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Italia e Germania fanno naufragare le sanzioni a Israele, la UE non conta nulla
Il 30 agosto si è svolto a Copenhagen il vertice informale dei ministri degli Esteri della UE. Un’altra occasione in cui non solo la UE si è mostrata divisa, ma ha ribadito ancora una volta la propria inutilità: se, come sui dazi, l’Unione non ha modificato i rapporti di forza […] L'articolo Italia e Germania fanno naufragare le sanzioni a Israele, la UE non conta nulla su Contropiano.
La storia del bambino Jude Shalabi e il negazionismo in diretta
Il giorno 16 agosto un gruppo di coloni ebrei israeliani arrivati da ogni dove hanno attaccato, protetti dall’esercito israeliano, i cittadini di Sabastia, una cittadina palestinese della Cisgiordania, vicina a Nablus. (clicca per vedere la posizione). Il bambino Jude Bassam Shalabi era nella macchina guidata dal papà mentre tornvano verso Tulkarem. Nei pressi di Sabastia la loro macchina è stata presa di mira dai coloni con una fittta sassaiola. Sono stati rotti i vetri dell’auto e ferito padre e bambino. Jude di 5 anni ha subito una frattura al cranio. Non è in pericolo dii vita, ma la notizia ha fatto il giro dei social. Sullla stampa araba e palestinese la notizia è stata ripresa nella giusta dimensione, come un’aggressione dei coloni ebrei israeliani arrivati da ogni dove per rubare la terra aii nativi. Non è stato un caso isolato. Tutti i giorni ci sono gli attacchi dei colonii contro villaggii e città della Cisgiordania e di Gerusalemme est. Dal primo luglio, la media degli attacchi è di 10 al giorno. L’intento è la deportazione della popolazione autioctona. Si incendiano auto di notte e si lanciano pietre contro le finestre delle case, per terrorizzare i nativi palestinesi, al grido “Morte agli arabi” e “Andatevene, se volete salvare la pelle”. Il tutto avviene sotto la regia e la protezione dell’esercito. Anche nei casi di morte di cittadini palestinesi, non è stato mai arrestato nessun colono assassino, come nel caso di Awdah Hathaleen assassinato dal colono Yunin Levi, che non ha passato una sola notte in carcere, invece gli aggrediti compagni della vittima sono stati arrestati e interrogati dall’esercito di occupazione. (Approfondisci: https://www.internazionale.it/notizie/william-christou/2025/07/30/omicidio-awdah-hathaleen-no-other-land-cisgiordania . Il caso di Jude ha innescato un’indignazione giusta da parte di moltissimi attivisti dei diritti umani e di protezione dell’infanzia. Ma come al solito i negazionisti in diretta hanno sempre da dire la loro per contestare i fatti, sostenendo che non esisterebbero sulla base di elucubrazioni mentali. Sostengono che la storia non regge alle loro verifiche, che non c’è nessuna fonte, che la stampa occidentale non ne ha parlato, che il vero giornalismo deve indagare, che le fake sono dannose anche per la stessa causa dei bambini,.bla,bla… Non ci sarei soffermato sulla vicenda negazionista se non ci fosse stato l’intervento di una amica e collega, Marina Terragni. Sul suo account social scrive mettendo in dubbio il caso e conclude la sua analisi con la frase: “La propaganda è un’arma di guerra, e chi partecipa attivamente alla diffusione di notizie non verificate sta impugnando quest’arma e prende parte alla guerra. Facendo del male a tutti i bambini che la subiscono in ogni luogo e in ogni tempo. Compreso il piccolo Jude Shalabi, se esiste”. Il giornalismo è una cosa seria e sparare giudizi di tale gravità è pericoloso, per la stessa professione di giornalismo. Jude Shalabi esiste. Ha il cranio fratturato per la sassaiola dei criminali coloni ebrei israeliani, ladri di terre dei nativi palestinesi. Ho trovato le fonti della notizia nelle dichiarazioni dell’ente palestinese contro la colonizzazione e del sindaco di Sabastia e ho fornito anche le foto del bambini in ospedale con accanto il sindaco della cittadina palestinese dove è avvenuta l’aggressione. Le trovate in pagina. Adx il sindaco di Sabastia, Azzam in visita a Jude in ospedale. A sx, il rappresentante dell’ente palestinese contro la colonizzazione (ANP) Ho scritto a Marina Terragni in privato fornendo la versione palestinese. Ma non è successo niente. A tal punto ho scritto il seguente commento: “Cara Marina, ti ho scritto in privato. Un grave scivolone il tuo. Jude esiste, ha i cranio rotto e ci sono le dichiarazioni di un ente ufficiale dell’ANP e del sindaco dii Sabastia, con foto in ospedale. Notizie in lingua araba, che tu non conosci. Perciò sei scusata. La domanda che avreste dovuto fare: cosa facevano i coloni ebrei israeliani, arrivati da ogni dove, sulle terre del futuro Stato palestinese? e perché lanciano le pietre contro le auto dei nativi palestinesi? Dal primo luglio, c’è stata una media di 10 aggressioni dei coloni al giorno contro i nativi palestinesi. Con incendio di auto e lancio di pietre contro le fiinstre dl case, gridando “morte agli arabi”, “Andatevene, se volete la vita salva!”