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Class action sulla protezione speciale: il Tar Marche condanna i gravi ritardi di Questura e Commissione
Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche si è espresso sulla class action di ASGI e Spazi Circolari 1 contro la violazione sistematica con ritardi di oltre i due anni nell’evasione delle domande di protezione speciale. La sentenza contiene alcuni elementi che meritano attenzione. Secondo l’Avv. Daniele Valeri, il TAR cambia approccio: invece di liquidare il ricorso come inammissibile – come era successo in passato con azioni simili – riconosce che si tratta davvero di una class action e non di un semplice caso di silenzio-inadempimento da parte dell’amministrazione. Chiarisce perciò anche un punto importante: non basta che l’amministrazione, a giudizio in corso, risolva le singole pratiche dei ricorrenti per chiudere la questione. Il problema è più ampio e riguarda tutti coloro che hanno presentato l’istanza di protezione speciale, non solo chi ha fatto ricorso. Viene poi ribadito il limite dei 180 giorni entro cui le procedure dovrebbero essere concluse. È un riferimento utile, che potrà essere richiamato anche in futuro per tutte le nuove domande presentate alle Questure. Infine, la parte più significativa della sentenza: il TAR riconosce apertamente che c’è una violazione sistematica e continua dei tempi previsti per rilasciare i permessi per protezione speciale. Non è un ritardo occasionale: è un problema strutturale. La stessa relazione dell’amministrazione evidenzia carenze organizzative che impediscono di recuperare il ritardo accumulato, e viene messa in luce anche la grave difficoltà operativa della Commissione territoriale competente. T.A.R. per le Marche, sentenza n. 932 del 21 novembre 2025 1. La class action è frutto di un lavoro collettivo di diversi legali delle associazioni, tra questi gli Avv.ti Daniele Valeri e Salvatore Fachile e le Avv.te Roberta Sforza e Giulia Crescini. ↩︎
Cosenza e Crotone: prassi illegittime e diritti negati ai richiedenti asilo
Tempi d’attesa «biblici», dinieghi «copia e incolla», richieste arbitrarie di documenti, uffici inaccessibili persino agli avvocati. È il quadro che emerge dalle segnalazioni inviate il 14 novembre da una coalizione di oltre venti organizzazioni 1 – coordinate da ASGI Calabria – al Ministero dell’Interno, alla Prefettura e alla Questura di Cosenza, alla Commissione Nazionale Asilo e alla Commissione territoriale di Crotone. Lettere dettagliate che descrivono un sistema «cronico e in costante peggioramento», capace di negare diritti fondamentali ai richiedenti asilo e di gravare sul funzionamento della giustizia. L’iniziativa ha raccolto inoltre un’ampia adesione tra decine tra avvocati, operatori sociali, centri SAI. Nella lettera indirizzata alla Questura di Cosenza 2, le associazioni parlano di una situazione che «le persone sono costrette a subire da più di tre anni». L’Ufficio immigrazione «riceve quotidianamente un numero di persone molto inferiore al totale di quante vorrebbero accedervi», con la formazione di code interminabili e «persone costrette ad arrivare estremamente presto negli orari mattutini» per sperare di entrare. Le violazioni più gravi riguardano la fase iniziale della procedura di protezione internazionale. Le associazioni firmatarie denunciano l’«attuale sostanziale impossibilità di presentare domanda di protezione internazionale»: appuntamenti fissati per «marzo 2026», rinvii orali, settimane di tentativi a vuoto per accedere agli uffici. Tutto ciò lascia i richiedenti asilo «privi di un valido titolo di soggiorno», impossibilitati ad accedere a cure mediche, lavoro, alloggi e accoglienza, e potenzialmente esposti al rischio di espulsione. Non solo: l’amministrazione subordina la formalizzazione della domanda alla presentazione di documenti sull’ospitalità, richiesta non prevista dalla legge e in contraddizione con quanto la stessa Questura aveva dichiarato in un precedente accesso civico. Una prassi che il Tribunale di Catanzaro ha già più volte censurato, condannando l’Ufficio a provvedere entro 3–10 giorni. Le associazioni denunciano anche una totale incertezza sul rilascio e rinnovo dei permessi di soggiorno, con informazioni «contraddittorie» fornite oralmente e richieste di documentazione «non prevista da alcun disposto normativo». Le tempistiche superano «i previsti 