO BIANCO E RESISTENZA Igiaba Scego, scrittrice e ricercatrice indipendente; Marta Ciccolari Micaldi, curatrice del Progetto McMusa, autrice e guida letteraria specializzata in American Studies e critica letteraria; Miguel Mellino, Professore associato e docente di studi postcoloniali e relazioni interetniche all’Università di Napoli “L’Orientale”; Djarah Kan, scrittrice e attivista femminista e culturale (TBC); David Yambio, presidente di Refugees in Libya DOMENICA 14 DICEMBRE (HACIENDA VIA DEI CLUNIACENSI, 68, ROMA) dalle 19:00 a Mezzanotte Maria Violenza Mai Mai Mai Giovanni Truppi iosonouncane
“Il libro che non C.I.E.” di Sunjay Gookooluk
Ventisei anni da “clandestino” nel nostro paese. È la storia di Sunjay Gookooluk, cittadino mauriziano arrivato nel nostro Paese e rimasto intrappolato in un’esistenza segnata dalla precarietà: la strada, il lavoro irregolare, il carcere. Un percorso di vita che, anziché spegnerlo, lo ha spinto a trasformare la scrittura in uno strumento di resistenza. Gookooluk ha cominciato a scrivere a Rebibbia, dove ha partecipato a concorsi letterari e conseguito due titoli di studio: un diploma di ragioneria e uno da artigiano mosaicista. Ma la parte più importante della sua produzione nasce nel luogo più inospitale e invisibile del sistema italiano: il Centro di Permanenza per il Rimpatrio di Ponte Galeria, a Roma, dove è stato recluso due volte. Nel CPR – l’ex CIE, simbolo di una detenzione che non è penale ma amministrativa, e che proprio per questo sfugge alla tutela giudiziaria ordinaria – Gookooluk ha scritto di nascosto. Fogli, quaderni, penne: tutto doveva essere celato agli occhi degli operatori e delle forze dell’ordine. Ne è nato un diario che racconta dall’interno ciò che raramente arriva al grande pubblico: le condizioni di vita, le umiliazioni quotidiane, il senso di sospensione e di abbandono che caratterizza questi luoghi. Quel materiale, dopo anni di lavoro editoriale, diventa finalmente un libro: “Il libro che non C.I.E. – Racconto dall’inferno di un centro di detenzione amministrativa italiano”, in uscita per la casa editrice Sensibili alle Foglie. Le curatrici e i curatori del volume sottolineano la lunga e complessa gestazione dell’opera, che ha richiesto tempo e attenzione per rispettare la forza e la vulnerabilità di una testimonianza unica nel panorama italiano. Ora, con il progetto editoriale ultimato, la pubblicazione necessita di un sostegno economico: parte una raccolta fondi per coprire le spese e permettere al libro di vedere la luce. “Ora abbiamo bisogno di un aiuto economico per coprire i costi di pubblicazione. Aiutaci a sostenere le spese!”, è l’appello che accompagna la richiesta. L’opera di Sunjay Gookooluk rappresenta una delle rare testimonianze letterarie prodotte all’interno di un CPR: dare voce a chi temporaneamente ne rimane imprigionato significa contribuire a un dibattito pubblico più consapevole sulla detenzione amministrativa in Italia. E questa pubblicazione può diventare un’occasione non solo per ascoltare una storia, ma per continuare a fare pressione per la chiusura di tutti i centri detentivi.
Solroutes: una conferenza per ripensare la solidarietà lungo le rotte migratorie
STATION 5. DE-BORDERLANDS: NAMING, GENDERING, INFRASTRUCTURING FREEDOM OF MOVEMENT Intermediate conference Negli ultimi decenni, la ricerca accademica sulla migrazione ha sempre più superato il nazionalismo metodologico. All’interno di questo cambiamento, la solidarietà è emersa sia come ideale normativo che come oggetto empirico, animata da vari attori – ovvero migranti, attivisti, reti di parentela, movimenti di base e ONG – che operano in diversi ambiti, luoghi e scale. Tuttavia, la solidarietà è ben lungi dall’essere una categoria stabile o universale; è piuttosto un campo controverso e dinamico di azione sociale e significato, profondamente radicato nelle lingue, nelle relazioni sociali di genere e nelle infrastrutture culturali, sociali e materiali. Abbiamo suggerito di concepire la solidarietà attraverso la lente di un approccio materialistico: durante quasi due anni di lavoro etnografico sul campo in Africa settentrionale e occidentale, nei Balcani e nelle aree mediterranee, i ricercatori di SOLROUTES 1 hanno cercato di esplorare come la solidarietà, in quanto energia circolante, apra percorsi e opportunità di superamento dei confini, affrontando i vincoli sempre più severi delle politiche e delle tecnologie di frontiera. La conferenza intermedia è stata convocata in risposta alla necessità di una teorizzazione plurale e situata della solidarietà, fondata sulle esperienze vissute da coloro che abitano, resistono e navigano le rotte migratorie. Inoltre, l’obiettivo è quello di presentare i risultati intermedi del progetto entrando in un dialogo teorico e metodologico con colleghi e studiosi che lavorano su argomenti simili. Per chi desidera approfondire, sono disponibili per il download il programma completo, il libro degli abstract e il programma degli eventi artistici (in lingua italiana), che accompagnano una conferenza pensata non solo come spazio accademico, ma come occasione collettiva per interrogare – e immaginare – nuove forme di solidarietà nelle migrazioni contemporanee. 1. Solroutes è un progetto di sociologia basata anche sull’espressività dell’arte. Ricerca sociologica e ricerca artistica si intrecciano per poter raccogliere e restituire al meglio i racconti e le voci dei migranti che incontriamo nelle nostre pratiche, nei loro difficili e drammatici viaggi, nei luoghi che abitano costantemente provvisori. In questi due anni abbiamo esplorato molteplici linguaggi – etnografia, scrittura, fotografia, documentario, musica, illustrazione, teatro e arte contemporanea – per costruire uno sguardo plurale e condiviso ↩︎
