
Guatemala: una historia de invisibilizados
RadioSonar.Net - Friday, July 25, 2025Un progetto realizzato da Lucia Ciruzzi, Elisabetta Tabasco e Livia Fernandez, in collaborazione con Claudia Bernabucci per Radiosonar.
Introduzione
Nuevo Horizonte (Santa Ana Vieja, Petén, Guatemala), 2017, Vista aerea della Laguna Oquevix, all’interno del territorio della cooperativa. © Lorenzo Monacelli.

Cooperativa Nuevo Horizonte (Santa Ana Vieja, Petén, Guatemala), 2016, Il grande mural, simbolo della comunità: figure legate all’ideologia delle FAR, sia locali che internazionali, si alternano a scene di vita agricola e di guerriglia. © Lorenzo Monacelli.
Il Guatemala è un paese dove esiste una forte censura e alcune narrazioni vengono sistematicamente silenziate. E cosi, molte storie, rischiano di essere dimenticate o ignorate. Come quella che stiamo per raccontarvi, la storia della lotta di resistenza delle e dei combattenti guatemaltechi. Il nostro obiettivo è farle risuonare, dare loro visibilità e far sentire le voci di chi è stato messo a tacere. Ecco perché insieme alle persone protagoniste di questa storia abbiamo scelto il nome “una Historia de Invisibilizados”.
Così nasce l’idea di questo podcast, per ricostruire una memoria che non può andare perduta.
Insieme ci immergeremo nella storia recente del Guatemala, focalizzandoci in particolare sulla Comunità di Nuevo Horizonte, fondata nel 1996, subito dopo la fine della guerra civile guatemalteca.
Grazie per essere qui e per iniziare insieme questo viaggio dall’Italia al Guatemala, e ritorno.
Il podcast è in spagnolo perché volevamo che ti arrivassero le voci di chi ha vissuto ciò che racconta, ma di ogni episodio abbiamo trascritto una traduzione che ti possa accompagnare nelle storie!
Buon ascolto!
EPISODIO 1 : Contesto Historico
Cooperativa Nuevo Horizonte (Santa Ana Vieja, Petén, Guatemala), 2016, Eucebio Figueroa Santos, conosciuto durante la guerra civile come “Rony”, socio fondatore della cooperativa Nuevo Horizonte, ex combattente delle FAR. © Lorenzo Monacelli.
Mi chiamo Roni della Cooperativa Nuevo Horizonte. Oggi parleremo un po’ della rivoluzione di ottobre. La rivoluzione di ottobre è qualcosa di molto speciale che perdura nella memoria di tutti i rivoluzionari guatemaltechi. Questa rivoluzione si è sviluppata nel 1944 e è durata fino al 1954. Poetica mente, l’abbiamo definita come i dieci anni di primavera nell’eterna dittatura. Questa rivoluzione ha sconfitto una delle dittature più criminali del Guatemala, guidata dal generale Jorge Ubico, e la popolazione guatemalteca, stanca di tutte le ingiustizie, le avversità e le violazioni dei diritti.
Un sollevamento popolare è avvenuto, di cui una delle grandi protagoniste è stata María Chinquilla, una delle insegnanti che ha guidato il magistero, insieme a operai e contadini che lottavano contro questo sistema criminale. La rivoluzione di ottobre si è quindi sviluppata nel 1944, sostenuta da uno dei giovani ufficiali dell’esercito guatemalteco, Jacobo Arbenz Guzmán, il quale stesso partecipo’. Questa rivoluzione ha formato un triumvirato, guidato da uno dei signori più noti in Guatemala, Guillermo Torriello, e questo triumvirato è stato quello che ha garantito un processo elettorale libero.
Subito dopo aver sconfitto la tirannia, il triumvirato ha convocato elezioni. In queste elezioni sono stati considerati anche i partiti di estrema destra, che hanno partecipato. La nostra proposta era di portare il signor Bermejo, uno degli insegnanti che viveva in esilio, per partecipare a queste elezioni. È stato un totale successo, poiché siamo riusciti a ottenere la maggioranza assoluta al primo turno, dimostrando così la capacità di attrazione e l’entusiasmo della società per creare un nuovo Guatemala. Con questo governo progressista, che potrei definire democratico, uno dei grandi sogni e obiettivi era ricostruire l’indipendenza, la libertà e la democrazia, per farlo, era necessario ripristinare alcune normative della società guatemalteca.
Per la prima volta, questo governo rivoluzionario riconosceva la donna come parte del processo decisionale, sia come eletta che come elettrice. Inoltre, questa rivoluzione iniziava a prendere sfumature di speranza, poiché si cominciava a esigere da alcune aziende, come quelle della banana(Chiquita), che creassero le condizioni minime per garantire i diritti dei lavoratori, che in quel periodo non avevano diritto ai sindacati. Questa è una delle principali preoccupazioni degli Stati Uniti (che gestivano l’industria bananiera): il fatto che la rivoluzione di ottobre iniziasse a creare le condizioni per l’istituzione dei sindacati dei lavoratori. Un altro aspetto estremamente importante è che durante questa rivoluzione è stato creato il Sistema di Sicurezza Sociale, un obbligo per il benessere della società operaia e di tutti i lavoratori. Tutto questo, in qualche modo, ha suscitato molta preoccupazione negli Stati Uniti, che hanno iniziato a interferire tramite l’industria bananiera, creando un intero sistema di instabilità e tentando anche di fare alcuni colpi di stato per rimuovere questo governo democratico.
In questo modo si è concluso il primo periodo del governo rivoluzionario e si è passati alle seconde elezioni, che hanno immediatamente convocato tutti i partiti di destra e il Partito Guatemalteco del Lavoro, responsabile di portare al potere i due presidenti di questa rivoluzione. Le elezioni si sono svolte, e ancora una volta, il popolo guatemalteco ha votato con maggioranza assoluta al primo turno per Jacobo Arbenz Guzmán, che è stato denominato come il soldato del popolo. Jacobo Arbenz Guzmán è quindi arrivato a governare il secondo periodo della rivoluzione di ottobre, adottando misure un po’ più radicali contro il sistema imperialista nordamericano.
Come parte delle misure adottate da questo “soldato del popolo”, è stato immediatamente accusato di essere un satellite dell’Unione Sovietica e hanno iniziato a prendere misure più repressive, attentati e molte misure puramente repressive. Ma anche il governo ha iniziato a prendere misure alternative, come le comunicazioni: i porti, che in Guatemala appartenevano all’industria bananiera e le strade che anche appartenevano all’industria bananiera erano controllate dalle stesse aziende. Stiamo parlando della ferrovia, che era degli Stati Uniti, come anche l’elettricità apparteneva a una società statunitense. In breve, sia le comunicazioni che il sistema energetico, e tutti i porti e gli aeroporti appartenevano agli Stati Uniti, e durante il periodo di Jacobo Arbenz Guzmán, sono state create alternative per diventare un paese indipendente e non più dipendente dal punto di vista transnazionale.
Durante questo periodo della rivoluzione, è stata realizzata la costruzione della strada che collega la capitale fino al Caribe, cioè Puerto Barrios. Inoltre, è molto importante notare che in quel periodo esisteva solo un porto, Puerto Barrios, e la rivoluzione ha creato, accanto a Puerto Barrios, il porto di Santo Tomás, che oggi è uno dei più importanti e attivi.
Tutto questo non è stato perdonato dagli Stati Uniti poichè questi avvenimenti non potevano passare inosservati e soprattutto il fatto che questa rivoluzione iniziava a creare la prima impresa al fine di produrre un proprio sistema di energia elettrica e contemporaneamente nello stesso anno si riconosce autonomia all’università San Carlo, finalmente riusciamo ad avere una nostra propria Università. Ed è così che arriviamo all’anno ‘54 durante il quale Gli Stati Uniti hanno iniziato a orchestrare una campagna di destabilizzazione alla rivoluzione di ottobre, insieme ai loro alleati in tutta America Latina, organizzando una riunione di ministri degli esteri, a Caracas, dove venne stata presa la decisione che il Guatemala doveva essere invaso per fermare quella rivoluzione che metteva a rischio la sicurezza degli Stati Uniti (dei suoi affari economici nel territorio del Guatemala), poiché era considerato un satellite dell’Unione Sovietica in Centro America.
In realtà gli Stati Uniti hanno riempito il mondo di menzogne e volevano semplicemente giustificare (con la presunta alleanza del nuovo governo Guatemalteco con l’Unione Sovietica) la sconfitta della rivoluzione, poiché in tutta America Latina e nei Caraibi c’erano le piantagioni di banane della United Fruit Company. In effetti, l’aver creato un sindacato di lavoratori metteva a rischio la stabilità dello sfruttamento permanente al quale siamo stati storicamente soggetti da parte di queste forze oppressive, sfruttatrici ed espropriatrici. Così, nel 1954, la rivoluzione di ottobre è stata sconfitta, grazie a dei finanziamenti dalla CIA degli Stati Uniti, usando in questo caso l’Honduras come uno dei campi principali dove si sono riuniti i mercenari che si sono occupati di sconfiggere la rivoluzione. Da lì, gli Stati Uniti hanno anche fatto un accordo con gi ufficiali traditori dell’esercito guatemalteco affinché non opponessero alcuna resistenza.