. La stampa internazionale non ha parlato di tutti i casi e perciò non esisterebbero secondo te? Chi vuole trattare tematiche sulla regione araba e M.O. dovrebbe studiare l’arabo oppure chiedere a chi sa l’arabo. Purtroppo, quando il giornalismo diventa tifoseria, la caduta verticale è assicurata”. Ne è nato un dialogo surreale. Ometto i commenti dei pro-Is, che sono i soliti negazionsiti incalliti: M.T.: “nessuno scivolone. Ho chiesto fonti. Se ne hai postale”. F.A.: “ti ho scritto in privato la dichiarazione dell’ente palestinese contro la colonizzazione (ANP) e sopra ti ho postato la foto del sindaco di Sabastia in visita a Jude in ospedale. Se non ti bastano come prova della veridicità della notizia sono problemi tuoi”. M.T.: “non è il caso di essere aggressivo. Resta il fatto che non ne ha scritto nessuno”. F.A.: “per te l’ANP e il sindaco di Sabastia sono nessuno? O le notizie sono vere soltanto se se ne parla sulla stampa occidentale? e dove sarebbe la mia aggressività, scusa? Vuoi dare lezioni di giornalismo e non accerti le notizie alle fonti. Se vuoi, ti trovo i numeri di telefono del sindaco e dell’ente dell’ANP.” M.T.: “continui a essere aggressivo. Hai menzionato delle fonti e ti ringrazio. Ognuno valuterà se ritenerle attendibili”. Per me la discussione è finita lì. Non c’è più sordo di chi non vuole sentire. il mio rammarico è che la collega è oltre ad essere giornalista e scrittrice, è anche Garante Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza , come è scritto sul suo profilo social. Ma probabilmente soltanto per i/le bambini/e bianchi/e. Sono contento che Jude sta meglio e gioca come tutti i bambini del mondo e sogna di avere un futuro migliore, ascoltando prima di dormire le favole raccontate dai genitori. Nel servizio della BBC (link sotto) è chiarito molto bene cosa fanno i coloni ebrei israeliani arrivati da ogni dove alla popolazione autoctona per cacciarla dalla propria terra. Attacchi simili avvengono tutti i giorni in tutte le province della Cisgiordania. Secondo l’ente per la lotta contro la colonizzazione (ANP) nel mese di luglio 2025, gli attacchi dei coloni cono stati 495, con incendi di raccolti, sradicamento di olivi, incendio di auto e lancio di sassi contro finestre e contro auto di passaggio (come avvenuto per il caso di Jude (che esiste, ha 5 anni e giace in ospedale con il cranio rotto per il lancio di sassi da parte di coloni. Nel linguaggio biblico si chiama lapidazione. Ascoltate l racconto della giornalista della BBC, Lucy Williamson: https://www.bbc.com/news/videos/c3v3e6r239ro (è giornalismo, mica tifoseria cieca basata su congetture negazioniste). Farid Adly
Bowen: i coloni israeliani intensificano la campagna per cacciare i palestinesi della Cisgiordania
di Jeremy Bowen,  BBC, 11 agosto 2025 Oren Rosenfeld/BBC Meir Simcha ha accettato di parlare, ma ha voluto farlo in un posto speciale, perché a sua volta per lui questo è un momento speciale. In un luogo in cui la nazione, la religione e la guerra sono inestricabilmente legate alla politica e al possesso della terra, Simcha ha scelto un angolo d’ombra sotto un albero di fico, vicino a una sorgente di acqua fresca. Dalla sua auto polverosa, una piccola Toyota dotata di pneumatici da fuoristrada, ha estratto una bottiglia di succo di frutta e verdura. “Non preoccuparti, non c’è zucchero aggiunto”, ha detto mentre lo versava in bicchieri di plastica. Simcha è il leader di un gruppo di coloni ebrei che stanno trasformando costantemente un grande tratto del terreno collinare a sud di Hebron in Cisgiordania, che Israele ha occupato nella guerra del 1967. Ha spostato due grosse pietre piatte all’ombra come sedili, e ci siamo seduti in una macchia di erba rigogliosa, tenuta in vita nel rigido caldo estivo dall’acqua che gocciolava da un tubo che usciva dalla sorgente. Era una piccola oasi ai piedi di un ripido pendio roccioso e arido, e il luogo, se non la nostra conversazione, sembrava tranquillo in un modo che di questi tempi è raro vedere in Cisgiordania. Il conflitto tra arabi ed ebrei per il controllo della terra tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo è iniziato ben più di un secolo fa, quando i sionisti europei hanno iniziato ad acquistare terreni per stabilire comunità in Palestina. È stata plasmata da importanti punti di svolta. Gli ultimi si sono manifestati a partire