L’orientamento informativo delle università: marketing o pubblicità ingannevole?Mai, come in questi ultimi anni, le scuole, e soprattutto quelle secondarie,
sono state invase da ‘orientatori’ universitari pronti a presentare le loro
‘offerte’ formative e le loro convinzioni in materia delle competenze necessarie
per affrontare il futuro.
Ritenendo che l’orientamento sia una cosa seria, che abbia un suo corposo
spessore scientifico, importanti paradigmi di riferimento e che debba essere
praticato in ossequio alle norme sancite da precisi Codici deontologici come
suggerito dalle più importanti associazioni internazionali interessate alle
tematiche della scelta e della progettazione professionale (l’IAEVG, la S.V.P,
la NCDA e la SIO per quanto concerne il contesto italiano) con questo scritto
invito a non sottovalutare quanto sta avvenendo in molte scuole ed università
dove le iniziative di orientamento vengono realizzate da colleghi che,
improvvisamente, si ‘offrono’ e ‘dedicano’ ad esso, ritenendo che trattasi,
tutto sommato, di semplice cosa soprattutto per loro che possono vantarsi di
possedere lo status di docenti universitari. Sapendo di non essere il solo a
considerare deontologicamente inaccettabile la modalità con la quale molto
spesso viene ‘offerto’ l’orientamento informativo, pur ricordando che
l’orientamento non dovrebbe fare a meno di stimolare ed incrementare il ricorso
al pensiero critico, a quello possibilista, controfattuale e prospettico, mi
permetto di segnare che, come sostengono in molti, c’è marketing e marketing e
che, come ha detto qualcuno, ‘Si può fare marketing rimanendo brave persone’
(Morici, 2014) se si decide, come dovrebbe fare quello universitario, di
ricoprire una funzione responsabile e generativa, in favore di uno sviluppo
sociale sostenibile, del benessere delle persone aiutandole nella ricerca e
nella ‘selezione’ di sensi, di significati, di progetti per i loro futuri
desiderabili guardando con un certo distacco le ‘offerte’ che da destra a manca
elargiscono i mercati, compresi quelli della formazione e del lavoro.
Può essere considerato ‘orientamento’ quello che fanno tante università
telematiche e private che sono interessate soprattutto ad attrarre ‘clienti’ e
che continuano a proporre un orientamento alla Parsons (1909) quello che, in
ossequio al binomio domanda-offerta indicava ‘l’uomo giusto al posto giusto’
senza chiare, ovviamente, quando un posto, un lavoro, una domanda può essere
considerata giusta e dignitosa (una università telematica, ad esempio, invita a
diventare nutrizionista iscrivendosi a Unipegaso: ‘l’università che ti consente
di lavorare e laurearti in pochi mesi’! e AlmaLaurea, che non a caso è una srl,
afferma a chiare lettere che ‘si dedica alla ricerca di profili in linea con le
esigenze aziendali’ e che ‘eroghiamo servizi per agevolare l’incontro fra
domanda e offerta di lavoro qualificato, nell’intermediazione, nella ricerca e
nella selezione del personale, in sinergia con gli Atenei e le Istituzioni
pubbliche competenti, verso il mondo del lavoro’, avvalendosi, ovviamente, della
consulenza di una schiera di esperti!) [1]. Tanti professionisti e tante agenzie
dicono di fare , anzi di ‘offrire’ orientamento, ma di cosa si tratta? Molto
raramente, come segnalano Pitzalis e Nota (2025) di quello formativo ed in
sintonia con i valori della giustizia sociale e della lotta ad ogni forma di
discriminazione. Ma almeno quello meno pretestuoso, quello meramente
informativo, come viene realizzato dai nostri atenei. Può essere considerato
sufficientemente trasparente e dignitoso?
1. ‘Tra il dire e il fare (orientamento) c’è di mezzo il mare’.