Controdizionario del confine. Parole alla deriva nel Mediterraneo centrale
Prefazione di Georges Kouagang Navigando in mare aperto bisogna sempre avere con sé strumenti per non andare alla deriva. Nell’oceano delle migrazioni contemporanee, solcato da fratture di classe, genere e provenienza, che come linee su una cartina tracciano confini tra chi può spostarsi comodamente e chi rischia la vita per sfidare frontiere militarizzate, anche le parole sono una scialuppa di salvataggio. L’Europa ha chiuso da anni i propri confini meridionali trasformando il Mediterraneo in un posto di frontiera, appaltandone il controllo a polizie nazionali e transnazionali o delegando colonialmente questa violenza strutturale ai governi autoritari di alcuni paesi di transito. Le persone la cui libertà di movimento è stata limitata hanno elaborato, ibridando lingue diverse o risignificando termini esistenti, un linguaggio non neutro – opposto alle retoriche occidentali criminalizzanti ed escludenti – frutto di scelte intrise di bisogni materiali, che restituisce il punto di vista di chi si sposta e il modo in cui il viaggio è vissuto, raccontato e nominato. Parole con cui chiamare alleati, luoghi e mezzi ma anche scovare nemici, pericoli e contraddizioni, descrivere forme di solidarietà e atti di violenza. Strumenti per conoscersi e riconoscersi tentando di rompere il confine. Il Controdizionario che le raccoglie è una bussola imprescindibile per chiunque voglia orientarsi nel mare delle migrazioni, intersecare le rotte e navigare insieme. * La scheda dl libro L’Equipaggio della Tanimar è composto da un gruppo di ricercatrici e ricercatori delle Università di Genova e di Parma che studia le forme di mobilità e l’abitare migrante nel regime di frontiera mediterraneo. Formato da sociologi, antropologi e giuristi, si occupa di migrazioni, immaginari e confini usando metodi etnografici, visuali e partecipativi. Dopo anni di ricerca sul confine mediterraneo, nel 2022 l’equipaggio ha navigato tra Pantelleria, Malta e le Isole Pelagie, esperienza da cui è nato il libro Crocevia mediterraneo (Elèuthera, 2023). Un secondo viaggio etnografico ha interessato, nel 2023, l’area dei porti tunisini di Kerkennah, Sfax, Mahdia e Monastir e un terzo, nel 2025, le isole dell’Egeo, tra Grecia e Turchia. Nel settembre 2025 l’equipaggio ha partecipato all’iniziativa politica f.Lotta, un’occupazione massiccia del Mediterraneo.
«Ripristinare la libertà di movimento è l’unica risposta politica alle migrazioni»
Dalla cronaca ai palcoscenici, Del Grande sfida pregiudizi e silenzi politici, proponendo una riflessione sulla libertà di movimento, il razzismo strutturale e le trasformazioni della società europea. In questa intervista, ci guida attraverso storie di viaggiatori respinti, sogni di un’Europa più aperta e l’arte come strumento di cambiamento e riflessione. Il secolo è mobile – La storia delle migrazioni in Europa vista dal futuro, monologo multimediale di Gabriele Del Grande. Un viaggio tra immagini, parole e archivi storici che racconta un secolo di migrazioni e propone una visione futura. Prodotto da Zalab in collaborazione con Cinema Zero IN QUESTO PERIODO SEI IN TOURNÉE IN NUMEROSI TEATRI ITALIANI CON IL MONOLOGO MULTIMEDIALE “IL SECOLO È MOBILE – LA STORIA DELLE MIGRAZIONI IN EUROPA VISTA DAL FUTURO”. COME STA ANDANDO QUESTA ESPERIENZA? COME STA RISPONDENDO IL PUBBLICO? Ottanta date in poco più di un anno. Teatri, cinema, piazze, scuole. Quasi ovunque sold-out. Finalmente un passaggio televisivo. Non male per uno spettacolo che parla del ripristino della libera circolazione fra le due sponde del Mediterraneo. Sono molto contento. Il pubblico porta a casa una storia, tante emozioni e una proposta visionaria. Che poi è il punto forte dello spettacolo: restituire una visione del futuro. Unica pecca? Il silenzio assordante della politica. IN CHE MODO IL RAZZISMO, INTESO COME FENOMENO STRUTTURALE RADICATO NELLE SOCIETÀ EUROPEE, CONTINUA A MANIFESTARSI OGGI E QUALI TRASFORMAZIONI HANNO CARATTERIZZATO LE SUE FORME DI ESPRESSIONE NEGLI ULTIMI DECENNI? Cinque secoli di colonialismo non evaporano dall’oggi al domani. I fantasmi del razzismo scientifico, mai elaborati, hanno determinato le politiche migratorie europee degli ultimi decenni. Sin dal 1990 la strategia del trattato di Schengen – aprire ad Est per chiudere a Sud – punta dichiaratamente a scoraggiare l’immigrazione afroasiatica per sostituirla con quella bianca e cristiana dell’Europa orientale, ritenuta più facilmente assimilabile. L’apartheid in frontiera è l’ultima forma di segregazione razziale ancora in vigore nel mondo occidentale. O davvero pensiamo ancora che sui barconi diretti a Lampedusa viaggi l’avanguardia dei disperati in fuga dal Terzo Mondo? Smettiamo di chiamarli profughi, migranti o rifugiati. Chiamiamoli viaggiatori senza visto. Perché su quei barconi viaggiano le persone respinte dalle nostre ambasciate. E