L’alto comando dell’esercito guatemalteco, praticamente in complicità con gli Stati Uniti, ha preso le seguenti misure: non resistere all’invasione straniera guidata dalla CIA e che partiva dall’Honduras e negare il diritto alla popolazione guatemalteca di prendere le armi. I cittadini sono corsi in strada e alle basi militari chiedendo un fucile per difendere la patria. Come conseguenza di queste misure adottate dall’esercito guatemalteco, i mercenari sono riusciti a entrare, praticamente senza sparare un colpo, e a catturare il nostro presidente liberamente eletto, il quale è stato imbarcato su un aereo e mandato in esilio. In questo modo, muore la rivoluzione di ottobre e inizia un periodo di repressione, in cui i mercenari attraverso gli anticomunisti, come il partito di Mico Sandoval, iniziano una caccia radicale contro quelli che chiamavano agraristi. Gli agraristi erano tutti quei contadini beneficiati dai programmi di riforma agraria, che ricevevano terre, risorse economiche e assistenza tecnica. Tutti questi contadini furono sequestrati e brutalmente assassinati. Questo è ciò che i mercenari, insieme agli anticomunisti, fecero durante il periodo del ’54, ’55 e ’56.
Immediatamente dopo questo evento, il Guatemala si trova con due eserciti: l’esercito traditore del Guatemala, che non ha resistito e non ha difeso la patria, e l’esercito dei mercenari, che ha stabilito la propria base militare nell’ospedale Ruzbel, costruito anch’ esso durante la rivoluzione di ottobre. Questi signori mercenari, se così possiamo chiamarli, commettevano ogni tipo di illeciti, compresi molti atti di violazione dei diritti umani e dei diritti delle donne. Come conseguenza di ciò, un gruppo di giovani studenti della Scuola Politecnica decide di insorgere. Questa insurrezione, agita da giovani studenti di 17 anni, ha rovesciato i mercenari accampati nell’ospedale Ruzbel. Tuttavia, con l’intervento della Chiesa cattolica e dell’ambasciata degli Stati Uniti, questi giovani studenti che avevano sconfitto l’esercito mercenario sono stati invitati a rinunciare, a interrompere l’azione, e così i giovani mercenari sono sopravvissuti, mentre questi giovani sono stati riportati a scuola.
In seguito, alcuni giovani dell’esercito guatemalteco sono stati inviati a prepararsi nelle scuole delle Americhe, negli Stati Uniti, a Panama, per difendere la famosa democrazia. Questi giovani partono per gli Stati Uniti e per le scuole delle Americhe per prepararsi e tornare pronti. Mentre i giovani si preparano militarmente e culturalmente negli Stati Uniti e nelle scuole delle Americhe, si verifica un evento molto speciale che segna un momento critico in Guatemala: gli Stati Uniti fanno un’altra forte concentrazione di mercenari per invadere Cuba, nella Baia dei Porci, o più conosciuta come Playa Girón. Questi mercenari allestiscono due grandi campi, uno nel dipartimento di Izabal e l’altro nel dipartimento di Petén, sempre vicino a Izabal, utilizzando come scuole di addestramento la finca Esbetia, che oggi può essere ancora localizzata.
Queste concentrazioni di mercenari cambiano, in qualche modo, l’opinione di alcuni ufficiali, specialmente dei giovani ufficiali della parte orientale del Guatemala, stiamo parlando di Sacapa e Jalapa. Questi giovani, insieme a quelli che tornano già preparati negli anni ’60, fanno una proposta molto critica allo Stato: chiedono di essere trattati con maggiore dignità, esigendo dal governo guatemalteco la destituzione del ministro della Difesa per non aver protetto l’esercito guatemalteco. Le loro richieste vengono espresse principalmente per migliorare il sistema di equipaggiamento, come uniformi e stivali, e tutto ciò di cui un soldato ha bisogno per essere trattato con dignità, poiché quello che avevano erano stracci. Inoltre, chiedevano che il soldato guatemalteco avesse un’alimentazione più bilanciata, poiché quello che consumavano era indegno per un esercito, e richiedevano anche di migliorare ‘las barracas’, ovvero i dormitori, poiché in quel periodo i soldati vivevano in condizioni di precarietà.
Le loro richieste erano per il miglioramento di un esercito nazionale, che era superato dai mercenari, che avevano non solo buoni equipaggiamenti e armamenti, ma anche molti soldi, mentre l’esercito guatemalteco viveva in totale miseria. La risposta del governo non tardò molto ad arrivare e fu negativa. Quindi, questi ufficiali della parte orientale del Guatemala decisero di chiamare a un sollevamento nelle diverse basi militari del paese, molte delle quali accettarono e dissero di essere d’accordo. Il motto principale era restituire al popolo guatemalteco l’esercito del popolo, sottolineando che erano stati ingannati. Così, nel 1960, si è verificato il famoso sollevamento del 13 novembre, guidato da giovani ufficiali dell’esercito, con la speranza di essere sostenuti da diverse basi militari. Tuttavia, non tutte le basi hanno agito come previsto. Alcune, come la base militare di La Aurora, dove si trova ora l’aeroporto internazionale di Guatemala, non si sono sollevate, ma non hanno neanche voluto far decollare gli aerei per bombardare questi giovani ufficiali e i soldati che li accompagnavano, perché il governo si rese conto che erano inarrestabili.
È in questo contesto che gli Stati Uniti intervennero nuovamente, ordinando ai bombardieri della Seconda Guerra Mondiale, stanziati nel Canale di Panama, di dispiegarsi e bombardare per soffocare questo sollevamento. In un certo senso, si potrebbe dire che è in questo modo che il sollevamento del movimento del 13 novembre è stato sconfitto dal punto di vista militare e questi giovani ufficiali si sono visti costretti a rifugiarsi nella Sierra de las Minas principalmente e nell’area montuosa al confine con l’Honduras e nel dipartimento di Izabal.
Questi giovani, trovandosi nella Sierra, prendono decisioni critiche su come procedere. Una delle decisioni prese è che tutti gli ufficiali e i soldati che vogliono andare in esilio possono farlo: uno, via Messico, attraverso la Sierra de las Minas; due, via Honduras, attraverso ciò che noi all’epoca chiamavamo la Sierra de las Granadillas, aspettando un’amnistia per poter tornare in Guatemala. Così, molti se ne andarono, ma ci furono altri ufficiali che, come il comandante Luis Augusto Tursio Lima, il nostro primo comandante delle guerriglie, dissero: «Chi vuole restare con me e morire combattendo, rimanga; chi non può, parta». È così che il movimento 13 novembre continua ancora a dare vita alla lotta nella Sierra de las Minas. I giovani stabilendosi specialmente in quella zona e nella Sierra de las Granadillas, si dividono in due grandi gruppi di resistenza.
Arriviamo così agli anni ’61 e ’62, un periodo molto turbolento, poiché dopo la sconfitta della rivoluzione di ottobre nel ’54, le forze repressive del governo guatemalteco, attraverso la polizia militare e l’esercito, più i mercenari, iniziano a punire drammaticamente non solo gli studenti, non solo i contadini, non solo gli agraristi, ma tutti i settori sociali in resistenza, che iniziano a subire serie rappresaglie per la lotta per le rivendicazioni. Come conseguenza, nel ’62 si verificano le famose giornate di marzo e aprile, quando tutti gli studenti delle scuole superiori scendono in strada per poter protestare e rivendicare i diritti della società guatemalteca.
La risposta del governo fu immediata e indiscutibile: il governo guatemalteco rispose con grandi misure repressive, annientando, come diciamo noi, moltissimi studenti e disarticolando in qualche modo questo eroico movimento studentesco delle giornate di marzo e aprile, e soccombendo la loro lotta in strada. Come conseguenza di questa azione, i giovani ufficiali dell’esercito che erano nella Sierra decisero di scendere e contattare questi giovani studenti. Così iniziano a cercarsi e, in questo anno, si svolge un incontro molto speciale. Questo incontro coinvolge le tre principali forze che in seguito formeranno la prima guerriglia guatemalteca. In questo incontro nella capitale, si ritrovano quelli del movimento del 13 novembre, i giovani studenti delle scuole superiori e anche il Partito Guatemalteco del Lavoro, che era stato praticamente responsabile di portare al potere i due presidenti della rivoluzione di ottobre.
