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Hebron/Cisgiordania, MSF: “Violenza israeliana incessante. Popolazione allo stremo fisico e mentale”
In Cisgiordania, la salute mentale della popolazione palestinese è costantemente minata dalla paura di aggressioni e violenze da parte dei coloni e delle forze armate israeliane, soprattutto per chi vive nella zona meridionale di Hebron, come gli abitanti di Masafer Yatta. Qui, la minaccia quotidiana di trasferimenti forzati, ferimenti e – come si è visto nelle ultime settimane – uccisioni, è costante. Medici Senza Frontiere (MSF), che gestisce cliniche mobili nella zona, sta vedendo ostacolate le proprie attività a causa della situazione di forte insicurezza, aggravata dalla crescente violenza dei coloni. “Stiamo assistendo a numerose demolizioni di abitazioni da parte delle forze israeliane, che fanno ripetutamente incursione nei villaggi di Masafer Yatta. In alcuni villaggi è stato demolito fino all’85% delle abitazioni. Le politiche e le pratiche del governo israeliano volte all’annessione della Cisgiordania, hanno effetti devastanti sulla salute fisica e mentale dei nostri pazienti” dichiara Frederieke Van Dongen, responsabile degli affari umanitari di MSF a Hebron. “Gli attacchi dei coloni, spesso insieme all’esercito israeliano, sono ormai quasi quotidiani e sempre più violenti, responsabili di un numero crescente di feriti e di ricoveri ospedalieri”. Negli ultimi mesi, gli attacchi dei coloni israeliani contro gli abitanti di Masafer Yatta si sono intensificati, provocando ferite fisiche e psicologiche sempre più gravi. I racconti parlano di episodi di frequenza quotidiana: pestaggi, animali lasciati intenzionalmente liberi per devastare i campi coltivati, strade bloccate, case demolite e una pressione psicologica costante. Negli ultimi 12 mesi, la maggior parte dei nuovi pazienti che si sono rivolti alle cliniche MSF a Hebron per ricevere supporto psicologico lo ha fatto a seguito di episodi di violenza. Solo a giugno 2025, il 94% degli ingressi era legato ad attacchi violenti. Le cliniche mobili di MSF a Hebron hanno risposto ai nuovi bisogni delle comunità beduine di Masafer Yatta, offrendo cure di base e supporto psicologico a chi è stato colpito dagli attacchi dei coloni – inclusi bambini, donne e anziani. Inoltre, MSF sostiene anche i palestinesi costretti a fuggire dalle proprie case a causa della violenza e delle demolizioni. A maggio, i coloni hanno preso d’assalto la comunità di Jinba, lasciando tra la popolazione corpi feriti, raccolti distrutti e una crescente convinzione che la pace non sia più possibile. “Hanno colpito un anziano alla testa, ha avuto bisogno di oltre 15 punti di sutura” racconta Ali Al Jabreen, membro della comunità di Jinba. “Un altro ferito ha ancora una mano rotta. E un uomo ha riportato gravi problemi psicologici dopo due settimane in terapia intensiva. La violenza non si ferma mai”. “Sono arrivati con tre macchine, erano circa 17 coloni. Hanno picchiato me, mio padre e mio fratello Ahmad. Poi quella stessa notte sono tornati. Hanno distrutto il nostro rifugio, la clinica e la moschea. Mio padre era in condizioni critiche – il suo battito era sceso a 35. Mio fratello è rimasto incosciente per giorni. Siamo rimasti circondati per più di un’ora prima che un’ambulanza potesse passare” racconta Qusay Al-Amour, ragazzo diciottenne che dopo l’attacco ha zoppicato per settimane. “Psicologicamente è dura. I coloni vengono quasi ogni giorno, anche di notte. Ma noi non ce ne andiamo. Noi restiamo qui. Spero che un giorno se ne vadano loro e potremo vivere finalmente in pace”. Anche i bambini sono esposti fin da piccoli a violenze e intimidazioni, che li portano a sviluppare chiari sintomi di trauma come incubi, attacchi di panico e difficoltà di concentrazione a scuola. “La sofferenza non risparmia nessuno. La costante minaccia di violenza porta le persone a immaginare continuamente scenari drammatici. Si chiedono che cosa succederà se i coloni arrivano a casa loro, se hanno una moglie incinta o delle figlie, riusciranno a proteggerle o dovranno rimanere impotenti? Cosa accadrà se verranno sfollati di nuovo? E se la madre, o un altro membro della famiglia, ha una disabilità fisica, riuscirà a trasferirsi in un altro posto?” continua Van Dongen di MSF. Purtroppo, l’accesso alle comunità colpite da parte dei team mobili di MSF resta fortemente limitato a causa della crescente insicurezza. Oltre al timore di aggressioni da parte dei coloni, i posti di blocco militari israeliani e la recente guerra di 12 giorni tra Israele e Iran hanno reso la situazione ancora più instabile. I team sul campo riferiscono di ritardi negli interventi, strade bloccate e bisogni crescenti in tutta la Cisgiordania. “La recente intensificazione degli attacchi da parte dei coloni e delle forze militari israeliane fa parte di una politica di sfollamenti e annessioni forzate, che deve finire immediatamente. Israele, in quanto potenza occupante, ha l’obbligo di proteggere i palestinesi” conclude Van Dongen di MSF. “Al contrario, le forze israeliane agevolano o contribuiscono direttamente agli attacchi dei coloni contro la popolazione palestinese. La comunità internazionale è rimasta in silenzio troppo a lungo. È ora di agire con vere pressioni politiche ed economiche sulle autorità israeliane per fermare le azioni israeliane che stanno deliberatamente spingendo i palestinesi a lasciare le proprie terre”. Medecins sans Frontieres