60 giorni» e spesso perfino i 180 giorni massimi, arrivando «a svariati mesi, se non addirittura anni». Di particolare gravità, scrivono le organizzazioni, è il fatto che sia «sistematicamente impedito l’ingresso» agli avvocati e agli operatori legali che accompagnano i propri assistiti: una violazione palese del diritto di difesa all’interno di un ufficio «che è diretta espressione dell’amministrazione dello Stato sul territorio». Si segnalano inoltre «mancanza di mediatori» adeguati, rilascio ritardato dell’attestazione della domanda d’asilo, violazioni della legge 241/90 sul procedimento amministrativo e una serie di «comportamenti inurbani e aggressivi» da parte del personale di sportello. LA COMMISSIONE TERRITORIALE DI CROTONE: DINIEGHI STEREOTIPATI E TEMPI INTERMINABILI La seconda lettera, indirizzata alla Commissione territoriale di Crotone 3, descrive altrettante criticità. Viene riferito un «altissimo numero di provvedimenti di diniego» spesso formulati attraverso «mere formule di rito, dal contenuto stereotipato» e privi di qualunque ricerca COI (country of origin information). Questi rifiuti, si legge, vengono «nella grandissima maggioranza dei casi» ribaltati in Tribunale già in primo grado, con un aggravio inutile per la Sezione specializzata del Tribunale di Catanzaro. Allarmante anche quanto riferito su alcuni commissari di nuova nomina, che durante le audizioni avrebbero commentato: «tanto poi c’è il ricorso», mostrando «assoluta non consapevolezza del delicato ruolo ricoperto». I tempi di convocazione per le audizioni «arrivano anche a due anni dalla presentazione della domanda», mentre le decisioni possono richiedere 8-9 mesi. Ancora più critica la situazione dei pareri relativi alla protezione speciale: ritardi ingiustificati, pareri «nella stragrande maggioranza dei casi di senso negativo» e totale assenza della valutazione degli elementi previsti dalla legge. Nella lettera sono denunciate anche «ostilità verso la produzione documentale» da parte di legali e operatori durante le audizioni, trasferimenti immotivati di fascicoli ad altre Commissioni, e l’abbandono delle prassi virtuose di confronto con il territorio che in passato caratterizzavano l’ufficio. Le conseguenze, scrivono le associazioni, sono la «lesione dei diritti dei richiedenti asilo», l’aumento del contenzioso e un generale «svilimento» della procedura amministrativa. LE RICHIESTE DELLE ASSOCIAZIONI: VERIFICHE E MISURE CORRETTIVE Dinanzi a un quadro giudicato «cronico e strutturale», le organizzazioni firmatarie chiedono che le autorità competenti avviino «una verifica approfondita delle prassi contestate» e adottino misure urgenti per ristabilire legalità, trasparenza e il rispetto delle garanzie previste dalla legge italiana ed europea. Le associazioni si dichiarano inoltre disponibili a un incontro «con tutte le realtà operanti nel settore» per individuare soluzioni e ripristinare un dialogo con le istituzioni. 1. Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione – ASGI Associazione Don Vincenzo Matrangolo E.T.S. di Acquaformosa Agorà Kroton soc. coop. sociale onlus Ambulatorio medico “A. Grandinetti” e Auser Cosenza ArciRed Associazione Comunità Progetto Sud ETS Associazione Culturale “La Kasbah ETS” Carovane Migranti Centro Sai Cerchiara coop. soc. Medihospes Cidis Impresa sociale ETs CNCA Calabria Collettivo L’Altra Marea Equipe sociosanitaria-sopravvissuti a tortura Germinal APS La Base La Terra di Piero Lotta Senza Quartiere ODV Prendocasa Sabir Srl Sociale ETS Sportello legale “Stand-Up” Usb Cosenza Avvocati di strada di Cosenza. ↩︎ 2. Lettera indirizzata alla Questura di Cosenza ↩︎ 3. Segnalazione in merito all’attività della Commissione Territoriale di Crotone ↩︎
Correzione delle generalità errate nel provvedimento di riconoscimento della protezione e nel PdS, dopo il silenzio della CT