perché nel ventunesimo secolo la mobilità non è più un’esclusiva della disperazione. NEGLI ULTIMI ANNI SI PARLA SPESSO DI CAMBIAMENTI CLIMATICI. SECONDO TE LE PROBLEMATICHE AMBIENTALI E I CAMBIAMENTI CLIMATICI STANNO INFLUENZANDO I MOVIMENTI MIGRATORI E, SE SÌ, IN CHE MODO? Dietro l’allarme migranti climatici si cela spesso la stessa grande paura dell’invasione. Lo ripeto: in frontiera non arrivano i disperati in fuga ma i viaggiatori respinti dalle ambasciate. Il punto è politico. Il tema non sono i drammi da cui si scappa ma l’impossibilità di viaggiare in aereo per tre quarti dell’umanità: ovvero le classi popolari di Africa, Asia e Caraibi. Possibile che ai ventenni di qua dal mare tocchi in destino l’Erasmus e ai ventenni di là una tomba sul fondo del mare? Dopodiché certo che cambiamenti climatici e crisi ambientali provocano graduali spostamenti di popolazioni, ma il grosso sono movimenti interni ai paesi, dalle campagne alle città. L’Europa non è nella testa di tutti. Basta con questa idea che là fuori c’è il Terzo mondo in fiamme, l’apocalisse dietro l’angolo e le masse di barbari pronte a partire. Tra vent’anni India e Cina saranno i paesi più ricchi del mondo. L’Indonesia siederà al G7. L’Unione africana sarà in pieno boom economico. Per non parlare della Turchia o dei paesi arabi trainati dagli investimenti delle petromonarchie del Golfo. Le cose sono più complesse delle paure della vecchia Europa. IN CHE MISURA PERSISTONO OGGI FORME DI SESSUALIZZAZIONE E RAZZISMO SESSUALE NEI CONFRONTI DELLE PERSONE NON BIANCHE E ATTRAVERSO QUALI MODALITÀ SI ESPRIMONO? È un tema di cui non mi sono mai occupato. Risparmio ai lettori commenti banali e me ne esco con una provocazione: paradossalmente talvolta anche l’esotizzazione dei corpi non bianchi può scatenare un incontro. Quante storie nascono così. Poi ci si ri-conosce e si ride dei propri pregiudizi. In fondo i rapporti aiutano più di tanti articoli o conferenze. Ahimè quanti attivisti ed esperti conosco che non hanno mai avuto un amico o un amante al di fuori dalla comfort zone della propria bianchezza. Mescolatevi ragazzi, Comincia tutto da lì. LA TUA PROPOSTA PER AFFRONTARE LE MIGRAZIONI VERSO L’EUROPA CONSISTE, IN BREVE, NEL RIPRISTINARE LA PIENA LIBERTÀ DI CIRCOLAZIONE, ATTRAVERSO IL RILASCIO DI VISTI E PERMESSI CHE CONSENTANO DI SPOSTARSI LIBERAMENTE TRA I PAESI DI TUTTO IL MONDO. COME CREDI CHE QUESTO POSSA AVVENIRE? Ripristino della libertà di movimento (come era fino agli anni Novanta), immigrazione circolare, politiche di inserimento dei nuovi arrivati con i miliardi risparmiati smilitarizzando le frontiere. I concetti sono semplici. Prima però bisogna accettare il cambiamento. Anche perché è già accaduto. Basta affacciarsi in una scuola qualsiasi. L’Italia del futuro è quella delle classi miste delle nostre elementari. La politica non è pronta ad ammetterlo? Poco importa. > I cambiamenti non arrivano dall’alto. Sono il risultato di lotte che pian > piano si fanno egemoni. Tre milioni e mezzo di persone salite su quei barconi negli ultimi trent’anni formano un movimento di massa di disobbedienza civile. Una sorta di minoranza combattiva. Alla quale appartengono anche quanti fra noi non ne possono più di contare i morti innocenti dopo ogni naufragio. Insieme dobbiamo provare a contrapporre la visione della libera circolazione alla narrazione egemone dell’apartheid in frontiera che non soltanto non è più al passo coi tempi ma ha fatto 50mila morti nel Mediterraneo! Oggi sembrano discorsi visionari ma fra trent’anni avremo tutti un pezzetto di famiglia in Nigeria, India o Marocco e saremo finalmente pronti ad aprire. Accadrà inevitabilmente ma dobbiamo darci da fare per anticipare i tempi. Perché ogni anno perduto costa migliaia di vite in mare e indicibili sofferenze per i viaggiatori arrestati sull’altra sponda come nelle nostre città. PER QUANTO RIGUARDA INVECE LA REALIZZAZIONE DELLO SPETTACOLO TRATTO DAL TUO LIBRO, CHE COSA TI HA PORTATO A SCEGLIERE IL TEATRO COME MEZZO ATTRAVERSO IL QUALE PARLARE DI MIGRAZIONI? PENSI CHE SIA UN AMBIENTE ADATTO ED EFFICACE PER NARRARE QUESTO FENOMENO ALLA SOCIETÀ? C’è sempre meno gente che legge libri e allora un libro devi imparare a raccontarlo, a usare nuovi linguaggi, in questo caso le immagini, gli archivi, lo storytelling. L’obiettivo è sempre lo stesso: dare al pubblico uno strumento in più per capire il presente e immaginare il futuro. SECONDO TE, IN CHE MODO PUÒ L’ARTE AIUTARE A RAPPRESENTARE LE MIGRAZIONI E PIÙ IN GENERALE LE DISUGUAGLIANZE? CREDI CHE POSSA DAVVERO FAR APRIRE GLI OCCHI ALLE PERSONE, PROPONENDO UN PUNTO DI VISTA DIVERSO? L’arte non soltanto ha il potere di raccontare il reale ma anche quello di immaginare mondi che ancora non esistono e di farceli desiderare. Il problema è che spesso gli artisti, così come i giornalisti, si limitano a riprodurre cliché. Specie su questi temi che richiedono un lungo lavoro di decolonizzazione del proprio immaginario. Fortunatamente però ormai si sta affacciando sulla scena una nuova generazione di artisti e giornalisti figli delle migrazioni, con una sensibilità tutta nuova e molte lingue in testa. Il rimescolamento delle carte è in atto. Serviranno una o due generazioni. Ma alla fine accadrà inevitabilmente anche qua ciò che sta accadendo in Francia, Gran Bretagna o Germania. Benvenuti nella nuova Europa.