Da questo incontro nasce qualcosa di molto positivo: nascono le FAR, la prima guerriglia guatemalteca, fondata nel ’63 e celebrata esattamente il 7 febbraio di quell’anno. Il nome FAR sorge esattamente da questo motivo: se studiate il nome o le insegne dell’esercito guatemalteco, vedrete che è FAG, “Forze Armate Guatemalteche”, e quindi le FAR sono le “Forze Armate Ribelli”. Così si articola questa prima guerriglia, e questa guerriglia prende il nome di Edgar Ibarra e sotto questo nome inizia quindi la lotta rivoluzionaria nella Sierra de las Minas e così sorgono le prime FAR.
EPISODIO 2 : La historia de Rony parte 1
Cooperativa Nuevo Horizonte (Santa Ana Vieja, Petén, Guatemala), 2014, Una via d’ingresso nel “Bosque de la Vida”, progetto comunitario, portato avanti sin dalla fondazione della cooperativa, che rispecchia le condizioni ambientali della selva dove si è consumato gran parte del conflitto durante la guerra civile. © Lorenzo Monacelli.
Sono Eusebio Figueroa Santos, originario della parte sud-orientale del Guatemala, appartengo al popolo Shinka da parte dei miei nonni materni. Noi abbiamo dovuto migrare dalla parte orientale verso la parte settentrionale del Guatemala, a Petén, a causa dello spostamento delle nostre terre per ragioni di pressione da parte delle diverse aziende, come quelle del cotone, dello zucchero di canna, della banana e così via. È così che siamo arrivati a Petén, stabilendoci specificamente nel casale Colpetén del comune di Dolores.
Qui abbiamo iniziato un nuovo processo di vita grazie alle terre che sono abbondanti e che non appartengono a nessuna proprietà privata. È lì che ci siamo insediati e abbiamo iniziato a vivere per anni, dalla fine degli anni ’60 all’inizio degli anni ’70. Soprattutto noi ci troviamo in Petén in una situazione di estrema povertà: tutti i migranti che sono venuti sia dalla costa sud, sia dalla parte orientale e sia da alcune zone di Izabal, considerando che la parte di Izabal è stata anch’essa presa dall’azienda bananiera, la Chiquita, prima di unirsi alla Frail Company, così tutti noi che ci troviamo in Petén in qualità di migranti, viviamo in una situazione di scarsità di infrastrutture come strade, sistemi energetici, sistemi sanitari, sistemi educativi: una totale scarsità. Quindi, sopravvivere non è affatto facile in queste circostanze.
Automaticamente, sia Petén che l’Ixcán, specialmente Petén, sono caratterizzati dalla religione cattolica, in particolare dalla Teologia della Liberazione, che è una forma di religione diversa da quella che potremmo chiamare qui la Chiesa Cattolica Tradizionale. Questa Chiesa Cattolica, Teologia della Liberazione, organizza tutta una struttura di catechisti lungo la riva del fiume Usumacinta, Pasión Salinas e anche sulla strada che conduce dalla Franja Transversal del Norte fino a Flores.
Iniziamo quindi a esercitare qui, in questa religione cattolica, il nostro sistema di organizzazione che ci permette di combattere per la resistenza. A partire dalla nostra partecipazione a questa religione, siamo stati avvicinati dalla militanza o dalla vecchia guardia delle guerriglie che operavano dagli anni ’63 in poi nella Sierra de las Minas, i quali, dopo le sconfitte militari, si sono distribuiti nei vari dipartimenti per rafforzare ciò che loro chiamavano la ‘militanza rivoluzionaria’. In questo caso, siamo stati avvicinati dall’ormai noto comandante Pablo Monsantos, che con la sua struttura di organizzatori arrivano a Petén e trovano tutta una fervente organizzazione contadina organizzata nella Teologia della Liberazione, il che permette loro di far prosperare l’organizzazione clandestina delle FAR negli anni ’70 fino agli anni ’80 a Petén.
In questo caso, i miei genitori appartenevano alla Chiesa della Teologia della Liberazione e facevano parte della struttura del catechismo, erano catechisti. Questo ha facilitato alle FAR il fatto di trovare un terreno fertile e abbiamo iniziato a lavorare in ciò che noi potremmo definire la militanza rivoluzionaria. Questa militanza si basa soprattutto sulla creazione di cellule di cinque persone, con le quali ci riunivamo costantemente per mantenerci informati sui temi della situazione politica nazionale e per conoscere anche le informazioni internazionali su ciò che stava accadendo nel mondo in quel periodo.
EPISODIO 3 : La historia de Rony parte 2
Cooperativa Nuevo Horizonte (Santa Ana Vieja, Petén, Guatemala), 2017, Uomo a cavallo diretto al progetto di “Ganaderia” (allevamento di bestiame) della cooperativa. © Lorenzo Monacelli.
Nella vita guerrigliera nella vita quotidiana non era necessariamente tutto difficile, né necessariamente brutta. Consideriamo che la vita guerrigliera sia una delle scuole di vita di maggiore qualità, che ci ha nutriti in termini di valori e principi, permettendoci di conoscere ciò che potremmo definire il vero affetto o il vero amore, incluso il tema stesso della vita, imparando a rispettarla. La quotidianità di un guerrigliero variava a seconda della struttura di appartenenza perché avevamo diverse strutture: logistica, comunicazioni, medicina, esplosivisti, zappatori, mitragliatori, cecchini, e così via, e a seconda dello spazio di appartenenza si articolavano le attività.
C’era qualcosa di molto speciale: c’era sempre un Natale, sempre un Capodanno in cui ci riunivamo e potevamo in qualche modo riempire quelli che potremmo chiamare i vuoti familiari. È vero, la vita guerrigliera era una grande famiglia dove si creavano spazi sociali, culturali e politici, dove cercavamo di colmare quelli che potremmo chiamare vuoti familiari. Era una quotidianità, un’attività di tutti i giorni, in cui eravamo attenti allo stato d’animo di ogni compagna e compagno che apparteneva a queste colonne.
Così, durante le festività, in particolare quelle tradizionali come il Natale e il Capodanno, avevamo sempre l’abitudine di cacciare animali come il cinghiale, il pavone o i cervi, e da lì preparavamo quello che chiamavamo l’arrosto o anche il tradizionale tamal. Il tamal è un piatto tipico del Guatemala che non manca mai sulla tavola di mezzanotte nelle famiglie. Quindi, come consuetudine, ci piaceva ballare, organizzavamo la sicurezza e preparavamo balli specialmente per la Vigilia di Natale, per il Natale e il Capodanno, e aspettavamo sempre la mezzanotte.
Iniziavamo a ballare alle otto o nove di sera e aspettavamo la mezzanotte per il tradizionale abbraccio e per trasmettere il calore della famiglia assente e per ricordare coloro che erano rimasti indietro in qualche battaglia, rafforzando quel legame familiare. Questo è qualcosa di molto speciale che nella guerriglia si è mantenuto costantemente come parte di una tradizione: la capacità di osservare lo stato d’animo di ogni compagno, ed è molto importante per noi non necessariamente parlare, non necessariamente chiedere “cosa ti succede”, ma è fondamentale sentire il calore umano e semplicemente sedersi in silenzio accanto a un’altra persona, stringerla come diciamo noi, o darle un abbraccio in silenzio. Questi erano alcuni dei modi per rafforzare la famiglia, la famiglia guerrigliera e dare sostegno.
Altre delle cose importanti, in questo caso per noi, gli emissari politici, che ci occupavamo della formazione politica, per cui per noi era quotidiano, dicevamo che la chiave non sta nel trovare una risposta, né nel sapere come risolvere un problema. La chiave, in realtà, è imparare ad ascoltare, a comprendere la crisi o il bisogno dell’altro compagno o compagna, e imparare a dimostrargli nella pratica che anche se tu non hai la soluzione, la stai cercando insieme a lui o lei. Questo potrebbe sembrare priva di senso, ma in un conflitto armato, in condizioni di alta tensione o in situazioni difficili, è molto apprezzato e risulta essere molto più forte di qualsiasi altra azione.
È quindi molto importante che quando uno dei tuoi compagni si trova in una situazione speciale di instabilità, crisi o ricerca di una soluzione, sappia di avere un alleato accanto a sé. Anche se non risolvi il problema, è fondamentale che tu sia lì con lui di cuore, e che insieme cerchiate di trovare una soluzione o risolvere il problema.
Questo era molto comune nella vita guerrigliera e molto importante per ripristinare davvero quel livello di fiducia, per ristabilire quella fratellanza, quella costanza e soprattutto la sicurezza. Avevamo anche alcune cose quotidiane tra i combattenti. Sai che ci sono amiche, amici, compagni, camerati, c’è di tutto, ma si crea sempre una fratellanza speciale con determinati combattenti. Anche se hai una linea comune per tutti, c’è sempre qualcuno di speciale.
