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I decreti flussi favoriscono lo sfruttamento dei lavoratori e delle lavoratrici migranti
Nel Dossier Statistico Immigrazione 2025 del Centro Studi e Ricerche IDOS emerge un altro quadro allarmante: cresce lo sfruttamento lavorativo delle persone migranti e proliferano le truffe legate alle procedure di ingresso. Domani 4 novembre la presentazione nazionale a Roma. Gli anacronistici decreti flussi, nati per “regolare” l’ingresso dei lavoratori stranieri in Italia, si sono ormai da tempo consolidati come un canale di sfruttamento e tratta. È quanto denuncia la nuova edizione del Dossier Statistico Immigrazione 2025 curato da Idos, che dedica uno dei suoi capitoli alla Relazione 2024 del Numero verde nazionale Antitratta (800 290 290). Secondo l’analisi, il fenomeno della tratta sta cambiando volto: «Oggi interessa meno che in passato lo sfruttamento di donne e minori a fini sessuali, ma coinvolge soprattutto uomini migranti risucchiati in forme di occupazione irregolare e spesso para-schiavistica». Attivo dal 2000, il Numero verde Antitratta rappresenta uno degli strumenti contro il grave sfruttamento degli esseri umani, introdotto nel 1998 con l’articolo 18 del Testo unico sull’immigrazione. Le segnalazioni raccolte tra il 2014 e il 2024 (oltre 800 in media ogni anno), pur nella consapevolezza che intercettano solo la punta dell’iceberg di un fenomeno complesso e ramificato, raccontano un cambiamento profondo: le prese in carico di donne e minori sono diminuite rispettivamente del 9,8% e del 63,6%, mentre quelle riguardanti uomini adulti sono raddoppiate. In undici anni lo sfruttamento sessuale è sceso dal 50% al 24%, mentre quello lavorativo è salito fino al 38,2%. Un segnale inequivocabile è arrivato nel 2024, definito nella stessa Relazione come «l’anno degli inganni». Nel secondo semestre è emersa una rete di truffe legate ai decreti flussi, orchestrate da intermediari che dietro compenso seguivano i lavoratori stranieri lungo tutta la procedura per il rilascio del visto, dalla chiamata nominativa fino al nulla osta, per poi sparire una volta ottenuti i documenti. Solo tra luglio e dicembre, 139 potenziali lavoratori migranti – provenienti soprattutto da Tunisia, Marocco, India ed Egitto – si sono trovati senza un impiego e in condizioni di estrema vulnerabilità. Secondo Idos, si tratta soltanto «della parte emersa di un fenomeno molto più ampio». Nello stesso periodo, l’80% delle prese in carico attivate dal Numero verde riguardava lo sfruttamento lavorativo, contro il 16% per quello sessuale. Il Dossier denuncia anche «le storture del sistema attivato dai decreti flussi», segnalando «l’eccessivo carico di burocrazia, i tempi dilatati in modo insostenibile e la scarsa efficacia nel rispondere alle esigenze delle imprese». Proprio la questione dello sfruttamento e della tratta sarà uno dei tre approfondimenti della presentazione nazionale del Dossier Statistico Immigrazione 2025, in programma martedì 4 novembre al Nuovo Teatro Orione di Roma, a partire dalle 10.30. All’incontro interverranno l’avvocata Francesca Nicodemi, esperta di tutela delle vittime di tratta; Valeria Taurino, direttrice generale di Sos Mediterranee Italia; e il blogger e attivista italo-palestinese Karem Rohana. La giornata sarà aperta dal sociologo Paolo De Nardis, presidente dell’Istituto di Studi Politici “S. Pio V”, e moderata dal direttore di Confronti, Claudio Paravati. La presentazione sarà a cura del presidente del Centro Studi e Ricerche Idos, Luca Di Sciullo, mentre le conclusioni spetteranno alla moderatrice della Tavola Valdese, Alessandra Trotta. Il Dossier è realizzato grazie ai fondi dell’8xmille della Chiesa Valdese e sarà presentato in contemporanea in tutte le regioni e province autonome italiane (qui i luoghi e i programmi). L’evento centrale sarà trasmesso in streaming sul canale YouTube di Idos.
