Tag - Arti e cultura

Lotte Baye Fall – Solidarietà contro il colonialismo, le frontiere e le prigioni
DEANNA DADUSC, MADIEYE DIEYE, BARABARA GRISANTI, CHEIKH SENE “Capitani, scafisti, detenuti, migranti, rifugiati. Veniamo chiamati tanti nomi, e tante persone ci vedono solo attraverso queste etichette, nel bene e nel male. Questa serie podcast è il risultato di un 

percorso di formazione su lotte, solidarietà e filosofia Baye Fall, in cui tentiamo di proporre nuovi linguaggi e immaginari che mettono al centro il nostro sguardo e la nostra esperienza, e far capire che la nostra esistenza, le nostre lotte e le nostre pratiche di solidarietà hanno una storia che precede il momento in cui cominciamo ad esistere agli occhi europei. Prima di diventare migranti, capitani, detenuti siamo stati e continuiamo a essere movimenti di solidarietà e resistenza, con una filosofia, religione e spiritualità profonde, nonostante tutti i tentativi, correnti e storici, di disumanizzarci, reprimerci e incasellarci in etichette o prigioni”. L’associazione “Ragazzi Baye Fall a Palermo” è un’associazione basata sui principi della solidarietà e del mutuo supporto ed è composta da difensori dei diritti umani provenienti dal Senegal e dal Gambia, molti dei quali lavoravano come pescatori e, vista la loro conoscenza del mare, sono diventati conducenti delle imbarcazioni che li hanno portati in Europa. Per questo sono stati criminalizzati come capitani/scafisti. In un contesto politico in cui le leggi e le politiche di frontiera vengono spesso messe in discussione dalla società civile, le persone migranti nel mirino di queste leggi continuano a essere de-umanizzate e la loro voce politica è spesso silenziata o filtrata. A parte alcune eccezioni i saperi e le memorie delle persone che migrano e di quelle criminalizzate sono messe a tacere da narrazioni neo-coloniali e euro-centriche che tendono a essenzializzare come vittime o criminali piuttosto che come attori politici. Diventa quindi necessario riportare al centro delle lotte la voce e le narrazioni di chi questa violenza la ha vissuta sulla propria pelle, per formulare analisi che de-centrino i punti di vista nati da prospettive Europee ed eurocentriche.  Per questo, in collaborazione altre realtà 1, i Ragazzi Baye Fall hanno organizzando un percorso di formazione che ha seguito le storie e le memorie delle persone Baye Fall a partire dalle pratiche di espropriazione coloniale e di resistenza in Senegal e Gambia fino alle lotte contro la criminalizzazione in Europa. Il percorso è stato pensato come strumento per evidenziare e valorizzare la capacità di analisi, le forme di solidarietà e il potere politico delle persone che sono direttamente colpite da leggi, pratiche e discorsi che le confinano, le discriminano e le incarcerano. Il tentativo è quello di smettere di essenzializzare le persone migranti assecondando etichette e categorie prodotte dal regime di frontiera europeo, e dalle forme di apartheid razzista che esso sostiene, al fine di produrre immaginari e linguaggi che possano situare la criminalizzazione delle migrazioni all’interno di più ampi percorsi geografici, storici e (anti)coloniali delle persone che migrano, a partire dalla decostruzione di categorizzazioni binarie tra criminale/vittima, così come l’antitesi migrante/salvatore, che dominano il linguaggio non solo degli attori politici che criminalizzano, ma anche di coloro che difendono le persone migranti. Nel primo episodio parliamo della storia e della filosofia Baye Fall, nata da pratiche di resistenza anti-coloniali in Senegal, e centrata su modi di vita solidali, e di mutuo-aiuto. Parliamo di come Cheikh Amadou Bamba è stato criminalizzato, esiliato e incarcerato per essersi opposto alle leggi dei coloni francesi che volevano proibire le pratiche spirituali e religiose senegalesi. Una repressione che però non ha piegato ma al contrario ha amplificato le sue lotte, trasformandole in un movimento di lotta anti-coloniale e spirituale che ad oggi è uno dei più grandi del Senegal e diffuso in tutta la diaspora.  