Si stabilivano quindi accordi, che erano collettivi, di gruppo o tra due persone, come “non ti lascerò, anche se dovessi dare la vita, ti tirerò fuori”. Questo era molto importante di fronte alle atrocità che l’esercito del Guatemala commetteva con i corpi di alcuni dei nostri compagni, che era impossibile recuperare dalla linea di combattimento. Loro compivano atti disumani, senza rispettare quel corpo inerte, quel cadavere, facendo cose atroci che non vale la pena menzionare ora. Era molto importante che tutti noi avessimo la certezza che i nostri compagni erano disposti a dare la vita pur di non lasciare qualcuno nella linea di combattimento e questo accadeva moltissime volte. Anche se nel tentativo di recuperare un compagno potevamo affrontare fino a due fallimenti, questo, invece di demoralizzare, dava molto incoraggiamento al resto della truppa, perché si rendevano conto che tutto ciò che dicevamo riguardo a impegno e fratellanza era vero: eravamo capaci di dare anche la cosa più preziosa, che è la nostra stessa vita.
Quindi, questo tipo di fratellanza collettiva, di gruppo o tra due persone, era molto importante nella vita guerrigliera. Questo tipo di sacrifici, questo spirito rivoluzionario e queste attività che facevamo erano veramente il risultato di una profonda comprensione del motivo per cui eravamo lì. Ed è molto importante, come continuo a ripetere anche oggi, che se non posso contare su di te, su chi posso contare? Quindi è fondamentale avere un alto livello di fiducia, dove possiamo essere sempre pronti per qualsiasi necessità. Ora voglio raccontarti un aneddoto di un campo guerrigliero.
Probabilmente ti sembrerà sgradevole ciò che sto per raccontarti, ma è molto importante che tu sappia cosa accadeva lì. In un’occasione, una piccola colonna di guerriglieri, composta da circa 35 guerriglieri, contava un’unica donna, solo una donna. Devo sottolineare che c’era un grande rispetto per le compagne e molta solidarietà. Infatti, eravamo sempre in maggioranza uomini e in minoranza donne, donne molto coraggiose che hanno avuto il coraggio di partecipare a questa lotta rivoluzionaria in condizioni totalmente avverse e contraddittorie.
Immagina quante mestruazioni senza avere l’opportunità di utilizzare un assorbente, senza poter disporre di un semplice pezzo di stoffa per affrontarle. Non è affatto facile; è facile dirlo ora, ma avere il coraggio di stare lì con scarsità d’acqua, senza nulla con cui pulirsi, non è affatto semplice. Per questo dico che l’aneddoto che voglio raccontare non ha il minimo senso di voler fare danno, ma in una di queste occasioni, nella piccola colonna guerrigliera, c’era una sola donna. Allora, un giorno, uno dei membri della comunità ci donò un sacchetto di pane, che conteneva cinque o sei pezzi di pani. Impossibile distribuirli tra 35 o 30 persone, significherebbe zero, insomma, non si può.
Il compagno di logistica decise che il sacchetto di pane sarebbe stato destinato agli ufficiali, con l’idea che loro consumassero molto più cibo, pensando alla grande responsabilità di guidarci e di preservare la nostra vita con un’azione positiva. Quando portarono il sacchetto di pane agli ufficiali, questi risposero: “No, noi non vogliamo mangiare qualcosa in qualità di privilegiati, quindi portatelo ai malati.” Così, il compagno di logistica lo portò ai malati, e i due malati presenti dissero: “No, come è possibile, non possiamo mangiare del pane sapendo che non c’è per gli altri.” Tutti si accordarono che venisse dato alla compagna, quindi partirono in missione e le dissero: “Compagna, ti portiamo un riconoscimento e, inoltre, essendo la nostra preferita, ti diamo un sacchetto di pane che abbiamo ottenuto e tu puoi consumarlo come riconoscimento per la tua partecipazione.”
Lei ricevette il sacchetto di pane e disse: “E gli altri?”, “Non c’è nulla per gli altri, ce n’è solo uno ed è tuo.” Allora la compagna guardò e disse: “Come pensate che io possa mangiare qualcosa che voi non potete mangiare?” E ricordo bene le sue parole: “Inutili!” Allora chiedemmo: “E adesso che facciamo con il sacchetto di pane? Lo buttiamo o cosa facciamo?” Lei rispose: “No, portatemi una pentola, mettete dell’acqua e accendete il fuoco.” Con le mani ruppè il pane e lo trasformò in briciole; quelle briciole le mise a bollire e ottenne una grande pentola di Atole. Poi disse: “Ora, tutti, prendete dei bicchieri!” E così tutta la colonna guerrigliera portò bicchieri e Atole per tutti.
Tutti dicevano: “Wow, che mancanza di creatività, avremmo dovuto farlo anche noi!” E un compagno, tra i tanti, mentre prendeva il suo bicchiere di Atole, disse: “Wow, compagna, magari avessimo potuto fare dei tamponi e per te!” Queste erano le convivialità che si davano dentro la guerriglia; in quel momento fu molto divertente e piacevole, e ci siamo sorrisi. Certo, dopo, l’emissario politico ci sanzionò perché disse che era stata una mancanza di rispetto verso la nostra compagna.
Ok, quindi in questa vita guerrigliera per noi è stata davvero una grande scuola. Qualcosa di molto importante che voglio sottolineare è che ricordo esattamente il comandante Fernández, che si presentò come combattente. All’epoca, il comandante chiese a uno dei guerriglieri se sapeva leggere e scrivere. Per qualche motivo, lui rispose di no, e allora il comandante gli disse: “Lei è un uomo morto.” E il guerrigliero replicò: “Ma io sono vivo, sono in piedi.” Il comandante rispose: “No, chi non sa leggere né scrivere, chi non studia, chi non analizza, chi non indaga, quell’ uomo è morto, anche se è vivo.”
Da quel momento, abbiamo capito che era molto importante l’apprendimento, era fondamentale la formazione. La guerriglia ha sempre avuto una costante formazione politica e anche un programma di alfabetizzazione all’interno delle colonne guerrigliere. Come puoi immaginare, le colonne guerrigliere del Petén erano composte in gran parte da contadini di origine maya. In quel periodo, il Guatemala aveva circa il 75-80% di analfabetismo, il che significa che la grande maggioranza di noi non sapeva né leggere né scrivere.
Quindi, nella guerriglia una delle missioni principali era che tutti eravamo allievi e tutti eravamo insegnanti: “Io ti insegno, tu mi insegni, tu sai, io so.” Era un modo per condividere le conoscenze e così prendemmo penne e quaderni e libri e iniziò il periodo delle letture e degli scambi. È lì che ho personalmente letto moltissimi libri, e questo mi ha anche permesso di conoscere l’Europa attraverso i romanzi, i libri e le notizie perchè sviluppammo anche l’abitudine di ascoltare la radio. Tra le stazioni che ascoltavamo c’era naturalmente la BOA, la radio ufficiale degli Stati Uniti, Radio Havana Cuba, che non ci saremmo persi, e Radio Estera di Spagna. Ricordo esattamente che ascoltavamo anche quella degli inglesi, Gran Bretagna, e non mi perdevo un episodio delle “Mille e una notte”.
In questo modo, ho iniziato ad ascoltare la radio della Gran Bretagna attraverso un narratore che raccontava le storie delle Mille e una notte. Ma oltre a questo, ci dedicavamo anche ad ascoltare i notiziari, il che ci permetteva di avere una visione generale della situazione che il mondo stava vivendo. Così abbiamo formato nella guerriglia una grande scuola, questa scuola in cui tutti abbiamo imparato a leggere e scrivere. Insegnavamo ai contadini e ai compagni operai come muoversi nella foresta, come evitare passi falsi, come affrontare un serpente, come cacciare un animale senza usare proiettili, ma tramite trappole. Era tutto un programma autodidattico, potrei dire, dove eravamo costantemente impegnati in un miglioramento reale.
Questa vita, la vita rivoluzionaria e guerrigliera ci ha fatto cambiare le diverse prospettive che avevamo sulla vita, il rispetto per la vita stessa.
In qualità di contadini, noi eravamo come predatori, predatori della foresta, predatori di tutto ciò che ha vita. Tuttavia, una volta entrati nella guerriglia, ci siamo resi conto che la foresta è realmente uno dei nostri grandi alleati che abbiamo in tutti i sensi. Prima di tutto, ci permetteva di proteggerci: in qualche modo potevamo disinformare il nemico, rendendo difficile per lui la nostra localizzazione aerea o tramite l’artiglieria; i grandi tronchi millenari ci permettevano di difenderci dai bombardamenti o dalle esplosioni dei cannoni 105, che erano comunemente utilizzati.
