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Cospirazione e colpo di stato elettorale in Honduras?
A un mese dalle elezioni generali, in cui oltre 6,3 milioni di persone saranno chiamate alle urne per eleggere  presidente, deputati del Congresso e del Parlamento centroamericano, sindaci e  consiglieri comunali, la situazione elettorale in Honduras è sempre più tesa. Mercoledì scorso (29/10), il procuratore generale Johel Zelaya ha convocato una conferenza stampa in cui ha reso noto il contenuto di alcune registrazioni audio (QUI la trascrizione completa), consegnate  alcuni giorni prima da uno dei tre titolari del Consiglio nazionale elettorale (Cne), Marlon Ochoa, in carico al partito di governo Libertà e Rifondazione – Libre, in cui viene rivelato un presunto piano per boicottare e destabilizzare le elezioni del prossimo 30 novembre. Tale piano coinvolgerebbe il deputato Tomás Zambrano, capogruppo del Partito nazionale dell’Honduras, la consigliera del Cne, Cossette López Osorio, e un membro non identificato delle forze armate. Caos programmato La strategia prevede sia l’infiltrazione nella  logistica del trasporto di urne e schede votate, per ritardare e pilotare la comunicazione dei primissimi risultati, che la manipolazione della trasmissione elettronica dei risultati preliminari, generando così un clima di crescente sospetto, crisi e caos a livello nazionale e internazionale. Tensione e confusione che, in caso di vantaggio della candidata di Libre, Rixi Moncada, contribuirebbero a spalancare le porte a un mancato riconoscimento dei risultati finali. L’insieme delle azioni cospirative avrebbe come fattore scatenante l’induzione nell’opinione pubblica della percezione che il vincitore sia invece il candidato del Partito liberale, Salvador Nasralla, e che Libre stia tramando una frode per non cedere il potere. A rafforzare il piano destabilizzatore contribuirebbe poi la massiccia azione di divulgazione attraverso media, piattaforme e social controllati e finanziati dai principali gruppi economici legati all’opposizione politica, da sempre ostili al governo progressista di Castro e al partito sorto come braccio politico del movimento di resistenza contro il colpo di stato cívico-militare, che nel 2009 depose con la forza delle armi l’allora presidente Manuel Zelaya. L’infiltrazione dei gruppi di osservazione elettorale con militanti del Partito nazionale potenzierebbe ulteriormente la narrativa e la percezione nella popolazione e nella comunità internazionale della frode elettorale, dando il via alla mobilitazione delle basi nazionaliste che contribuirebbero ad aggravare il caos e l’instabilità. Il mancato riconoscimento del risultato elettorale a livello internazionale, in particolare da parte degli Stati Uniti, è infatti fondamentale affinché la strategia funzioni e siano indette nuove elezioni. Le solite manovre L’orchestrazione da Washington di strategie per impedire alle forze progressiste di arrivare al governo o di continuare a governare in Honduras non è certo una novità. Nel 2017, l’allora ambasciatrice statunitense avallò e benedisse i brogli che permisero un secondo mandato presidenziale a Juan Orlando Hernández, attualmente detenuto negli Stati Uniti per reati legati al narcotraffico. Qualcosa di molto simile accadde anche durante le elezioni del 2013 (primo mandato di Hernández, che aveva come principale avversario l’attuale presidente Castro) e il colpo di Stato del 2009. Nel 2017, le proteste furono represse con violenza, con un bilancio di oltre trenta persone uccise e centinaia di feriti. Molti cittadini dovettero abbandonare il Paese per sfuggire alla repressione e alla cattura. Particolarmente ironica è la situazione dell’istrionico conduttore di programmi sportivi Salvador Nasralla, che otto anni fa fu candidato presidenziale di un’alleanza guidata da Libre, nonché il primo a denunciare a livello nazionale e internazionale le innumerevoli irregolarità che lo privarono della vittoria. Ora sarà proprio lui a trarne il