Proposta shock di Francesca Albanese per salvare Gaza a La Sapienza di Roma
“E’ vergognosa l’assenza di iniziative da parte dei governi per fermare il
genocidio in Palestina. Non dovrebbe essere la Global Sumud Flotilla a rompere
l’illegale assedio israeliano di Gaza, bensì la Marina Militare italiana.”
Parole forti queste, pronunciate da Francesca Albanese ieri (5 settembre)
davanti a una sala stracolma della Facoltà di Scienze Politiche de La Sapienza,
Roma. L’incontro, intitolato I saperi nell’economia del genocidio, è stato
organizzato dal Comitato Sapienza Palestina, dal CNR contro le guerre e
dall’Assemblea precaria universitaria. La Relatrice Speciale delle Nazioni Unite
per i territori palestinesi occupati ha dedicato con grande generosità oltre due
ore del suo tempo a rispondere a tutte le domande degli studenti e dei docenti
assiepati nell’aula Vittorio Bachelet e nei corridoi adiacenti.
Un unico filo conduttore percorreva tutte le risposte di Albanese: bisogna farsi
sentire per Gaza, nonostante tutti gli ostacoli che possa frapporre
l’Università; bisogna boicottare gli accordi già stipulati dall’Università con
Israele e rifiutare di collaborare a futuri progetti di ricerca a fini militari
o dual use. In una parola, bisogna sempre e ovunque “fare la cosa giusta”, ha
insistito la giurista italiana – anche se una determinata azione potrebbe
sembrare velleitaria. “Alla fine, qualcosa cambierà. E mentre lottiamo, i
palestinesi ci vedranno e ci sentiranno vicini.”
Certo, ha aggiunto poi la Relatrice speciale, i governi hanno la responsabilità
primaria, la cosiddetta Responsabilità di proteggere o R2P. Si tratta della
dottrina che giustifica anche l’intervento militare di uno Stato per fermare i
crimini contro l’umanità commessi da un altro Stato, in particolare il genocidio
e la pulizia etnica – da qui un ipotetico intervento della Marina italiana a
Gaza. Purtroppo, ha osservato Albanese con rammarico, Israele sta commettendo
sia il genocidio che la pulizia etnica davanti ai nostri occhi, eppure gli Stati
terzi rimangono inerti, limitandosi a condanne verbali senza conseguenze. Ecco
perché è sempre più importante che i cittadini reagiscano. Qualsiasi tentativo
di contestazione o di boicottaggio, comunque vada, richiama i governi alle loro
responsabilità.
Molti degli studenti e dei docenti intervenuti all’incontro hanno fatto presente
la difficoltà di mettere questi lodevoli principi in pratica. Un ricercatore ha
spiegato come, all’Università, la libertà di ricerca è soltanto teorica; nei
fatti, solo i progetti di ricerca funzionali al sistema vengono lautamente
finanziati. Naturalmente, sì è sempre liberi di condurre progetti di ricerca al
di fuori di quelli che interessano i professori-baroni – ma saranno sempre
definanziati e inoltre condanneranno il ricercatore a non fare mai carriera
nell’Università.
“Tutto ciò è vero,” ha risposto Albanese. “Nell’università ci sono una
frammentazione e una precarizzazione – funzionale al potere – che rendono
difficili le contestazioni. Ma la sfida è quella.”
Per quanto riguarda gli insegnamenti offerti dalle Università ai loro studenti,
ha aggiunto Albanese, questi corsi tendono “a normalizzare e a legittimare” le
narrative dominanti. Viene subito in mente, ad esempio, il colonialismo
insegnato come fenomeno del passato, mentre quello israeliano attuale raramente
viene fatto oggetto di studio: eppure oggi esso viene imposto con devastante
crudeltà a intere popolazioni, le quali vengono spostate con la violenza per
consentire a Israele di accaparrarsi le loro terre e di estrarre guadagno a
proprio beneficio e a quello dei suoi “facilitatori” (le grandi aziende, ma
anche il sistema universitario).
Comunque, negli atenei israeliani, ha detto la giurista italiana, la situazione
è addirittura peggiore di quella riscontrata in Europa: viene insegnata una
storia che cancella quasi totalmente i palestinesi e i loro diritti. “E’
significativo”, ha aggiunto Albanese, che nessuna università israeliana abbia
mai condannato la distruzione totale, da parte dell’IDF, delle università nei
territori palestinesi – tutte e undici.” Come se non fossero mai esistite e non
dovessero esistere”.
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