Adesso finalmente è fuori

Popoff Quotidiano - Saturday, July 26, 2025

Georges Ibrahim Abdallah, militante comunista libanese, è libero dopo una prigionia di 40 in Francia. L’accanimento di Usa e Israele

Georges Ibrahim Abdallah è libero dopo 40 anni trascorsi dietro le sbarre in Francia. Il militante libanese filopalestinese, condannato negli anni ’80 per complicità nell’omicidio di diplomatici americani e israeliani, ha lasciato il carcere venerdì mattina ed è partito per Beirut.

L’aereo che lo trasportava in Libano è decollato poco dopo le 9:30 del 25 luglio dalla pista dell’aeroporto di Roissy, nella regione parigina, secondo quanto riferito all’AFP da una fonte aeroportuale.

Verso le 03:40, un convoglio di diversi veicoli, tra cui due furgoni neri, è partito dal centro penitenziario di Lannemezan (sud-ovest) dove era detenuto Georges Abdallah, con le sirene accese, come ha constatato una troupe dell’AFP senza però riuscire a vedere il militante dalla barba ormai bianca. Una fonte vicina al caso ha confermato che l’ex insegnante, oggi settantaquattrenne, era effettivamente uscito. Era poi partito da un aeroporto vicino per la regione parigina.

“Stava bene, era in buona salute, molto felice di tornare in Libano dalla sua famiglia e di ritrovare la libertà dopo più di 40 anni”, ha detto all’AFP il chargé d’affaires dell’ambasciata libanese a Parigi, Ziad Taan, che lo ha visto a Roissy prima della sua partenza.

Georges Abdallah ha anche “speso parole di elogio nei confronti dei responsabili della prigione di Lannemezan”, lodando il “trattamento umano” ricevuto sul posto, ha precisato.

«Quarant’anni sono tanti, ma non si sentono quando c’è una dinamica di lotta», aveva assicurato all’AFP, il militante libanese all’inviato dell’agenzia di stampa che lo aveva incontrato il giorno della decisione di rilascio, nella sua cella, accompagnando una parlamentare.

Il procuratore generale di Parigi ha annunciato lunedì un ricorso in cassazione contro questa decisione. Il ricorso, che non sarà esaminato prima di diverse settimane, non ha effetto sospensivo e non ha potuto impedire la partenza di Georges Abdallah.

Negli ultimi giorni, Georges Abdallah ha quindi svuotato la sua cella, decorata con una bandiera rossa di Che Guevara e piena di pile di giornali e libri, che ha affidato al suo comitato di sostegno.

Ha dato la maggior parte dei suoi vestiti ai compagni di detenzione e porta con sé solo «una piccola valigia», secondo il suo avvocato.

I suoi cari sperano che sarà accolto nella «sala d’onore» dell’aeroporto di Beirut. Hanno chiesto l’autorizzazione alle autorità libanesi, che da anni chiedevano alla Francia il suo rilascio.

Georges Abdallah si recherà poi nel suo villaggio natale di Kobayat (nel nord del Libano), dove «gli sarà riservata un’accoglienza popolare e ufficiale», secondo la sua famiglia.

La durata della sua detenzione è “sproporzionata” rispetto ai crimini commessi e all’età dell’ex capo delle FARL (Frazioni Armate Rivoluzionarie Libanesi), hanno giudicato i magistrati della corte d’appello.

La decisione è stata presa dalla Corte d’Appello di Parigi l’11 luglio 2025. Abdallah, ex leader della Frazione Armata Rivoluzionaria Libanese (FARL), gruppo marxista e filo-palestinese, era stato condannato all’ergastolo nel 1987 per complicità negli omicidi di due diplomatici — il tenente colonnello americano Charles Ray e poi l’israeliano Yacov Barsimantov, considerato il responsabile del Mossad in Francia, ucciso da una donna davanti alla moglie e ai due figli. La condanna è stata al centro di numerose critiche per le irregolarità processuali riconosciute anche da osservatori ufficiali.

All’epoca dei fatti, nel contesto della guerra civile libanese e dell’invasione israeliana del Libano meridionale nel 1978, le FARL prendevano di mira gli interessi di Israele e del suo alleato americano all’estero.