Nomi criptati dal concetto di razza. Tipologie e caratteristiche
Con chiarezza d’intenti e cura documentaristica, Oiza Q. Obasuyi 1, studiosa di diritti umani e dottoranda di ricerca all’università di Bologna, ne Lo sfruttamento della razza. Le nuove gerarchie della segregazione, edizione Derive Approdi 2025, incrocia i corpi il cui colore della pelle non è l’elemento centrale della distinzione, bensì qualcosa di più ampio, un campo di possibilità illimitato. Una realtà incarnata da Soumaila Sacko, Moussa Balde 2, Satnam Singh, Saman Abass, testimoni di una maggioranza di corpi – tra etnia, nazionalità, cultura e religioni – che il capitalismo – costituzionalizzando i principi di qualunque politica economica – nella sua indissolubile unione con colonialismo e razzismo cripta nel concetto di razza. Nell’analisi dei suoi contenuti, la crisi dei rifugiati, a cui l’immigrato partecipa, concorrendo a creare “spostamenti funzionali nei campi discorsivi 3“, rafforza il razzismo, già innato nella vita italiana 4. Declinati, dunque, i flussi migratori in una gestione emergenziale, il migrante internazionale – citando Fanon – forgia il soggetto occidentale moderno ponendosi come sintesi passiva su cui si edificano tutte le sintesi attive. A sorreggere quest’impianto, nei rilevamenti svolti dall’autrice, un moltiplicarsi di frontiere, esterne ed interne – né naturali né eterne – che realizzano un ‘doppio regime giuridico’, come un cortocircuito interno alla democrazia, che, approfonditamente, si svolge con, attraverso e contro l’umanità. Un compito di traduzione, quello dei diritti, nel ‘terzo spazio’ dell’Unione Europea – spazio di laboratorio – che, all’indomani della condanna dell’omicidio razzista di George Floyd, accoglieva la migrazione dall’Ucraina e, in contemporanea, discriminava alla frontiera cittadini e cittadine afro-asiatici lì residenti smascherandone le deformità morali (p.33). Corpi, in effetti, su cui regna sovrano il punto di vista coloniale e su cui si annida un continuum di intrecci di poteri: schedati come non controllabili malgrado il regime classista dei visti e la marketizzazione della cittadinanza (p. 48); catalogati come un flusso anonimo a dispetto della multi causalità e multi direzionalità delle migrazioni; classificati senza spessore umano allorquando si esternalizzano le frontiere; si rinnova il memorandum con la Libia e i suoi lager; si finanziano i pick up bianchi Nissan Navara 4 e, con essi, gli stupri da parte della autorità tunisine a cui l’Unione Europea eroga denaro. Azioni, per cui cala il numero dei migranti ed aumentano i crimini contro l’umanità (p. 21). Vite, dunque, costituite, in partenza, nei ‘singoli modi, atti e processi’ 5 come possibilità di vita: fluide (per la maggioranza) e inchiavistellate (per la minoranza). In un’ottica di giustizia – privata – volta alla difesa della popolazione bianca (p.86), sanatorie; la Turco Napolitano; la Bossi Fini; i click day “una vera e propria lotteria”; il ricorso alla detenzione non solo ai fini dell’espulsione ma anche dell’accoglienza (p. 17) 6 si sono prestati ad individuare caratteristiche insidiose e ad ordinare classi e soggetti socialmente pericolosi nell’orizzonte totalizzante della Crimmigration (criminilitation of immigration). Parimenti, in nome del securitarismo, il business della permanenza (p. 90) voluto dai decreti sicurezza prima e da quello Cutro poi – ha portato le Prefetture a gare d’appalto per un costo pari a 56 milioni di euro per la gestione da parte dei privati dei CPR presenti sul territorio, a fronte di un residuo 10% di trattenuti effettivamente rimpatriati nel 2023. Una permanenza che, estendendosi alle questure e alle loro illegittime prassi e richieste, ha prodotto interminabili file di attesa, quasi a riabilitare una strategia di logoramento, capace di stremare i nemici 7. Nell’indagine su sfruttamento, gerarchia e segregazione – come descrive Obasuyi – centrale è ripensare ai confini non più in termini fissi, ma in termini di una serie di pratiche che si sviluppano in multiple azioni, attraverso cui l’effettività del potere passa da un livello stato-centrico ad uno multi-centrico costituito da più e diversi attori. Pertanto, dal Niger a Cutro 8 passando dall’Albania, le logiche di sicurezza internazionale hanno incentivato procedure di law enforcement e articolato paesaggi di bordescape 9, entro cui, per la letteratura a riguardo, imprescindibile è la discrezionalità degli agenti, dalle cui prassi si edifica il concetto di deportabilità. Inoltre, dispositivi misti, di ordine amministrativo e penale, confinando il campo di possibilità che realizza la vita nella sua dimensione progettuale, hanno formalizzato l’apartheid de facto (p. 72) producendo, oltremodo, meccanismi di proliferazione razziale come dispositivo che mette “le persone nere nella condizione di avere maggiore probabilità di essere uccise rispetto a quelle bianche” (p. 107). Per un colpo partito dalla Beretta calibro 22, Youns El Boussettauoi cadde esangue a Voghera e per tre colpi partiti da una pistola d’ordinanza Moussa Diarra morì a Verona. Hossain Faisal, Moussa Balde, Ousmane Sylla, Gill Singh, Luigi Coclite, Mohamed El Farhane, Mohamed Toukabri, Bouzekri Rahimi, Taoufik Haidari, Saman Abbas