Con questo detto mi riferisco, in particolare, alla constatazione che molti di
coloro che stanno parlando di orientamento grazie ai finanziamenti del PNRR, pur
dichiarando che il futuro, la formazione e il lavoro sono questioni complesse
che richiedono visioni non semplicistiche e riduttive, si trovano spesso a
presentare le opzioni universitarie in modo settoriale, un corso alla volta,
dimenticando di invitare a tenere presente che sono sempre più urgenti
autentiche interazioni tra settori professionali e disciplinari diversi, forme
di effettiva collaborazione, interdisciplinarietà, multidisciplinarietà e
transdisciplinarietà. La cosa, d’altra parte, non dovrebbe sorprendere più di
tanto in quanto anche nel mondo accademico continuano ad essere molto rari i
contributi di ricerca e le ‘imprese’ di orientamento che prevedono la
compartecipazione di esperti provenienti da ambito di studio diversi. In effetti
nell’orientamento, anche in quello informativo e che va per la maggiore, anche
la semplice multidisciplinarietà, che comporterebbe la presentazione dei diversi
campi di studio e/o ambiti professionali, senza schieramenti partigiani a favore
di questa o quella disciplina, non sempre viene rispettata, non sempre le
diverse discipline e i diversi corsi di laurea (scientifici vs umanistici; STEM
vs STEAM, ad es.) vengono presentati come ugualmente impegnativi, dignitosi ed
importanti per il futuro delle persone, dell’umanità e del nostro pianeta.
In queste presentazioni le discipline vengono generalmente presentate una
accanto all’altra suggerendo di fatto che gli sconfinamenti, l’uscire dai
limiti, potrebbero danneggiare la reputazione e il ‘rigore’ di quella disciplina
o di quella professione. Ciò che forse come orientatori dovremmo chiedere è che
queste presentazioni, in vivo o in remoto che siano, avvengano in modo
rispettoso della trasparenza ed utilizzino un tipo di Marketing 5.0 o 6.0
(Kotler, Kartajaya, Setiawan, 2016, 2025) che sono particolarmente sensibili
alle questioni etico-sociali associabili alle operazioni di ‘presentazione e
promozione dei prodotti’.
Sarebbe già un passo in avanti, verso il futuro, chiedere che ad occuparsi della
presentazione delle diverse discipline siano i nostri più giovani ricercatori e,
soprattutto, quelli disposti a farsi interrogare a proposito delle ipotesi e
degli obiettivi che si stanno ponendo con le ‘loro e specifiche ricerche’ in
economia, o in diritto, o in ingegneria, ecc. e quali, fra dieci anni e giù di
lì, si dovranno o sarebbe opportuno che si occupassero, i loro colleghi futuri,
quelli interessati, come lo sono loro oggi, all’ingegneria, all’economia, alla
filosofia, alla matematica, alla fisica, alla salute, ecc. (‘Chi fra 10, 15, 20
anni sarà un ricercatore di ingegneria, economia, biologia ecc. di cosa si
occuperà?).
Oltre ad essere multidisciplinare, l’attività ‘informativa’ di orientamento
potrebbe essere anche interdisciplinare: a differenza di quanto sopra, in questo
caso si dovrebbero segnalare soprattutto i vantaggi derivanti dall’integrazione
di due o più ‘saperi e visioni’, ugualmente interessanti ed importanti, in
funzione di uno scopo o di un obiettivo, pur muovendosi da diverse angolazioni e
punti di vista. Qui, oltre al costituirsi di collegamenti ed interazioni stabili
tra ricercatori e campi di studio, verrebbe privilegiato un fare ricerca assieme
a colleghi che posseggono modalità di analisi e riflessione non facilmente
sovrapponibili. Optando per l’interdisciplinarietà, la presentazione delle
offerte formative risulterebbe probabilmente maggiormente convincente se, a
farla, saranno direttamente gli attori che stanno ponendo in essere in modo
congiunto conoscenze e metodologie tradizionalmente appartenenti a discipline
diverse (ad esempio, progetti che richiedono competenze di biologia ed
informatica per sviluppare software di tipo medico, o di psicologia e
neurologia, di scienze naturalistiche ed urbanistiche, etiche ed economiche,
giuridiche e filosofiche, ecc.). Anche in queto caso, purtroppo, viene spontaneo
domandarci se e quanto, in materia di orientamento, pur parlando di
interdisciplinarietà, sono disponibili pubblicazioni scientifiche firmate da
ricercator* afferenti a raggruppamenti SSD diversi, quanti progetti di ricerca a
proposito delle dimensioni e delle variabili implicate nei processi di scelta,
sono effettivamente interdisciplinari, di quante ‘co-presenze’ si avvalgono i
nostri usuali open day e i materiali che vengono ‘gratuitamente’ distribuiti in
quei contesti.