Il Tribunale di Roma – sezione immigrazione – si pronuncia in merito alla correzione dei dati anagrafici di un cittadino pakistano a cui la Commissione Territoriale nel decreto di riconoscimento della protezione sussidiaria aveva invertito il nome con il cognome. Conseguentemente anche la Questura aveva rilasciato il permesso di soggiorno con le generalità errate. A fronte del silenzio della Commissione Territoriale sulla richiesta di correzione è stato adito il Tribunale civile il quale ha ordinato alla Commissione Territoriale la correzione del provvedimento di riconoscimento della protezione sussidiaria e alla Questura la correzione del permesso di soggiorno. Il Giudice ha accolto il ricorso anche in ragione del fatto che: “il silenzio serbato dall’Amministrazione sulla richiesta di correzione delle generalità sta causando al richiedente grande nocumento in quanto lo stesso risulta in possesso di documenti tra loro discordanti (si pensi alla carta d’identità o al permesso di soggiorno del ricorrente i cui dati sbagliati non coincidono con quelli contenuti nel codice fiscale) e, conseguentemente, non può essere identificato correttamente né dagli agenti di Pubblica Sicurezza né, soprattutto, da alcun potenziale datore di lavoro, con la conseguente impossibilità per lo stesso di stipulare regolare contratto di lavoro.” La sentenza può essere utile quindi per i casi frequenti in cui c’è un errore nelle generalità del cittadino straniero sul provvedimento della Commissione Territoriale di riconoscimento della protezione e sul conseguente permesso di soggiorno. Tribunale di Roma, sentenza del 14 ottobre 2025 Si ringrazia l’Avv.ta Federica Remiddi per la segnalazione e il commento.
Riconosciuta la protezione speciale per il livello di integrazione raggiunto nel territorio nazionale dal ricorrente (art. 19, c. 1.1. TUI)
Il caso affrontato dal Tribunale di Potenza riguarda un cittadino della Repubblica di Guinea, accolto presso un centro di accoglienza, che si è visto negare ogni forma di protezione dalla Commissione territoriale. Il diniego è stato impugnato nei termini. All’esito del giudizio, il Tribunale di Potenza, richiamando l’art. 19 del D.Lgs. n. 286/1998, ha dichiarato che, stante l’elevato grado di integrazione nel territorio nazionale nel ricorrente, il suo allontanamento dal territorio italiano avrebbe comportato una violazione del diritto al rispetto della vita familiare, non essendoci ragioni di sicurezza nazionale o di ordine pubblico impeditive. La decisione del Tribunale si fonda sul fatto che il ricorrente si trova in Italia dal 2021 e sulla copiosa documentazione depositata che attesta il livello di integrazione raggiunto (contratti di lavoro, buste paga, contratto di locazione ad uso abitativo). Alla luce degli elementi sopra menzionati il Tribunale di Potenza ha ritenuto sussistenti i giusti motivi per riconoscere un permesso per protezione speciale anche in ragione delle conseguenze che sarebbero derivate dallo sradicamento a cui il ricorrente sarebbe stato sottoposto in caso di rimpatrio, subendo un pregiudizio dei diritti fondamentali e la violazione della vita privata intesa nella sua accezione più ampia, non legata cioè, esclusivamente all’esistenza di legami di carattere familiare. In conclusione, il Tribunale di Potenza ha ritenuto la fattispecie concreta rientrante nei casi di cui all’art. 19 commi 1 e 1.1. D.Lgs. 286/1998 e ha disposto la trasmissione degli atti al Questore per il rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale, ai sensi del combinato disposto dell’art. 19, commi 1.2, Decreto Legislativo 286/1998 e dell’art. 32, comma 3 del Decreto Legislativo n. 25/2008, come disciplinati dal Decreto Legge 130/2020 convertito in Legge 173/2020. Tribunale di Potenza, decreto del 15 ottobre 2025 Si ringrazia l’Avv. Arturo Raffaele Covella per la segnalazione e il commento. * Consulta altre decisioni relative al permesso di soggiorno per protezione speciale *
Protezione sussidiaria ad un cittadino curdo iracheno che in sede di Commissione aveva ottenuto solo la protezione speciale
Il Tribunale di Roma ha accolto il ricorso, ritenendo fondata la domanda nella parte in cui si evidenzia che la zona di provenienza del ricorrente (Erbil) è tuttora interessata da molteplici conflitti armati che coinvolgono l’esercito turco, il PKK, cellule dell’ISIS e altri gruppi paramilitari. Tale situazione rende l’Iraq uno Stato instabile sotto il profilo della sicurezza, motivo per cui anche eventuali periodi di apparente miglioramento non possono, allo stato attuale, considerarsi duraturi o tali da escludere un rischio concreto. Alla luce di queste considerazioni, è stata riconosciuta la protezione sussidiaria ai sensi dell’articolo 14, lettera c), del D.Lgs. 251/2007. Tribunale di Roma, decreto del 30 giugno 2025 Si ringrazia l’Avv. Marco Galdieri per la segnalazione e il commento. Il ricorso è stato redatto con la collaborazione dell’Avv. Maddalena Moratti.