diventano, dunque,nomi che sfruttano la nozione di razza mai esistita. Vite costruite e rese funzionali all’uso del costruttore, espunte, il cui spazio – mentale e fisico – di mobilità, accesso occupazionale, assistenza sanitaria, alloggio, nazionalità – quest’ultima in grado di “sopprimere la realtà delle reazioni sociali concrete, il lavoro, l’amicizia, gli affetti” – è fissato 10 da strateghi del dominio a tutto spettro 11. A tal riguardo – riprende la scrittrice – eliminando le diseguaglianze strutturali, Saman Abbas avrebbe potuto proseguire gli studi e si sarebbe potuta rendere giustizia alle tante vittime sul lavoro. Nell’intersezione tra razza, classe e genere, di cui si avvale il razzismo di Stato, i confini, nelle loro porosità 12, rimangono, dunque, funzionali al filtraggio e alla stratificazione sociale, capaci di selezionare e segmentare la forza lavoro del migrante uomo in lavori 3D (dirty, dangerous, demeaning) o in essential worker – come visto durante la pandemia Covid 19 – e la forza del migrante donna in lavori 3C (cooking, cleaning and caring). A confermare che il “confinare non sia un’azione, ma un’interazione”, l’ultima direttiva UE sulla violenza domestica(2024/1385) esclude dalla protezione le donne migranti prive di documenti, mentre, in Italia, l’applicazione dell’art. 59 della Convenzione di Istanbul contro la violenza di genere è successivo solo al permesso di soggiorno e ad una violenza che può definirsi tale solo se è continuativa (p. 124), relegando il fenomeno nella cronaca nera, declassato nel privato 13 A New York, nel 1741, marinai e schiavi fraternizzzavano, nonostante gli sforzi delle autorità di criminalizzare e prevenire le adunanze […] le bande multietniche venivano denunciate come un’idra dalla molte teste 14. L’omicidio di Jerry Essan Masslo a Villa Literno portò al primo sciopero dei lavoratori contro il caporalato, al blocco dei raccolti nei campi e, il 7 ottobre 1989, alla prima manifestazione antirazzista nazionale che inglobò 200.000 persone 15. Ciò significa – menzionando Bartoli– che si possono inventare e istituzionalizzare nuove razze rispetto a quelle che ci ha consegnato il XX secolo, se nuovi tratti distintivi diventano elemento di insuperabile alterità 16. Nel corso degli anni, le violenze degli argini hanno ingrossato le acque del fiume, come attestano le chilometriche manifestazioni abitate da donne, etiopi, marocchini, somali, filippini, immigrati regolari ed irregolari, italiani malpagati e sfruttati, studenti e studentesse, colf e badanti, rider, cristiani e musulmani, laici e religiosi, volontari, bambini e bambine, sempre più numerosi espropriati della vita, nelle cui fila si confondono le nuove gerarchie della razza. Una motley crew 17, una “squadra multietnica”, composta da “persone che eseguono uno stesso compito o diverso allo stesso fine” , un “movimento dal basso”, che, allora come oggi, “fa luce sull’intersezionalità come prassi critica e getta luce sul lavoro di giustizia sociale (p. 114)”, compatibile con un quadro sostenibile di diritti. E quei nomi dobbiamo ricordarli almeno finché esisteranno potenti e oppressione da combattere 18. Approfondimenti/Arti e cultura PERCHÉ L’ITALIA È UN PAESE RAZZISTA Il libro di Anna Curcio che distrugge il mito degli "italiani brava gente" Vanna D’Ambrosio 31 Marzo 2025 1. (Ancona, 1995) è una studiosa di diritti umani, migrazioni, diaspore afrodiscendenti e razzismo sistemico. Attualmente è dottoranda all’Università di Bologna. Ha collaborato con varie testate giornalistiche, tra cui «The Vision» e «Internazionale». Il suo primo libro è stato Corpi Estranei (People, 2020), in cui decostruisce gli stereotipi sessisti e razzisti filtrati attraverso il vissuto di una donna italiana afrodiscendente. Consulta la pagina autrice di Oiza Q. Obasuyi su Melting Pot ↩︎ 2. Processo per la morte di Moussa Balde: il Cpr di Torino come «uno zoo», Il Manifesto (24 ottobre 2025) ↩︎ 3. G. C. Spivak, In other worlds: essays in cultural politics, Melthuen, 1987 ↩︎ 4. Si veda Gobineau, Lombroso, Lidio Cipriani. Tra la fine del ‘700 e gli inizi dell ‘800 fu tutto un proporre tabelle e tassonomia relative alla diverse gradazioni di sfumature tra europei e africani ↩︎ 5. Cfr. D. Fassin, Le vite ineguali. Quanto vale un essere umano, Feltrinelli, 2019 ↩︎ 6. In ultimo, il D.L. 18/2025 (Ddl 1660) ha introdotto nuovi reati e inasprito quelli già esistenti, anche nei centri di accoglienza e nelle carceri ↩︎ 7. Il 28 gennaio 2025, un cittadino rumeno fu trovato senza vita davanti all’Ufficio immigrazione di Roma, deceduto, presumibilmente, per ipotermia. Molti che cercano di ottenere un permesso di soggiorno, già dalla notte, e a volte con le tende, si preparano all’attesa ↩︎ 8. A Cutro, nella notte tra il 25 e il 26 febbraio 2023, le attività di soccorso furono rimpiazzate da azioni di polizia e di contrasto all’immigrazione clandestina. Dei 180 a bordo, sono 94 i morti in mare, di cui 34 bambini ↩︎ 9. Questa concetto enfatizza come i confini siano prodotti di relazione di potere e in quanto tali, spazi soggetti a continue negoziazioni e permeabilità ↩︎ 10. A. Dal Lago, Non Persone. L’esclusione dei migranti in una società globale, Feltrinelli, 2004 p. 207 “In breve, sono le norme relative alla cittadinanza