Palestina: continua la mobilitazione per Taybeh
Pressenza è stata una delle agenzie stampa che per prime hanno diffuso le notizie sull’attacco dei coloni israeliani al villaggio palestinese di Taybeh, e della mobilitazione popolare e diplomatica che ne è seguita (con due articoli del giornalista Milad Jubran Basir, originario di Taybeh). Anche l’agenzia stampa Vatican News ieri ha pubblicato un interessante e documentato articolo sul tema, scritto dal Vicario della Custodia di Terra Santa, Ibrahim Faltas, che si è recato nel villaggio insieme ai Patriarchi di Gerusalemme. Ve ne proponiamo alcuni passaggi. “Taybeh in arabo significa buono. Ma niente di buono accade ultimamente nel villaggio palestinese interamente abitato da cristiani. Lunedì 14 luglio, i capi delle Chiese cristiane di Terra Santa insieme ad ambasciatori e consoli hanno portato la loro vicinanza e la loro solidarietà agli abitanti e ai sacerdoti di Taybeh, che da settimane vivono una situazione di gravissima difficoltà a causa delle continue aggressioni di centinaia di coloni ebrei che vogliono impossessarsi con la violenza delle loro case e terreni. Gli abitanti di Taybeh sono circa 1.500 e appartengono a varie confessioni cristiane: latini, greco-ortodossi e melchiti. Ieri mattina erano tutti presenti, religiosi e anche abitanti dei villaggi vicini, ed hanno molto apprezzato la vicinanza fraterna di chi comprende la loro sofferenza. Quando si arriva dalla strada a nord di Gerusalemme, Taybeh si presenta con un profilo familiare e accogliente: sul villaggio spiccano i campanili delle tre chiese cristiane che vegliano su una comunità pacifica e unita. Si sono potute sentire, direttamente dalle persone, adulti, anziani e bambini, la paura, le sofferenze, la tensione di queste ultime settimane. Nella zona vi sono state persone che hanno perso la vita e tante altre che sono rimaste ferite, la gente è stata allontanata dalle proprie case, tanti edifici sono stati abbattuti, tanti terreni sono stati dati alle fiamme. Sono attacchi vigliacchi a persone disarmate che, da centinaia di anni, sono sempre rimaste fedeli alla religione dei loro padri, in una terra che conserva ancora le tradizioni del tempo di Gesù. Non si è sentita una sola parola di vendetta e di odio, ma solo la pressante richiesta di aiuto a tutelare la loro vita in pace nella loro terra. La Terra Santa sta soffrendo per ogni suo abitante, per ogni pezzo di terra oltraggiato, per la violenza che la sta ferendo. A Gaza il massacro è sempre in corso, si muore mentre in fila si subisce l’umiliazione di chiedere cibo e muoiono bambini che si avvicinano a “sorella acqua”, che è sostegno, ristoro, vita per tutti. In Cisgiordania e in particolare a Betlemme le difficoltà di vita quotidiana sono molteplici e i cristiani locali sono costretti a lasciare la terra natia per cercare sicurezza e lavoro all’estero. Vorrebbero rimanere nelle loro case e difendere la propria identità di popolo e di fede ma le continue prepotenze e i continui attacchi di coloni, che agiscono indisturbati, e le sempre maggiori limitazioni alla libertà di movimento non lo consentono. Il recente massacro nella chiesa di Damasco e quello che succede a Taybeh e in Cisgiordania non rientrano però in quella che vorrebbero far apparire come una guerra di religione. Fa certo male vedere i luoghi sacri offesi e oltraggiati dalla violenza, ma dobbiamo principalmente difendere e proteggere la vita di esseri umani innocenti e indifesi. La gravità di quello che accade in Terra Santa, è documentata, immagini e notizie sconvolgono e indignano. Tutti aspettavamo dagli ultimi incontri delle ultime settimane una soluzione all’assurdità della situazione che vive la Terra Santa e purtroppo non è arrivata. Gli organismi internazionali non riescono a fermare i numeri dei bollettini di guerra che continuano a salire e a denunciare la sconfitta dell’umanità. Manca la responsabilità della comunità internazionale che si lascia sedurre da egoismi e ipocrisie dei singoli. I negoziati di pace alternano speranze e delusioni: chi parla di cessare il fuoco dovrebbe farlo con responsabilità e coscienza, pensando a fermare il fuoco per impedire ulteriori sofferenze a chi ha già sofferto troppo. Si fermino la fame e la sete, si fermino i propositi di “concentrare” un popolo in una parte ristretta della propria terra. Taybeh, come anticipato, significa buono in arabo. Dall’ultimo villaggio interamente abitato da cristiani parte dunque un messaggio altrettanto buono: unità e pace a tutti gli abitanti della Terra Santa.” Redazione Italia