Appello di docenti, ricercatori e ricercatrici universitari/e per la liberazione di Mohamed Shahin
Mohamed Shahin è trattenuto nel CPR di Caltanissetta e a rischio di espulsione
verso l’Egitto, Paese in cui sarebbe esposto al rischio concreto di
persecuzioni, detenzione arbitraria e persino alla pena di morte. La sua colpa è
di essersi mobilitato a fianco del popolo palestinese e di aver pronunciato
delle opinioni, poi ritrattate, ritenute sufficienti dal ministero dell’Interno
per disporre la revoca del suo permesso di soggiorno, il trattenimento e l’avvio
della procedura di espulsione.
Attorno alla vicenda di Mohamed Shahin si è mobilitata una vasta rete di realtà
sociali, religiose e politiche torinesi e non solo, che sono scese in piazza per
chiedere la sua liberazione ricordando come la moschea di via Saluzzo, da lui
guidata, sia da sempre un presidio di apertura, cooperazione e dialogo
interculturale.
Si è mossa anche la comunità accademica, che ha pubblicato un appello per la sua
liberazione:
«Noi docenti, ricercatori e ricercatrici delle università italiane esprimiamo
profonda preoccupazione per la situazione di Mohamed Shahin, imam della moschea
Omar Ibn al-Khattab di Torino, attualmente trattenuto nel Centro di Permanenza
per il Rimpatrio di Caltanissetta a seguito di un decreto di espulsione emesso
dal Ministero dell’Interno.
La revoca del suo permesso di soggiorno di lungo periodo, e il conseguente
rischio di rimpatrio forzato in Egitto, sollevano interrogativi gravi sul
rispetto dei diritti fondamentali della persona. È noto che il sig. Shahin,
prima del suo arrivo in Italia oltre vent’anni fa, era considerato oppositore
politico del regime egiziano. La prospettiva di un suo ritorno forzato in Egitto
lo esporrebbe concretamente a rischi di persecuzione, detenzione arbitraria e
trattamenti inumani.
Le motivazioni alla base della revoca del permesso appaiono collegate alle sue
dichiarazioni pubbliche sulla situazione a Gaza e alle sue posizioni critiche
rispetto all’operato del governo israeliano. Se così fosse, ci troveremmo di
fronte a un precedente estremamente preoccupante: l’uso di strumenti
amministrativi per colpire l’esercizio della libertà di opinione, tutelata
dall’articolo 21 della Costituzione e da convenzioni internazionali cui l’Italia
aderisce.
Casi analoghi, registrati negli ultimi anni, confermano una tendenza a
sanzionare cittadini stranieri per opinioni politiche o per manifestazioni di
solidarietà nei confronti del popolo palestinese. L’impiego dei CPR in questo
quadro rischia di trasformarsi in una forma di repressione indiretta del
dissenso e di limitazione arbitraria dello spazio democratico.
È importante ricordare che Mohamed Shahin è da lungo tempo impegnato in pratiche
di dialogo interreligioso e cooperazione sociale. Numerose comunità religiose,
associazioni civiche e gruppi interconfessionali hanno pubblicamente attestato
il suo contributo alla costruzione di relazioni pacifiche tra diverse componenti
della città di Torino, evidenziando la natura collaborativa e aperta della sua
attività. In particolare, la Rete del dialogo cristiano islamico di Torino, in
un comunicato indirizzato al Presidente delle Repubblica e al Ministro
dell’Interno, ha evidenziato il ruolo centrale di Mohamed Shahin nel dialogo
interreligioso e nella vita associata del quartiere San Salvario.
Alla luce di tutto ciò, riteniamo indispensabile un intervento immediato per
garantire il pieno rispetto dei principi costituzionali, della Convenzione di
Ginevra e degli obblighi internazionali dell’Italia in materia di diritti umani
e protezione contro il refoulement.
Chiediamo pertanto:
* La liberazione immediata di Mohamed Shahin e la sospensione dell’esecuzione
del decreto di espulsione.
* La revisione del provvedimento di revoca del permesso di soggiorno di Mohamed
Shahin, garantendo un esame imparziale e conforme agli standard giuridici
nazionali e internazionali.
* La tutela del diritto alla libertà di espressione in ambito accademico,
culturale e religioso, indipendentemente dalla provenienza o dalla fede delle
persone coinvolte.
* La chiusura dei CPR, luoghi di lesione dei diritti umani.
Come docenti e ricercatori riconosciamo la responsabilità civica dell’università
nel difendere i valori democratici, promuovere il pluralismo e opporci a ogni
forma di discriminazione o compressione illegittima delle libertà fondamentali».
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