Ci siamo poi spostati a Lampedusa per condividere, insieme alle persone che si occupano di pesca sull’isola, un’analisi delle pratiche di vita e di sussistenza legate al mare, e dei processi neocoloniali di sea-grabbing/saccheggio del mare da parte di enti Europei che hanno portato alla necessità di intraprendere un percorso migratorio.  Siamo tornati a Palermo per un approfondimento sulla solidarietà Baye Fall innescata durante il processo migratorio, forme di solidarietà e auto-organizzazione che spesso vengono criminalizzate con l’etichetta di “facilitazione dell’immigrazione clandestina”. Da qui, abbiamo dato spazio a riflessioni sulla criminalizzazione delle persone che hanno guidato le imbarcazioni verso l’Europa, situando tale analisi all’interno di un percorso storico e politico di cui abbiamo precedentemente evidenziato le matrici (neo)coloniali. Le forme di solidarietà migrante e Baye Fall però, non si sono fatte fermare dal carcere.  Il percorso si è tenuto in presenza presso Maldusa Palermo (con l’eccezione di una sessione a Lampedusa – il 14 aprile). Ogni sessione è stata registrata per produrre una serie podcast. Le musiche e i canti Baye Fall sono state registrate a Lampedusa, durante l’evento sulla pesca e sul furto del mare. Di seguito potete trovare gli episodi o sul canale Spotify di radio alqantara, o scaricando il file MP3 dal sito di Maldusa. Sito Maldusa per Scaricare MP3 Spotify radio alqantara  Sito Ragazzi Baye Fall 1. Il progetto è stato realizzato con il supporto di un fondo di UK Art and Humanities Research Council (AHRC), gestito da Dr. Deanna Dadusc, School of Humanities and Social Science, University of Brighton. Il percorso è stato ideato e sviluppato in una collaborazione tra i Ragazzi Baye Fall, FAC research, Maldusa e radio alqantara. Un ringraziamento speciali ai membri dei Ragazzi Baye Fall che hanno sia partecipato al percorso, sia contribuito alla sua ideazione e sviluppo: Amadou Niang, Assane Seck, Bacary Sagna, Cheikh Sene, Djibril Badji, Lamine Diop, Madieye Dieye, Mor Diop e Sini Ndiaye. Un ringraziamento speciale anche all3 attivist3 di Maldusa e radio aqantara che hanno collaborato alla creazione del percorso e alla realizzazione della serie podcast: Barbara Grisanti, Beatrice Tagliabue, Chadli Aloui, Claudia Spagnulo, Giuliana Spera and Sara Biasci ↩︎
Festival delle Migrazioni, un bilancio della settima edizione
Cinque giorni intensi, oltre trenta eventi, cento ospiti e più di cinquemila presenze. Con un sold out emozionante al Palestinian Circus, che ha portato in scena le storie quotidiane sotto occupazione con danza, musica, teatro e acrobatica, si è chiusa a Torino la settima edizione del Festival delle Migrazioni (10-14 settembre), dedicata al tema Il cuore oltre l’ostacolo. Notizie/Arti e cultura IL PROGRAMMA DEL FESTIVAL DELLE MIGRAZIONI 2025: «IL CUORE OLTRE L’OSTACOLO» A Torino dal 10 settembre cinque giorni di incontri, arte, teatro, cinema e letteratura 9 Settembre 2025 Un gesto politico e poetico che ha attraversato incontri, spettacoli, laboratori e momenti conviviali, e che ha confermato ancora una volta il Festival come spazio di confronto vivo, capace di unire linguaggi artistici e riflessione critica. La rassegna ha dato spazio a conflitti e resistenze che attraversano il presente: Monica Perosino e Anna Zafesova hanno discusso dello stato della guerra in Ucraina; Moni Ovadia ha dialogato con Noor Abo Alrob (direttore artistico del Palestinian Circus) e con Miriam Ambrosini di Terre des Hommes sulle lotte in Palestina; Antonella Sinopoli ha raccontato con Black Sisters e AfroWomenPoetry le voci delle donne dell’Africa sub-sahariana; Boban Pesov ha riportato, attraverso il graphic novel C’era una volta l’Est, il tema delle radici e delle memorie divise. Un’attenzione particolare è stata dedicata alle esperienze delle donne: dalle opere di Parnian Javanmard, artista iraniana che interroga i concetti di casa e identità, alla poesia di Samira Fall, fino alle storie delle vincitrici del Concorso Lingua Madre, che raccontano la complessità delle appartenenze multiple. Il Festival non è stato solo parola e riflessione. Teatro, musica, cinema e linguaggi ibridi hanno attirato un pubblico curioso e partecipe. Tra le novità, la performance