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PALESTINA: NUOVI CRIMINI DI GUERRA A GAZA E IN CISGIORDANIA. STALLO SUGLI AIUTI
Israele rinvia ancora una volta l’apertura del valico di Rafah. L’agenzia israeliana per le attività nei territori palestinesi ha dichiarato alla Reuters che sono in corso i preparativi con l’Egitto per aprire il valico di Rafah al passaggio delle persone, ma la data dell’apertura sarà annunciata in seguito. L’agenzia umanitaria ha aggiunto che gli aiuti umanitari non passeranno da Rafah, ma continueranno a entrare attraverso Karem Abu Salem (Kerem Shalom) e altri valichi. Parlare di aiuti umanitari non è comunque corretto: ad entrare sono camion commerciali e i beni venduti al mercato, non aiuti umanitari.  Al momento i palestinesi di Gaza non hanno la possibilità di acquistare questi beni: non hanno soldi e le banche non hanno ancora aperto. Inoltre, dei 600 camion  al giorno promessi e annunciati da Israele, al momento ne arrivano meno di 300. L’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (UNRWA) afferma di avere abbastanza cibo fuori dalla Striscia per rifornire la popolazione per tre mesi e che le squadre sono pronte a consegnarlo. “Ma nonostante il cessate il fuoco, il blocco delle autorità israeliane all’UNRWA che porta rifornimenti a Gaza continua dopo oltre 7 mesi”, ha scritto l’agenzia su X. Intanto a Gaza, nonostante il cessate il fuoco in corso, tre persone sono state uccise in attacchi israeliani contro i palestinesi.  Una persona è stata uccisa dal fuoco dell’esercito israeliano nel campo profughi di Bureij, nella parte orientale della Striscia di Gaza, mentre un’altra è stata ammazzata da un drone che  ha sganciato una bomba nella zona di Khan Younis. Qui ci sono anche due feriti, uno dei quali in gravi condizioni. Un altro palestinese è morto invece a causa delle ferite riportate dopo essere stato colpito due giorni fa nei pressi della Facoltà di Scienze e Tecnologia di Gaza City. Il direttore dell’ospedale al-Shifa di Gaza, Mohammed Abu Salmiya, afferma di non aver assistito a progressi degni di nota in termini di servizi sanitari o di disponibilità di medicinali dall’inizio del cessate il fuoco. Ha sottolineato che i prigionieri rilasciati necessitano di cure mediche speciali a causa delle condizioni di privazione e torture subiti nelle carceri israeliane. I medici dell’ospedale Nasser nella città di Khan Younis, nella parte meridionale di Gaza, che hanno ricevuto i cadaveri di palestinesi uccisi da Israele e riconsegnati dalla Croce Rossa, hanno dichiarato oggi che c’erano prove sostanziali di percosse ed esecuzioni sommarie e che nessuno dei corpi era identificabile. Israele protagonista di violenze anche nella Cisgiordania occupata: le forze israeliane hanno assediato un paese a nord-est di Ramallah, demolendo una abitazione con il pretesto che sarebbe stata costruita senza permesso. Assedio anche al Al-Tuwani, villaggio palestinese nelle colline a Sud di Hebron, dove è stato bloccato l’ingresso per “operazioni militari” facendo cinque fermi e terrorizzando i residenti. Infine, una persona è rimasta ferita dagli spari israeliani nella città di al-Ram, a nord della Gerusalemme occupata. Negli ultimi mesi, le forze israeliane hanno intensificato gli attacchi contro i civili nei pressi del muro di separazione, provocando feriti e morti. Solo ieri un 57enne era stato ucciso dopo essere stato aggredito dai soldati vicino al muro. Gli aggiornamenti e i commenti di Shukri Hroub dell’UDAP, l’Unione democratica arabo-palestinese. Ascolta o scarica
Il governo genocida approva l’accordo sullo scambio di prigionieri. Ma bombarda ancora
A proposito di “proposte che non si possono rifiutare”, anche il governo israeliano ha approvato l’accordo per il rilascio degli ostaggi a Gaza. E’ il primo dei 20 punti del “piano Trump”, ed è anche uno dei pochi relativamente chiari. Come previsto gli esponenti della destra messianica hanno fatto le […] L'articolo Il governo genocida approva l’accordo sullo scambio di prigionieri. Ma bombarda ancora su Contropiano.