maggior vantaggio, alleandosi con chi gli impedì di essere presente e  accettando la benedizione di nazionalisti e trumpiani. Indagini a tappeto Nonostante le dichiarazioni di López e Zambrano, quest’ultimo sostenuto dai principali leader del Partito nazionale, che denunciano pesanti pressioni, la falsità delle registrazioni, per le quali sarebbe stata usata l’intelligenza artificiale, e i rischi che corre la democrazia, il procuratore Zelaya ne ha assicurato l’autenticità e ha confermato l’inizio delle indagini. “Daremo istruzioni affinché si inizi a indagare l’accaduto, si assicuri la protezione delle registrazioni e vengano citati i testimoni”. Zelaya ha ricordato che qualsiasi tentativo deliberato di manipolare i risultati elettorali costituisce un reato di tradimento della patria, che in Honduras è punibile con una pena detentiva da 15 a 20 anni e l’interdizione assoluta per un periodo doppio rispetto alla durata della pena. Da parte sua, la presidente Xiomara Castro, attraverso il suo account su X, ha condannato con assoluta fermezza “questa cospirazione criminale volta a provocare un colpo di Stato elettorale”. Ha poi dichiarato di aver chiesto alle forze armate di indagare sul coinvolgimento di militari nel tentativo di destabilizzazione, nonché al ministro degli Esteri di denunciare i fatti alla comunità internazionale. “Gli stessi gruppi che hanno violato la Costituzione nel 2009 e che hanno consumato le frodi elettorali del 2013 e del 2017, oggi tentano nuovamente di soppiantare la volontà del popolo, generare caos e sequestrare la sovranità popolare”, ha affermato Castro. “Difenderemo la democrazia e la volontà dei cittadini con tutta la forza della legge, garantendo elezioni libere e trasparenti, la pace sociale e il rispetto incondizionato dello Stato di diritto e dell’ordine costituzionale”, ha aggiunto. Anche la candidata presidenziale di Libre ha reagito agli ultimi eventi. “Alla luce delle registrazioni che rivelano l’operazione fraudolenta di una mafia elettorale all’interno del CNE, affermo con chiarezza: non esiste il crimine perfetto! La difesa delle elezioni e della democrazia assume oggi un carattere storico”. Moncada ha inoltre chiesto al procuratore generale di agire con tutta la forza della legge, e alla consigliera Cossette López di rimettere immediatamente il mandato. “Nessuno che partecipi a una cospirazione di tale portata ha la legittimità per ricoprire una carica come autorità elettorale”. Fonte: LINyM (spagnolo) Giorgio Trucchi
Myanmar: negate sistematicamente cure mediche in carcere
Quattordici organizzazioni umanitarie*, fra le quali Amnesty International, hanno espresso profonda preoccupazione per le notizie sul crescente numero di persone morte in custodia in Myanmar, in particolare negli ultimi quattro anni e mezzo, periodo segnato da un’erosione senza precedenti del rispetto e della tutela dei diritti umani. Dall’inizio del colpo di stato militare del 2021 si stima che circa 1.800 persone siano morte sotto la custodia della giunta militare, spesso in seguito alla negazione sistematica dell’accesso all’assistenza sanitaria o a ferite non trattate, subite durante interrogatori violenti dopo l’arresto. Le organizzazioni hanno firmato un appello per chiedere con urgenza che i militari di Myanmar garantiscano alle persone private della libertà l’accesso a cure mediche adeguate, equivalenti per qualità e disponibilità a quelle messe a disposizione nel paese, e che tali cure siano accessibili a tutte le persone detenute, senza alcuna forma di discriminazione. È stata inoltre richiesta la cessazione immediata delle torture e di ogni altra forma di maltrattamento nei confronti delle persone detenute. Secondo quanto riportato da organi di stampa indipendenti e gruppi impegnati nel monitoraggio delle carceri, nel luglio 2025 diverse persone sono morte in luoghi di detenzione differenti. Ma Wutt Yee Aung, 26 anni, attivista studentesca arrestata dalle forze militari nel settembre 2021 per accuse di terrorismo e incitamento, è