Stupefacenti, l’anteprima assoluta di Ceci n’est pas Omar di Omar Giorgio Makhloufi e l’esperienza multimediale Audiowalk Borgodora. Grande successo anche per i workshop, dai laboratori sull’attivismo intersezionale e sulla costruzione artigianale di tamburi, fino al Migrantour a Porta Palazzo. Il momento più corale è stata la Cena delle Cittadinanze, che ha visto 700 persone condividere piatti e storie, seguita dal concerto dei The Brothers’ Keepers. Parallelamente, diverse mostre hanno accompagnato l’intera durata del Festival, dando spazio a fotografi, collettivi e artisti rifugiati. L’appuntamento con l’ottava edizione del Festival delle Migrazioni è fissato a settembre 2026. Un tempo che servirà a consolidare il percorso costruito in questi anni e a rafforzare la rete di realtà artistiche, sociali e associative che hanno reso possibile questa esperienza. Il Festival è ideato e organizzato da Almateatro e A.M.A. Factory, con il sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo, del Ministero della Cultura – Direzione Generale Spettacolo, della Città di Torino, di Legacoop Piemonte e Iren, oltre a un’ampia rete di partner e collaborazioni che include associazioni, media indipendenti, fondazioni e collettivi. In un contesto politico e sociale in cui le migrazioni sono spesso ridotte a slogan e paure, il Festival delle Migrazioni ribadisce la necessità di creare spazi di ascolto, racconto e incontro. Un luogo dove le persone in movimento non sono oggetti di narrazione, ma soggetti che prendono parola attraverso l’arte, la memoria e la testimonianza. Un laboratorio di cittadinanza e di diritti che guarda già al 2026 per continuare a mettere il cuore oltre gli ostacoli.
«The Ashes of Moria», un docufilm a cinque anni dall’incendio
Cinque anni dopo l’incendio che tra l’8 e il 9 settembre 2020 ha distrutto il campo di Moria sull’isola di Lesbo, le sue macerie continuano a pesare sulle vite di chi vi ha vissuto e sulla memoria collettiva europea. Il documentario The Ashes of Moria, scritto da Majid Bakhshi e Davide Marchesi e prodotto da ColoreFilm, raccoglie le voci di persone migranti, operatori e attivisti che hanno conosciuto da vicino quella realtà. Attraverso le loro testimonianze, il film ricostruisce la durezza quotidiana del campo, le ferite che ha lasciato e il ruolo che ha avuto – e che continua ad avere – nelle politiche europee di deterrenza, contenimento e detenzione dei migranti. Un racconto, quindi, che evidenzia lo stretto legame nel laboratorio greco tra la violenza delle frontiere e i campi di confinamento, e che oggi arriva in Italia grazie alla distribuzione esclusiva di Altreconomia sul proprio canale YouTube. Credits: Prodotto da ColoreFilm Scritto da Majid Bakhshi e Davide Marchesi Regia e montaggio: Davide Marchesi Assistente al montaggio: Alessio Dicandia Distribuzione in esclusiva per l’Italia: Altreconomia Interviste: Mo Zaman Zahra Gardi Mo Aliko Masouma Hussaini Zahra Mohammedi Jack Ferguson Carlotta Passerini Lefteris Papagiannakis Majid Bakshi Davide Marchesi Patrick Münz Spyros Galinos
«Lupo Solitario. Un matrimonio forzato, due figli da proteggere, una libertà conquistata»
Una giovane donna, figlia di due mondi, si ritrova prigioniera di un sistema di dominio che attraversa i continenti. Lupo solitario è il racconto potente e necessario di Khudeja, ragazza italo-pakistana cresciuta nella pianura emiliana e precipitata in un tunnel fatto di bugie, minacce e isolamento.  Questo libro pubblicato da Cronache Ribelli è molto più di una denuncia: è un inno al coraggio, alla solidarietà, alla forza delle reti invisibili che salvano. È la storia di una fuga, di una donna che ha avuto il coraggio di dire no, di un salto verso la libertà. Un libro scritto a quattro mani – quelle di Khudeja e Grazia – tra confessione e ascolto, che si legge come un romanzo ma al tempo stesso raccoglie tutta la memoria, il dolore e la consapevolezza che solo una storia biografica può avere. Tutto all’interno di una narrazione collettiva e politica, autentica e graffiante. Un libro che è una speranza per ogni donna che lotta, poiché ci ricorda che i legami di sorellanza possono tutto. 