Status di rifugiata alla richiedente asilo LGBTQ+ di etnia rom con cittadinanza serba
Il Tribunale di Napoli riconosce lo status di rifugiata alla richiedente asilo di etnia rom appartenente al gruppo sociale LGBTQ+ e con cittadinanza serba. La Commissione Territoriale pur riconoscendo i presupposti per il riconoscimento dello status, applicava l’art. 12 lett. c) d.lgs 251/07 in quanto la richiedente era gravata da plurime sentenze di condanna definitive per reati ostativi (tra cui 624-bis c.p.), scontate in regime detentivo per 7 anni e poi in affidamento al servizio sociale (sosteneva infatti l’audizione con autorizzazione del Tribunale di Sorveglianza).  Il Tribunale riconosce l’ineccepibile reinserimento sociale della ricorrente e conclude nel senso che: “(…) la conclusione che precede non può essere revocata dalle vicende giudiziarie della ricorrente, le quali non suggeriscono l’esistenza di ragioni di sicurezza nazionale ovvero di ordine e sicurezza pubblica ostative alla permanenza sul territorio italiano. Sul punto, è appena il caso di osservare che il fatto di reato rientra tra quelli di cui all’art. 5, comma 5 bis, del d.lgs. n. 286 del 1998 (…) E’ noto però che il giudizio di pericolosità del richiedente rispetto all’ordine pubblico non può farsi discendere in via automatica dalla mera esistenza della sentenza di condanna (…) Una conclusione diversa non solo si scontra con il chiaro disposto normativo, ma finirebbe altresì per configurare il diniego di riconoscimento alla stregua di una pena accessoria, conseguente alla sentenza penale di condanna, in contrasto con il principio di legalità”. Tribunale di Napoli, decreto del 19 giugno 2025 Si ringraziano le avv.te Martina Stefanile e Stella Arena per la segnalazione e il commento. Il caso è stato seguito con l’avv. Vincenzo Sabatino. * Contribuisci alla rubrica “Osservatorio Commissioni Territoriali”
Mali, protezione sussidiaria per i richiedenti: minaccia alla vita per la violenza indiscriminata
Il Tribunale di Potenza si è pronunciato sul ricorso presentato da due cittadini maliani contro il provvedimento della Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Bari, che aveva rigettato la loro domanda di protezione internazionale. La Commissione aveva tuttavia ritenuto sussistenti i presupposti per la trasmissione degli atti al Questore, ai fini del rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale ai sensi dell’art. 32, comma 3, del d.lgs. 25/2008 e s.m.i. Assegnaci il tuo 5‰: scrivi 00994500288 I ricorrenti, in particolare, chiedevano al Giudice adito l’annullamento della decisione ed alla luce dell’instabilità che comunque caratterizza lil Mali nella sua interezza che venisse accertato e riconosciuto il diritto dei ricorrenti al riconoscimento della protezione internazionale, quale protezione sussidiaria o, in via gradata, qua le status di rifugiato ed In via ulteriormente gradata, il riconoscimento allo straniero del diritto di asilo costituzionalmente sancito ex art. 10 co. 3. Il tribunale dopo aver elencato numerose fonti internazionali concludeva per il riconoscimento della protezione sussidiaria in quanto vi era un serio pericolo per la loro vita per la sola presenza sul territorio a causa della violenza indiscriminata, oltre alla continua e radicata violazione dei diritti fondamentali della persona. Questo esimeva i ricorrenti dal fornire prova del rischio specifico (v.si, in tal senso, CGUE Grande sezione sentenza del 17 febbraio 2009 nel procedi mento C-465/07, caso Elgafaji), non rilevando, dunque, alcun giudizio di comparazione tra la condizione individuale in cui si troverebbero i ricorrenti in caso di rimpatrio e quella medio tempore raggiunta in Italia. 