Ma questa foresta ci ha anche fornito risorse molto importanti, richiamando anche la memoria dei nostri antenati e dei nostri nonni attraverso la medicina naturale. Già conoscevamo alcuni di questi farmaci naturali a base di radici, fusti o cortecce degli alberi. Proprio lì abbiamo raccolto informazioni e conoscenze, direi, di botanica. È in questo modo che la giungla ci ha salvato la vita in diversi momenti e in vari casi che si sono sviluppati al suo interno.
Oltre a ciò, abbiamo imparato a conoscere tutto ciò che era commestibile: frutti, radici, fusti, palme, ogni tipo di cosa che ci dava questa giungla. Ci approvvigionava anche di acqua e di cibo, come la carne che ottenevamo dalla caccia a diverse specie di animali che potevamo consumare. In poche parole, per noi la giungla è uno degli alleati strategici all’interno di questo conflitto. In questo caso, parlo dei fronti della parte più a nord del Petén, in particolare di Lucio Ramírez, del Toón Toj, di Mardoqueo Guardado, che erano le zone più selvagge.
Per noi questa è parte della formazione che abbiamo ricevuto e che fino ad oggi continuiamo a implementare: tutto questo è quello che oggi conosciamo e chiamiamo come “il verde”, diciamo infatti: “Verde cosa? Verde Vita”. Quindi, la vita guerrigliera è stata una vera e propria scuola di formazione e di rafforzamento dei nostri principi e dei nostri valori, del nostro più alto livello di solidarietà e di fratellanza, della nostra più profonda identità per sapere a quale classe apparteniamo. Naturalmente è ciò che ci mantiene fino ad oggi. Questa scuola della vita è ciò che ci permette ora di raggiungere i successi e di affermare i nostri propositi riguardo a un modello di vita.
Cosa posso dire di più sulla vita? È esattamente questo: lì abbiamo trovato la Vita. Nel fragore dei proiettili, nel fragore delle esplosioni abbiamo creato questo alto livello di consapevolezza e questo livello di ragionamento su come dobbiamo affrontare la vita, e che non tutto è violenza, deve essere proposta, deve essere analisi, deve essere organizzazione, innanzitutto.
EPISODIO 4 : Maritza
Cooperativa Nuevo Horizonte (Santa Ana Vieja, Peten, Guatemala), 2016, Maritza, socia fondatrice della cooperativa, ex combattente delle FAR. © Lorenzo Monacelli.
Mi chiamo Maritza, sono stata combattente della guerriglia per dieci anni e ora mi trovo qui, a Nuevo Horizonte. All’età di 13 anni ho iniziato a vivere la mia vita direttamente nella guerra. Ho ricoperto un ruolo molto importante: la comunicazione, mantenendo i contatti con le diverse unità che operavano in Petén.
Questo è stato il mio lavoro. Ma a parte questo sono stata anche combattente. Penso che il ruolo della donna nella guerra sia stato abbastanza importante, perché qui ho imparato che sia l’uomo sia la donna hanno lo stesso diritto e lo stesso valore. Siamo riusciti ad avere questo senso di compagnia e solidarietà, siamo riusciti a creare unione; eravamo come una famiglia che lottava insieme.
Lì ho cominciato a comprendere l’importanza della lotta, il motivo per cui è nata la guerriglia, perché, come ho detto, in Guatemala non c’era altra opzione che combattere per difendere la vita, prendere un’arma per poter difendere la vita. Non c’era altra scelta. Così è cominciata la guerriglia in Guatemala.
L’esercito ha massacrato molte comunità in tutto il paese, come sapete. E così, per difendere la propria vita, la gente si è unita alla guerriglia oppure è fuggita verso il Messico. Quando avevo 16 anni, durante un combattimento, fui ferita da una pallottola. Mi recai in Messico per ricevere cure, poi tornai per continuare a combattere, perché la mia famiglia era tutta in guerriglia.
Credo che, come ho detto, il ruolo della donna durante la guerriglia sia stato importante, ma la vita era anche molto dura, perché, come donna, affronti il ciclo mestruale e l’area di Sayaxché, dove ho trascorso più tempo, era una zona di pura selva, fiumi e piogge incessanti.
Caricavamo sempre la nostra “casa” nello zaino: ci portavamo dietro tutto il necessario per dormire, avevamo l’equipaggiamento per la notte, il cibo e tutto ciò di cui avevamo bisogno. Lo zaino del medico e quello del radio-operatore pesavano circa 50 libre (23 chili), perché portavamo con noi anche la radio.
E durante il ciclo mestruale, all’epoca non c’erano i tamponi o le salviette, come ora. Utilizzavamo pezzi di stoffa, che se stava piovendo, si bagnavano insieme a tutti i nostri vestiti, e talvolta non riuscivamo a lavarli, perché dovevamo camminare per tutto il giorno. Lavavamo i nostri stracci quando raggiungevamo un luogo in cui accamparci. Asciugavamo le stoffe attorno al fuoco, dove tutti cucinavano. Vi dico che è stata un’esperienza difficile, ma anche molto bella, perché gli uomini non si spaventavano nel vedere una donna lavare i suoi panni mestruali vicino al fuoco. Era normale. Le compagne e i compagni si aiutavano a vicenda: se le donne non avevano niente per tamponare le loro mestruazioni, gli uomini erano i primi che le aiutavano: chi prestava una camicia, chi dava lenzuola da rompere per poter creare i propri panni. Questo è stato uno degli aspetti più difficili per noi, perché le condizioni erano queste: non avevamo altra scelta.
Così, se una donna era combattente, affrontava le stesse difficoltà degli uomini. Portava l’arma, procurava i proiettili, faceva la guardia. Non c’era discriminazione, tutti eravamo uguali e facevamo le stesse cose. C’erano donne che sapevano fare qualsiasi attività che serviva: mediche donne che impararono a eseguire chirurgia e a curare i feriti, donne che facevano il lavoro politico e organizzativo, andavano nelle comunità a spiegare perché si combatteva. Se qualcuno si fosse interessato, si sarebbe potuto unire alla guerriglia.
C’erano anche donne che si occupavano della propaganda, per esempio facendo manifesti da attaccare nelle strade o nelle comunità. La partecipazione delle donne è stata fondamentale in tutto questo. Ci sono stati momenti difficili, ma anche momenti buoni, come il Natale o la fine dell’anno. A volte passavamo il periodo di festa
in combattimento, altre volte in un luogo sicuro, ma non come ora, che si preparano tamales.
Se organizzavamo una festa, la facevamo con il poco che avevamo, usando registratori della dimensione di un cellulare che suonavano. È stata una vita dura, ma allo stesso tempo è stata una scuola per tutti. Una scuola che ci è anche molto servita per vivere qui oggi, nella Cooperativa Nuevo Horizonte perché abbiamo imparato tanto e ci ha insegnato anche che restando uniti e organizzati possiamo superare qualsiasi ostacolo.
Con la firma della pace quel periodo di combattimento è finito, tutto è cambiato. Siamo arrivati a Nuevo Horizonte e questa è stata una lotta diversa: quella di ricostruire tutto da zero. Qui non c’era nulla, solo montagne e guamile (terra incolta). Non c’erano case. È stata un’altra sfida che abbiamo dovuto vivere, ma grazie a Dio con l’organizzazione, lo sforzo e l’impegno, ora abbiamo Nuevo Horizonte. E dopo 26 anni, posso dire che almeno siamo riusciti a garantire condizioni minime di vita per ogni famiglia.
Come vi dicevo, il mio ruolo durante la guerra è stato quello della comunicazione. Portavamo sulle spalle la radio per mantenere i contatti con le altre unità guerrigliere sparse per il Petén e per comunicare anche con gli ufficiali o con chi dirigeva la guerriglia. Questo era il mio compito. Ricevevo messaggi e, insieme ai piani di comunicazione, cifravo i messaggi per impedire che l’esercito scoprisse cosa stavamo dicendo ad altre unità. Usavamo frequenze radio per rimanere in contatto. Qui al museo ci sono alcune delle radio che usavamo. Così ogni gruppo si manteneva in contatto, e questo è stato il mio lavoro. A volte dovevamo anche partecipare ai combattimenti, perché se l’esercito ci avesse sorpreso, dovevamo essere pronti a difenderci in qualsiasi momento.
Quando mi sono unita alla guerriglia avevo 13 anni. Come vi ho detto, quando avevo 5 anni, la mia comunità fu massacrata dall’esercito e andammo in Messico, dove restammo per 8 anni. Avevo 13 anni quando mio padre ci venne a cercare in Messico e ci riportò in guerriglia. A quell’età ho cominciato a vivere la guerriglia in prima persona.
Ho lasciato i miei genitori e ho iniziato a prendere decisioni per la mia vita, cercando di capire cosa fare e quali scelte prendere. Avevo diverse opzioni: diventare radio-operatrice, medica, fare lavoro politico o essere combattente. Dovevo scegliere in quale ruolo volevo lavorare.