CdS: i termini di conclusione del procedimento amministrativo decorrono dalla richiesta di appuntamento
I tempi per accedere ad un procedimento amministrativo (richiesta di appuntamento anche tramite piattaforme informatiche) rilevano ai fini della decorrenza dei termini di legge per la conclusione dello stesso (cd. dies a quo). È quanto afferma il Consiglio di Stato, sez. III, con un’importante sentenza del 2 aprile 2025, la n. 2819/2025, in un giudizio in materia di rilascio del visto di ingresso in Italia per lavoro subordinato, da parte del Consolato generale d’Italia a Casablanca, in favore di un cittadino straniero. Con parole cristalline, i giudici di Palazzo Spada affermano che: “qualsiasi atto di impulso del cittadino volto a sollecitare l’esercizio di un potere dell’Amministrazione previsto dalla legge è suscettivo di far sorgere l’obbligo di provvedere purché tale impulso sia presentato nelle forme e coi modi previsti dalla disciplina regolativa del potere stesso”. In appello viene, dunque, ribaltata la tesi del Tar Lazio, sez. III che, con la sentenza n. 17710/2024, aveva respinto il ricorso del cittadino straniero, ritenendo che la domanda di appuntamento per il rilascio del visto di ingresso, attraverso la piattaforma VFS Global (società esterna di servizi di cui si avvale il Consolato italiano per la raccolta delle stesse domande di Visto), non potesse considerarsi atto di impulso del procedimento amministrativo. In altre parole, il Tar aveva ritenuto che la risposta automatica del sistema non potesse avere natura provvedimentale e quindi, la successiva inerzia della pubblica amministrazione, fino all’effettivo appuntamento presso il Consolato, non rilevasse, anche ai fini dell’azione contro il silenzio (cui, come si dirà, si potrebbe aggiungere l’azione di classe pubblica di cui al D.lgs. 198/2009). Il Consiglio di Stato, con questa importante pronuncia, nega fermamente l’esistenza di “buchi neri” del procedimento, all’interno dei quali l’amministrazione sarebbe libera di NON agire, in danno della persona istante, italiana o straniera, priva, in questo lasso di tempo, di rimedi giudiziali. Non ci sono “zone franche” per la p.a., soprattutto quando esternalizza un servizio relativo ad una propria funzione: una prenotazione, un’istanza di appuntamento per il rilascio di un titolo, anche quando effettuata con piattaforme web che restituiscono una risposta automatica di presa in carico, fa sorgere in capo all’amministrazione il dovere, e in capo alla persona che ha presentato l’istanza il diritto, ad una risposta conclusiva del procedimento nei tempi previsti dalla legge: “dovendo in definitiva l’informatica inerire alla “forma della funzione amministrativa” e non già assurgere a funzione autonoma o, ancor peggio, a causa di inutili appesantimenti procedurali o, come nel caso di specie, di impasse deteriori (arg. ex 3-bis legge n. 241/1990 “per conseguire maggiore efficienza nella loro attività, le amministrazioni pubbliche agiscono mediante strumenti informatici e telematici”)”. In particolare, la pronuncia ha il pregio di fare luce su un problema particolarmente diffuso, soprattutto nel settore dell’immigrazione, nell’ambito del quale, troppo spesso, l’affidamento del servizio di gestione delle agende a soggetti privati ovvero l’utilizzo, anche tramite risorse interne, di piattaforme informatiche per la prenotazione degli appuntamenti (ad esempio, il cd. sistema Prenotafacile in uso in molte Questure del territorio italiano), si traduce in un ritardo ingiustificabile nell’accesso al procedimento di rilascio, per fare qualche esempio, del visto in materia di lavoro (oggetto della pronuncia in parola), del visto per ricongiungimento familiare, o ancora dei titoli di soggiorno per chi già si trova sul territorio italiano, comprese persone richiedenti asilo.  Questa pronuncia, in conclusione, afferma un principio di tutela effettiva – anche attraverso le azioni di classe quali l’azione avverso la violazione dei termini di cui al D.lgs. n. 198/2009) – nei confronti dell’amministrazione, la quale, secondo prassi evidentemente illegittime, non considera i tempi per accedere alle procedure come tempi del procedimento, lasciando soprattutto le persone straniere che attendono un titolo di soggiorno e che, quindi, sono maggiormente precarie dal punto di vista della fruizione dei propri diritti fondamentali, in una inaccettabile situazione di limbo giuridico. Consiglio di Stato, sentenza n. 2819 del 2 aprile 2025