L’orientamento che guarda effettivamente al futuro, ad ‘oriente’, verso la luce
e il sorgere del sole, afferma che non è sufficiente chiedere a due ricercatori
impegnati in discipline diverse di lavorare ed ‘esplorare assieme’: sembra dirci
che è sempre meno rinviabile la formalizzazione, anche all’interno dei nostri
atenei e dei nostri servi, la presenza e la ‘stabilizzazione’ ‘di gruppi
marcatamente eterogenei di ricerca’ che vedono lavorare assieme filosofi,
matematici, economisti, architetti, giuristi, ingegneri, medici, psicologi,
ecc., accumunati dal desiderio di collaborare per intraprendere assieme e farsi
carico di ‘imprese quasi impossibili’ come quelle che appartengono alla schiera
dei cosiddetti wiked problem (Rittel e Webber, 1973; Soresi, 2022; Gray et al.
2023) e quelle associabili alla lotta al lavoro indecente e ad ogni forma di
disuguaglianza e discriminazione. Questi gruppi potrebbero essere considerati
transdisciplinari in quanto, andando oltre le discipline tradizionali e
sconfinando sistematicamente, cercano di risolvere problemi complessi con
approcci che potrebbero essere ritenuti addirittura ‘deliranti’[2], globali ed
inclusivi. Sarebbe bello, in un programma di orientamento anche informativo, che
alle presentazioni dei diversi corsi di laurea, venissero fatti seguire da
dibattiti e lavori di gruppo a proposito, ad esempio, del contributo che la
filosofia, la matematica, l’urbanistica la medicina ecc. potrebbero fornire al
ridimensionamento di problemi difficili e complessi, come quelli della
competizione eccessiva che conduce a pochi vincenti e a molti perdenti, a
conflitti più che ad armoniche collaborazioni, o a non occuparci sufficiente di
quei 17 obiettivi che l’ONU, da tempo, ha indicato alle nazioni di tutto il
pianeta.
I progetti e programmi tranas-disciplinari di orientamento, come quelli che in
altre occasioni abbiamo presentato come 5.0 (Soresi, 2023; Soresi e Nota, 2023;
Pitzalis e Nota, 2025) si caratterizzano per la presenza di linguaggi diversi,
di quelli propri dell’economia, della sociologia, delle scienze ambientali, di
questa o quella disciplina hard o soft, ecc. al fine di aiutare gli studenti, ma
non solo, a sviluppare visioni olistiche delle possibili e future carriere, ad
immaginare ‘scenari attraenti’ anche a coloro che hanno appreso soprattutto, e a
loro spese, a diffidare e a praticare quell’impotenza appresa di cui da tempo ci
hanno parlato tanti giganti dell’apprendimento e dell’orientamento.
La prospettiva ‘metodologica’ che a proposito delle collaborazioni di cui
necessita il mondo della ricerca e quello dell’intervento sociale e che attira
maggiormente le simpatie dell’orientamento 5.0 è però quello
dell’intersezionalità che, come noto, trova le sue origini nella storia
femminista e antirazzista e che consente di evidenziare le relazioni esistenti
tra i diversi fattori di discriminazione e le modalità di fatto in atto nella
gestione più o meno partecipata dei diversi processi decisionali. Come ricorda
Manfroni (2024) l’intersezionalità ci invita a ritenere ‘che ogni persona non
può essere definita da una sola categoria identitaria e, di conseguenza, può
essere oppressa o godere di privilegi per ragioni diverse’ (p. 1). Non sarebbe
pertanto una modalità ‘intersezionista’ procedere, come ci ha abituato a fare
anche tanta psicologia del lavoro e delle organizzazioni, l’individuazione di
tipologie da utilizzare per poter disporre di profili, classifiche, diagnosi,
valutazioni, consigli, dimenticando, volutamente o non, che ogni situazione,
ogni persona, ogni gruppo, ogni evento, ogni problema è diverso, singolare, e,
questo, anche a proposito delle loro vulnerabilità e fragilità possibili. ‘Farne
di tutto un fascio’, o tanti fasci, sulla base di distribuzioni statistiche più
o meno accurate, senza tener di conto dei diversi livelli e delle diverse
categorie di oppressione dalle quali potrebbero risultare colpiti i diversi
‘partecipanti’ ai campioni di standardizzazione dei nostri strumenti, è, come
minimo, riduttivo e superficiale in quando nasconde l’eterogeneità delle
necessità, dei bisogni, delle preoccupazioni e delle aspirazioni delle persone.