morta intorno al 19 luglio nel carcere di Insein, a Yangon. L’Unione degli studenti dell’università di Dagon ha espresso timori sul fatto che il decesso possa essere stato causato da lesioni alla testa riportate durante gli interrogatori e dall’assenza di cure adeguate da parte dell’amministrazione penitenziaria, nonostante le ripetute richieste della famiglia affinché fosse trasferita in un ospedale esterno al carcere. Lo stesso giorno Ko Pyae Sone Aung, 44 anni, rappresentante della sezione del partito Lega nazionale per la democrazia nel Comune di Belin, nello stato di Mon, sarebbe morto nel carcere di Thaton dopo essere stato violentemente picchiato. Secondo la Human Rights Foundation of Monland, Ko Pyae e altre quattro persone sarebbero state colpite con manganelli e prese a calci all’addome. Fonti locali hanno inoltre espresso preoccupazione per il fatto che la morte possa essere stata favorita dalla mancata somministrazione di cure mediche appropriate per ipertensione, diabete e occlusioni arteriose. Ko Pyae, arrestato nel gennaio 2022, era stato condannato a sei anni di carcere per accuse di sedizione e terrorismo. All’inizio di luglio altri due prigionieri politici sono morti in carceri diverse, sempre a causa di complicazioni mediche. In un rapporto pubblicato nel settembre 2024 l’ufficio dell’Alta Commissaria delle Nazioni Unite per i diritti umani ha dichiarato che almeno 1.853 persone erano morte in custodia dal colpo di stato del 2021. Secondo i dati raccolti da osservatori sul campo, tra gennaio e luglio 2025 sono morte in custodia oltre 70 persone. Di queste almeno 59 sarebbero decedute nel carcere di Obo, nella città di Mandalay, crollato dopo il terremoto di magnitudo 7.7 che ha colpito il Paese a marzo. Tra le vittime figurano anche persone detenute arbitrariamente, incarcerate unicamente per il loro sostegno, reale o presunto, a gruppi di opposizione, tra cui la Lega nazionale per la democrazia, destituita dalla giunta militare con il colpo di stato del 2021. Il numero effettivo potrebbe essere più elevato, a causa degli ostacoli nel reperire e verificare le informazioni, dovuti soprattutto alle gravi restrizioni all’accesso alle carceri e alla chiusura forzata di numerose testate giornalistiche. Il rapporto dell’Alta Commissaria del 2024 definisce inoltre le torture e i maltrattamenti in custodia militare una pratica “diffusa”, in particolare nei centri per gli interrogatori e nelle basi militari ma anche nelle carceri, come la tristemente nota prigione di Tharyarwaddy, a Bago. In questi contesti vengono segnalate violenze fisiche e psicologiche, compresa la violenza sessuale, con l’obiettivo di estorcere confessioni o ottenere informazioni su persone sospettate di avere legami con gruppi contrari alle forze militari. I prigionieri politici, soprattutto coloro che partecipano a proteste pacifiche all’interno delle carceri contro le violazioni subite, vengono puniti con pestaggi brutali, isolamento prolungato, nuove accuse penali e, in alcuni casi, trasferimenti punitivi in luoghi di detenzione più remoti o, peggio ancora, uccisi durante questi trasferimenti. Secondo il Political prisoners network-Myanmar, un’organizzazione di monitoraggio, almeno 190 prigionieri politici sono morti tra il 2021 e luglio 2025 a causa di interrogatori condotti con modalità violente, maltrattamenti o per la mancata prestazione di cure mediche adeguate. Nonostante la vasta documentazione su queste pratiche da parte di organizzazioni nazionali e internazionali, non risulta che alcun funzionario della giunta militare sia stato chiamato a rispondere dei decessi e delle violenze all’interno delle carceri. È importante sottolineare che le torture e i maltrattamenti nei confronti delle persone detenute, ampiamente documentati, rappresentano solo una delle molteplici dimensioni della drammatica situazione dei diritti umani nel paese, che continua a richiedere un’attenzione e un intervento costanti da parte della comunità internazionale. Dall’inizio del