
SACE promuove “polizze climatiche” mentre finanzia i combustibili fossili
ReCommon - Thursday, May 29, 2025Pubblicato su Altreconomia 281 – maggio 2025
A dicembre 2024, chiunque fosse in procinto di prendere un treno poteva imbattersi in un totem digitale con la scritta in sovrimpressione “Rischi climatici: quanto vale il futuro della tua impresa?”.
La campagna pubblicitaria, presente in quattordici stazioni ferroviarie italiane, promuoveva “Protezione rischio clima”, un nuovo prodotto assicurativo di SACE rivolto alle aziende.
SACE è l’agenzia di credito all’esportazione italiana, controllata dal ministero dell’Economia e delle Finanze. Queste agenzie emettono polizze assicurative “classiche” o garanzie sui prestiti, cioè assicurazioni a beneficio di una banca. Se qualcosa va male, SACE rimborsa le aziende oppure le banche che hanno prestato capitali per i loro progetti, in entrambi i casi con soldi pubblici. Enti come SACE nascono per favorire l’export delle aziende di un determinato Paese, ma negli ultimi anni – a causa delle crisi economiche innescate prima dalla pandemia e poi dall’invasione russa dell’Ucraina – la loro operatività è cresciuta fortemente anche a livello domestico.

Negli stessi giorni che SACE promuove “Protezione rischio clima”, l’agenzia emette una garanzia del valore di circa 660 milioni di euro per il progetto “Sakarya Fase II”, che riguarda la «realizzazione di 10 pozzi aggiuntivi per l’estrazione di gas naturale dal giacimento offshore dell’omonimo campo […] nella zona esclusiva economica turca del Mar Nero». A maggio 2023 SACE aveva già supportato finanziariamente la prima fase del progetto estrattivo con una garanzia di 243 milioni di euro, un’opera che contribuirà all’emissione in atmosfera di 140 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti: circa quelle prodotte dal Qatar nel 2023. La seconda fase potrebbe contribuire al doppio delle emissioni.
Non c’è però da stupirsi: nonostante i tentativi di presentarsi al servizio dell’ambiente e del clima, è l’operatività di SACE a fare dell’Italia il primo finanziatore pubblico di combustibili fossili in Europa e il quinto a livello globale. La recente garanzia emessa per “Sakarya Fase II” si inserisce quindi in un ruolino di marcia di lungo corso.
Alcuni analisti definiscono Sakarya come «la più grande scoperta nel Mar Nero», con riserve pari a 710 miliardi di metri cubi di gas. Dai pozzi nel Mar Nero, entrati in funzione nell’autunno del 2023, il gas arriva all’impianto di Filyos (Zonguldak) attraverso un gasdotto di circa 170 chilometri posato a 2200 metri di profondità, e da lì alla rete di distribuzione nazionale.
Nell’aprile del 2023, un mese prima delle elezioni presidenziali in Turchia, Erdoğan in persona inaugura l’arrivo dei primi metri cubi di gas all’impianto di Filyos. Un progetto che incarna l’ambizione turca di liberarsi dalla dipendenza del gas russo e, addirittura, presentarsi sul mercato come esportatore. Ankara afferma che la prima fase – che dovrebbe concludersi in questi giorni – è destinata a raggiungere una produzione giornaliera di 10 milioni di metri cubi di gas. Tuttavia, secondo i dati aggiornati a gennaio 2025 dell’Autorità di regolazione per il mercato energetico, questa si attesta ancora a 6,5. L’obiettivo di raggiungere 40 milioni di metri cubi di gas al giorno nella seconda fase e 60 entro il 2028 sembra più un auspicio che un dato fondato su analisi puntuali, ridimensionando le velleità per cui Sakarya dovrebbe sopperire al consumo domestico, mentre l’export verso l’Europa non viene mai menzionato nella narrazione ufficiale. Difatti i dati ufficiali mostrano come l’Italia non abbia ricevuto in maniera diretta un solo metro cubo di gas prodotto in Turchia, elemento che stride fortemente con alcune clausole contenute nella politica sul clima di SACE. Anche a causa di queste clausole, SACE ha la politica sul clima più debole tra le agenzie di credito all’esportazione, potendo garantire progetti fossili con soldi pubblici praticamente per sempre.
E non si tratta solo di una questione legata al clima, ma anche di un utilizzo problematico di risorse pubbliche. Secondo un recente studio di Carbon Tracker, la transizione energetica porterà alla sostituzione più o meno rapida del petrolio e del gas, e il conseguente calo della domanda contribuirà a un minor prezzo delle materie prime. Ne consegue che i progetti di produzione, trasporto e stoccaggio di idrocaburi rischiano di generare profitti al di sotto del tasso di rendimento minimo, aumentando il rischio di insolvenza da parte delle società proponenti. Un problema non da poco quando i progetti sono garantiti da enti come SACE, sempre più esposti al rischio di dover sborsare denaro pubblico per tutelare banche commerciali o aziende fossili.
L’unica maniera affinché questi progetti siano remunerativi è che la transizione ecologica proceda in maniera ancora più lenta rispetto al ritmo attuale, condannando il Pianeta e le persone che lo abitano a conseguenze terrificanti, nonché sempre più tangibili. Un vero e proprio gioco d’azzardo, in qualsiasi maniera la si guardi.
Dei 10 progetti analizzati da Carbon Tracker, ben 7 vedono la presenza di SACE, con un moderato rischio di credito in capo all’ente. Tra questi c’è anche Mozambique LNG di TotalEnergies, per cui il governo italiano ha di recente confermato il sostegno finanziario di SACE. Un sostegno che arriva nonostante si stagliano lunghe le ombre di violazioni dei diritti umani configurabili come potenziali crimini di guerra, portate avanti dall’esercito mozambicano per proteggere il sito. Se indagini indipendenti dovessero confermare queste vicende, le conseguenze ricadrebbero anche sulle istituzioni finanziarie.
L’operatività di agenzie come SACE non riguarda quindi solamente la salute del Pianeta, ma anche la tutela dei diritti umani e la sostenibilità delle casse pubbliche italiane. È arrivato il momento la politica istituzionale si attivi, prima che le ripercussioni siano irreparabili.