Amnesty International: “Il cessate il fuoco sia l’avvio di un percorso affinché Israele ponga fine all’occupazione illegale, all’apartheid e al genocidio”
La notte tra l’8 e il 9 ottobre 2025 Israele e Hamas hanno accettato la prima fase dell’accordo sul cessate il fuoco che, secondo quanto riferito da fonti d’informazione, riguarda l’immediata apertura di cinque punti d’ingresso degli aiuti umanitari verso la Striscia di Gaza, il rapido ritorno a casa di tutti gli ostaggi in vita, israeliani e di altre nazionalità, in cambio di prigionieri palestinesi e il parziale ritiro delle forze armate israeliane dalla Striscia di Gaza. “Per oltre due milioni di persone palestinesi della Striscia di Gaza occupata, che da due anni subiscono un’agonizzante sofferenza, incessanti bombardamenti e una sistematica carestia nel contesto dell’attuale genocidio israeliano, per le persone tenute in ostaggio dai gruppi armati palestinesi e per quelle detenute arbitrariamente in Israele, un accordo che potrebbe porre fine agli orrori degli ultimi due anni arriva crudelmente in ritardo e non cancellerà ciò che hanno subito. In molti ora controlleranno da vicino che non si tratterà solo di un altro breve momento di sollievo”, ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International. “Mettere in pausa o ridurre temporaneamente gli attacchi e permettere a una goccia di aiuti umanitari di entrare nella Striscia di Gaza non è abbastanza. Devono esserci una totale cessazione delle ostilità e la completa rimozione del blocco israeliano. Israele deve consentire il flusso, senza ostacoli, di forniture basilari quali cibo, medicine, carburante e materiali per la ricostruzione in tutte le zone della Striscia di Gaza, così come il ripristino dei servizi essenziali, in modo da assicurare la sopravvivenza di una popolazione che sta annaspando a causa della fame, delle ripetute ondate di sfollamenti di massa e di una campagna di annichilimento. A ciò devono aggiungersi il ritiro delle forze armate israeliane dalla Striscia di Gaza e interventi urgenti per ricostruire e riparare infrastrutture fondamentali in tutto il territorio”, ha aggiunto Callamard. “Tutte le persone palestinesi che sono state costrette a sfollare all’interno della Striscia di Gaza, la maggior parte di loro più volte, devono poter tornare nelle loro terre senza che Israele stabilisca chi può e chi non può farvi rientro”, ha sottolineato Callamard. “Hamas e gli altri gruppi armati palestinesi devono rimettere in libertà le persone in ostaggio, ponendo finalmente termine a un incubo durato due anni. Israele deve scarcerare tutte le persone palestinesi sottoposte a detenzione arbitraria, comprese quelle detenute senza accusa né processo o in quanto combattenti illegali, in particolare gli operatori sanitari ingiustamente arrestati solo per aver prestato cure mediche”, ha proseguito Callamard. “Perché un accordo sul cessate il fuoco sia duraturo, occorre che sia solidamente basato sul rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale e includa l’immediata fine del genocidio di Israele contro la popolazione palestinese della Striscia di Gaza e misure concrete per porre termine all’occupazione illegale di tutto il Territorio palestinese occupato e per smantellare il sistema di apartheid”, ha commentato Callamard. “È triste constatare che tutto questo è assente nel cosiddetto ‘piano di pace Trump’, che non chiede giustizia e riparazione per le vittime dei crimini di atrocità né chiama a risponderne i responsabili. Fermare il ciclo della sofferenza e delle atrocità richiede la fine di un’impunità radicata nel tempo, che è al centro delle ricorrenti violazioni dei diritti umani tanto in Israele quanto nel Territorio palestinese occupato. Gli Stati devono tener fede ai loro obblighi di diritto internazionale e portare di fronte alla giustizia i responsabili di crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio”, ha rimarcato Callamard. “Il