Un apripista dell’esodo dotato di ottima mira

EuroNomade - Sunday, November 9, 2025

di MARCO BASCETTA.

Quanto più lunghe e intense sono le storie e intrecciate le esperienze, le sensibilità, le idiosincrasie; quanto più sono numerosi gli scambi, gli azzardi e i ricordi condivisi, tanto meno si sa da che parte cominciare.

Perché non, allora, da una piccola rubrica che si affiancava a più impegnative riflessioni nella rivista Luogo comune che, all’inizio degli anni Novanta, aveva messo al lavoro intorno a un nucleo tematico essenzialmente imbastito da Paolo un gruppo di compagni, amici vecchi e nuovi, intellettuali e militanti, interessati a misurarsi con quanto fosse cambiato nel decennio appena trascorso degli anni Ottanta.

Si chiamava, quella rubrica, «Citazioni di fronte al nemico», riferendosi alla ricorrente sequenza Western (ripresa anche da Quentin Tarantino) nella quale il pistolero, prima di sparare, declama un versetto della Bibbia. Ebbene, gli articoli di Paolo, i suoi saggi brevi (e non solo quelli con una finalità politica più diretta) costituiscono uno straordinario catalogo di «citazioni di fronte al nemico», tratte e rielaborate da uno studio vasto e rigoroso e rese acuminate da grande passione politica e ottima mira.

Mai il lavoro di Paolo è stato privo di un bersaglio, anche se a un certo punto della sua vita ha sentito il bisogno di separare nettamente la militanza politica dalla ricerca filosofica. Non certo per negarne l’imprescindibile connessione e la reciproca necessità in un mondo, quello della merce immateriale, nel quale senza metafisica la vita concreta sarebbe rimasta imperscrutabile. Piuttosto per suggerire rigore e concentrazione delle energie. Due compiti tanto decisivi come la ricerca e la lotta, riteneva Paolo, non potevano essere svolti a metà, con approssimazione, salvo in momenti di eccezionale precipitazione e condensazione degli eventi storici. Ancora oggi non so se avesse fino in fondo ragione.

Molti di noi, abituati a vivere proprio in quella zona grigia in cui si mescolano i tempi lunghi della riflessione e della ricerca con l’urgenza dell’agire politico, ne rimanemmo spiazzati. Ma anche se lo strumentario filosofico di Paolo si faceva più indiretto e raffinato, mai rinunciando tuttavia a un esemplare sforzo di chiarezza, la radicalità del suo pensiero continuava ad alimentare la cultura e l’inventiva dei movimenti. E, inevitabilmente, nella lettura degli eventi e dei mutati climi, torniamo sempre a misurarci con qualche suo insegnamento filosofico, o con qualche folgorante «citazione di fronte al nemico».

Anche ora che non potremo più ascoltarlo scherzoso e serissimo, serissimo proprio perché scherzoso, intendendoci al volo al tavolo di un bar.

Solo negli ultimi anni, lasciato l’insegnamento, Paolo aveva manifestato l’interesse a ritrovare un rapporto più diretto con la battaglia politica. Ne parlavamo spesso, ma non siamo riusciti a trovare una strada all’altezza della radicalità a cui aspirava.

Se la parola «compagno» ha un senso, non orribilmente usurpato o pigramente abitudinario, è per me quello che Paolo sapeva conferirle, un significato di amicizia e affetto, speranze ed entusiasmi condivisi, intelligenza collettiva e libertà individuale. Parola serissima e scherzosa ad un tempo con la quale ha scelto di salutarci me e Andrea Colombo ancora una volta lo scorso giovedì mattina.

Parola che non certifica certo l’appartenenza alla cosa chiamata sinistra, ma il distacco, l’esodo da una terra inaridita e ostile.

Ancora una volta un ricordo e un’ironica citazione possono venirci in soccorso. Facendo il verso agli esponenti del Psi che negli anni Sessanta amavano definirsi la sinistra non marxista, Paolo aveva coniato per sé e per il piccolo gruppo di Luogo comune la definizione di «marxisti non di sinistra». Si intendeva con questo epiteto l’impiego e il rinnovamento di uno strumentario critico non annacquato dalle culture del compromesso, né infettato da fascinazioni populiste. Un pensiero saldamente ancorato nella tradizione materialista in attesa però di essere tratta fuori dalla sua condizione di indigenza teorica. Compito per il quale Paolo aveva scelto la strada non proprio agevole della filosofia del linguaggio. Una strada che richiedeva impegno a tempo pieno.

Nondimeno, anche nei lavori più strettamente filosofici non è raro imbattersi nei suoi bersagli politici di sempre (lo stato, il popolo, il lavoro salariato) nonché nelle caustiche «citazioni di fronte al nemico».

Quanto possa mancare un affetto tanto lungo e importante, nato nelle aule di un liceo romano 56 anni fa, l’interrompersi sempre brusco anche quando non è inatteso di un rapporto di vicinanza su cui poter sempre contare, confesso di non essere in grado di scrivere. Mi affido allora a un’ultima citazione cinematografica cara a Paolo e che spesso ci siamo scambiati. Caro amico «che te lo dico a fa’?».

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