2. Anche l’orientamento universitario ricorre alla pubblicità ingannevole?
Chi si rivolge all’orientamento va in cerca, molto spesso, di ‘chiarezza’, di
aiuto, di ‘neutralità’, in quanto sono sovente consapevoli che possono essere
bersaglio di imprese ed agenzie che, pur di rimanere competitive, non disdegnano
di ricorrere a pubblicità ingannevoli, a fome di marketing[3] tutt’altro che
trasparenti, etiche, ad ‘avvertimenti’ e messa in guardia, (ad advertising, come
direbbero gli inglesi) o ad altisonanti richiami (réclame, come dicono i
francesi) incrementando sovente perplessità, incertezze, paure e titubanze nei
confronti del futuro (Re e Mosca, 2007).
Con questo non auspico la messa al bando toutcourt del Marketing (anche le buone
idee, le innovazioni, i valori, l’idea di giustizia, il rifiuto delle
disuguaglianze, la pace e lo stesso orientamento 5.0, debbono essere
adeguatamente proposte e ‘propagandate’!), ma si ritiene importante insegnare, a
chi partecipa alle nostre sessioni di orientamento, a non prendere per oro
colato tutto ciò che viene esposto nelle fiere dell’orientamento o enfatizzato
nei diversi siti web.
In altre parole, mi piacerebbe molto che, anche nell’ambito dell’orientamento
informativo, non ci si limitasse a fornire risposte, ma si ponessero anche
domande, dubbi, possibilità diverse, interrogativi a proposito di cosa ci si può
o ci si dovrebbe attendere dai mercati, dalle imprese, dai servizi, compresi
ovviamente quelli della formazione, della ricerca e dello stesso
dell’orientamento. Quanto relazionale, olistico, etico e sociale è il marketing
a cui anche gli Istituti di formazione e le Università fanno ricorso?
Coloro che allestiscono gli stand, oltre a voler attirare l’attenzione degli
studenti e degli insegnanti, quanto autenticamente palesano la loro
responsabilità sociale invitando i possibili consumatori (gli studenti nel
nostro caso) a riflettere e a contrastare le politiche di iperconsumo, a
rispettare importanti valori quali quelli della salvaguardia dell’ambiente,
della salute, di uno sviluppo effettivamente sostenibile, dell’inclusione, ecc.?
Forse è pretendere troppo che in quelle manifestazioni o nei siti web delle
nostre università traspaia nettamente il ricorso a quello che è stato definito
marketing 5.0 o, addirittura 6.0, o almeno quello 4.0 che come da tempo hanno
indicato Kotler, Kartajaya e Setiawan, (2016), oltre ad utilizzare i supporti
digitali e a mettere in evidenza i cambiamenti che le tecnologie emergenti
stavano producendo, è attento sia ai comportamenti dei ‘consumatori’ che alle
necessità delle ‘aziende’ e al monitoraggio , tramite persino appositi Blog,
video, podcast, e post sui social media, di ciò che accade anche dopo il post
vendita (pardon: dopo l’iscrizione a questo o a quel corso di laurea) a
proposito, ad esempio, della soddisfazione dei diversi ‘clienti’?
Fortunatamente incominciano ad essere abbastanza numerosi gli orientatori che
ritengono opportuno, preparare gli studenti a guardarsi dalle pubblicità
ingannevoli alle quali più o meno consapevolmente anche gli Istituti di
formazione e le università potrebbero ricorrere presentando le proprie
‘offerte’.
Nel far questo almeno tre momenti, tre fasi dovrebbero essere implementate:
1) Con la prima si potrebbe consentire allo student* di precisare il o i
problemi di cui in futuro vorrebbe occuparsi (spesso derivano dall’analisi delle
sue preoccupazioni, dall’individuazione di ciò che lo/la fa maggiormente
indignare, dalle aspirazioni che si nutrono, ecc.). Come Guichard ricorda (2022)
chi fa orientamento dovrebbe occuparsi e preoccuparsi di più di quello sgomento
e di quell’inquietudine che Guillebaud (2006) indicava come sempre più presenti
e condivisi nelle società contemporanee occidentali e, ci sembra opportuno
aggiungere, in fasce giovanili sempre più estese. Per queste ragioni, ed anche
per suscitare interesse nei confronti dell’orientamento e del futuro, può essere
d’aiuto, anche se ci si propone unicamente di informare, provocare reazioni con
quesiti di questo tipo: ‘Ma per voi, quando inizierà il vostro futuro? Se
poteste chiedere ad un futurologo, ad uno scienziato che studia ciò che potrà
accadere, cosa chiedereste? O ancora ‘In futuro, in quello che desiderate
maggiormente, cosa non vorreste più vedere? Cosa vi piacerebbe studiare e fare
(lavorare) per contribuire a far sì che tutto questo si realizzi?