progetto israeliano di imporre un ‘perimetro di sicurezza’, ossia una zona cuscinetto nella parte della Striscia di Gaza dove si trovano i terreni più fertili, rafforzerà ulteriormente il sistema di apartheid, l’occupazione e l’ingiustizia. Qualunque ipotesi di affidare a terzi l’occupazione della Striscia di Gaza senza assicurare la libertà di movimento col resto del Territorio occupato non farà altro che aggravare la frammentazione territoriale che è alla base del sistema israeliano di apartheid. Allo stesso modo, ogni misura destinata ad alterare la composizione demografica e la geografia di altre zone del Territorio occupato, ossia la Cisgiordania e Gerusalemme Est, dev’essere immediatamente annullata”, ha evidenziato Callamard. “L’attuale piano non assicura una partecipazione attiva e degna di questo nome delle persone palestinesi alle decisioni sul futuro del Territorio palestinese occupato, sul modo in cui esso sarà governato e su come potranno esercitare i loro diritti umani. Un piano che ripeta gli errori e I fallimenti del passato, ignorando i diritti umani e le cause di fondo dell’ingiustizia, non garantirà un futuro giusto e sostenibile a tutte le persone che vivono in Israele e nel Territorio palestinese occupato. Dopo due anni di vergognosi doppi standard e di veti che hanno paralizzato il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite mentre avveniva un genocidio in diretta mondiale, è giunto il momento di cogliere l’opportunità di porre fine a questo orrore, rimediare agli sbagli fatti e salvare ciò che è rimasto della nostra comune umanità”, ha concluso Callamard. Amnesty International
Gaza. Accordo nella notte tra Hamas e Israele
Nella notte sarebbe stato raggiunto un primo accordo tra Hamas e Israele relativo alla liberazione degli ostaggi israeliani a Gaza, la scarcerazione di 2000 prigionieri palestinesi, il ritiro parziale dell’esercito israeliano dalla Striscia, l’ingresso di aiuti umanitari e, soprattutto, l’inizio della tregua dopo due anni di violenti attacchi israeliani che hanno distrutto […] L'articolo Gaza. Accordo nella notte tra Hamas e Israele su Contropiano.
Gaza. Oggi iniziano i negoziati in Egitto, ma Israele continua a bombardare
Ieri, domenica 5 ottobre, una delegazione di Hamas, guidata da Khalil al Hayya, è arrivata in Egitto in vista dei colloqui indiretti con la controparte israeliana per avviare negoziati “sui meccanismi per un cessate il fuoco, il ritiro delle forze di occupazione (israeliane) e uno scambio di prigionieri”. Allo stesso […] L'articolo Gaza. Oggi iniziano i negoziati in Egitto, ma Israele continua a bombardare su Contropiano.
La Knesset è pronta a introdurre la pena di morte per i cosiddetti ‘terroristi’
Nella giornata di domenica 28 settembre la Commissione per la Sicurezza Nazionale della Knesset, il parlamento israeliano, ha dato il via libera alla discussione di un disegno di legge che introdurrà la pena di morte per coloro che sono accusati di terrorismo. Il che, considerata la concezione di ‘terrorismo’ che […] L'articolo La Knesset è pronta a introdurre la pena di morte per i cosiddetti ‘terroristi’ su Contropiano.
Il “piano” di Trump per Gaza, secondo Israele
La proposta americana in 21 punti, per porre fine alla “guerra Israele-Hamas”, che è stata “supervisionata” da alcuni paesi arabi, e che sarebbe nelle mani di Hamas, verrà sottoposta lunedì Trump la sottoporrà a Netanyahu. Lo riferisce il “Times of Israel“, non certo un giornale dell’opposizione israeliana, che ne illustra […] L'articolo Il “piano” di Trump per Gaza, secondo Israele su Contropiano.
Non esistono israeliani buoni
Israele è guidato da un governo crudele e da un Primo Ministro senza cuore, come non se ne sono mai visti prima. Le vite umane, che si tratti di abitanti di Gaza, ostaggi o soldati, non interessano a questo governo. Sta Massacrando gli abitanti di Gaza e abbandonando ostaggi e […] L'articolo Non esistono israeliani buoni su Contropiano.
