“Il libro che non C.I.E.” di Sunjay Gookooluk
Ventisei anni da “clandestino” nel nostro paese. È la storia di Sunjay
Gookooluk, cittadino mauriziano arrivato nel nostro Paese e rimasto intrappolato
in un’esistenza segnata dalla precarietà: la strada, il lavoro irregolare, il
carcere. Un percorso di vita che, anziché spegnerlo, lo ha spinto a trasformare
la scrittura in uno strumento di resistenza.
Gookooluk ha cominciato a scrivere a Rebibbia, dove ha partecipato a concorsi
letterari e conseguito due titoli di studio: un diploma di ragioneria e uno da
artigiano mosaicista. Ma la parte più importante della sua produzione nasce nel
luogo più inospitale e invisibile del sistema italiano: il Centro di Permanenza
per il Rimpatrio di Ponte Galeria, a Roma, dove è stato recluso due volte.
Nel CPR – l’ex CIE, simbolo di una detenzione che non è penale ma
amministrativa, e che proprio per questo sfugge alla tutela giudiziaria
ordinaria – Gookooluk ha scritto di nascosto. Fogli, quaderni, penne: tutto
doveva essere celato agli occhi degli operatori e delle forze dell’ordine. Ne è
nato un diario che racconta dall’interno ciò che raramente arriva al grande
pubblico: le condizioni di vita, le umiliazioni quotidiane, il senso di
sospensione e di abbandono che caratterizza questi luoghi.
Quel materiale, dopo anni di lavoro editoriale, diventa finalmente un libro: “Il
libro che non C.I.E. – Racconto dall’inferno di un centro di detenzione
amministrativa italiano”, in uscita per la casa editrice Sensibili alle Foglie.
Le curatrici e i curatori del volume sottolineano la lunga e complessa
gestazione dell’opera, che ha richiesto tempo e attenzione per rispettare la
forza e la vulnerabilità di una testimonianza unica nel panorama italiano. Ora,
con il progetto editoriale ultimato, la pubblicazione necessita di un sostegno
economico: parte una raccolta fondi per coprire le spese e permettere al libro
di vedere la luce.
“Ora abbiamo bisogno di un aiuto economico per coprire i costi di pubblicazione.
Aiutaci a sostenere le spese!”, è l’appello che accompagna la richiesta.
L’opera di Sunjay Gookooluk rappresenta una delle rare testimonianze letterarie
prodotte all’interno di un CPR: dare voce a chi temporaneamente ne rimane
imprigionato significa contribuire a un dibattito pubblico più consapevole sulla
detenzione amministrativa in Italia. E questa pubblicazione può diventare
un’occasione non solo per ascoltare una storia, ma per continuare a fare
pressione per la chiusura di tutti i centri detentivi.