Prima dell’arresto di Georges Abdallah nel 1984, il gruppo aveva colpito cinque volte in Francia, uccidendo i due diplomatici nel 1982. Ha sempre negato il suo coinvolgimento nell’assassinio dei diplomatici, rifiutandosi però di condannare gli “atti di resistenza” contro “l’oppressione israeliana e americana”.

Identificato grazie alle impronte rinvenute in un nascondiglio pieno di esplosivi e armi, tra cui la pistola utilizzata per i due omicidi, Georges Abdallah era comparso da solo in tribunale nel 1987: era diventato il nemico pubblico numero 1 e il prigioniero più famoso di Francia perché si credeva, a torto, che fosse dietro l’ondata di attentati del 1985-86 che causò 13 morti. Era stato condannato all’ergastolo.

Nonostante Abdallah fosse tecnicamente liberabile già dalla fine degli anni ’90, tutte le sue richieste sono state sistematicamente respinte, in gran parte a causa delle forti pressioni esercitate dagli Stati Uniti. Come documentato da Mediapart, Washington ha costantemente sollecitato la giustizia francese a mantenere in carcere l’ex militante, sostenendo che la sua liberazione rappresenterebbe un rischio per la sicurezza dei propri diplomatici e che, non avendo mai rinnegato le sue convinzioni politiche, potrebbe «riprendere attività violente». In passato, come rivelato dai cables diplomatici pubblicati da WikiLeaks nel 2015, gli Stati Uniti si erano mossi attivamente anche per bloccare il decreto di espulsione necessario al suo rilascio, come avvenne nel 2013 su richiesta diretta di Hillary Clinton all’allora ministro degli Esteri francese Laurent Fabius.

Il suo avvocato, Jean-Louis Chalanset, ha definito la liberazione una «vittoria politica contro gli Stati Uniti» e anche «una vittoria della giustizia francese», affermando che «la giustizia ha superato la politica». Il tribunale ha motivato la decisione affermando che quarant’anni di prigione costituiscono una durata ormai sproporzionata rispetto ai fatti commessi e alla pericolosità attuale dell’uomo. La Corte ha anche riconosciuto come condizione per la scarcerazione l’espulsione di Abdallah verso il Libano.

Durante il periodo di detenzione, Georges Abdallah è diventato un simbolo per vari movimenti antimperialisti e filo-palestinesi. La sua liberazione è stata sostenuta da una mobilitazione costante, in particolare da parte del Collectif unitaire pour la libération de Georges Abdallah, attivo da decenni, e da reti di solidarietà come Palestine Vaincra. Le manifestazioni organizzate davanti al carcere di Lannemezan, dove Abdallah è detenuto, sono state citate dalla stessa Corte d’Appello come elemento che rendeva rischioso, per l’ordine pubblico, un ulteriore prolungamento della detenzione.

Anche L’Anticapitaliste, il sito del Nouveau Parti Anticapitaliste (NPA), ha ricordato le gravi anomalie del processo del 1987, tra cui il ruolo controverso del primo avvocato di Abdallah, Jean-Paul Mazurier, che avrebbe agito come informatore dei servizi francesi.

Secondo quanto ricostruito da Mediapart, gli Stati Uniti si sono costituiti parte civile nel ricorso contro la sentenza di liberazione del 2024, reiterando le proprie preoccupazioni e chiedendo un risarcimento danni che il detenuto, oggi settantaquattrenne e senza reddito, non era in grado di pagare. La Corte, nella sentenza del 17 luglio, ha giudicato irragionevole questa pretesa, specificando che il risarcimento potrebbe essere eventualmente sostenuto da terzi.

Infine, la figura di Abdallah è oggi considerata, anche dalla giustizia francese, distinta da quella dei membri delle organizzazioni jihadiste. La Corte lo ha definito «laico e comunista», riconoscendo come il suo caso abbia assunto un valore simbolico. Come dichiarato da Chalanset, se gli israeliani «lo uccidessero a Beirut, come è possibile che facciano, morirebbe libero come resistente».

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