colpo di stato del 2021 la giunta militare del Myanmar ha ucciso oltre 7.000 persone, in gran parte civili, e ha incarcerato arbitrariamente quasi 30.000 persone. Oltre 3,5 milioni di persone risultano sfollate internamente a causa dei conflitti armati in corso. Organizzazioni per i diritti umani hanno documentato bombardamenti aerei indiscriminati da parte dell’esercito, che hanno causato la morte di persone civili all’interno di scuole, durante cerimonie nuziali, nei rifugi e persino nei giorni successivi al terremoto del marzo 2025. A questi si aggiungono il blocco degli aiuti umanitari e altre gravi violazioni che potrebbero costituire crimini contro l’umanità e crimini di guerra. Le organizzazioni hanno ribadito la loro richiesta alla giunta militare del Myanmar affinché ponga fine immediatamente alle torture e ai maltrattamenti nei confronti delle persone detenute e intervenga con urgenza per migliorare le condizioni di detenzione, allineandole alle Regole minime delle Nazioni Unite per il trattamento delle persone detenute (“Regole Mandela”) e ad altri standard internazionali in materia. Alle persone detenute deve essere garantito l’accesso tempestivo e adeguato all’assistenza sanitaria, compresa la possibilità di essere trasferite in strutture ospedaliere esterne quando le cure necessarie non sono disponibili all’interno delle carceri. Occorre inoltre rafforzare la fornitura di medicinali e altri beni essenziali nei luoghi di detenzione, anche permettendo l’ingresso degli aiuti internazionali e l’accesso delle organizzazioni umanitarie e sanitarie e dei familiari, che possano consegnare cibo, medicinali e altri beni di prima necessità. L’appello delle Ong alla giunta militare del Myanmar è anche quello di scarcerare immediatamente tutte le persone detenute arbitrariamente. *ALTSEAN-Burma Amnesty International Articolo 19 Asian Forum for Human Rights and Development (FORUM-ASIA) Assistance Association for Political Prisoners Athan – Freedom of Expression Activist Organization Burma Campaign UK Chin Human Rights Organization Exile Hub Fortify Rights Human Rights Foundation of Monland Manushya Foundation Myanmar Peace Museum Political Prisoners Network – Myanmar Politics for Women Myanmar Amnesty International
Bolsonaro agli arresti domiciliari
La Polizia Federale (PF) sta eseguendo, questo venerdì mattina , mandati di perquisizione e sequestro nei confronti dell’ex presidente Jair Bolsonaro (PL) , a Brasilia (DF). L’operazione è stata autorizzata dalla Corte Suprema Federale (STF) e include l’ordine di ottemperare anche ad indirizzi legati al Partito Liberale (PL), il partito di Bolsonaro. Secondo gli alleati intervistati dalla stampa, l’ex presidente si trovava a casa sua, nel quartiere Jardim Botânico, quando sono arrivati gli agenti. Bolsonaro è stato portato alla Polizia Federale, dove il dispositivo di controllo verrà installato sul suo corpo. Gli sarà inoltre vietato utilizzare i social media e dovrà rimanere a casa tra le 19:00 e le 7:00 del mattino. All’ex presidente è stato vietato di comunicare con ambasciatori e diplomatici stranieri (e non potrà avvicinarsi alle ambasciate), così come con altri imputati e con le persone sotto inchiesta da parte della Corte Suprema. Secondo quanto riferito, la decisione dell’STF è stata motivata, tra gli altri fattori, dal sospetto dei ministri della Corte che Bolsonaro possa provare a chiedere asilo al governo di Donald Trump negli Stati Uniti, un paese in cui suo figlio, il deputato federale Eduardo Bolsonaro (PL-SP) , sta attualmente cercando sostegno per l’ex presidente. Le nuove misure restrittive contro Bolsonaro giungono nelle fasi finali del processo che lo accusa di tentato colpo di Stato. Il caso è oggetto di indagine da parte della Corte Suprema e raccoglie prove secondo cui, dopo la sconfitta alle elezioni del 2022, l’allora presidente avrebbe collaborato con alleati civili e militari per impedire l’insediamento di Luiz Inácio Lula da Silva (Partito dei Lavoratori). Manfredo Pavoni Gay