dagli attacchi mortali del 7 ottobre 2023 da parte di Hamas e dalla devastante risposta di Israele. Le conseguenze degli ultimi 22 mesi di guerra, e per quanti altri mesi rimangano prima di un cessate il fuoco, minacciano di estendersi attraverso gli anni e le generazioni, proprio come la guerra in Medio Oriente nel 1967, quando Israele conquistò Gaza dall’Egitto e Gerusalemme Est e la Cisgiordania dalla Giordania. L’entità delle distruzioni e delle uccisioni nella guerra di Gaza oscura ciò che sta accadendo in Cisgiordania, che cova sotto la cenere di tensione e violenza. Dall’ottobre 2023, la pressione di Israele sui palestinesi della Cisgiordania è aumentata notevolmente, giustificata come legittime misure di sicurezza. “Il nemico nella nostra terra ha perso la speranza di rimanere qui,” dice Meir Simcha. Le prove basate sulle dichiarazioni di ministri, influenti leader locali come Simcha e i resoconti di testimoni sul campo rivelano che la pressione fa parte di un programma più ampio, per accelerare la diffusione degli insediamenti ebraici nei territori occupati e per estinguere ogni residua speranza di uno stato palestinese indipendente a fianco di Israele. I palestinesi e i gruppi per i diritti umani accusano anche le forze di sicurezza israeliane di non aver adempiuto al loro dovere legale di occupanti nel proteggere i palestinesi e i propri cittadini, non solo chiudendo un occhio sugli attacchi dei coloni, ma addirittura unendosi a essi. La violenza da parte dei coloni ebrei ultranazionalisti in Cisgiordania è aumentata notevolmente dal 7 ottobre 2023. L’OCHA, l’ufficio umanitario delle Nazioni Unite, stima una media di quattro attacchi di coloni ogni giorno. La Corte Internazionale di Giustizia ha emesso un parere consultivo secondo cui l’intera occupazione del territorio palestinese conquistato nel 1967 è illegale. Israele respinge il punto di vista della Corte Internazionale di Giustizia e sostiene che le Convenzioni di Ginevra che vietano l’insediamento nei territori occupati non si applichino, un punto di vista contestato da molti dei suoi stessi alleati e da avvocati internazionali. All’ombra del fico, Simcha ha negato tutte le insinuazioni di aver attaccato i palestinesi, mentre celebrava il fatto che la maggior parte dei contadini arabi che erano soliti pascolare i loro animali sulle colline che aveva sequestrato e coltivare le loro olive nelle valli se ne fossero andati. Ricorda gli attacchi di Hamas di ottobre, e la risposta di Israele da allora, come a un punto di svolta. “Penso che molto sia cambiato, e che il nemico nella nostra terra abbia perso la speranza. Sta cominciando a capire di andarsene.” Questo è ciò che è cambiato nell’ultimo anno o anno e mezzo. “Oggi puoi camminare qui nella terra nel deserto, e nessuno ti salterà addosso e cercherà di ucciderti. Ci sono ancora tentativi di opporsi alla nostra presenza qui in questa terra, ma il nemico sta iniziando a capirlo lentamente. Non hanno futuro qui.” “La realtà è cambiata. Chiedo a voi e alla gente del mondo, perché siete così interessati a quei palestinesi? Perché ti interessano loro? È solo un’altra piccola nazione.” “I palestinesi non mi interessano. Mi preoccupo per la mia gente”. Simcha dice che i palestinesi che hanno lasciato i villaggi e le fattorie vicino alle colline che ha rivendicato si sono semplicemente resi conto che “Dio ha inteso quella terra per gli ebrei, non per loro.” Il 24 luglio di quest’anno, un gruppo di esperti delle Nazioni Unite è giunto a una conclusione diversa. Una dichiarazione rilasciata dall’ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani ha dichiarato: “Siamo profondamente turbati dalle presunte diffuse intimidazioni, violenze, espropriazione di terre, distruzione di mezzi di sussistenza e il conseguente spostamento forzato delle comunità, e temiamo che questo stia separando i palestinesi dalle loro terre e minando la loro sicurezza alimentare. “I presunti atti di violenza, distruzione di proprietà e negazione dell’accesso alla terra e alle risorse sembrano costituire un modello sistematico di violazioni dei diritti umani”. Simcha ha in programma di scavare una piscina alla base della sorgente dove ci siamo seduti a parlare. Come molti altri che stanno guidando l’espansione degli insediamenti ebraici in Cisgiordania, è pieno di progetti. Quando l’ho incontrato per la prima volta, non molto tempo dopo che Hamas ha sfondato le difese di confine israeliane il 7 ottobre 2023, viveva in un piccolo gruppo di roulotte isolate su una collina che domina il deserto della Giudea che scende verso il Mar Morto. Da allora, Simcha dice che la sua comunità si è espansa fino a circa 200 