Ho deciso di lavorare nella comunicazione. Mi sono preparata per sei mesi per imparare il lavoro, poi sono stata inviata su un fronte dove ero in contatto con l’esercito. Questo è stato il mio lavoro durante i 10 anni di guerriglia.
A volte facevo anche il lavoro medico, perché negli ultimi anni eravamo pochi e in alcune zone non c’era chi conoscesse la medicina. Anche se non ero un’esperta, sapevo come dare i primi soccorsi, quindi ho dovuto occuparmene anche io.
È stata una buona esperienza. Ho imparato molto e, guardando indietro, posso dire che è stata una parte fondamentale della mia vita.
Ora ho una famiglia e mio marito, l’ho conosciuto in combattimento quando avevo 17 anni. Siamo stati insieme e lui mi ha molto aiutato, sia durante la guerriglia che dopo. Mi ha sostenuto quando ho deciso di continuare a studiare e mi ha aiutato con la cura dei bambini. Abbiamo imparato a vivere insieme e a capire il valore della comunicazione, dell’unione e del sostegno reciproco, che sono stati fondamentali durante e dopo la guerra.
Ora siamo insieme da 32 anni e questa esperienza ci ha insegnato tanto. Penso che tutto questo mi abbia aiutato anche nell’ambito della partecipazione, delle conoscenze e mi ha dato la possibilità di poter imparare molto su tanti temi diversi, a maggior ragione ora che lavoro ai vertici della Cooperativa, anche qua ho avuto lo spazio per poter partecipare. Chiaro che la guerra è dura, ma ci ha dato la possibilità di crescere, imparare e superare le difficoltà.
Vivere nella Guerriglia non è stato facile perché non c’era nulla di sicuro, si conviveva sempre con la paura che in qualsiasi momento si potesse morire. Non sapevi cosa ti sarebbe successo, cosa avresti incontrato e cosa sarebbe successo sul tuo cammino. Chi era più sveglio era avvantaggiato. Era necessaria molta disciplina, non si poteva gridare, bisognava stare in silenzio a camminare o lavorare e uno doveva essere sempre preparato a tutto. Le condizioni erano dure, ma ci siamo adattati. Quando ho iniziato, avevo 13 anni, e non ero preparata per quella vita. Abbiamo fatto mesi di preparazione facendo esercizi fisici, imparato a maneggiare le armi, a smontarle e rimontarle, a stare in silenzio, a essere sempre pronti, a vigilare se si fosse visto il nemico in qualsiasi momento. Faceva paura. Se andavi ad un combattimento non sapevi se saresti tornato o se qualcuno che partiva con te non l’avresti più rivisto.
Non era facile, ma alla fine mi ha fatto sentire bene, perché avevamo una convivenza molto bella con i miei compagni e compagne. Non c’era differenza tra uomo e donna: tutti si sostenevano a vicenda e si viveva in armonia, insieme. E continuiamo a fare questo anche adesso e questo ci permette di continuare uniti.
Devi difendere la tua vita, anche se non quella non era una vita che avresti scelto. Era una vita che ci è stata imposta, o combattevi o morivi o scappavi in Messico. Molti sono fuggiti, altri sono rimasti, ma alla fine tutti avevamo lo stesso obiettivo: sopravvivere e difendere la nostra vita. Molta gente è rimasta in Messico perché non poteva tornare alla sua comunità ed è dovuta rimanere lì perché non aveva altra opzione.
Il tema della maternità in guerriglia è stato molto difficile, perché le donne non avevano la possibilità di avere figli come avrebbero voluto. Anche se c’erano i metodi di pianificazione delle gravidanze, alcuni casi non si sono potute evitare e ci furono alcune donne che partorirono durante la Guerriglia. Le donne davano alla luce i bambini in situazioni difficili, senza un riparo, senza un posto sicuro. Ricordo un episodio in cui una compagna ha partorito durante una marcia, mentre l’esercito ci inseguiva. Quando fu il momento di avere il bebè, i compagni e le compagne le prepararono un letto con delle foglie, lei si sdraiò e partorì. Subito dopo la alzarono e dovettero continuare a camminare perché l’esercito stava arrivando dietro di noi. Senza riposo, senza pausa, i compagni la caricarono su una barella e la portarono così, ci potemmo fermare solo poco tempo per farla partorire e poi ripartire. Era una cosa da pensare molto bene per una donna se restare incinta in quelle condizioni. Tuttavia, uno da giovane tende a pensare che sia facile, come è successo anche a me. Io sono rimasta incinta del mio primo figlio quando ero al fronte con la mia radio e il mio fucile. Sono andata via quando ero incinta di sei mesi per spostarmi in un luogo sicuro per far nascere mio figlio. C’era la regola di non poter avere figli durante la Guerriglia, ma per disguidi o per irresponsabilità succedeva ugualmente, ed era sempre un momento duro.
Alcune compagne dopo aver avuto i bebè chiesero ad alcune famiglie delle comunità se potessero tenere i loro figli e prendersene cura affinché loro potessero continuare a combattere. Li lasciavano a queste famiglie e a volte non tornavano più a prenderli. A molti bambini successe questo in Guatemala, le madri non ebbero più la possibilità di recuperare i figli.
Molti bimbi non sono riusciti a crescere con i propri genitori, perché la guerra li separava. Alcuni sono stati accuditi da altre famiglie in Messico o in Guatemala. Questo è stato uno degli aspetti più dolorosi della guerra. Sono stati momenti drammatici.
Per esempio, io ho avuto mio padre che era parte del SPR (una radio di logistica) in Guatemala, sulle montagne, in un luogo più sicuro; quindi, per i primi due anni di vita di mio figlio sono andata con loro lì. Dopodiché lascai lì il mio bebè con i miei genitori e tornai a combattere. Tuttavia, per molti altri bambini non è stato possibile recuperarli.
Altre donne che parteciparono alla guerra invece già avevano altri figli: furono obbligate a mandarli con i nonni o con altre famiglie in Messico e non fu possibile per loro crescere con la propria famiglia. Un altro problema oggi, infatti, è il risentimento dei figli di questa generazione verso i genitori perché non ci sono stati durante la loro crescita e i loro momenti importanti, alcuni bambini sono stati recuperati dalle loro famiglie, ma c’è comunque questo sentimento per la mancanza dei genitori durante la propria infanzia.
Questi sono altri temi difficili a cui porta la guerra.
Grazie a voi per aver realizzato questo documentario. Per noi raccontare queste storie non è facile perché implica ricordare ed è duro, ma è importante farlo. Grazie per l’interesse che avete mostrato nel conoscere la nostra vita e per condividerla con altri, in Italia e in altri paesi.
E pensate che Nuevo Horizonte è una parte anche di voi, è come se fosse un po’ anche vostra perché in questi 26 anni che abbiamo costruito Nuevo Horizonte l’Italia è sempre stata al nostro fianco, aiutandoci nei progetti e sostenendoci in tutto, grazie a tanti giovani che sono venuti qua. Vi siamo molto grati e ora grazie anche ad Amka continuiamo ad avere il privilegio di poter avervi qua. Speriamo di continuare a collaborare anche in futuro, per tanti anni ancora.
EPISODIO 5 : Nuevo Horizonte
Cooperativa Nuevo Horizonte (Santa Ana Vieja, Petén, Guatemala), 2016, Immagine notturna della “Escuela Popular de Nuevo Horizonte”. © Lorenzo Monacelli.
Nuevo Horizonte è una comunità composta da donne e uomini, nata come conseguenza della firma degli accordi di pace. Questa Cooperativa è stata fondata per soddisfare una delle necessità di proseguire la lotta armata su altri terreni, ma con lo stesso obiettivo, parlando sempre di un sogno che non è stato possibile realizzare attraverso le armi.
Noi abbiamo fondato Nuevo Horizonte in due periodi speciali, potrei dire.
Il primo è stato quando abbiamo concentrato le forze guerrigliere in un campo chiamato Saccol, nella fascia trasversale del nord. In quel momento nacque Nuevo Horizonte, non necessariamente con il nome che conosciamo oggi, ma fu allora che iniziammo a disegnare come sarebbe stata quella comunità che volevamo costruire, sulla quale volevamo scommettere.
È lì che cominciammo: il giorno della firma degli accordi di pace e del cessate il fuoco definitivo. Quindi, noi siamo nati nel 1996, precisamente il 26 dicembre, che è la data in cui si venne firmato questo accordo. Rimaniamo ancora nel campo Saccol fino al giorno della firma dell’accordo più tre mesi; quindi si parla di marzo dell’anno successivo, marzo del 1997.
È così che fissiamo questa data come inizio.
Per quanto riguarda i sogni, indiscutibilmente, abbiamo fondato questa Cooperativa come uno dei mezzi per la continuazione dei sogni rivoluzionari, un luogo dove poter mettere in pratica i principi, i valori e l’unità. Uno spazio dove si possa respirare la solidarietà e dove si possa mettere in atto un modello di organizzazione che ci permetta di realizzare sogni concreti, di avere orizzonti raggiungibili, operando politicamente su ciò che raccontavamo e rendendo nella pratica sostenibile tutto questo attraverso il modello di organizzazione, attraverso l’analisi e gli sforzi collettivi.