1) Tribunale di Potenza, decreto del 18 giugno 2026 2) Tribunale di Potenza, decreto del 18 giugno 2026 Si ringrazia l’Avv. Andrea Fabbricatti per la segnalazione e il commento. -------------------------------------------------------------------------------- * Consulta altri provvedimenti relativi all’accoglimento di richieste di protezione da parte di cittadini/e del Mali * Contribuisci alla rubrica “Osservatorio Commissioni Territoriali” VEDI LE SENTENZE * Status di rifugiato * Protezione sussidiaria * Permesso di soggiorno per protezione speciale
Riconosciuta la protezione speciale al richiedente nigeriano, dopo violazione dei termini della cd. procedura accelerata
Il Tribunale di Napoli ha riconosciuto la protezione speciale in seguito alla presentazione dell’istanza ex art. 7-quinquies del D.L. n. 20/2023. Ciò che rende peculiare questa decisione è il fatto che, all’epoca, il ricorrente aveva presentato una nuova domanda di protezione internazionale presso la Questura di Taranto. La domanda era stata dichiarata inammissibile dalla Commissione Territoriale di Caserta. Assegnaci il tuo 5‰: scrivi 00994500288 Successivamente, il richiedente si è rivolto al difensore legale, quando ormai erano trascorsi i 15 giorni previsti per proporre ricorso secondo la procedura accelerata. La difesa ha quindi sollevato un’eccezione, sostenendo che non erano stati rispettati i termini della procedura accelerata e che, di conseguenza, dovevano applicarsi i termini ordinari di 30 giorni. Il Tribunale di Napoli ha accolto questa eccezione, ritenendo il ricorso tempestivo. Ne deriva che l’effetto sospensivo del provvedimento impugnato è automatico e che il termine per proporre ricorso non è di 15, ma di 30 giorni. A questo proposito, va ricordato che – per quanto riguarda i termini procedurali previsti dall’art. 28-bis del D.Lgs. 25/2008 – la giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, è da tempo consolidata. È stato infatti affermato il principio secondo cui, in caso di superamento dei termini per l’audizione del richiedente o per la decisione della Commissione, si ripristina la procedura ordinaria. In tal caso, si applica nuovamente il principio generale della sospensione automatica del provvedimento della Commissione Territoriale e il termine per impugnare torna ad essere quello ordinario di trenta giorni, previsto dall’art. 35-bis, comma 2, del medesimo decreto. Nel merito, il ricorrente ha dimostrato una solida integrazione sociale e lavorativa. Come rilevato dal Tribunale: “L’acclarata stabilità lavorativa rende l’istante inespellibile ai sensi dell’art. 19, comma 1.1, del Testo Unico sull’Immigrazione, poiché il rimpatrio violerebbe i suoi diritti fondamentali alla vita privata, tutelato dall’art. 8 della CEDU, nonché i diritti al cibo, all’abitazione e a un ambiente salubre, riconosciuti dal Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, adottato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 16 dicembre 1966, entrato in vigore il 3 gennaio 1976 e ratificato dall’Italia con la legge n. 881/1977”. Tribunale di Napoli, decreto del 15 luglio 2025 Si ringrazia l’Avv. Mariagrazia Stigliano per la segnalazione e il commento. * Consulta altre decisioni relative al riconoscimento della protezione speciale
Procedura accelerata “Paesi sicuri”: la manifestazione della volontà di asilo coincide quantomeno il 1° appuntamento in Questura