persone su tre colline. Faceva parte della fazione del movimento dei coloni noto come Hilltop Youth, una frangia radicale che divenne nota per le violente molestie ai palestinesi. La maggior parte degli israeliani che si sono stabiliti nei territori occupati non sono come Simcha. Ci andavano non per motivi ideologici e religiosi, ma perché la proprietà era più economica. Ma ora uomini come Simcha sono al centro degli eventi, con i loro leader nel gabinetto, che guidano la carica, sposati, più anziani, che pensano non solo alle piscine per i loro figli, ma alla vittoria sui palestinesi, una volta per tutte, e al possesso eterno ebraico della terra. Simcha si presenta come un uomo felice. Crede che la sua missione – attuare la volontà di Dio trasformando la Cisgiordania in una terra per ebrei, e non per palestinesi – stia progredendo bene. Il progetto decennale di Israele Il progetto di Israele di insediare cittadini ebrei nei territori appena occupati iniziò pochi giorni dopo la sua vittoria nel 1967. Nel corso degli ultimi quasi 60 anni, i governi israeliani che si sono succeduti e alcuni ricchi simpatizzanti hanno investito ingenti somme di denaro ed energia per arrivare al punto in cui circa 700.000 ebrei israeliani vivono in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est. Ho osservato la crescita degli insediamenti per circa metà della durata del progetto, da quando ho fatto il mio reportage dai territori palestinesi occupati nel 1991. In quel periodo, il territorio di gran parte della Cisgiordania è stato trasformato. Gli insediamenti più grandi sembrano piccole città, e la Cisgiordania è divisa in sezioni da una rete di strade e tunnel costruiti da Israele che servono tanto a rivendicare una rivendicazione inamovibile sulla terra quanto a gestire il traffico. Sulle remote colline di notte, si possono vedere le luci provenienti dalle carovane dei coloni che si considerano pionieri ebrei. Gli uliveti, i frutteti e i vigneti di proprietà degli agricoltori palestinesi lungo la rete stradale sono spesso ricoperti di vegetazione, a volte punteggiati da cumuli di macerie lasciate dagli edifici demoliti da Israele. Il controllo del territorio intorno alle strade è necessario, dice Israele, per fermare gli attacchi contro gli ebrei in Cisgiordania. Gli agricoltori nelle aree sotto la pressione dei coloni hanno spesso bisogno di un permesso militare per visitare le loro terre, a volte solo una volta all’anno. I contadini palestinesi che si occupavano dei loro affari in furgoni o su asini erano uno spettacolo comune. In molte parti della Cisgiordania, non si vedono più, specialmente in luoghi come gli insediamenti a est di Shiloh sulla strada per Nablus, dove piccoli gruppi di baracche e roulotte in cima alle colline si sono collegati in tentacolari centri residenziali collegati da sinuose reti stradali. Quando ho scritto per la prima volta sugli insediamenti, i leader israeliani dicevano spesso che la sicurezza nazionale dipendeva da loro. I nemici erano in agguato in tutta la valle del Giordano, e spingere oltre la frontiera, costruire la terra, era un imperativo sionista. Proprio come il movimento dei kibbutz delle fattorie collettive negli anni ’20 e ’30 all’interno dell’attuale Israele, gli insediamenti nei territori occupati dopo il 1967 sono stati strategicamente collocati come prima linea di difesa. In questo conflitto, la terra è un bene vitale. Lo scambio della terra presa da Israele nel 1967 per la pace con i palestinesi che la volevano per uno stato è stato al centro del processo di pace di Oslo, che si è concluso con la violenza, ma ha fornito una falsa alba di speranza negli anni ’90. Ci sono stati titoli in tutto il mondo quando, dopo mesi di negoziati segreti in Norvegia nel 1993, ci fu una stretta di mano sul prato della Casa Bianca tra il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin e il leader palestinese Yasser Arafat. Avevano firmato una dichiarazione di principi che si sperava avrebbe portato alla fine del conflitto. Israele cederebbe la terra occupata ai palestinesi. In cambio, avrebbero rinunciato alle loro pretese sul territorio che avevano perso quando Israele dichiarò l’indipendenza nel 1948. Cynthia Johnson/Liaison La discussione al centro del loro conflitto nel corso del XX secolo, su chi controllasse la terra che entrambi volevano, sarebbe stata risolta dividendola. Dopo un disastroso vertice finale a Camp David nel 2000, le speranze del 1993 sono state sostituite dalla violenza mortale di una rivolta palestinese e da una massiccia risposta militare da parte di Israele. Parte del motivo per cui il processo di pace è fallito è che altre forze, al di fuori