che fanno di qualcuno una persona e non viceversa” ↩︎ 11. J. Pilger, I nuovi padroni del mondo, Fandango, 2002, p. 119 ↩︎ 12. Vedi S. Mezzadra, B. Neilson, Confini e Frontiere. La moltiplicazione del lavoro nel mondo globale, 2014. Più che frontiere chiuse, l’Europa ha un sistema di confini porosi capaci di selezionare la forza lavoro migrante ↩︎ 13. M. Rediker, I ribelli dell’Atlantico. La storia perduta di un’utopia libertaria, p.233 ↩︎ 14. M. Rediker, I ribelli dell’Atlantico. La storia perduta di un’utopia libertaria, p.233 ↩︎ 15. Jerry Essan Masslo ↩︎ 16. C. Bartoli, Razzisti per legge. L’Italia che discrimina, Editori Laterza, 2012, p. 53 ↩︎ 17. Con motley crew si faceva riferimento o ad un gruppo di persone che eseguiva uno stesso compito o un compito diverso ma allo stesso fine lungo la strada della cooperazione oppure ci si riferiva ad una formazione sociopolitica del porto e della città del XVII secolo dove si connettevano la massa urbana e la folla rivoluzionaria. Una squadra multietnica che modellò la storia sociale, ad esempio, promuovendo l’abolizionismo e lanciando il panafricanismo. Nel corso del tempo il significato della squadra si fece politico quando la Motley Crew, muovendosi da terra a mare, si univa alle comunità del porto, configurandosi come elemento di “sincronizzazione o di coordinazione effettiva tra le sollevazioni del popolo della citta portuale”. Cfr. M. Rediker, I ribelli dell’Atlantico. La storia perdua di un’utopia libertaria, Feltrinelli, 2008. ↩︎ 18. M. Rediker, Canaglie di tutto il mondo, Eleuthera, 2020 ↩︎
Contro l’integrazione. Ripensare la mobilità
Che importanza assume oggi la parola “integrazione”? 1 Nel dibattito sull’immigrazione occupa una posizione centrale: è penetrata nel senso comune ed è presente nei discorsi istituzionali, nelle agende politiche e nelle azioni pubbliche. Il suo uso è però problematico, perché presuppone una separazione culturale netta tra persone “autoctone” e straniere, facendo apparire le seconde come potenziali minacce alla sicurezza nazionale. Inoltre, il concetto di “integrazione” sembra descrivere in modo neutro il rapporto tra cittadini e non cittadini. Le norme che regolano le modalità di inclusione e, più in generale, il movimento delle persone appaiono in questa accezione “naturali” e non come il frutto di processi storici, spesso conflittuali. Il volume intende muovere una critica radicale all’idea di integrazione, sia in termini epistemologici sia da una prospettiva politica, con l’obiettivo di decostruire l’immaginario giuridico e materiale alla base del governo della mobilità e di de-naturalizzare lo sguardo sulle migrazioni. Enrico Gargiulo è professore associato presso il Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università degli Studi di Torino, dove insegna Sociologia generale e Integrazione e valutazione delle politiche. Si occupa di cittadinanza, politiche di integrazione, polizia e strumenti di governo delle popolazioni. 1. L’elefante nella stanza si chiama integrazione. Intervista con Enrico Gargiulo, Francesco Ferri (Dinamo Press, 9 ottobre 2025) ↩︎
Contro la detenzione: prospettive transfemministe e abolizioniste
a cura di Collettiva Psicologia Anticarceraria 1, Maldusa e radio alquantara Beatrice Tagliabue, Camilla Ponti, Camille Gendrot, Claudia Spagnulo, Deanna Dadusc, Federica de Cordova, Francesca Esposito e Francesca Leone Musica: La gang del sottobosco La Collettiva Psicologia Anticarceraria, Maldusa e radio alqantara hanno appena lanciato una nuova serie podcast, basata su un percorso di autoformazione collettiva, tenutosi nella primavera 2025. Gli episodi sono tutti ascoltabili scaricando il file MP3 dal sito di Maldusa o sul canale Spotify di radio alqantara In questo percorso abbiamo voluto creare uno spazio di approfondimento e scambio tra realtà in lotta contro la detenzione amministrativa e i regimi di confinamento, contestualizzando queste lotte in un ecosistema più ampio di movimenti abolizionisti transfemministi in lotta contro il complesso carcerario-industriale in tutte le sue forme, da carceri, a CPR a istituzioni psichiatriche e luoghi di (in)accoglienza. Spesso, ci troviamo a navigare tensioni e contraddizioni: da una parte la necessità di portare solidarietà immediata alle persone detenute, documentare e visibilizzare le violenze a cui sono soggette e contestare le condizioni disumane che caratterizzano questi luoghi. Dall’altra, il rischio, spesso inconsapevole, è quello di andare a sostenere e rinforzare pratiche, immaginari e linguaggi che, anche se indirettamente, legittimano o riproducono le stesse forme di violenza e istituzioni contro cui lottiamo. Questo percorso vuole mettere in conversazione realtà con esperienze diverse per interrogarci insieme su questi temi, condividere strategie, conoscenze e pratiche che contribuiscano alla nostra “cassetta degli attrezzi” e che ci permettano di abitare queste contraddizioni, e di elaborare risposte collettive. Il percorso è strutturato in cinque episodi.  