Girando tra gli stand, perché non chiedete: ‘In quale vostro corso di laurea si
studia soprattutto ciò che mi sta effettivamente a cuore (come si lottano le
disuguaglianze? Come si fa prevenzione a proposito delle malattie più insidiose
e delle pandemie? Come si rende attraente lo studio? Come si debella la povertà?
Come si prevengono gli incidenti e le morti sul lavoro? Dove sono previsti
insegnamenti di economia etica? Di informatica per la tutela della privacy? E
dove si dibatte di pace, di solidarietà, di lavoro cooperativistico? In quali
corsi di laurea il parere degli studenti viene sistematicamente richiesto e
tenuto in considerazione nella progettazione didattica? Le prove di accesso
eventualmente presenti, quali saperi privilegiano? Tengono conto degli interessi
e delle esperienze maturate dagli studenti? Come viene favorita l’integrazione?
Ecc.
2) Dopo la raccolta delle informazioni, si potrebbe suggerire di procedere, con
operazioni di confronto al fine restringere le opzioni da considerare in sede di
decision making, con la compilazione, di tabelle riassuntive simili a quella qui
di seguito riprodotta a titolo meramente esemplificativo. Utili,
successivamente, potrebbero risultare le indicazioni che da tempo hanno
suggerito gli studiosi dell’utilità attesa ponderando, per ciascuna opzione
vanteggi e svantaggi (Nota, Mann, Soresi e Friedman, 2002; Heppner,1988;
Peterson et.al. 1996).
Dopo questa prima ricognizione si potrebbero invitare gli studenti ad andare più
a fondo, visionando almeno le presentazioni degli insegnamenti considerati
maggiormente attraenti. L’esempio riportato nel riquadro sottostante può essere
ritenuto una guida sufficiente articolata.
3) Un orientamento informativo di qualità potrebbe, infine, sollecitare
un’analisi attenta dei diversi siti web tramite i quali gli Istituti di
formazione e le Università promuovono le proprie offerte.
Dopo aver chiesto ai nostri studenti di navigare in quelli che, a prima vista,
considero interessanti e pertinenti alle proprie aspettative ed aspirazioni
(quelle di università che propongono percorsi formativi in sintonia con i
‘problemi’ considerati importanti ed urgenti dallo studente o dalla studentessa
e già individuati nel passo precedente) si può chiedere di riflettere a
proposito della qualità del marketing utilizzato per la presentazione delle
diverse offerte formative. Qui, magari dopo aver parlato almeno un po’ di
pubblicità ingannevole e agnotologia (Proctor, 2004), potrebbe essere
sufficiente chiedere loro di rispondere e discutere assieme:
– Se e quanto è stato facile individuare e trovare il corso ritenuto
interessante;
– Se è indicato il periodo durante il quale verrà attivato (ad es. primo o
secondo semestre?);
– Se c’è l’orario delle lezioni (giorni e ore in cui si svolgono);
– Se ci sono informazioni adeguate a proposito docenti (come contattarli,
E-mail, numeri di telefono, uffici e orari di ricevimento?
– Se ci sono brevi biografie, descrizione delle loro qualifiche, dei loro
interessi di ricerca e delle esperienze maturate?
– La descrizione del Corso può considerarsi esaustiva? (contiene l’elenco degli
obiettivi che si propone, la sintesi degli argomenti trattati, la necessità del
possesso di alcuni prerequisiti ritenuti fondamentali, l’indicazione delle
conoscenze necessarie o dei corsi che precedentemente andrebbero frequentati?);
– Ci sono precisi riferimenti a libri di testo obbligatori e/o consigliati, con
titoli, autori ed edizioni?
– Sono presenti link a risorse online, articoli, siti web o piattaforme di
e-learning che saranno utilizzati nel corso?
– Si fa riferimento al tipo di didattica che sarà utilizzata (ad es. lezioni
frontali, laboratori, esercitazioni, ecc.)?