Per questo abbiamo scelto la formula della Cooperativa, pur consapevoli che il modello cooperativo in Guatemala non è particolarmente un’alternativa rispetto al sistema stesso, poiché quest’ultimo pone molti ostacoli alla realizzazione, sia giuridici sia strutturali.
Tuttavia, pensavamo che questo modello cooperativo fosse il veicolo che cercavamo per realizzare quel sogno tanto desiderato, utilizzandolo come mezzo, ma non come fine. Un mezzo che ci permettesse di arrivare dove avevamo sognato. Per questo motivo, avevamo bisogno di racchiudere in questa Cooperativa i sogni guerriglieri di un paese diverso, un paese di opportunità, di diritti, di libertà di parola e pensiero, di giustizia.
Abbiamo deciso che questo sarebbe stato Nuevo Horizonte.
All’interno della sua struttura, abbiamo definito che l’unico modo per realizzare questo sogno fosse attraverso i Contrapoteri. Abbiamo concepito i Contrapoteri come un mezzo di resistenza, una forma di ribellione positiva che crea aspettative di vita e modelli di sviluppo, uguaglianza ed equità, dove ognuno ha il diritto non solo di pensare, il diritto di esprimere un’opinione, ma anche di scegliere, di essere scelto, di assumersi le responsabilità, e di godere dei benefici di tutto ciò.
È per questo che abbiamo creato i Contrapoteri e uno di essi è che la terra deve essere di uso comunitario.
Avere la terra di uso comunitario significa dimostrare che la proprietà privata non è necessariamente la soluzione a una crisi che ci ha tenuti per anni sottomessi a limitazioni e avversità, dove solo le persone al potere possono godere dello sfruttamento, principalmente dell’uomo sull’uomo e non di un uso corretto, equo e rispettoso delle risorse naturali e dell’ambiente. Per noi, la terra è di proprietà collettiva. Oggi, a 25 anni di distanza, continuiamo a mantenere questo modello di lavoro, sebbene il governo non ci abbia permesso di registrare la terra come proprietà comunitaria.
La terra, quindi, ha un titolo di proprietà, se così vogliamo chiamarlo, intestato alla Cooperativa, ma non a singoli individui. Questo ci consente di avere una posizione forte per sviluppare ulteriori Contrapoteri.
Tra questi, uno molto importante è la produzione agricola.
Riguardo alla produzione agricola, ci chiediamo: “Perché stiamo producendo?” Principalmente produciamo per i nostri bisogni alimentari, per i nostri stomaci, ciò che chiameremmo il programma della sovranità alimentare, dove la chiave principale è la diversificazione della produzione, per garantire alla nostra tavola una varietà di cereali, verdure, latticini, carne e così via. Questo ci permette di avere uno sviluppo più equilibrato e giusto, assicurandoci le condizioni fisiche necessarie per affrontare le attività che supportano lo sviluppo della comunità stessa. La nostra produzione agricola inizialmente non era progettata per il mercato, ma per risolvere una situazione nutrizionale che definivamo sviluppo umano. Questo ci ha permesso di creare le condizioni per accedere successivamente ad altri tipi mercati, di cui parlerò più avanti.
Questo Contropotere ci ha permesso di creare diverse alternative. Una di queste è la possibilità di produrre in modo ecologico, cercando di concentrarci sulla produzione biologica, per preservare anche le specie e i semi. Un altro aspetto fondamentale di questa produzione è la lotta per il recupero dei semi tradizionali.
Il recupero dei semi nativi è stato essenziale per diversificare la produzione e per poterci adattare ai drastici cambiamenti climatici. Non abbiamo una produzione monocolturale, ma una produzione completamente diversificata. Ciò significa che, indipendentemente dai cambiamenti climatici, che ci sia eccesso o carenza di acqua, avremo sempre qualcosa da consumare.
Questa è una delle garanzie che abbiamo rispetto al nostro sistema alimentare.
Oltre a questo, abbiamo lottato molto contro le grandi multinazionali. All’inizio, possiamo parlare di Monsanto e Bayer, che oggi sono la stessa cosa, ma a quei tempi non lo erano.
Uno degli obiettivi principali era lavorare su prodotti alternativi, come il compost e la preparazione di prodotti naturali per combattere i parassiti, utilizzando ingredienti come la rana (termine colloquiale per indicare un particolare tipo di organismo che vive nel compost o nel suolo. Questi organismi sono essenziali per la decomposizione dei materiali organici e il miglioramento della qualità del suolo. La loro presenza è un buon segno di un ecosistema sano e fertile, in quanto molte creature, come i lombrichi, i microrganismi e talvolta anche alcune specie di anfibi, traggono beneficio dall’ambiente umido e ricco di materia organica del compost), il tabacco, la flor de muertos, il peperoncino, la cipolla e l’aglio. Miscelando questi ingredienti in modo equilibrato e attraverso la loro decomposizione, riusciamo a produrre pesticidi naturali che ci permettevano di controllare i parassiti senza distruggere l’ecosistema. Perché ogni forma di vita ha un ruolo da svolgere in questo pianeta e tutti facciamo parte di una catena. È un fatto di come equilibrare il sistema per poter permettere a tutti di vivere armoniosamente e tranquillamente.
Abbiamo anche sviluppato la capacità di preparare compost, compost foliari e compost verdi, utilizzando piante come il terciopelo, la cannavalia, il madrecacao e il caulote. Potrei citare una lunga lista di piante che ci hanno permesso di produrre composizioni biologiche, con il sostegno all’economia agricola. Tutto questo fa parte del Contrapotere della produzione agricola di Nuevo Horizonte.
Un altro contrapotere molto importante per noi è il tema dell’educazione. Noi la chiamiamo “educazione per la vita” e diciamo così perché la guerra ci ha insegnato che ciò di cui dobbiamo prenderci cura e proteggere è la vita, ma non solo la vita dell’essere umano, ma anche la vita di tutte le creature, dalle più microscopiche alle più gigantesche, come la Ceiba, l’albero nazionale, il caoba, il cedro, il chicosapote e molti altri che sono alberi giganti nella nostra area. L’importante è che impariamo a comprendere che la vita è fondamentale per questo pianeta e per questo motivo abbiamo sviluppato un tema che chiamiamo “il bosco nostro alleato strategico della vita”, tanto nella clandestinità quanto nella vita civile.
Pertanto, l’educazione per noi è essenziale. Per questo motivo, crediamo nell’Educazione degli Oppressi (Paulo Freire), cercando i contenuti che ci permettano di analizzare e dibattere modelli che ci consentano di svilupparci in modo sostenibile e rispettoso dell’ambiente. L’educazione per la vita ci aiuta a risvegliare in ogni studente il potenziale che ha dentro di sé. L’alunno, per noi, non è un recipiente vuoto che deve essere riempito dall’insegnante, ma è il punto di partenza per risvegliare e far emergere l’energia positiva che ha e saperla incanalare al fine di creare una società più responsabile, più equa e più consapevole non solo di sé, ma anche della società in generale, del pianeta e della vita stessa. In questo modo, possiamo garantire un futuro migliore per le generazioni future e poter lasciare un’eredità diversa.
Parlando della vita, sottolineiamo come anche l’intorno e le circostanze siano molto importanti per l’educazione: un popolo che studia è un popolo che prospera.
È molto importante che tutti possano sviluppare conoscenze accademiche, poiché è ciò che ci permetterà di avere diverse opportunità nella vita e di essere più coerenti con esse. Uno dei nostri grandi sogni è che ciascuno dei nostri studenti lavori per l’amore dell’arte e non per il desiderio del denaro. Chi lavora per l’amore del denaro è una persona disarmata di principi e senza valori. Per questo motivo, diciamo ai nostri figli che l’educazione è fondamentale, e deve essere considerata come un principio, come un valore. Dobbiamo lavorare per l’amore dell’arte, e il denaro che guadagniamo con il nostro lavoro è la ricompensa per il nostro sudore e il nostro sacrificio. Grazie a questo denaro, possiamo migliorare la nostra condizione economica – se vogliamo definirla così – migliorare gli spazi in cui viviamo, acquistare i mezzi di trasporto necessari per continuare a lavorare, godere del diritto al riposo, delle vacanze, dei viaggi e tanto altro. Ma è un denaro guadagnato onestamente, con dignità, che vale la pena godere.
Questo è uno degli obiettivi del nostro modello di comunità.