Nell’episodio introduttivo, le organizzatrici del corso contestualizzano i concetti chiave intorno ai quali ruotano le domande e conversazioni che informano l’intero percorso. Ci interroghiamo sul significato di prospettiva transfemminista abolizionista nell’affrontare la lotta contro la detenzione e ci soffermiamo sul legame necessario tra lotte anti-carcerarie e lotte contro le frontiere, e contro tutti i sistemi e le pratiche che ci dividono in categorie binarie che riproducono forme di sfruttamento, dominio e apartheid.  * Quali sono le continuità tra la violenza di frontiera, la detenzione amministrativa e il complesso carcerario-industriale? * Perché l’abolizionismo è una questione transfemminista, e perché il transfemminismo è necessariamente abolizionista? L’episodio è interamente in lingua italiana. 2. Nel secondo episodio, in conversazione con Basma di Captain Support UK e Aminata di AVID – Association of Visitors to Immigration Detainees, affrontiamo una discussione complessa ma fondamentale sulle pratiche di solidarietà diretta verso le persone colpite dai sistemi carcerari. Riflettiamo su come queste pratiche siano al cuore di ogni lotta abolizionista che non si limita a rivendicare la chiusura delle istituzioni della violenza (carceri, CPR, istituzioni psichiatriche, ecc.), ma mira a sovvertire le condizioni stesse che ne giustificano l’esistenza, per immaginare e costruire collettivamente mondi diversi. Insieme a Basma e Aminata, ci chiediamo come navigare tra le diverse temporalità della lotta abolizionista: da un lato, l’urgenza delle istanze delle persone incarcerate, che chiedono libertà e dignità nel qui e ora; dall’altro, i percorsi di lungo periodo necessari a smantellare i sistemi che continuano a soffocare le nostre vite. Ci interroghiamo anche su un nodo cruciale: mentre costruiamo infrastrutture collettive basate sulla libertà e sulla dignità di tutte le vite, è giusto – e necessario – lottare per riforme radicali che abbiano un impatto immediato sulle esistenze di chi è intrappolatǝ nelle maglie di queste istituzioni? E, se sì, come distinguere tra riforme riformiste (che rischiano di rafforzare e legittimare i meccanismi di violenza che vogliamo abolire) e riforme non riformiste, che invece sfidano le relazioni di potere e aprano spazi di trasformazione rivoluzionaria? Questi sono gli interrogativi, e le inquietudini, che questa conversazione mette sul tavolo, come invito a continuare il dibattito e la costruzione collettiva di alternative utopiche al reale. Domande: * In che modo esercitare la solidarietà diretta senza rafforzare e legittimare le istituzioni e i meccanismi di violenza contro cui stiamo combattendo? * Come navigare la tensione tra riforma e abolizione dei sistemi detentivi e carcerari? * Qual’è la relazione tra la solidarietà diretta e la lotta abolizionista? * Come abitare le diverse temporalità di lotta, spesso divise tra la necessità immediata di sostenere persone detenute, e percorsi più a lungo termine per smantellare i sistemi che le incarcerano? L’episodio è in parte in lingua inglese. 3. Nel terzo episodio (on line martedì 14 ottobre), parliamo del contro-monitoraggio e della contro-mappatura. Infatti, nelle nostre azioni, come possiamo rendere visibile la violenza istituzionale, dalle prigioni ai confini, senza riprodurre e rafforzare le strutture di distinzione e di dominio statale? Il rischio infatti, quando ci impegniamo in progetti di contro-mappatura e contro-documentazione della violenza dei confini nelle sue varie forme e manifestazioni è talvolta quello, senza volerlo o rendersene conto, di divenire “complici del rafforzamento di concezioni di “alterità” abietta, mentre cercano di sfidarla”2. Le voci che hanno portato avanti la discussione sono quelle di due compagnǝ che hanno – nella loro vita – esperienza diretta della violenza del complesso carcerario-industriale:  Sunjay, autore della poesia «L’aquila» e David di Unchained Collective. A seguire, Chiara della Rete anti-confinamento Sicilia e Valentina della Coalizione Italiana Libertà e Diritti Civili-CILD.  * Cosa significa contro-mappare e contro-documentare la violenza in ottica transfemminista abolizionista? * Quali diverse pratiche di contro-mappatura e contro-documentazione esistono? * Quali i rischi di riprodurre logiche di deumanizzazione o di alterità razzializzata che stanno alla base delle forme di violenza che vogliamo contrastare nelle rappresentazioni che portiamo, anche se con lo scopo di contestarle? * Quali sono le forme di narrazione e di resistenza delle persone detenute o soggette alla violenza dei regimi di confinamento? * In che modo queste contro-narrazioni e contro-documentazioni della violenza differiscono da quelle spesso usate dai gruppi solidali, come il monitoraggio e le ispezioni? In che modo queste differenti pratiche possono dialogare e trovare terreni ibridi comuni? L’episodio è in parte in lingua inglese. 4. Nel quarto episodio (on line martedì 21 ottobre), la riflessione si è strutturata intorno all’intersezione fra violenza sanitaria e violenza necropolitica dei regimi di confinamento, in contrasto alla strutturazione di pratiche di cura abolizioniste e decoloniali esterne – collettività solidale e lavoratorǝ del campo psico-sociale e medico/sanitario – e interne – persone detenute e forme di resistenza come fattore di protezione per la propria salute. Abbiamo avuto il piacere di avere con noi in questo cerchio di dialogo la Collettiva Psicologia Anticarceraria, Latinx Therapist Action Network, Medical Justice e una medica rappresentante della campagna di non idoneità alla vita all’interno dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio.  * Cosa significa salute, trauma, medicalizzazione di problemi strutturali e significato politico del trauma? * Come la violenza dei regimi di confinamento si interseca con la violenza sanitaria e umanitaria, e in che modo possiamo opporci e rendere visibili queste intersezioni? * Quali esperienze di documentazione e denuncia della violenza sanitaria in detenzione e quali pratiche di autogestione e rivendicazione della salute da parte delle persone incarcerate/detenute? * Come praticare forme di cura abolizionista contro la violenza necropolitica dei regimi di confinamento? L’episodio è in parte in lingua inglese. 5. Nel quinto episodio, Jalila Taamallah – madre e compagna di Mem.Med – e Mariama Sylla – sorella di Ousmane Sylla, morto in CPR – dialogano sugli effetti che la violenza di frontiera e il complesso carcerario-industriale hanno sulle famiglie e sulle comunità di supporto. Le lotte delle e dei familiari delle persone detenute, di quelle rinchiuse nei centri per il rimpatrio o di quelle scomparse o uccise dalla violenza del regime di frontiera, si intersecano nella denuncia della disumanizzazione e dell’arbitrarietà dei sistemi di reclusione, condividendo la rivendicazione di dignità, diritti e giustizia. Costruire reti comuni tra familiari e attivistǝ significa creare spazi di ascolto, solidarietà e formazione, capaci di trasformare il dolore individuale in forza e rabbia collettive.  * Quali sono gli effetti della violenza di frontiera e del complesso carcerario-industriale su famiglie e comunità di supporto? * In che modo le lotte dei familiari delle persone detenute in carcere e nei CPR si intersecano? * Come costruire rete tra familiari e attivismo per delle lotte condivise? * Come sostenere forme di solidarietà nei confronti di famiglie che sperimentano direttamente la violenza dei confinamenti? * Come sviluppare delle idee/pratiche di giustizia condivise e alternative alla giustizia dello stato? L’episodio è in parte in lingua francese. Il percorso si è tenuto in presenza presso Maldusa Palermo e online. Ogni sessione è stata registrata per produrre una serie podcast. La musica è scritta e registrata da La gang del sottobosco.  1. Leggi: «La psicologia non sia complice» ↩︎ 2. Leggi: (In)visibilizzare la violenza. Bianchezza e rappresentazioni nelle strutture in solidarietà con le persone in movimento, Deanna Dadusc e Jasmine Iozzelli ↩︎
“Sconfinati Fest! 2025”: una giornata per ripensare i confini
Sabato 18 ottobre 2025, negli spazi di Mosso (Via Angelo Mosso 3, Milano), si terrà la seconda edizione di Sconfinati Fest!, un evento gratuito che si protrarrà dalle 11:00 alle 23:00 e che propone dibattiti, laboratori, performance e momenti conviviali attorno ai temi dei confini – geografici, culturali, sociali – e della libertà di movimento. L’iniziativa è promossa da Naga, realtà attiva da tempo nei campi dell’accoglienza, salute, inclusione e diritti delle persone migranti. In questa seconda edizione, Sconfinati Fest si propone di contribuire a uno spazio pubblico di confronto, riflessione e festa, con l’obiettivo di “scardinare” barriere – materiali, simboliche o mentali – che impediscono libertà, cura e comunità. Il programma completo Temi e programma Il palinsesto della giornata è pensato per attraversare tre macro-temi che oggi risultano imprescindibili: Confini e Sicurezza; Confini e Salute; Confini e Identità. Tra gli appuntamenti in programma, si susseguono talk, conversazioni con esperti, momenti partecipativi e laboratori. Si affronteranno questioni quali il diritto alla salute per tutte le persone – indipendentemente dallo status giuridico -, il nodo delle leggi di frontiera, l’esperienza soggettiva dell’identità in contesti migratori. Sconfinati Fest! non è un semplice evento culturale, ma un invito ad attraversare – anche simbolicamente – le frontiere che disciplinano chi può entrare e chi resta fuori, chi ha accesso al diritto alla cura e chi rimane escluso, chi viene considerato cittadino “legittimo” e chi no.
Waives’ Stories: un cortometraggio sulla violenza dei confini
> Nel rispetto di tutte le persone schiacciate dai confini, > che il mare sia testimone di vita. Waives’ Stories è un cortometraggio che vuole mostrare come i confini continuino ripetutamente ad esercitare violenza sulle persone, schiacciandole e respingendole. È una creazione che vuole mantenere i riflettori sulle violazioni create da accordi, finanziamenti, e politiche, ed evidenziare la soggettività di ogni persona che affronta viaggi inimmaginabili attraversando interi continenti. Abbiamo raccolto diverse storie in Tunisia e riflettuto soprattutto sulle stragi, incrementate dall’esternalizzazione dei confini europei, che avvengono continuamente nel Mar Mediterraneo (ma non solo), ormai sempre più spazio di morte invece che di condivisione. Unendo passione per lo stop-motion e consapevolezza sociopolitica di questa violenza sistemica, Waives’ stories è un invito a fermarsi e ascoltare, dando valore ad ogni vita riportata dal mare. Aurora Suma (storywriter) and Rabii Gobji (regia e animazione)