Il Tribunale di Milano ha ribadito l’orientamento secondo il quale vi è deroga al principio generale di sospensione automatica del provvedimento impugnato solo nel caso in cui la Commissione Territoriale abbia applicato una corretta procedura accelerata, utilizzabile quando ricorra ipotesi di manifesta infondatezza della richiesta protezione (Cass. SSUU n. 11399/2024). Assegnaci il tuo 5‰: scrivi 00994500288 Nel caso di specie, in data 29.10.2024, il richiedente prenotava l’appuntamento, tramite il sistema “prenotafacile – procedure per la presentazione”, per il giorno 17.01.2025 presso la Questura competente per procedere con la richiesta di protezione internazionale. Alla data dell’appuntamento, la Questura rinviava la compilazione del modello C3 al giorno 18.02.2025. In data 18.02.2025, si era tenuto l’appuntamento di elaborazione del modello C3, con formalizzazione della domanda di asilo e il rilascio dell’id. Vestanet.  Sempre in tale data, la Questura rinviava ulteriormente alla data del 27.03.2025 per la consegna del modello C3 e del primo permesso di soggiorno. La Questura, infine, trasmetteva i relativi atti alla Commissione Territoriale in data 27.03.2024. In data 01.04.2025 La Commissione Territoriale dichiarava la domanda manifestamente infondata per provenienza del richiedente da un Paese designato di origine sicura, ai sensi dell’articolo 2-bis D.lgs. n. 25/2008. Il ricorrente proponeva ricorso e, contestualmente, chiedeva la sospensione del sopra menzionato provvedimento ex art. 35 bis comma 4 D.lgs. 25/2008 per violazione dei termini per la procedura accelerata di cui all’art. 28 bis, comma 2, lett. c) D.lgs. n. 25/2008 (“La Questura provvede senza ritardo alla trasmissione della documentazione necessaria alla Commissione territoriale che, entro sette giorni dalla data di ricezione della documentazione, provvede all’audizione e decide entro i successivi due giorni”), in combinato disposto con l’art. 26, comma 2 bis, del citato D.lgs. n. 25/2008 (“Il verbale di cui al comma 2 è redatto entro tre giorni lavorativi dalla manifestazione della volontà di chiedere la protezione ovvero entro sei giorni lavorativi nel caso in cui la volontà è manifestata all’Ufficio di polizia di frontiera. I termini sono prorogati di dieci giorni lavorativi in presenza di un elevato numero di domande in conseguenza di arrivi consistenti e ravvicinati di richiedenti”). Orbene, il Tribunale di Milano, in accoglimento della domanda di sospensiva con riguardo alla allegata violazione dei termini, ha osservato che “la manifestazione della volontà di presentare la domanda di protezione internazionale è stata quantomeno espressa in concomitanza al primo appuntamento presso la Questura …., fissato il 17.01.2025 e successivamente rinviato al 18.02.2025 e da ultimo al 27.03.2025, data di formalizzazione della domanda, avvenuta pertanto oltre i termini previsti dall’art. 26 co 2 bis Dlgs 25/2008; l’audizione risulta fissata il 1/04/2025 e la decisione risulta intervenuta in pari data; … dal provvedimento impugnato non si evince che il caso in esame rientri nell’ipotesi contemplata dall’art. 28 bis co 5 Dlgs 25/2008”. Pertanto, “nel caso in esame i termini per impugnare il provvedimento negativo non sono quelli dimidiati previsti per la procedura accelerata bensì quelli ordinari e che il provvedimento impugnato dovrà intendersi sospeso come nei casi ordinari, così come ha concluso la Suprema Corte nella pronuncia menzionata”. Tribunale di Milano, decreto del 7 luglio 2025 Si ringrazia l’Avv. Lorenzo Chidini per la segnalazione e il commento. Il caso è stato seguito con l’Avv. M. Beatrice Sciannamblo del Foro di Milano. * Consulta altre decisioni relative alla cd. procedure accelerata