dei colloqui, erano all’opera. Hamas non ha mai abbandonato la sua convinzione che l’intera terra di Palestina fosse un possedimento islamico e ha usato attacchi suicidi per screditare l’idea che la pace fosse possibile. Tra i sionisti religiosi in Israele, la vittoria del 1967 aveva alimentato un’ondata di messianismo – la convinzione che stesse arrivando un essere divino che avrebbe redento il popolo ebraico. Ha elettrizzato il movimento dei coloni. Rabin fu assassinato nel novembre 1995 da un estremista ebreo cresciuto a Herzliya, sulla costa mediterranea, che trascorreva i fine settimana negli insediamenti in Cisgiordania. Durante il suo primo interrogatorio da parte del servizio di sicurezza israeliano, lo Shin Bet, chiese da bere per poter brindare al fatto di aver salvato il popolo ebraico da un percorso disastroso che negava la volontà di Dio. Attenzione: questa sezione contiene un’immagine sanguinolenta che alcune persone sensibili potrebbero trovare scioccante. Oggi, l’idea messianica attanaglia più che mai i coloni come Simcha. Credono che la vittoria del 1967 sia stata un miracolo concesso da Dio, che ha restituito al popolo ebraico le terre ancestrali che gli aveva dato nel cuore montuoso della Giudea e della Samaria – l’area che gran parte del resto del mondo chiama Cisgiordania. Alcuni credono che gli eventi successivi al 7 ottobre abbiano prolungato il miracolo. L’estate scorsa, il ministro per gli insediamenti e le missioni nazionali, Orit Strock, l’ha pronunciata in questo modo a un pubblico solidale in un avamposto sulle colline di Hebron, l’area in cui opera Simcha. “Dal mio punto di vista, questo è come un periodo di miracolo”, ha detto. “Mi sento come qualcuno che si trova a un semaforo, e poi diventa verde”. Il ministro Strock ha parlato pochi giorni prima che la Corte Internazionale di Giustizia emettesse il suo parere. Ha fatto le sue osservazioni in un insediamento sulle colline di Hebron che il governo aveva appena “legalizzato”. La legge israeliana distingue tra insediamenti “legali” e avamposti “illegali” – una distinzione che in pratica viene offuscata dalle azioni del governo. Gli avamposti ribattezzati “giovani insediamenti” vengono legalizzati retrospettivamente mentre il governo indirizza i fondi verso di loro. Oren Rosenfeld/BBC La polizia sorveglia una scavatrice che sta estendendo l’insediamento di Carmel vicino a Umm al-Khair, nel sud della Cisgiordania Nell’aprile di quest’anno, durante una cerimonia tenutasi in una colonia nelle colline a sud di Hebron, il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, i cui poteri sulla gestione dell’occupazione lo rendono anche qualcosa di simile al governatore della Cisgiordania, ha donato 19 veicoli fuoristrada ai coloni. Li ha elogiati per “aver conquistato territori enormi”. Un giornalista del Times of Israel ha sottolineato che uno dei coloni presenti alla cerimonia, Yinon Levi, era stato filmato mentre molestava i palestinesi da un fuoristrada. Levi è sanzionato dal Regno Unito e dall’Unione Europea per aver usato la violenza per cacciare i palestinesi dalle loro terre, anche se il presidente Trump ha revocato sanzioni simili imposte da Joe Biden. Levi è un re dei coloni radicali, sposato con la figlia di Noam Federman, un noto estremista. Federman è un ex leader del partito Kach, che è designato come organizzazione terroristica da Israele, Stati Uniti, Unione Europea e altri. Il 28 luglio di quest’anno, Yinon Levi ha sparato un proiettile che ha ucciso Odeh Hathaleen, un attivista e giornalista palestinese, durante una rissa nel villaggio di Umm al-Khair, in Cisgiordania. Levi si è dichiarato legittimato ed è stato rilasciato dopo tre giorni di arresti domiciliari. Quando andammo a Umm al-Khair, il sangue secco di Hathaleen era ancora nel luogo in cui era stato ucciso. Suo fratello, Khalil, mi ha detto che l’uomo morto teneva in braccio suo figlio di cinque anni, Watan, e stava filmando le scene violente con il suo telefono quando è stato ucciso. Oren Rosenfeld/BBC Il movimento per gli insediamenti in Cisgiordania è andato avanti dal 7 ottobre, sotto la direzione dei nazionalisti ebrei intransigenti nel gabinetto, uomini come Itamar Ben Gvir, il ministro della sicurezza nazionale, e Bezalel Smotrich, che è il leader di Strock nel Partito Sionista Religioso. Ben Gvir non è stato arruolato dall’IDF quando ha compiuto 18 anni, a causa delle sue convinzioni estreme. Sostiene di aver fatto campagna elettorale per servire. I due ministri sono persone molto diverse dai politici laici – generali in pensione come Yigal Allon della sinistra israeliana e Ariel Sharon della destra – due uomini che hanno guidato il