Discorsi Mediterranei approda a Patù il 6 e 7 settembre
Il 6 e 7 settembre Palazzo Romano a Patù ospiterà Discorsi Mediterranei, un festival itinerante – e giunto quest’anno alla sua 11a edizione – che adotta un approccio intersezionale attento ai legami tra diritti, identità sociali, questioni di genere, contesto ambientale e fenomeni migratori e si concentra sulle nuove narrazioni delle migrazioni. Dopo le tappe di Specchia e Santa Maria di Leuca, l’iniziativa – promossa da Arci Cassandra Aps, Narrazioni Ets e dall’Istituto di Culture Mediterranee – arriva all’estremo lembo del Capo di Leuca con un programma fitto di incontri, laboratori, mostre e musica. Consulta il programma dettagliato Le conversazioni saranno il fulcro della due giorni. Nella due giorni di Patù il focus è maggiormente centrato sul cambiamento delle narrazioni, sulla decolonizzazione dello sguardo, del pensiero e della produzione di sapere, sui concetti di discriminazione multipla e intersezionalità. Tra gli ospiti figurano studiosi e attivisti di primo piano: lo storico Donato Di Sanzo, l’attivista e ricercatrice Ndack Mbaye, la docente Eliana Augusti, la sociologa Irene Strazzeri, la scrittrice e artista Wissal Houbabi, Annalisa Camilli (Internazionale), Luca Rondi (Altreconomia) e il cantautore e intellettuale Nabil Bey. Accanto ai discorsi, il festival propone una mostra multimediale con illustrazioni, fotografie, webserie e podcast che raccontano i confini e le frontiere del Mediterraneo e del Sahel. Tra le opere, le illustrazioni dell’artista tunisina Zainab Fasiki e i reportage di Annalisa Camilli e Michele Cattani. Non mancano le presentazioni di libri: da Controverse. Scrivere in diaspora, poetiche del divenire (Capovolte edizioni) al classico del femminismo hip hop Chickenheads di Joan Morgan, fino a Il giro del mondo alle frontiere della stessa Camilli. Spazio anche ai laboratori, tra cui quello esperienziale condotto dall’attivista Marie Moïse, e alle attività per ragazzi e ragazze, con la presentazione dell’albo illustrato Oltre l’orizzonte dell’umanità. La prima giornata si chiuderà con Bar Med, concerto che unisce le sonorità di Antonio Castrignanò e Ziad Trabelsi, mentre la serata finale sarà affidata al dj set di La Pam. Tutti gli appuntamenti sono a ingresso libero e gratuito. Il festival è realizzato nell’ambito del progetto Storie Meridiane dei Comuni di Patù e Morciano di Leuca, con il sostegno dell’Unione europea – NextGenerationEU, del Ministero della Cultura e della Regione Puglia.