Per realizzare una struttura di valori come questa, è fondamentale avere una formula, un’organizzazione, una struttura che ci consenta di stabilire le normative della vita comunitaria. Abbiamo ottenuto l’autorizzazione formale dallo Stato per avere nella nostra Cooperativa una “giunta direttiva”, che risponde a un’assemblea. L’assemblea è l’organo di massima autorità, mentre la giunta direttiva è composta da cinque membri, e deve essere equilibrata, senza una predominanza di uomini o donne, ma una presenza equilibrata.
Viene eletta dall’assemblea, che prende le decisioni in sua assenza.
La giunta direttiva non è solo amministrativa, è anche politica ed è chiamata a garantire e condurre verso il futuro della comunità.
Inoltre, la giunta è affiancata da un organo autonomo, che non dipende dalla giunta stessa, ma risponde solo all’assemblea. Questo organo si chiama Consiglio di Vigilanza, ed è il “punto di osservazione” dell’assemblea, i suoi occhi e le sue orecchie e ha il compito di monitorare e fare osservazioni alla giunta direttiva. Quest’ultima organizza politicamente e amministrativamente la Cooperativa.
Abbiamo anche un altro organo che si chiama Commissione di Educazione che ha il compito di garantire che ogni membro delle differenti strutture sia in grado e abbia le capacità di eseguire le mansioni che l’assemblea ha assegnato. Qualora quest’organo notasse alcuni deficit di funzionamento nei compiti, uno dei suoi ruoli è quello di promuovere e cercare di creare le condizioni necessarie affinché uno specialista possa effettivamente essere messo nelle condizioni migliori per poter sviluppare le sue capacità, abilità e responsabilità.
Oltre a questi organi, in Nuevo Horizonte esiste anche il Consiglio dei Veterani, un organo composto da uomini e donne. Sebbene questo Consiglio non abbia potere giuridico, la sua autorità politica e morale è molto forte. È sempre consultato dalla Giunta Direttiva e dagli altri due organi, sia autonomi sia quelli sotto la giunta. Il Consiglio dei Veterani ha il compito, attraverso la sua autorità politica e morale, di fornire suggerimenti, analisi del contesto e proposte per il miglioramento delle politiche comunitarie. Questo è uno dei pilastri fondamentali per la gestione politica e ideologica della comunità.
Attualmente, la Cooperativa conta 90 soci, mentre la comunità complessiva è composta da circa 600 persone. Gestiamo la comunità in due modalità: tramite assemblee generali per tuta la comunità, in cui tutti hanno voce e voto, e con un organo giuridico chiamato COCODE. Il COCODE è composto da una commissione di circa 17 persone che si occupano di gestire attività legate al benessere sociale, culturale, e infrastrutturale della comunità. Questo è l’organo di massima autorità in termini di autogestione e sviluppo comunitario.
Come si può notare, la struttura e il funzionamento della nostra comunità sono complessi, con vari organi di gestione ben organizzati e coordinati per evitare conflitti e contraddizioni strutturali.
Questo equilibrio è essenziale e il confronto continuo nelle riunioni ci permette di definire chiaramente il ruolo di ognuno.
Dopo anni di lotte, oggi possiamo affermare con orgoglio che la maggior parte delle persone della comunità vive in case dignitose. Molte abitazioni hanno tetti in zinco, pareti in blocco e pavimenti in cemento, la maggioranza ha stufe a gas e a legna. La maggior parte delle famiglie possiede anche un frigorifero o un televisore e mezzi di comunicazione che ci permettono di restare connessi. Oggi il cellulare è diventato comune e lo utilizziamo per creare reti di supporto al nostro sviluppo comunitario, come ad esempio la rete del mercato locale dove possiamo scambiare o vendere i prodotti che produciamo.
Altro tema fondamentale è quello della salute, in campo sanitario, Nuevo Horizonte vanta tre cliniche autogestite, gestite da un gruppo di donne straordinarie, impegnate nella cura della salute della comunità. Inoltre, abbiamo un punto di salute gestito dalla Giunta Direttiva e dal COCODE, che fornisce farmaci base e un servizio di ambulanza disponibile 24 ore su 24, per trasportare i pazienti agli ospedali o a cliniche private, a seconda di dove può e vuole andare. Questo sistema ci permette di garantire lo sviluppo umano e di assicurarci che ci sia sempre un mezzo e un luogo di emergenza disponibile.
Sul fronte educativo, la comunità ha diverse scuole, tra cui la scuola dell’infanzia, la scuola elementare e la scuola media, che garantiscono l’accesso all’istruzione per la maggior parte dei bambini, questo è molto importante per noi perché crea la possibilità che tutti possano studiare per “svegliarsi”. La scuola primaria è gestita dallo Stato quindi i maestri sono inviati dallo Stato e sono esterni, mentre la scuola media è autogestita, con insegnanti della comunità, che ci permettono di mantenere alta la qualità dell’insegnamento e sviluppare l’Educazione degli Oppressi.
Tutto questo ci permette di creare le condizioni per far sì che il livello di istruzione migliori ogni giorno in Nuevo Horizonte.
Abbiamo anche vari progetti di sviluppo collettivo, come la salute, la piscicoltura e il turismo comunitario, che ci permette di avere ostelli, ristoranti e pacchetti di escursioni all’interno del Sentiero della Vita che raccontano la nostra storia di lotta e della vita nella Guerriglia unita alla bellezza e l’importanza dei boschi che proteggiamo per la nostra vita.
Questi progetti contribuiscono a migliorare la vita della comunità e a generare opportunità economiche per tutti e per sostenere i progetti sociali, di educazione, di infrastrutture della comunità.
Questi progetti collettivi sono autosostenibili, il che significa che non dipendiamo solo dalla proprietà privata o dalla produzione individuale, ma che il nostro modello di produzione collettiva, che include anche forme semi-collettive, come gruppi di 2-5 persone a progetto, è in grado di soddisfare le necessità della comunità e potenziare il mercato locale. Questo noi lo chiamiamo “impatto diretto al portafoglio del produttore”. Significa che il ricavo guadagnato all’interno del gruppo si riparte tra i membri. A noi questo permette di avere una diversificazione della produzione e potenziare il mercato comunitario e locale.
La produzione collettiva ci aiuta a rilassare la situazione economica e a garantire la sostenibilità.
L’ultima forma di produzione è quella individuale: a ciascun socio viene assegnato un pezzo di terreno dove può realizzare la propria coltivazione, coltivando piante e alberi perenni che durano fino a 100 anni come frutta,mango, avocado, e altri alimenti (come grano) che permettono la sopravvivenza economica della famiglia. Questo modello è ciò che noi chiamiamo “produzione di sopravvivenza” o “economia del centavo”, dove ogni piccolo prodotto contribuisce al benessere della famiglia senza dover fare affidamento sul mercato.
Tutto questo è Nuevo Horizonte al giorno d’oggi.
Qual è il nostro sogno? La nostra visione per il futuro è quella di continuare a crescere come una comunità con una struttura forte, con un piano di governo comunitario che favorisca la discussione, l’uguaglianza, l’equità, la responsabilità e in cui il potenziale principale sia la vita. Vogliamo mantenere questo progetto collettivo per il futuro. Nei precedenti 25 anni abbiamo dimostrato che tutto questo è sostenibile e che si può mantenere.
Vogliamo rafforzare la solidarietà e la cooperazione con altre comunità, per costruire un modello di vita diverso, con maggiori opportunità sia nella produzione agricola sia nei mercati e in tutto quello che ha a che fare con lo sviluppo umano.
Oggi, Nuevo Horizonte si estende su 900 ettari di terra ed è permesso a persone esterne alla comunità di venire a coltivare i terreni per la propria produzione. Fino al giorno d’oggi a nessuno si è mai fatto pagare l’affitto. Queste persone portano poi il raccolto alla propria famiglia e credo che questo sia uno dei grandi punti di forza di Horizonte.
Un altro grande obiettivo per il futuro è far diventare Horizonte una grande steppa verde, creando ancora più bosco: il Bosco della Vita.
In sintesi, Nuevo Horizonte è una comunità che così nasce, così cresce e sogna un futuro migliore: un popolo con uguaglianza, con equità, con diritti uguali e con opportunità di vita.
EPISODIO 6 : Amka
Cooperativa Nuevo Horizonte (Santa Ana Vieja, Petén, Guatemala), 2022, Il progetto di riforestazione della cooperativa promuove la conservazione delle foreste naturali della comunità e la piantumazione di diverse specie arboree. Gli obiettivi del progetto sono combattere il cambiamento climatico, proteggere la biodiversità e favorire lo sviluppo comunitario attraverso la vendita del legname. © Lorenzo Monacelli
.
Tutte le immagini fanno parte del progetto fotografico a lungo termine “Somos Gente de Horizonte” di Lorenzo Monacelli ed Estefania Lochtenberg Rivas.
Un grazie speciale a Rony, Maritza, Monica, ad Anka e alla Cooperativa Nuevo Horizonte per questo importante e profondo viaggio in Guatemala.
Disponibile su:
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