movimento degli insediamenti nei suoi primi due decenni dopo il 1967. Proprio come Allon e Sharon, credono che la sicurezza richieda potere. Ma per Smotrich, Ben Gvir e i loro seguaci, questo è sostenuto dalla certezza del credo religioso. L’influenza che hanno acquisito in cambio del sostegno a Netanyahu e del suo mantenimento al potere continua a frustrare e far infuriare il lato laico di Israele. Gli oppositori israeliani di Smotrich usano la parola “messianico” come termine offensivo quando parlano di lui. Allon e Sharon sono spietati. Dopo la guerra del 1967, Allon sostenne l’annessione di gran parte della Cisgiordania e della Valle del Giordano. Nessuno dei due credeva di fare la volontà di Dio. Hamas usa la religione per giustificare la sua violenta opposizione all’esistenza di Israele. I sionisti religiosi del movimento dei coloni credono di fare la volontà di Dio. Credere in una connessione diretta con Dio non garantisce la guerra. Ma rende difficile raggiungere i compromessi necessari per la pace. “Ora i coloni sono i militari” Ci siamo organizzati per incontrare Yehuda Shaul all’incrocio stradale vicino a Sinjel. È uno dei più importanti oppositori di Israele all’occupazione. Shaul ha fondato un’organizzazione chiamata Breaking the Silence dopo che, da soldato, ha visto in prima persona la realtà intrinsecamente brutale di un’occupazione militare che dura da quasi 60 anni. I colleghi israeliani hanno bollato molte volte i sostenitori di Breaking the Silence, che lui non guida più, come traditori. La repressione militare israeliana dopo gli attacchi di ottobre ha ridotto la violenza palestinese contro i coloni, mentre gli attacchi dei coloni contro i palestinesi sono cresciuti notevolmente. Shaul dice che la linea di demarcazione tra i coloni e le Forze di Difesa Israeliane (IDF) è diventata sfumata. La guerra a Gaza ha richiesto la più lunga mobilitazione di riservisti militari – la spina dorsale dell’IDF – nella storia di Israele. Per far indossare l’uniforme a un maggior numero di israeliani, le brigate in Cisgiordania hanno formato unità di difesa regionali composte da coloni. “Ora i coloni sono i militari. Nell’esercito ci sono i coloni. Così, quel colono in cima alla collina vicino a una comunità di pastori palestinesi che li ha picchiati e ha lanciato pietre negli ultimi due, tre o quattro anni, cercando di farlo uscire, ora è il soldato o l’ufficiale in uniforme con una pistola responsabile della zona. “Così, quando va da un palestinese e gli dice: ‘Hai 24 ore per fare le valigie e andartene o ti sparo’, il palestinese sa che non c’è nulla che lo protegga”. Oren Rosenfeld/BBC Shaul crede che Israele abbia ancora due scelte. Una direzione, sostiene, è “il vettore che questo governo sta scrivendo, sfollando, abusando e uccidendo, distruggendo la vita palestinese e, in definitiva, scrivendo un vettore per il trasferimento di massa della popolazione”. “Oppure, sono due stati in cui la Palestina risiede oltre a Israele ed entrambi i popoli qui hanno diritti e dignità. Queste sono le uniche due opzioni nelle nostre carte. Ora tu e chiunque ci guardi, dovete scegliere chi sostenere”. Usa un linguaggio sulla condotta di Netanyahu nella guerra di Gaza dal 7 ottobre, che è raro in Israele, ma comune tra i palestinesi e sempre più sentito tra i critici di Israele in Europa. Questo fa parte della nostra conversazione, all’ombra dell’acciaio e del filo spinato tra il villaggio di Sinjel e la strada 60, la principale autostrada della Cisgiordania. Dice: “Penso che mentre vediamo una guerra di sterminio a Gaza… Vediamo una massiccia campagna da parte dello Stato e dei coloni… fondamentalmente per fare quanta più pulizia etnica di palestinesi in Cisgiordania”. Rispondo: “Certo, se Netanyahu fosse qui, uno qualsiasi dei suoi sostenitori direbbe: ‘Che mucchio di stupidaggini. Si tratta della sicurezza israeliana contro il terrorismo e gli attacchi contro gli ebrei”. Cosa ne pensi?” Risponde: “In realtà credo che se il 7 ottobre ci ha insegnato una cosa è che, se ci si preoccupa davvero di proteggere gli israeliani e la vita dei palestinesi, è necessario prendersi cura delle cause profonde della violenza: decenni di brutale occupazione militare, sfollamento dei palestinesi e un conflitto che va avanti da circa 100 anni.” “In definitiva, la protezione della sicurezza, la sostenibilità dell’autodeterminazione ebraica in questa terra, è interconnessa e intrecciata con il raggiungimento dei diritti di autodeterminazione e dell’uguaglianza per i palestinesi”. https://www.bbc.com/news/articles/cj4wwxz12jko Traduzione a cura di AssoPacePalestina Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.