Rosarno Film Festival “Fuori dal Ghetto”: online il bando della 4ª edizione
È online il bando per partecipare alla quarta edizione del Rosarno Film Festival – Fuori dal Ghetto, l’iniziativa culturale che, ormai da quattro anni, intreccia cinema, lotte sociali e diritti dei lavoratori agricoli. Il festival si svolgerà tra ottobre e novembre 2025, in concomitanza con la stagione di raccolta degli agrumi nella Piana di Gioia Tauro, e vedrà ancora una volta la partecipazione diretta dei braccianti e degli studenti delle scuole superiori, che comporranno la giuria chiamata a premiare i cortometraggi in concorso. Quest’anno il tema centrale sarà lo sfruttamento del lavoro e la sicurezza sul lavoro, una delle emergenze sociali più gravi e diffuse in Italia. Il concorso intende accendere i riflettori su violazioni quotidiane legate a orari, salari, contributi, ferie e condizioni di salute, che toccano trasversalmente il mondo agricolo da nord a sud: dalla Piana di Gioia Tauro in Calabria a Saluzzo in Piemonte, da Nardò in Puglia a Latina nel Lazio, fino a Ragusa in Sicilia. Il lavoro nero, il caporalato e le pratiche di sfruttamento colpiscono infatti non solo i lavoratori stranieri ma anche molti italiani, alimentando ghettizzazione e invisibilità. La rassegna cerca perciò di raccogliere storie di vita: racconti di accoglienza negata e soprusi, ma anche esperienze di riscatto, di convivenza e lavoro regolare che mostrano come sia possibile costruire economie solidali e comunità resilienti, capaci di contrastare spopolamento ed emarginazione. Fuori dal Ghetto nasce con l’obiettivo di dare voce a chi vive condizioni di sfruttamento e marginalità, trasformando il cinema in uno strumento di denuncia, dialogo e inclusione. Nel corso delle edizioni, l’evento è cresciuto in visibilità e partecipazione, attirando associazioni, registi, attori e attivisti dall’Italia e dall’estero. Il festival è promosso da Mediterranea Hope – Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, Rete Comunità Solidali e S.O.S. Rosarno, con l’adesione di una rete sempre più ampia di realtà sociali, culturali e solidali, tra cui Sea Watch, ResQ, ZaLab, Campagne Aperte, RiMaflow, Acmos, ICS – Consorzio Italiano Solidarietà, oltre a numerose associazioni e collettivi impegnati nei territori. MODALITÀ DI PARTECIPAZIONE * Le opere dovranno avere una durata massima di 20 minuti. * Formato consigliato: Mpg4 (1920×1080), max 2 GB, preferibilmente tramite WeTransfer. * La selezione è a cura della direzione artistica, che informerà gli autori del risultato tramite telefono o email. * I lavori devono essere inviati entro il 30 settembre 2025 Scarica il bando
“Trama recisa”, una poesia di Yuleisy Cruz Lezcano
Ho scritto questa poesia per dare voce all’orrore silenzioso che ha segnato la fine di Satnam Singh, bracciante indiano, morto il 19 giugno 2024 dopo essere stato ferito gravemente sul lavoro e abbandonato, con il braccio amputato chiuso in una cassetta, davanti alla sua abitazione, senza che nessuno chiamasse i soccorsi. La sua agonia, la sua solitudine e la sua morte non possono e non devono essere normalizzate. È proprio in questo abbandono disumano, in questo rifiuto di soccorrere un uomo ferito, che si manifesta il volto più feroce dello sfruttamento: quello che nega l’umanità, che considera il corpo del lavoratore come un pezzo da usare e gettare. Non si tratta solo di negligenza. Si tratta di una scelta brutale, di una cultura dell’impunità e della disumanizzazione che continua a colpire i più vulnerabili, spesso migranti, invisibili agli occhi dello Stato e della società.Ho scelto la poesia come strumento per raccontare questa storia perché la poesia può rompere il muro dell’indifferenza. La poesia non fa sconti, entra nel dolore, lo rende visibile. Può scavare dove la cronaca si ferma. Può restituire dignità a chi è stato trattato come scarto. Scrivere versi su Satnam Singh non è stato un esercizio di stile, ma un atto di rabbia, di empatia, di giustizia. Attraverso questa poesia ho