– Contiene informazioni precise a proposito delle modalità che saranno
utilizzate per lo svolgimento degli esami (es: in forma orale o scritta, tramite
domande aperte o questionari con item a scelta multipla, ecc,)?
– È indicato se e in che misura vengono valorizzate, in sede di valutazione, la
partecipazione alla realizzazione di progetti personali o collettivi, il
contributo offerto alle discussioni e partecipazioni alle attività d’aula,
eventuali attività extra-accademiche, ecc.?);
– I costi da sostenere per ottenere l’iscrizione e la frequenza sono facilmente
reperibili?
– Le informazioni e i dati relativi ai tassi di ammissione e ai criteri di
selezione sono indicati in modo sufficientemente chiaro (ad es. contenuti delle
prove di ammissione, quanti studenti vengono ammessi rispetto al numero di
domande pervenute, ecc.?);
– Il sito riporta ‘le voci degli studenti’? Si tratta unicamente di ‘storie di
successo’ o sono rappresentative della maggioranza degli iscritti?
– Vengono fornite statistiche sui risultati accademici e professionali della
totalità degli studenti? Ci sono informazioni accurate a proposito delle
prospettive di lavoro dei laureati (ad es. statistiche e testimonianze di ex
studenti?);
– Se un ateneo si definisce ‘eccellente’, a quale agenzia di rating fa
riferimento? (alla Standard & Poor’s, alla Moody’s, alla Fitch Ratings, alla QS
World University Rankings, alla Times Higher Education (THE) World University
Rankings, all’Academic Ranking of World Universities (ARWU) o all’Europea
U-Multirank che consente di confrontare le università sulla base di alcuni
criteri specifici quali, ad esempio, quelli riguardanti la relazione
insegnamento-apprendimento, le pubblicazioni interdisciplinari, l’orientamento
internazionale e il coinvolgimento nelle realtà territoriali)? è corretto che si
considerino ‘eccellenti’ quelle che si posizionano al 111°, al 132° o al 133°
posto della graduatoria?
– Sono precisate le collaborazioni e partnership che l’ateneo intrattiene con
altre istituzioni educative, aziende o organizzazioni?
– Sono indicate con chiarezza le sue politiche per l’inclusione e la
valorizzazione delle diversità?
– Le informazioni a proposito di come godere di supporti finanziari e borse di
studio, sono chiare, dettagliate e facilmente accessibili?
Probabilmente, per un orientamento universitario informativo di qualità, si può
sicurante fare ancora di meglio e di più ed è questo l’auspicio che mi ha spinto
a scrivere queste poche righe.
Si potrebbe, ad esempio, iniziare a non parlare più di più di orientamento in
entrata, in itinere ed in uscita in quanto queste ‘differenziazioni’ mascherano
in modo poco etico che:
1. a) il primo, altro non è che un insieme di operazioni di valutazione e
selezione teso a valutare le competenze e l’idoneità degli studenti che
hanno già espresso il loro desiderio di accedere a questo o a quel corso;
2. b) il secondo, una sorta di monitoraggio dei tempi e della qualità
dell’apprendimento con la buona intenzione, ovviamente, di ridurre quei
ritardi che minerebbero l’efficienza e l’efficacia dei nostri corsi senza
però mettere in discussione la qualità della didattica che è stata di fatto
posta in essere;
3. c) il terzo, infine, non ha proprio nulla a che fare con l’orientamento in
quanto non si propone di aiutare a scegliere e costruire futuri; si tratta
di un vero e proprio servizio di collocamento di cui ad avvantaggiarsene
sono proprio quelle imprese che, anche in nome della terza missione, sono
riuscite ad ottenere le simpatie, spesso non gratuitamente, dei nostri
atenei. Quello ‘in uscita’ a mio avviso, rappresenta la morte
dell’orientamento e l’offerta di dati e profili a coloro che trovano
vantaggioso, non aiutare le persone a scegliere (scopo ultimo
dell’orientamento) ma selezionare e scegliere i nostri neolaureati!
L’orientamento, quello con la O maiuscola, è tutt’altra cosa in quanto non si
accontenta di considerare il presente e le sue offerte, ma guarda alla Società
5.0, a quella che verrà, caratterizzandosi essenzialmente come dispositivo di
prevenzione e volano di giustizia sociale che fa ricorso a percorsi formativi al
fine di diffondere il pensiero critico, possibilista, prospettico, invitando al
contempo ad immaginare e tentare di costruire cosa si desidera che accada tra
10, 15 o 20 e a non limitarsi a considerare solo cosa i mercati di oggi
propongono e sono disposti ad offrire.