Hebron/Cisgiordania, MSF: “Violenza israeliana incessante. Popolazione allo stremo fisico e mentale”
In Cisgiordania, la salute mentale della popolazione palestinese è costantemente minata dalla paura di aggressioni e violenze da parte dei coloni e delle forze armate israeliane, soprattutto per chi vive nella zona meridionale di Hebron, come gli abitanti di Masafer Yatta. Qui, la minaccia quotidiana di trasferimenti forzati, ferimenti e – come si è visto nelle ultime settimane – uccisioni, è costante. Medici Senza Frontiere (MSF), che gestisce cliniche mobili nella zona, sta vedendo ostacolate le proprie attività a causa della situazione di forte insicurezza, aggravata dalla crescente violenza dei coloni. “Stiamo assistendo a numerose demolizioni di abitazioni da parte delle forze israeliane, che fanno ripetutamente incursione nei villaggi di Masafer Yatta. In alcuni villaggi è stato demolito fino all’85% delle abitazioni. Le politiche e le pratiche del governo israeliano volte all’annessione della Cisgiordania, hanno effetti devastanti sulla salute fisica e mentale dei nostri pazienti” dichiara Frederieke Van Dongen, responsabile degli affari umanitari di MSF a Hebron. “Gli attacchi dei coloni, spesso insieme all’esercito israeliano, sono ormai quasi quotidiani e sempre più violenti, responsabili di un numero crescente di feriti e di ricoveri ospedalieri”. Negli ultimi mesi, gli attacchi dei coloni israeliani contro gli abitanti di Masafer Yatta si sono intensificati, provocando ferite fisiche e psicologiche sempre più gravi. I racconti parlano di episodi di frequenza quotidiana: pestaggi, animali lasciati intenzionalmente liberi per devastare i campi coltivati, strade bloccate, case demolite e una pressione psicologica costante. Negli ultimi 12 mesi, la maggior parte dei nuovi pazienti che si sono rivolti alle cliniche MSF a Hebron per ricevere supporto psicologico lo ha fatto a seguito di episodi di violenza. Solo a giugno 2025, il 94% degli ingressi era legato ad attacchi violenti. Le cliniche mobili di MSF a Hebron hanno risposto ai nuovi bisogni delle comunità beduine di Masafer Yatta, offrendo cure di base e supporto psicologico a chi è stato colpito dagli attacchi dei coloni – inclusi bambini, donne e anziani. Inoltre, MSF sostiene anche i palestinesi costretti a fuggire dalle proprie case a causa della violenza e delle demolizioni. A maggio, i coloni hanno preso d’assalto la comunità di Jinba, lasciando tra la popolazione corpi feriti, raccolti distrutti e una crescente convinzione che la pace non sia più possibile. “Hanno colpito un anziano alla testa, ha avuto bisogno di oltre 15 punti di sutura” racconta Ali Al Jabreen, membro della comunità di Jinba. “Un altro ferito ha ancora una mano rotta. E un uomo ha riportato gravi problemi psicologici dopo due settimane in terapia intensiva. La violenza non si ferma mai”. “Sono arrivati con tre macchine, erano circa 17 coloni. Hanno picchiato me, mio padre e mio fratello Ahmad. Poi quella stessa notte sono tornati. Hanno distrutto il nostro rifugio, la clinica e la moschea. Mio padre era in condizioni critiche – il suo battito era sceso a 35. Mio fratello è rimasto incosciente per giorni. Siamo rimasti circondati per più di un’ora prima che un’ambulanza potesse passare” racconta Qusay Al-Amour, ragazzo diciottenne che dopo l’attacco ha zoppicato per settimane. “Psicologicamente è dura. I coloni vengono quasi ogni giorno, anche di notte. Ma noi non ce ne andiamo. Noi restiamo qui. Spero che un giorno se ne vadano loro e potremo vivere finalmente in pace”. Anche i bambini sono esposti fin da piccoli a violenze e intimidazioni, che li portano a sviluppare chiari sintomi di trauma come incubi, attacchi di panico e difficoltà di concentrazione a scuola. “La sofferenza non risparmia nessuno. La costante minaccia di violenza porta le persone a immaginare continuamente scenari drammatici. Si chiedono che cosa succederà se i coloni arrivano a casa loro, se hanno una moglie incinta o delle figlie, riusciranno a proteggerle o dovranno rimanere impotenti? Cosa accadrà se verranno sfollati di nuovo? E se la madre, o un altro membro della famiglia, ha una disabilità fisica, riuscirà a trasferirsi in un altro posto?” continua Van Dongen di MSF. Purtroppo, l’accesso alle comunità colpite da parte dei team mobili di MSF resta fortemente limitato a causa della crescente insicurezza. Oltre al timore di aggressioni da parte dei coloni, i posti di blocco militari israeliani e la recente guerra di 12 giorni tra Israele e Iran hanno reso la situazione ancora più instabile. I team sul campo riferiscono di ritardi negli interventi, strade bloccate e bisogni crescenti in tutta la Cisgiordania. “La recente intensificazione degli attacchi da parte dei coloni e delle forze militari israeliane fa parte di una politica di sfollamenti e annessioni forzate, che deve finire immediatamente. Israele, in quanto potenza occupante, ha l’obbligo di proteggere i palestinesi” conclude Van Dongen di MSF. “Al contrario, le forze israeliane agevolano o contribuiscono direttamente agli attacchi dei coloni contro la popolazione palestinese. La comunità internazionale è rimasta in silenzio troppo a lungo. È ora di agire con vere pressioni politiche ed economiche sulle autorità israeliane per fermare le azioni israeliane che stanno deliberatamente spingendo i palestinesi a lasciare le proprie terre”. Medecins sans Frontieres