Condannata l’Ambasciata di Casablanca per inerzia sul rilascio del visto per motivi di lavoro
Il TAR del Lazio – Sezione Quinta Quater – ha accolto un ricorso presentato per ottenere il rilascio di un visto d’ingresso per lavoro subordinato richiesto presso il Consolato Generale d’Italia a Casablanca. Il provvedimento segna un importante precedente contro le lungaggini burocratiche e il silenzio delle autorità consolari soprattutto in Marocco. Il ricorso, presentato ai sensi dell’art. 117 c.p.a., mirava alla declaratoria dell’illegittimità del silenzio serbato dall’Amministrazione sul procedimento avviato a maggio 2024. Nonostante il Nulla Osta già rilasciato dallo Sportello Unico per l’Immigrazione, la competente rappresentanza diplomatica non aveva concluso il procedimento nei termini previsti dalla normativa vigente, ovvero entro 30 giorni dalla domanda. Il TAR ha riconosciuto la piena fondatezza del ricorso, accertando l’obbligo dell’Amministrazione di concludere il procedimento entro i termini previsti dall’art. 31, comma 8, del DPR 394/1999. Di conseguenza, ha ordinato al Ministero degli Affari Esteri di provvedere entro 30 giorni dalla comunicazione della sentenza, nominando anche un commissario ad acta per garantire l’esecuzione del provvedimento in caso di ulteriore inerzia. Le spese processuali sono state poste a carico dell’Amministrazione resistente. T.A.R. per il Lazio, sentenza del 18 luglio 2025 Si ringrazia l’Avv. Domenico Strangio del foro di Milano per la segnalazione e il commento. Il ricorso è stato presentato insieme all’Avv. Stefania Caggegi del foro di Messina.
Ingresso per flussi – La mancata stipula del contratto con il datore di lavoro non può automaticamente bloccare il percorso
L’ordinanza del Consiglio di Stato è interessante perché conferma come la partita sui permessi legati ai Flussi sia tutt’altro che chiusa. La Sezione Terza ha accolto la cautelare, ribaltando la decisione del TAR Campania, in un caso in cui: * il datore di lavoro originario, dopo aver chiesto il nulla osta, si è tirato indietro e non ha firmato il contratto; * il lavoratore, pur non avendo ancora un contratto effettivo, aveva una promessa di assunzione da parte di un nuovo datore; * la Prefettura aveva quindi revocato il nulla osta, impedendogli di ottenere il permesso. Il Consiglio di Stato ha riconosciuto che la mancata conclusione del contratto con il primo datore non può automaticamente bloccare il percorso, soprattutto se il lavoratore, già presente in Italia da tempo e in buona fede, ha concrete prospettive occupazionali. Viene richiamata anche la giurisprudenza che considera la procedura dei Flussi come una fattispecie “plurilaterale”, in cui il diritto del lavoratore non si esaurisce con il ripensamento del datore iniziale. In sostanza, la decisione apre spiragli importanti: non solo conferma l’orientamento favorevole del TAR Campania, ma addirittura lo estende, legittimando anche la sola promessa di lavoro come elemento sufficiente a fondare la domanda cautelare. Un segnale che dimostra come la battaglia in Consiglio di Stato sia ancora aperta e che, al di là dei contrasti interni fra sezioni, non si può scaricare tutto il rischio sul lavoratore migrante, specie quando ha agito correttamente e non vi sono profili di pericolosità. Consiglio di Stato, ordinanza n. 2550 dell’11 luglio 2025 Si ringrazia l’Avv. Salvatore Fachile per la segnalazione. Il caso è stato seguito insieme alle Avv.te Federica Remiddi e Anna Pellegrino.
