Le promesse impossibili sul gas e cosa rischiamo

ReCommon - Friday, November 7, 2025

Quando lo scorso luglio Donald Trump e Ursula von der Leyen hanno annunciato un nuovo “patto energetico” tra Stati Uniti e Unione Europea, il messaggio era semplice e politicamente potente: più gas americano in Europa e un obiettivo ambizioso di 750 miliardi di dollari di scambi energetici entro il 2028. È un numero che fa effetto, ma non corrisponde a contratti vincolanti. Di fatto è un impegno politico, non un obbligo di acquisto.

Donald Trump e Ursula Von der Leyen © European Union, 2025, CC BY 4.0, via Wikimedia Commons

Un impegno politico, però, che si scontra con la realtà: l’Europa consuma meno gas, sta costruendo troppa capacità infrastrutturale e sta introducendo regole, seppure non perfette, che rendono difficile impegnarsi a lungo su combustibili fossili. Diverse analisi dell’’Institute for Energy Economics and Financial Analysis (IEEFA), stimato think tank statunitense, confermano queste false promesse. Dopo la crisi del 2022 e la corsa a sostituire il gas russo, l’UE ha visto un calo dei consumi di circa il 20% fra il 2021 e il 2024, mentre l’import LNG, dopo il boom iniziale, nel 2024 è sceso del 19% rispetto all’anno precedente. Nel 2024, i terminal LNG europei hanno lavorato con un utilizzo medio del 42%, già in calo rispetto al 58% del 2023.

Nel frattempo, però, si è costruita capacità infrastrutturale a ritmi record. Entro il 2030 la capacità europea può superare 400 miliardi di metri cubi (bcm) l’anno, mentre la domanda prevista si attesta attorno ai 127 bcm. Questo significa che fino a metà della capacità potrebbe rimanere inutilizzata: oltre il 50% delle infrastrutture LNG dell’Unione Europea può diventare economicamente inutile entro il 2030 qualora la domanda continuasse a scendere. Come è molto probabile che accada.

L’Italia è tra i Paesi più esposti, perché sta vivendo una rapida fase di espansione delle infrastrutture GNL. Snam ha un ruolo centrale nello sviluppo e nella gestione della filiera. Sul fronte operativo, il rigassificatore di Piombino può trattare 5 bcm/anno ma nei primi nove mesi del 2024 ha rigassificato solo 2,45 bcm, circa metà della capacità. Il rigassificatore di Ravenna aggiunge altri 5 bcm l’anno: è entrato in servizio a maggio 2025, dopo l’ormeggio avvenuto il 28 febbraio, e ha ricevuto il primo cargo commerciale dagli USA l’11 giugno 2025. La capacità quindi cresce velocemente ed è destinata quasi a triplicarsi, passando da 16,1 miliardi di metri cubi nel 2022 a 47,5 miliardi previsti entro il 2026. Intanto, però, la domanda nazionale di gas continua a scendere in modo netto di anno in anno.

Qui, allora, entra in gioco il concetto di stranded assets: infrastrutture costose che non ripagano l’investimento perché sottoutilizzate, terminal che lavorano sotto la piena capacità e ricavi regolati che non sempre coprono il costo del capitale senza ricorrere a meccanismi tariffari. Nella filiera del gas, il “bene” che rischia di arenarsi non è solo l’infrastruttura. Lo sono anche i contratti di fornitura: se un’impresa ha preso impegni pluriennali su volumi che poi non riesce a collocare, può finire per pagare penali o rivendere i carichi in perdita. A livello di sistema, questo si traduce in costi finanziari e opportunità mancate che non compaiono subito nelle bollette, ma prima o poi emergono.

Quando un’infrastruttura resta mezza vuota, i costi fissi non spariscono. Nelle reti regolate tendono a essere spalmati sulle tariffe, quindi su famiglie e imprese. Se gli asset sono detenuti (direttamente o indirettamente) da soggetti a controllo pubblico, una parte del rischio grava anche sui conti dello Stato. In aggiunta, il settore bancario vede salire il rischio di credito se i flussi di cassa attesi non si materializzano. 

La promessa fatta nell’acquisto del gas statunitense rischia quindi essere molto problematica: capacità in più, domanda in meno, e un sistema che per restare in piedi spalma i costi fissi sui consumatori. Miliardi che potevano essere destinati a promuovere una transizione vera e giusta in Europa e in Italia resteranno inchiodati a infrastrutture che non rendono come promesso. Gli stranded assets non “esplodono” in un giorno: si sedimentano. E quando diventano evidenti è perché il conto è già maturato. Ecco perché aumentare ancora la capacità o blindare acquisti pluriennali rischia di trasformare gli impegni politici di oggi in un costo duraturo per domani.