Dal vampiro al freak: compendio per la notte delle streghe

Pulp Magazine - Friday, October 31, 2025


Una nuova collana si unisce alla scuderia weird di Agenzia Alcatraz, o meglio una vecchia e già ben conosciuta testata, La biblioteca di Lovecraft, sempre curata da Jacopo Corazza e Gianluca Venditti e finora distribuita da Arcoiris, si trasferisce e passa dal contesto più generalista della editrice di Salerno a quello più strettamente specialistico dell’altra milanese. Alle nuove uscite, di cui parleremo tra poco, si uniscono le ristampe dei vecchi volumi già pubblicati precedentemente che, a poco a poco, vengono riproposti in una versione aggiornata sia nella grafica che, soprattutto, nei contenuti che includono sempre testi inediti in più, in modo da giustificare il riacquisto anche da parte di chi già possedesse la passata versione Arcoiris. Sono per ora usciti il già best seller, I racconti della Bestia (trad. Luca Baldoni, pp. 170, euro 16,00), raccolta di una scelta di opere di narrativa breve del famigerato Magus britannico Aleister Crowley, di cui già ci siamo occupati, aggiungiamo quindi solo che il lettore troverà in questa nuova edizione due racconti in più rispetto all’altra. Poi il maestro del brivido Algernon Blackwood, il cui bel romanzo per young adults – più fantasy che horror – Jimbo viene anch’esso ripubblicato con l’aggiunta di un racconto breve dal titolo omonimo ma dalla trama molto diversa. Ancora un classico italiano sul vampirismo, Il vampiro. Storia vera di Franco Mistrali, edito nel 1869, che precede di ventotto anni il Dracula di Stoker, e di tre il Carmilla di Le Fanu, una primizia vampirica tutta italiana quindi, a cui sono stati aggiunti in questa nuova versione, una breve nota introduttiva di Magus (leader dei noti gruppi metal ellenici Necromantia e Yoth Iria), le illustrazioni di Michele Carnielli (cantante e chitarrista dei Kröwnn, altro gruppo metal italico) e da un estratto dal romanzo storico Balilla, ovvero la cacciata degli austriaci da Genova (1862), sempre di Mistrali, in cui si testimonia la prematura e precisa conoscenza da parte dell’autore del vampirismo nel folclore balcanico. Infine Freaks di Tod Robbins, un’antologia dei suoi racconti pulp (anche questa addizionata di due in più rispetto alla vecchia) tra cui quello da cui fu tratto il celeberrimo e “maledetto” film omonimo di Tod Browning del 1932, bandito dalla censura in molti Paesi – in Inghilterra per oltre trent’anni – per l’utilizzo di veri freaks come attori; questa edizione include, tra l’altro, le illustrazioni originali delle prime pubblicazioni, e l’introduzione di Harden Harrison (membro fondatore della thrash band texana Rigor Mortis, che a Freaks dedicò un omonimo EP), oltre che una postfazione ad opera del sottoscritto.

Fra le nuove uscite invece Il lupo mannaro di Clemence Housman (trad. Gabriele Scalessa, pp.150, euro 16,00), originale presentazione del mito licantropico in chiave femminile, lontano dagli stereotipi cinematografici sui lupi mannari (lune piene e pallottole d’argento…) e con profonda attenzione invece per il folclore, il sottotesto femminista e i richiami biblici che producono un unicum assoluto e irripetibile come ben evidenzia la postfazione di Vera Gheno. Poi ancora Algernon Blackwood con un altro dei suoi romanzi, meno conosciuti e citati dei suoi impareggiabili racconti brevi, La promessa dell’aria (trad. Lucio Besana, pp. 340, euro 19,00), un testo complesso e di non immediata fruizione – ben poca suspense e meno ancora horror – ma ricco di spunti filosofici e di prospettive metafisiche, sorta di romanzo di formazione al contrario che narra il progressivo ritorno di un uomo ormai maturo, dal materialismo della vita adulta alla spiritualità appassionata e spontanea della giovinezza.

Infine, forse il volume più appetibile e corposo di tutti, Jumbee: zombie e altri orrori del Voodoo (trad. Francesco Vitellini, Marta Suardi, Gianluca Venditti, pp. 560, euro 25,00), di Henry S. Whitehead – il quarto moschettiere di Weird Tales, lo storico pulp dedicato all’horror, dopo H.P. Lovecraft (di cui fu intimo amico), Robert E. Howard e Clark Ashton Smith – un insolito reverendo della chiesa episcopale in missione nelle isole Vergini dei Caraibi dove si dedicò a studiare il folclore locale e le pratiche voodoo facendone l’oggetto della maggior parte della sua narrativa, raccolta dopo la sua morte in due antologie di cui questa Jumbee è la prima, per la prima volta tradotta integralmente in italiano (la seconda, l’ancor più monumentale West India Lights, sarà pubblicata prossimamente nella collana, forse in due volumi…).  Whitehead e il suo protagonista seriale (e in parte alter ego) Gerald Canevin, sorta di investigatore dell’occulto per diletto e affinità elettiva con il bizzarro ed il sovrannaturale, tracciano un originale e assai interessante percorso nella narrativa di genere dell’epoca, sia nella rappresentazione realistica del mondo coloniale e della négritude, sia nell’utilizzo degli spunti fantastici ed orrorifici, arrivando addirittura ad anticipare, nei racconti più riusciti (e più raccapriccianti) il body horror tanto caro al cinema di Cronenberg: mi riferisco in particolare alle mie due storie preferite dell’antologia, Cassius e Tramonto di un dio.

Anche se non appartiene alla collana La biblioteca di Lovecraft ma a Bizarre Off, sempre di Agenzia Alcatraz, colgo l’occasione per ricordare anche un’altra delle ultime e più accattivanti uscite, Ritual (trad. Stefania Renzetti, pp. 288, euro 17,00) di David Pinner, romanzo britannico pubblicato nel 1967 ispirando uno dei più importanti film dell’epoca, The Wicker Man, diretto nel 1973 da Robin Hardy e sceneggiato da Anthony Shaffer, e capostipite del sottogenere tutt’ora fondamentale del folk horror. La storia di David Hanlin, ispettore di polizia di Scotland Yard, inviato in uno sperduto villaggio in Cornovaglia per investigare sulla morte di una ragazzina ritrovata cadavere accanto a una testa di scimmia inchiodata a un albero in maniera bizzarra, come a suggerire l’arcaico rituale di un entroterra rurale pagano dove le regole dell’esistenza quotidiana si piegano ad antichi riti religiosi celati da una coltre di inganno ed omertà. Il film cambia molto della trama del romanzo e anche il protagonista – in questo caso il sergente di polizia Neil Howie, che arriva sull’isola remota di Summerisle per indagare sulla scomparsa, non la morte, di una ragazza – è decisamente diverso. Chi, come me, è molto affezionato al film resta abbastanza spiazzato da queste differenze, dalla ben distinta atmosfera e dal finale cupo ma assai più ambiguo del libro, senza sacrificio umano e senza “uomo di vimini”: per sintetizzare il film è iconico, iconograficamente e simbolicamente troppo meglio documentato, il romanzo risulta invece suggestivo quanto alle psicologie dei personaggi (la dicotomia poliziotto/comunità, manipolato/manipolatore) ma non così eclatante quanto a simbologia e raffigurazione idolatrica neopagana. Resta comunque una lettura seminale e necessaria per comprendere le radici del folk horror.

 

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