Nulla osta ex art. 42, co. 2, d.l. 73/2022: obblighi istruttori e difetto di motivazione nel provvedimento di revoca
Un’ordinanza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte – sezione prima – che accoglie un’istanza cautelare relativa ai “nuovi” nulla osta all’ingresso di lavoratori stranieri (art. 42, co. 2, d.l. 73/2022), emanati senza una preventiva verifica circa l’eventuale sussistenza di elementi ostativi. Nel caso di specie, il nulla osta era stato rilasciato nonostante la già intervenuta condanna del datore di lavoro, circostanza che rendeva quest’ultimo inidoneo alla stipula del contratto. Il lavoratore, dopo aver ottenuto il visto di ingresso dalla competente Ambasciata su istanza del datore, era giunto in Italia; solo dopo molti mesi gli veniva tuttavia notificato il provvedimento di revoca del nulla osta. Il Collegio, in sede cautelare, non ha approfondito le censure sollevate di illegittimità costituzionale dell’art. 42, co. 2, d.l. 73/2022 e di violazione del principio di legittimo affidamento, ma si è concentrato su due profili: * il difetto di motivazione, poiché l’Amministrazione aveva utilizzato un mero modulo prestampato senza individuare la fattispecie concreta; * il difetto istruttorio, atteso che – nel caso in esame – l’impossibilità di stipulare il contratto (per la condanna già esistente a carico del datore prima dell’emanazione del nulla osta) imponeva alla P.A. l’onere di valutare ogni altra possibilità, comprese eventuali alternative occupazionali per il lavoratore. T.A.R. per il Piemonte, ordinanza n. 266 del 26 giugno 2025 Si ringrazia l’avv. Pasquale Franco De Rosa per la segnalazione e il commento.
Fermo amministrativo per Seabird 1, l’aereo di monitoraggio sul Mediterraneo
Il governo italiano alza il livello dello scontro contro chi documenta le violazioni dei diritti umani nel Mediterraneo centrale. Il 7 agosto, l’Ente Nazionale Aviazione Civile (ENAC) ha notificato al team di Sea-Watch il fermo amministrativo immediato del Seabird 1, uno degli aerei utilizzati dall’organizzazione civile di soccorso in mare Sea-Watch 1 per monitorare e documentare soccorsi e respingimenti. «Solo una settimana prima,» – denuncia l’ONG – «il team aereo aveva documentato come le autorità italiane avessero ignorato per un’intera giornata le chiamate di soccorso di una nave in difficoltà, determinando la morte di due bambini. Questo caso ha suscitato grande attenzione in Italia». Per Sea-Watch, il provvedimento non è che l’ennesimo segnale di una strategia volta a eliminare il monitoraggio indipendente nel Mediterraneo. «La ragione del fermo ci è attualmente sconosciuta – ha dichiarato Laura Meschede, portavoce dell’organizzazione -. Ma è evidente che si tratta di un pretesto per sbarazzarsi di noi, testimoni della situazione nel Mediterraneo». La base giuridica è il Decreto-legge 11 ottobre 2024, n. 145 2, il cosiddetto Decreto Flussi, che consente di sequestrare anche gli aerei delle ONG. Già al momento dell’approvazione, associazioni e attivisti avevano denunciato il rischio che lo strumento venisse usato per ostacolare le attività di monitoraggio. Il caso del Seabird 1 conferma questi timori. Il Decreto 145 è strutturato in tre capi principali (più le disposizioni finali), che corrispondono ad aree tematiche distinte. L’introduzione di obblighi stringenti per gli aeromobili civili impiegati in attività di ricerca e soccorso, insieme alle norme su richieste di asilo e cooperazione del richiedente e alle procedure di respingimento alle frontiere, è contenuta nel Capo III – Gestione dei flussi migratori e protezione internazionale. «Gli aeromobili che effettuano attività non occasionale di ricerca finalizzata o strumentale alle operazioni di soccorso (…) hanno l’obbligo,» – spiega l’avvocato Arturo Raffaele Covella – «nel rispetto delle convenzioni internazionali, di informare di ogni situazione di emergenza in mare immediatamente e con priorità l’ente dei servizi del traffico aereo competente e il Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo, nonché i Centri di coordinamento degli Stati costieri responsabili delle aree contigue». Interviste/In mare FLUSSI, PROTEZIONE INTERNAZIONALE E TUTELA PER LE VITTIME DI CAPORALATO L’intervista all’avvocato Arturo Raffaele Covella sul D.L. n. 145/2024 12 Novembre 2024 Questa disposizione, seppur presentata come garanzia di coordinamento rappresenta un ulteriore strumento di controllo e potenziale ostacolo alla libertà di monitoraggio indipendente. «Negli ultimi mesi – continua Meschede – abbiamo documentato ripetute gravi violazioni dei diritti umani da parte del governo italiano. Abbiamo registrato come le autorità italiane ignorassero le chiamate di soccorso e decine di persone annegassero. Abbiamo documentato come milizie libiche armate dall’Italia e dall’UE abbiano sparato su soccorritori e persone in fuga. Ogni giorno raccontiamo gli effetti mortali delle politiche isolazioniste dell’Europa: non sorprende che il governo italiano voglia sbarazzarsi di noi». Il fermo, che durerà inizialmente 20 giorni, potrebbe avere conseguenze ben più gravi: alla seconda “violazione” del decreto, la durata salirebbe a 60 giorni; alla terza, l’aereo verrebbe confiscato definitivamente. Sea-Watch ha annunciato che intraprenderà azioni legali contro il provvedimento che segna un precedente importante. Finora, infatti, le misure restrittive nei confronti delle ONG, si erano concentrate principalmente sulle imbarcazioni di soccorso in mare, mentre un sequestro diretto di un velivolo dedicato al monitoraggio aereo non aveva mai avuto luogo. Nel frattempo, l’assenza del Seabird 1 lascia un vuoto pericoloso che rischia di tradursi in un aumento di respingimenti illegali, naufragi non documentati e silenzi sui naufragi quotidiani che si consumano al largo delle coste europee. Sea-Watch ha comunicato che l’8 agosto alle 16:22 – a poco più di 24 ore dal sequestro del Seabird1 – è decollato da Lampedusa il loro Seabird 3. L’ONG è tornata in volo per documentare e denunciare le violazioni dei diritti umani nel Mediterraneo, violazioni rese possibili dall’Italia e dall’Unione Europea. 1. La nota stampa di Sea-Watch ↩︎ 2. Disposizioni urgenti in materia di ingresso in Italia di lavoratori stranieri, di tutela e assistenza alle vittime di caporalato, di gestione dei flussi migratori e di protezione internazionale, nonché’ dei relativi procedimenti giurisdizionali. (24G00171) Consulta il DL ↩︎
Diniego del visto per lavoro subordinato dall’Ambasciata d’Italia ad Abidjan. Il TAR Lazio sospende e ordina il rilascio del visto
A seguito del rilascio del nulla osta al lavoro subordinato da parte della Prefettura competente, l’Ambasciata d’Italia ad Abidjan negava il visto al richiedente, cittadino del Burkina Faso, motivando il diniego con il fatto che il Paese d’origine non rientrava tra quelli previsti dal Decreto Flussi e per il sospetto di un tentativo di elusione delle norme sul ricongiungimento familiare. Il lavoratore proponeva ricorso e il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio accoglieva l’istanza cautelare, ordinando il riesame della pratica. L’Amministrazione, in ottemperanza all’ordinanza del Tribunale, procedeva quindi al rilascio del visto richiesto, chiedendo contestualmente la cessazione della materia del contendere. T.A.R. per il Lazio, ordinanza n. 1522 del 7 marzo 2025 La difesa del ricorrente, tuttavia, insisteva per la condanna dell’Amministrazione al pagamento delle spese. T.A.R. per il Lazio, sentenza n. 8921 dell’8 maggio 2025 Si ringrazia l’Avv. Lindita Tushaj per la segnalazione e il commento.