Palestina: continua la mobilitazione per Taybeh
Pressenza è stata una delle agenzie stampa che per prime hanno diffuso le notizie sull’attacco dei coloni israeliani al villaggio palestinese di Taybeh, e della mobilitazione popolare e diplomatica che ne è seguita (con due articoli del giornalista Milad Jubran Basir, originario di Taybeh). Anche l’agenzia stampa Vatican News ieri ha pubblicato un interessante e documentato articolo sul tema, scritto dal Vicario della Custodia di Terra Santa, Ibrahim Faltas, che si è recato nel villaggio insieme ai Patriarchi di Gerusalemme. Ve ne proponiamo alcuni passaggi. “Taybeh in arabo significa buono. Ma niente di buono accade ultimamente nel villaggio palestinese interamente abitato da cristiani. Lunedì 14 luglio, i capi delle Chiese cristiane di Terra Santa insieme ad ambasciatori e consoli hanno portato la loro vicinanza e la loro solidarietà agli abitanti e ai sacerdoti di Taybeh, che da settimane vivono una situazione di gravissima difficoltà a causa delle continue aggressioni di centinaia di coloni ebrei che vogliono impossessarsi con la violenza delle loro case e terreni. Gli abitanti di Taybeh sono circa 1.500 e appartengono a varie confessioni cristiane: latini, greco-ortodossi e melchiti. Ieri mattina erano tutti presenti, religiosi e anche abitanti dei villaggi vicini, ed hanno molto apprezzato la vicinanza fraterna di chi comprende la loro sofferenza. Quando si arriva dalla strada a nord di Gerusalemme, Taybeh si presenta con un profilo familiare e accogliente: sul villaggio spiccano i campanili delle tre chiese cristiane che vegliano su una comunità pacifica e unita. Si sono potute sentire, direttamente dalle persone, adulti, anziani e bambini, la paura, le sofferenze, la tensione di queste ultime settimane. Nella zona vi sono state persone che hanno perso la vita e tante altre che sono rimaste ferite, la gente è stata allontanata dalle proprie case, tanti edifici sono stati abbattuti, tanti terreni sono stati dati alle fiamme. Sono attacchi vigliacchi a persone disarmate che, da centinaia di anni, sono sempre rimaste fedeli alla religione dei loro padri, in una terra che conserva ancora le tradizioni del tempo di Gesù. Non si è sentita una sola parola di vendetta e di odio, ma solo la pressante richiesta di aiuto a tutelare la loro vita in pace nella loro terra. La Terra Santa sta soffrendo per ogni suo abitante, per ogni pezzo di terra oltraggiato, per la violenza che la sta ferendo. A Gaza il massacro è sempre in corso, si muore mentre in fila si subisce l’umiliazione di chiedere cibo e muoiono bambini che si avvicinano a “sorella acqua”, che è sostegno, ristoro, vita per tutti. In Cisgiordania e in particolare a Betlemme le difficoltà di vita quotidiana sono molteplici e i cristiani locali sono costretti a lasciare la terra natia per cercare sicurezza e lavoro all’estero. Vorrebbero rimanere nelle loro case e difendere la propria identità di popolo e di fede ma le continue prepotenze e i continui attacchi di coloni, che agiscono indisturbati, e le sempre maggiori limitazioni alla libertà di movimento non lo consentono. Il recente massacro nella chiesa di Damasco e quello che succede a Taybeh e in Cisgiordania non rientrano però in quella che vorrebbero far apparire come una guerra di religione. Fa certo male vedere i luoghi sacri offesi e oltraggiati dalla violenza, ma dobbiamo principalmente difendere e proteggere la vita di esseri umani innocenti e indifesi. La gravità di quello che accade in Terra Santa, è documentata, immagini e notizie sconvolgono e indignano. Tutti aspettavamo dagli ultimi incontri delle ultime settimane una soluzione all’assurdità della situazione che vive la Terra Santa e purtroppo non è arrivata. Gli organismi internazionali non riescono a fermare i numeri dei bollettini di guerra che continuano a salire e a denunciare la sconfitta dell’umanità. Manca la responsabilità della comunità internazionale che si lascia sedurre da egoismi e ipocrisie dei singoli. I negoziati di pace alternano speranze e delusioni: chi parla di cessare il fuoco dovrebbe farlo con responsabilità e coscienza, pensando a fermare il fuoco per impedire ulteriori sofferenze a chi ha già sofferto troppo. Si fermino la fame e la sete, si fermino i propositi di “concentrare” un popolo in una parte ristretta della propria terra. Taybeh, come anticipato, significa buono in arabo. Dall’ultimo villaggio interamente abitato da cristiani parte dunque un messaggio altrettanto buono: unità e pace a tutti gli abitanti della Terra Santa.” Redazione Italia