Dove cercare la speranza nella terra tra il fiume e il mare? Prima parte
Il futuro non si manifesta mai prima al centro. Il futuro si manifesta prima ai margini. – Otto Scharmer. Lo sciopero e la manifestazione del 17 agosto in Israele danno un segno di speranza per la trasformazione nella consapevolezza della società israeliana, o ancora una volta mostra che la società israeliana è egocentrica, etnocentrica, incapace di provare empatia se non per “i suoi”, una società malata, una società… mostruosa? Più di una conversazione in questi giorni sottintendeva o esplicitamente portava questa domanda. Sono partner di un israeliano, madre di due figlie con cognome ebraico, referente del gruppo italiano di Amici di Combatants for Peace, creatrice del metodo ‘Storie che Riconnettono’ che ha l’intenzione di promuovere culture di pace in tempo di policrisi, e risvegliare storie di connessione, compassione e coraggio. Da questa mia ‘positionality’, come esploro questa domanda? E’ stato invocato uno sciopero generale e sono state organizzate manifestazioni di protesta in varie città, chiedendo la fine immediata della guerra, il rilascio degli ostaggi e la sospensione della nuova operazione militare a Gaza. Hanno partecipato centinaia di migliaia di persone, forse un milione. Netanyahu e i suoi ministri hanno bollato la protesta come un atto che rafforza Hamas. Il focus era sugli ostaggi israeliani e in effetti l’evento è stato promosso dal “Forum delle famiglie degli ostaggi”. Sentire i discorsi incentrati su 50 ostaggi (israeliani) senza un minimo accenno a migliaia (le cifre cambiano a seconda delle fonti, da 60.000 a centinaia di migliaia) di persone morte a Gaza (palestinesi) innesca una sorta di fastidioso risentimento, se non un boato di indignazione feroce. E’ forte la tentazione di vedere dunque il 17 agosto non come segno di speranza, ma piuttosto come segno di una società cieca e sorda al dolore dell’altro, soprattutto dell’altro di cui è carnefice. Eppure, sono comunque centinaia di migliaia di persone che stanno chiedendo la fine della guerra. E soprattutto, tra loro, se scegliamo di guardare ai margini dove emergono le possibilità, ci sono gruppi e movimenti che chiedono non solo la fine della guerra per gli ostaggi, ma perché stanno co-resistendo insieme a palestinesi, di solito cosiddetti palestinesi del ‘48, formalmente con cittadinanza israeliana, ma “di serie B”. Questi movimenti non hanno remora a chiamare più precisamente questa guerra “genocidio”, denunciano la morte per fame a Gaza e la pulizia etnica nella Cisgiordania, vogliono la fine dell’occupazione e incarnano un futuro di giustizia, sicurezza e libertà per tutte le persone dal fiume al mare. Hanno navigato il trauma del 7 ottobre insieme. Alcuni membri di Combatants for Peace (CfP) hanno raccontato di come sia stato delicato riprendere i loro incontri, palestinesi e israeliani-e insieme. Hanno prima fatto degli incontri online in gruppi separati, poi ogni gruppo ha accolto una persona dell’altro gruppo in qualità solo di osservatore, e solo infine hanno potuto riprendere le loro attività insieme. Un israeliano di CfP ha raccontato quanto il 7 ottobre avesse avuto il potenziale di innescare in lui di nuovo diffidenza e odio e come il trigger sia stato disinnescato dai messaggi empatici dei CfP palestinesi. Un altro israeliano di CfP ha raccontato che immediatamente dopo l’attacco del 7 ottobre, quando non si sapeva cosa sarebbe successo ancora e i figli erano terrorizzati dalle notizie, ha mostrato loro i messaggi dei suoi amici palestinesi. In questi quasi due anni, i movimenti congiunti di ebrei israeliane-i e palestinesi ‘Combatants for Peace’ CfP e ‘Standing Together’ (e cito solo quelli che seguo di più) hanno co-resistito e protestato contro l’orrore della violenza. Ecco solo alcune delle loro iniziative: Gerusalemme, 25 maggio 2025 – Una decina di attivisti-e di Standing Together si sono mobilitati per proteggere palestinesi contro le bande di estrema destra che erano arrivate per creare violenza nella Città