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Più guerra che pace, R1PUD1A bocciata in due collegi docenti
«Dobbiamo convincere milioni di persone del fatto che abolire la guerra è una necessità urgente e un obiettivo realizzabile. Questo concetto deve penetrare in profondità nelle nostre coscienze, fino a che l’idea della guerra divenga un tabù e sia eliminata dalla storia dell’umanità».  Gino Strada, Stoccolma 30 novembre 2015 celebrazione Right Livelihood Award, il Premio Nobel alternativo. Hanno scritto all’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università due insegnanti; tra di loro non si conoscono, ma hanno vissuto la stessa situazione spiacevole. Essi hanno proposto nel loro Collegio Docenti di collegare la propria scuola alla community R1PUD1A di Emergency e incredibilmente hanno trovato in alcuni insegnanti e nel/la dirigente scolastico/a un muro.  Ci hanno scritto che preferiscono mantenere l’anonimato loro e della scuola, ma ci tenevano a farci sapere dell’accaduto. Possiamo ipotizzare che ci siano altri casi simili nelle nostre scuole, e che ce ne saranno in futuro. Se volete siamo qui a raccogliere la vostra esperienza e a denunciarla.  Ci hanno scritto: «La mozione della campagna di Emergency aveva raccolto 40 firme. Ne abbiamo discusso. La preside ha parlato prima della votazione dicendo che la scuola non fa politica. Risultato: dei 40 firmatari abbiamo votato a favore solo in 17». «Quando il dirigente dà un suo parere contrario, gli insegnanti si sentono costretti ad aderire alla sua linea». Alcuni dirigenti scolastici e insegnanti, con la scusa che a scuola non si debba fare politica, bocciano iniziative lodevoli di un’associazione riconosciuta come Emergency, che da anni entra in punta di piedi nelle scuole primarie e secondarie a spiegare la brutalità delle guerre. Sono gli stessi dirigenti scolastici e insegnanti che talvolta abbracciano le nuove collaborazioni con il Ministero della Difesa e se ne fanno partecipi, legittimando il militarismo dilagante e diventando essi stessi il punto debole del sistema scolastico in un contesto globale segnato da conflitti e riarmo. Come Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università siamo vicini a chi sente la scuola come un pilastro fondativo di una società che non va arruolata alla guerra e lotta per costruire percorsi di pace e nonviolenza, come quello che si è svolto a Verona l’8 novembre e che ha visto la partecipazione di circa 250 insegnanti al II Forum nazionale delle scuole per la nonviolenza. A scuola non trasmettiamo solo competenze, ma costruiamo la coscienza civica. Per questo pensiamo che la visione di dirigenti scolastici e insegnanti sia dirimente. Possono avere lungimiranza, incoraggiare la partecipazione, rendere la scuola un luogo vivo, capace di incidere sul presente oppure no.  Ringraziamo chi ci ha scritto e invitiamo altri insegnanti, genitori, studenti a farlo. Tutto quello che interessa la scuola ci interessa, che siano ostacoli o traguardi raggiunti, vedete per esempio questa serie di mozioni per la pace. Appena trascorsa la giornata del 4 novembre, data simbolo della fine della Prima Guerra mondiale, che la legge n. 27 del 1 marzo 2024 ha rinominato “Giornata dell’Unità nazionale e delle Forze armate” in una dubbia esaltazione del passato bellicista e della attuale difesa armata, noi riprendiamo a segnalare i casi di militarizzazione delle scuole, delle università e, in generale, dei territori.  A chi volesse sottrarsi suggeriamo di leggere e usare i moduli che abbiamo scritto con l’aiuto di legali e sindacalisti vicini al nostro Osservatorio.  Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università 
Il lavoro ripudia la guerra. Manifesto per un diritto del lavoro della pace
L’umanità sta attraversando un crinale della storia che rischia di essere senza ritorno. La guerra e l’uso della forza armata sembrano costituire sempre di più l’unico mezzo per la risoluzione dei conflitti internazionali e per il perseguimento di miopi interessi nazionali, dimenticando che l’umanità ha un unico comune destino. Il piano di riarmo deciso dall’Unione europea, l’aumento oltre ogni sostenibilità delle spese militari deciso dalla NATO, la folle corsa agli armamenti, costituiscono di per sé una “dichiarazione di guerra”, attraverso la sottrazione di risorse ai diritti fondamentali: la salute, la casa, l’istruzione, la cultura, la salvaguardia dell’ambiente. L’economia di guerra condanna per sempre i lavoratori al precariato e allo sfruttamento ed è incompatibile con un “esistenza libera e dignitosa” (art. 36 Cost.). Essa inoltre comporta una proliferazione delle attività lavorative connesse con la guerra; la produzione, il commercio ed il trasporto delle armi, stanno portando ad un crescente coinvolgimento di lavoratori e lavoratrici in attività connesse direttamente o indirettamente con il settore bellico Riteniamo che il movimento sindacale, con il sostegno delle forze della società civile che hanno a cuore la pace e il disarmo, abbia il dovere di dare una risposta all’altezza dei tempi al desiderio diffuso di tanti lavoratori e lavoratrici di sottrarsi agli ordini dei propri datori di lavoro quando questi sono in esplicito contrasto con i valori di pace e di convivenza umana: oggi più che mai si pone per i lavoratori il tema della “non collaborazione” con una economia di guerra e con un sistema di relazioni internazionali fondato sulla palese violazione del diritto internazionale e del diritto umanitario. Si tratta di andare oltre il motto “non in mio nome” e proclamare con azioni concrete “non con le mie mani, non con le mie conoscenze, non con il mio lavoro”. Se “l’Italia ripudia la guerra” (art. 11 Cost.) e se “l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” (art. 1 Cost.), deve ritenersi coerente con il dettato costituzionale la volontà dei lavoratori e delle lavoratrici di non collaborare, di disobbedire, di non effettuare nessuna prestazione lavorativa che abbia un’attinenza diretta o indiretta con l’economia e la cultura della guerra, in ogni settore: industriale, della logistica e del trasporto, della ricerca, dell’istruzione. Questa volontà di disobbedienza deve potersi manifestare anzitutto con il libero esercizio del diritto di sciopero (art. 40 Cost.) e di ogni azione collettiva di lotta (art. 39 Cost) che si opponga alla guerra e alle politiche di riarmo L’esercizio di questo diritto per essere davvero libero deve essere svincolato da ogni controllo del potere esecutivo e della Commissione di garanzia sul diritto di sciopero, dal momento che è di tutta evidenza che il trasporto e la movimentazione di armi dentro e fuori il territorio nazionale (a maggior ragione fuori dal territorio nazionale), non possono essere definiti “servizi pubblici essenziali” non avendo alcuna attinenza con “il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà e alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all’assistenza e previdenza sociale, all’istruzione ed alla libertà di comunicazione” (art. 1 l. 146/1990) . Riteniamo, al contrario, che lo sciopero contro le armi e le azioni collettive sindacali di contrasto alla movimentazione di armamenti costituiscano lo strumento più idoneo a garantire i principi costituzionali di rifiuto della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali ed il rispetto del diritto umanitario ed internazionale. Ad un tempo riteniamo che debba essere garantito il diritto dei singoli lavoratori e delle singole lavoratrici di qualsiasi settore o comparto, di dichiararsi obiettori di coscienza per convincimenti morali, filosofici o religiosi rifiutando di effettuare la propria prestazione lavorativa se questa è connessa direttamente o indirettamente con le armi e la guerra ed essere assegnati a mansioni alternative. Pur auspicando che tale diritto sia garantito da una norma positiva, riteniamo sussista già nel nostro ordinamento un diritto all’obiezione di coscienza che trova la sua fonte in principi di diritto internazionale di diretta applicazione. La coscienza, insieme alla ragione, è ciò che distingue gli esseri umani, come recita l’art. 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (“Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”). La Convenzione EDU, all’art. 9, prevede che “ogni persona” ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione, senza alcuna eccezione. L’art. 2 della Costituzione “riconosce e garantisce” i diritti inviolabili dell’uomo. Auspichiamo che pertanto venga riconosciuto il diritto di ogni lavoratore e lavoratrice di rifiutare per motivi di coscienza di effettuare la prestazione lavorativa se questa è connessa direttamente o indirettamente all’economia e alla cultura della guerra e di essere assegnato/a ad attività alternative. Siamo convinti che lo sciopero, la disobbedienza, l’azione collettiva ed il rifiuto individuale da parte dei lavoratori e delle lavoratrici possano costituire la più efficace forma di lotta nonviolenta e possano fermare i signori della guerra e la follia del riarmo, consentendo alla Repubblica, fondata sul lavoro, di ripudiare la guerra e bandirla dalla storia. Per aderire: illavororipudialaguerra@gmail.com Firmatari:  Alessandra Algostino (costituzionalista – Università Torino)- Michela Arricale (avv. Co-Presidente CRED) – Olivia Bonardi ( giuslavorista, Università di Milano) – Silvia Borelli (giuslavorista Università di Ferrara) -Marina Boscaino (Portavoce dei Comitati contro ogni Autonomia differenziata) – Piera Campanella (giuslavorista, Università di Urbino) – Giulio Centamore (giuslavorista Università di Bologna) – Chiara Colasurdo (avv. CEING) – Andrea Danilo Conte (avv. CEING) – Antonello Ciervo (costituzionalista) – Giorgio Cremaschi (sindacalista) – Claudio De Fiores (Presidente Centro Riforma dello Stato, costituzionalista) – Aurora D’Agostino (copresidente Associazione Giuristi Democratici) – Beniamino Deidda (magistrato, ex Procuratore generale Firenze) – Antonio Di Stasi (giuslavorista Università Politecnica delle Marche) – Riccardo Faranda (avv. CEING) – Cristiano Fiorentini (Es. Naz. USB) – Domenico Gallo (magistrato, già Consigliere Corte di Cassazione) – Andrea Guazzarotti (costituzionalista Università Ferrara) -Carlo Guglielmi (avv. CEING) – Roberto Lamacchia (copresidente Associazione Giuristi Democratici) – Antonio Loffredo (giuslavorista Università di Siena) – Guido Lutrario (Es. Naz. USB) – ⁹Fabio Marcelli (giurista internazionalista Co-Presidente CRED) – Federico Martelloni (giuslavorista Università Bologna) – Roberto Musacchio (già parlamentare europeo) – Valeria Nuzzo (giuslavorista Università Campania) – Giovanni Orlandini (giuslavorista Università Siena) – Francesco Pallante (costituzionalista Università Torino) – Paola Palmieri (Cons. Cnel per USB) – Alberto Piccinini (Presidente Comma 2) – Giancarlo Piccinni (Presidente Fondazione Don Tonino Bello) – Franco Russo (già parlamentare, CEING) – Giovanni Russo Spena (già parlamentare) – Arturo Salerni (avv. CEING) – Jacobo Sanchez (avv. CEING), Simone Siliani (Direttore Fondazione Finanza Etica) – Carlo Sorgi (magistrato, già Presidente Tribunale Lavoro Bologna) – Francesco Staccioli (Es. Naz. USB) – Anna Luisa Terzi (magistrato, già Consigliere Corte appello Trento) – Associazione Comma 2 – Associazione Giuristi Democratici – Pax Christi Italia