Da un punto di vista etico e professionale, infine, è tollerabile che chi pone
numeri chiusi e prove di ammissione, organizzi al contempo tanti workshop e
webinar per insegnare ‘come si superano le prove di ammissione e selezione’,
‘come si suscita una buona impressione negli interlocutori’, ‘come è opportuno
addobbarsi in vista di un colloquio di selezione’, ‘come sviolinare le proprie
competenze’, ‘come si scrive un curriculum’, ‘come dimostrare che si nutre una
bella impressione di questa o quella impresa’ e così via!
L’orientamento può essere trattato come disciplina dell’apparire?
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[1] Non è certamente possibile considerare ‘sostenibile’ e tanto meno formativo
quell’orientamento che, dopo la proposta di un questionario online, produce
profili ‘bestiali’, che continua a parlare di discipline più che di problemi, a
chiedere ‘che cosa vuoi fare da grande’ dando pertanto del ‘piccolo’ a chi
accede ad AlmaLaurea, e a cliccare ‘su ogni animaletto’ – dalla tartaruga al
leone, dal cane di guardia al gatto sornione, dalla formica ambiziosa al cavallo
di Zorro, al lupo d’appartamento, dall’ornitorinco all’aquilotto alpino e al
delfino mediterraneo … a quello cioè che ‘…non è soddisfatto della flessibilità
dell’orario di lavoro, della possibilità di disporre di tempo libero, del luogo
di lavoro, del rapporto con i colleghi, della possibilità di essere automi e
indipendenti, della stabilità del proprio lavoro. Ma gli 82 Atenei che
aderiscono a questo Consorzio, prima di trasmettergli i dati dei propri
laureati, si sono chiesti che condividono questa visione marcatamente
neoliberista della formazione e questo modo obsoleto di fare orientamento? Sanno
che tra i suoi obiettivi specifici figura il ‘raccogliere e rendere disponibili
online i CV dei laureati (oggi 4.115.00) per agevolare l’incontro tra domanda e
offerta di lavoro qualificato; valutare le esigenze e i profili professionali
richiesi dalle imprese pubbliche e private, italiane e stranire e svolgere
attività di ricerca e selezione del personale – il grassetto è nel sito di
AmaLaurea – … società autorizzata dal Ministero del Lavoro all’esercizio
dell’attività di ricerca e selezione del personale…’? Se si, mi auguro almeno
che i vari Delegati all’orientamento chiedano di ricorre ad un ‘bestiaro’
maggiormente riconosciuto a livello internazionale, di indicare, in modo
trasparente, a quale modello e a quali paradigmi scientifici intendono ancorarsi
pur nell’intento di agevolare le imprese a scegliere e selezionare i propri
neolaureati.
[2] Proprio nel senso latino di uscire, oltrepassare i solchi, i confini (‘de
-fuori- e -lira- solco confine’). Chiedere ai ricercatori e agli orientatori di
essere un po’ deliranti, di parlare di lotta alle disuguaglianze, di inclusione,
della necessità di superare il neoliberismo, di non essere anch’essi succubi dei
mercanti, può forse significare anche chiedere loro di essere un po’ visionari,
indisciplinati, un po’’fuori’ e questo, ovviamente, non tutti sono disposti a
farlo o ad essere considerati tali.
Forse, però, potremmo ridimensionare il rischio di essere considerati unicamente
dei provocatori teorici, che non hanno i piedi per terra, allenandoci a nostra
volta a presentare le nostre argomentazioni in modo chiaro, razionale e con dati
ed evidenze scientifiche che potrebbero rendere maggiormente convincenti,
‘costruttivi’ e praticabili inostri auspici.
[3] Anche in questo caso l’uso del plurale è d’obbligo. Pur trattandosi di una
disciplina tutto sommato molto recente risalente alla prima metà del secolo
scorso, si presenta già con molteplici definizioni enfatizzanti certamente
contenuti, paradigmi e valori diversi (vds, ad es. Re e Mosca (2014) che
affermano che il Marketing non è più unicamente centrato sulla vendita di
prodotti e servizi come faceva quello che è definibile come Marketing 1.0 e che
era contemporaneo all’Industria, alla Società e all’Orientamento 1.0 propri
della fine del ‘800 (Parsons, 1909; Guichard e Huteau, 2003).