Vecchia di Gerusalemme, in occasione del “Giorno di Gerusalemme”. Tel Aviv e Gerusalemme, 3 agosto 2025 – Centinaia di attiviste-i, tra cui CfP, hanno protestato chiedendo giustizia per Awdah Hathaleen, educatore e attivista palestinese, ucciso dal colono Yinon Levi il 28 luglio nel suo villaggio di Umm Alkhair, a Masafer Yatta. Beit Jala, 15 agosto 2025 – “I giornalisti sono gli occhi e le orecchie del mondo. A Gaza quegli occhi vengono deliberatamente chiusi: più di 200 reporter uccisi dal 7 ottobre 2023”. CfP israeliani e palestinesi hanno organizzato una manifestazione nonviolenta contro l’uccisione recente di sei giornalisti a Gaza e hanno chiesto che Israele sia ritenuto responsabile. Beit Jala, 7 agosto 2025 – Manifestazione nonviolenta settimanale per denunciare la fame a Gaza causata dalle politiche israeliane. L’esercito israeliano ha chiuso la zona e minacciato di intervenire con la forza. Sakhnin, agosto 2025 – Migliaia di cittadini-e, ebrei israeliani e palestinesi, si sono radunati a Sakhnin per chiedere la fine della guerra, del genocidio e della fame forzata a Gaza. Confine di Gaza, 6 agosto 2025 – Al confine di Gaza, ebrei israeliani e palestinesi si sono uniti per dire no all’annientamento, alla distruzione, all’occupazione e alla fame forzata e per denunciare l’abbandono degli ostaggi. L’attivista di Standing Together, Eliah Levine, ha spiegato alla BBC perché hanno interrotto la diretta di Big Brother Israel per chiedere la fine degli orrori a Gaza. “Non possiamo continuare come se nulla fosse mentre decine di migliaia di palestinesi vengono uccisi e 50 ostaggi vengono abbandonati”. Questi due movimenti, Combatants for Peace e Standing Together, insieme a circa 60 organizzazioni fanno parte della Coalizione It’s Time formatasi dopo l’attacco del 7 ottobre 2023, con l’obiettivo di porre fine al conflitto israelo-palestinese attraverso un accordo politico, garantendo il diritto all’autodeterminazione, l’uguaglianza e una vita sicura per entrambi i popoli. Torniamo quindi alla domanda sul 17 agosto, sapendo che prima di questa data, una parte (Troppo piccola? Abbastanza significativa?) della società si è mobilitata, squarciando il silenzio e la propaganda, denunciando il genocidio, l’orrore, l’annientamento, la fame forzata a Gaza, la pulizia etnica in Cisgiordania, l’abbandono degli ostaggi. Una sensazione di apertura arriva nel petto. Forse non tutto è perduto. Forse ai margini c’è speranza. Come internazionali, come europei-e, come italiane-e diamo abbastanza spazio e sostegno a questi movimenti congiunti che stanno co-resistendo, così da nutrire la speranza? Anche Al-Jazeera ha riportato la notizia dello sciopero e delle manifestazioni del 17 agosto. Al-Jazeera è spesso il canale più seguito nei paesi arabi, specie nei Territori Palestinesi: in Cisgiordania e Gaza è la prima fonte di informazione per oltre il 53% del pubblico, distaccando di gran lunga altri network come Palestine TV e Al Arabiya. La sua vasta audience ha fatto sì che, secondo la Columbia Journalism Review, la copertura di eventuali accordi di pace con Israele attraverso Al-Jazeera potrebbe determinare l’accettazione o meno di tali accordi da parte del pubblico palestinese (fonte: Wikipedia). Al-Jazeera è spesso accusata di parzialità (ma chi è imparziale?). E dunque, tenendo presente ciò, è da segnalare che Al-Jazeera ha portato la voce di Alon-Lee Green, leader di Standing Together, per commentare la protesta del 17 agosto, con la domanda che va dritta al punto dolente: “Come il tuo movimento di israeliani-e e palestinesi vede le proteste in Israele che vogliono portare a casa gli ostaggi e ridurre le morti israeliane e focalizzano meno sui palestinesi e le loro condizioni a Gaza?” Alon-Lee Green ha risposto: “Facciamo parte di una società… e crediamo che cambiare la società da dentro e organizzarci sia parte chiave per porre fine a questo incubo e all’annientamento in corso a Gaza, rilasciare gli ostaggi e buttare fuori il governo e risolvere il profondo problema dell’occupazione. E