voluto denunciare non solo il caporalato, lo sfruttamento e la violenza sistemica nei campi agricoli italiani, ma soprattutto l’orrore dell’abbandono. L’atto di non prestare soccorso a un uomo morente è un crimine morale oltre che penale. È il segno di una società malata, in cui il profitto viene prima della vita umana. Satnam Singh è stato tradito due volte: prima dal lavoro che lo ha ferito, poi dalle mani che lo hanno lasciato morire. Con la poesia ho cercato di fare ciò che altri non hanno fatto per lui: restare, ascoltare, raccontare, chiamare aiuto. Perché il silenzio non sia più complice. Yuleisy Cruz Lezcano 1 Trama recisa Satnam camminava in silenzio, con i piedi immersi nella polvere di un campo che non era suo, sotto un cielo che prometteva pioggia ma non giustizia. Portava negli occhi il riflesso del Punjab, terra di grano e canti lontani. Era uno dei tanti, uno dei senza volto, foglia caduta in un autunno che nessuno ha mai voluto contare. Il suo nome su nessuna busta paga, si aggrappava ai solchi della terra, tra le voci dei compagni e i silenzi del padrone. Poi venne il giorno della ferita, il ferro parlò al posto del mondo. Il sangue cadde lento, come una firma mai scritta. Un urlo muto si frantumò contro l’acciaio, un braccio strappato, gettato come scarto, l’abbandono scolpito nel volto della terra, dove nessuno vede il sangue dei dimenticati. Il braccio, stelo infranto sotto il peso d’una tempesta muta restò lì, come foglia morta, tra l’odore amaro di sangue e silenzio. Sul ciglio della strada, l’uomo gettato, in una borsa il suo braccio mutilato divenne un grido che neppure la polvere osò coprire. Ora il suo corpo non lavora più. Riposa tra le crepe di uno Stato che dimentica chi raccoglie il cibo con mani senza diritti. Satnam è diventato simbolo, non per scelta, ma perché l’ingiustizia ha bisogno di volti da ignorare e tombe senza lapide. A Latina è tornato tutto com’era, la nebbia dei verbali, la maschera dei contratti, l’invisibilità come mestiere. 1. Yuleisy Cruz Lezcano è una poetessa, scrittrice, attivista e professionista della salute, nata a Cuba e residente a Marzabotto, in provincia di Bologna. Laureata in Scienze Biologiche e successivamente in Scienze Infermieristiche e Ostetriche presso l’Università di Bologna, ha saputo coniugare una solida formazione scientifica con una profonda sensibilità umanistica ↩︎
Eritrea: la diaspora accusa Rai3 di aver riscritto la realtà
Martedì 15 luglio 2025, Rai3 ha trasmesso La Grande Bugia – Eritrea andata e ritorno, un documentario a cura di Francesca Ronchin e Salomon Mebrahtu. Il programma ha sollevato forti critiche da parte della diaspora eritrea, per il modo in cui mette in discussione la narrazione consolidata sull’esilio politico degli eritrei, mostrando migranti che tornano nel proprio paese d’origine durante l’estate, “senza ripercussioni” e “riaccolti dal paese”. LA VOCE CRITICA DELLA DIASPORA L’associazione Eritrea Democratica ha risposto con una lettera aperta indirizzata alla Direzione di Rai3, in cui esprime “profonda preoccupazione e indignazione” per i contenuti del documentario. «La trasmissione, a nostro avviso – sottolinea l’associazione – diffonde una narrazione distorta e pericolosa sulla realtà eritrea e sulla diaspora, legittimando di fatto la propaganda del regime di Asmara e delegittimando l’esperienza di migliaia di veri rifugiati politici». La lettera contesta anche la selezione delle testimonianze incluse nel documentario: «Molti degli intervistati – benché presentati come eritrei incontrati o contattati casualmente – si mostrano apertamente favorevoli, se non collaborativi, nei confronti del regime. Alcuni di loro, pur avendo ottenuto protezione internazionale in Italia dichiarando di essere fuggiti da persecuzioni e violenze, ripropongono oggi esattamente l’immagine della diaspora diffusa dalla dittatura, contraddicendo quanto affermato nel proprio percorso d’asilo». L’associazione denuncia il rischio che simili rappresentazioni alimentino sospetti e ostilità nei confronti della comunità eritrea rifugiata, e invita la società civile a una presa di posizione collettiva: «Ogni firma è per noi importante: è un gesto di solidarietà e un contributo alla tutela della verità, della dignità dei rifugiati, della libertà di informazione e del dovere di responsabilità che spetta al servizio pubblico radiotelevisivo». Un messaggio forte, rivolto a studiosi, attivisti, associazioni e cittadine e cittadini, affinché si uniscano per difendere la verità storica e politica sull’Eritrea e sull’esilio forzato di tanti suoi abitanti. Per sottoscrivere la petizione clicca qui LE REAZIONI NEL MONDO DELL’INFORMAZIONE Anche l’associazione Carta di Roma è intervenuta sul documentario con un editoriale firmato da Vittorio Longhi, che richiama l’attenzione sul contesto di censura e repressione in Eritrea. PH: Gianluca Costantini (In occasione del 19º anniversario della scomparsa dei prigionieri di coscienza eritrei, nel 2019 si è tenuta a Washington “Let Them Shine”, una performance commemorativa) «Ricordiamo – scrive Longhi – che l’Eritrea vanta il triste primato della più lunga detenzione al mondo di giornalisti. Dal 2001 almeno undici uomini sono in carcere per aver tentato di fondare organi di informazione libera e chiedere il rispetto del diritto di espressione, presupposto di qualsiasi democrazia. Oggi nel paese non esiste stampa indipendente: l’unica emittente è la televisione di Stato, EriTV, sotto il pieno controllo del regime». Non a caso, sottolinea l’editoriale, l’Eritrea si colloca all’ultimo posto (180°) nell’Indice della Libertà di Stampa pubblicato da Reporters Without Borders. «Questo documentario – conclude l’associazione Eritrea Democratica – è una macchia sulla credibilità di chi accoglie. È un’offesa per chi ha sofferto e continua a vivere con traumi profondi. Ma può diventare anche un’occasione, se ben gestita, per fare chiarezza e porre fine a un’ambiguità che da troppo tempo viene tollerata». Anche la conclusione dell’editoriale di Carta di Roma è netta: «Il documentario ci appare un pessimo esempio di giornalismo libero e indipendente, come invece ci si aspetterebbe dal servizio pubblico. Sembra piuttosto un allineamento acritico e ossequioso ai progetti di cooperazione e investimento promossi dall’attuale governo italiano in collaborazione con il regime eritreo. Oltre ai limiti giornalistici, inquietano le possibili conseguenze sul piano della protezione internazionale per gli eritrei in fuga dalla dittatura».
Detenzione amministrativa: sistemi carcerari e apartheid in Palestina e Grecia
Nel nuovo episodio del programma radiofonico di Against Detention Centers Athens, attivistə palestinesi e grecə riflettono sulle pratiche di detenzione amministrativa e sui regimi carcerari nei rispettivi contesti 1. Attraverso testimonianze dirette, un quadro giuridico della detenzione amministrativa in Grecia e in Palestina, il podcast mette in luce le connessioni tra l’apartheid israeliana e le politiche migratorie repressive dell’Europa, con particolare attenzione alla Grecia 2. Un dialogo transnazionale che rompe il silenzio sulle violenze istituzionali, evidenziando la continuità tra detenzione senza processo, razzismo sistemico e controllo coloniale delle popolazioni indesiderate. 🎧 Ascolta il podcast: Radio Program – Administrative detention, apartheid, prison systems in Palestine and Greece 1. Questo programma radiofonico è una registrazione dell’evento organizzato dall’Assemblea contro i centri di detenzione il 6 marzo 2025 ad Atene ↩︎ 2. Un database fa luce sulla violenza nelle strutture di detenzione greche: Detention Landscapes, una collaborazione tra Border Criminologies, Mobile Info Team e Border Violence Monitoring Network, mette insieme testimonianze, resoconti di incidenti, ricerche open-source e prove visive per creare una risorsa unica nel suo genere che documenta le forme attive e insidiose di violenza che le persone in movimento subiscono all’interno dei diversi spazi di contenimento in Grecia ↩︎