dobbiamo capire che ogni persona che è nelle strade adesso per resistere alla guerra è benvenuta. E dobbiamo capire che partire dal proprio interesse è qualcosa di importante. … E bisogna capire che è importante connettere questo all’interesse palestinese, perché solo se costruiamo una maggioranza di persone, palestinesi ed ebrei-e israeliani-e che costruiscono fiducia, collaborando insieme e resistendo insieme a questa realtà, in questo modo possiamo non solo porre fine a questo annientamento e a questa guerra, ma anche andare oltre e porre fine all’occupazione.” Alon-Lee Green riconosce la realtà e al tempo stesso porta l’attenzione sulle possibilità. Sa benissimo che parte (a quanto sembra gran parte) della società israeliana scesa in piazza vuole la fine della guerra per suo interesse “tribale”. Eppure intravede la possibilità di partire da questo per lavorare dall’interno della società per trasformarla. In diversi video sul suo canale Instagram, Alon-Lee si rivolge al pubblico israeliano, dicendo che si tratta sì di salvare i palestinesi, ma si tratta anche di salvare l’umanità degli israeliani, e chiedendo provocatoriamente di rispondere alla domanda: quale tipo di Paese vogliamo? Dalla prospettiva palestinese e pro-palestinese, potrebbe essere visto come un discorso arrogante. E nella dimensione dell’urgenza di un tempo schiacciato dal dolore e dalla rabbia per l’ingiustizia, è forse veramente arrogante. Eppure, nella dimensione di un tempo profondo, in cui mezzi e fini si sovrappongono e la liberazione dell’oppresso è la liberazione anche dell’oppressore – quanto è densa questa affermazione e quanto è dura scriverla per la parte di me-noi che ha la spada della giustizia tagliente – queste affermazioni non sono arroganti, ma coraggiose. Anzi sono le uniche possibili in termini di liberazione collettiva. Una palestinese israeliana di Standing Together, Sally Abed, fa riferimento all’interesse proprio degli ebrei israeliani-e, portando una prospettiva insolita, che invita a una scelta di empowerment radicale e di profonda trasformazione. “Sono una donna palestinese, chiedo di lottare per la liberazione del mio popolo, non per salvare me, per salvare noi… Rifiuto che partecipiate alla nostra lotta congiunta per salvare noi… Io chiedo che ogni ebreo-a israeliano-a di questo Paese si unisca a questa lotta a partire da un proprio interesse privato… un interesse profondo di mettere fine all’occupazione e di pace… Altrimenti non costruiremo una partnership autenticamente paritaria. Vi chiedo di unirvi alla lotta in cui entrambi abbiamo un interesse in una vita migliore, un futuro migliore, in pace e libertà… Ci impediscono di immaginare un futuro migliore e noi insistiamo nell’immaginare un futuro migliore.” E’ delicato scrivere e parlare di Palestina e Israele perché c’è la dimensione dell’urgenza, che porta il conato di indignazione, l’istinto di gridare e la sensazione di impazzire; c’è un genocidio sotto i nostri occhi e bisogna fare qualunque cosa possibile pur di fermarlo. Eppure c’è un’altra dimensione che apparentemente è meno urgente, e per questo è marginalizzata. E’ la dimensione del tempo profondo, della compassione e della riconciliazione, è l’essenza della trasformazione del conflitto, è preparare il futuro di riconciliazione facendolo, anche e soprattutto nel mezzo della carneficina. E’ lavorare da dentro la società che non vede (non vuole vedere) i crimini che sta commettendo. Ecco che dentro si fa sentire la voce (o forse il grido): “Non vede? E’ praticamente un genocidio in diretta. Non vuole vedere?? Peggio ancora. Come è possibile? E’… mostruoso”.   Ilaria Olimpico
Sulla manifestazione di Tel Aviv
Ci raccontano che Israele si sia risvegliato, che finalmente gli israeliani abbiano capito l’orrore della guerra. “Vedete – titolano i giornali – gli israeliani vogliono la pace.” Una formula che suona bene, quasi edificante. Peccato che sia una mezza verità, e come tutte le mezze verità serve a coprire la […] L'articolo Sulla manifestazione di Tel Aviv su Contropiano.