
Colombia: Città in disputa: dal saccheggio neoliberale alla pianificazione ribelle
Comitato Carlos Fonseca - Thursday, October 30, 2025L’America Latina affronta una profonda crisi urbana segnata dal saccheggio, dalla disuguaglianza e dalla speculazione. In Colombia, le comunità si organizzano e propongono una pianificazione ribelle che metta la vita, la partecipazione e la dignità al centro del modello di città.
Le città latinoamericane affrontano una crisi strutturale causata dal modello urbano neoliberale, che dà la priorità all’accumulazione di capitale sulla vita, sulla giustizia sociale e sul diritto alla città. Questo paradigma ha svuotato l’urbanesimo della sua funzione sociale, trasformandolo in un meccanismo di riproduzione di disuguaglianze ed esclusione.
In Colombia, la crisi si esprime con chiarezza nella privatizzazione dello spazio pubblico, nella speculazione immobiliare, nell’esclusione comunitaria nella pianificazione territoriale e in un deficit abitativo che continua a crescere. Queste dinamiche hanno configurato città frammentate, dove la pianificazione si subordina al mercato e alla redditività. Di fronte a questo, urge aprire spazi di dibatto, indagini e azioni collettive che analizzino le cause strutturali di questa crisi, le sue espressioni territoriali -a Medellín, Bogotá, Cali o Bucaramanga- e le risposte organizzative che, dal basso, promuovono un nuovo paradigma: la “pianificazione ribelle”, che mette al centro la vita, la partecipazione e la dignità.
La città come campo discussione
In America Latina, la città incarna le tensioni tra il capitale e la vita. Le urbi condensano ricchezza e miseria, modernità e informalità, accumulazione e saccheggio. Come avverte David Harvey (2012), l’urbanesimo neoliberale ha convertito la città nello scenario di una “accumulazione per privazione”, dove il suolo e l’abitazione si trasformano in mercanzie e le comunità sono allontanate con discorsi di progresso e competitività.
In Colombia, le politiche urbane subordinate al capitale immobiliare hanno fatto dell’abitazione un bene d’investimento e non un diritto. I Piani di Ordinamento Territoriale (POT), lontano dal democratizzare l’accesso al suolo, hanno consolidato processi di gentrificazione, privatizzazione ed emarginazione delle economie popolari. Città come Medellín, Bogotá e Cartagena mostrano come i progetti di “rinnovamento urbano” e di “modernizzazione” producano allontanamento e perdita di radicamento comunitario con la retorica dell’ “urbanesimo sociale”.
Il modello urbano colombiano, competitivo ed estrattivista, intende la città come un attivo finanziario. Secondo il DANE (2023), più del 36% delle famiglie presenta un qualche tipo di deficit abitativo, riflettendo la profonda frattura nell’accesso a condizioni di vita degna. A questo si aggiunge una precarietà lavorativa del 33% a Bogotá -più di 1,3 milioni di persone- che sopravvivono senza diritti né stabilità (Segreteria Distrettuale della Pianificazione, 2023). Mentre i settori con alte entrate concentrano investimenti e servizi, le periferie urbane accumulano povertà, insicurezza e abbandono statale.
La Metro della 80 a Medellín esemplifica questa contraddizione, un progetto presentato come “mobilità sostenibile” che ha implicato lo sgombero di più di 5.000 famiglie, molte senza un giusto indennizzo né alternative di reinsediamento. A Cartagena, la gentrificazione del quartiere Getsemaní ha mercificato il suo patrimonio culturale, sfollando storiche comunità e convertendo la vita di quartiere in uno spettacolo turistico.
Come dice Raúl Zibechi (2015), il territorio urbano latinoamericano è oggi un campo di disputa tra il capitale transnazionale e le comunità che resistono con l’autogestione, la solidarietà e l’azione collettiva.
Pianificazione e partecipazione: la crisi dell’ordinamento territoriale
La pianificazione territoriale in Colombia attraversa una profonda crisi di legittimità e giustizia. I POT, concepiti per ordinare il territorio, sono stati cooptati da approcci tecnocratici centrati sulla valorizzazione del suolo urbano. Anche se la partecipazione cittadina è formalmente riconosciuta, in pratica è meramente consultiva e senza reale incidenza.
Questa esclusione riproduce disuguaglianze storiche, i progetti di abitazioni di interesse prioritario sono ubicati nelle periferie senza dotazioni né servizi basici, perpetuando la segregazione. La flessibilizzazione normativa favorisce i grandi costruttori, consolidando una pianificazione che privilegia la redditività sull’abitabilità. Come ha dichiarato Esteban Romero, dirigente dell’Assemblea Urbana Nazionale e Popolare (CUNAP), in un’intervista con Kavilando (2025), il deficit abitativo totale ascende a 5,24 milioni di abitazioni, delle quali il 24,1% è quantitativo (mancanza di nuove abitazioni) e il 75,9% qualitativo (abitazioni in cattivo stato).
La crisi climatica aggrava lo scenario: migliaia di famiglie abitano in zone ad alto rischio senza politiche di adeguamento né infrastrutture resilienti. La pianificazione territoriale continua a ignorare approcci ambientali e di giustizia climatica, nonostante che i disastri colpiscano in modo sproporzionato le popolazioni impoverite, donne e comunità etniche.
La disuguaglianza urbana ha anche un aspetto lavorativo, il 43% dei lavoratori urbani vive nella informalità (Portafolio, 2022). Come analizza Juliana Ramírez, di Cittadinanze per la Pace (Revista Raya, 2025), dietro a questa cifra c’è indebitamento, persecuzione e controllo dell’economia popolare da parte di strutture criminali e paramilitari. Mentre le élite concentrano la rendita, le maggioranze sopravvivono con il lavoretto -vendita ambulante, riciclaggio, lavoro sessuale o piattaforme digitali-, ricostruendo con la solidarietà un orizzonte di città alternativa.
La violenza urbana aggrava la crisi, più di 21 reti paramilitari operano in sei regioni del paese, controllando territori, economie e popolazioni mediante estorsione, frontiere invisibili e sfollamenti interurbani.
Con le parole dei partecipanti all’Assemblea Urbana Nazionale e Popolare (Bogotá, 2025): “La città colombiana non è pensata per la vita, ma per la speculazione”.
La sfida, allora, è invertire questa logica e costruire un ordinamento territoriale popolare, che riconosca le comunità come soggetti politici, garantisca il diritto alla città e un habitat degno, e promuova una pianificazione ribelle capace di disputare il senso medesimo di ciò che è urbano, superando la “pianificazione strategica” neoliberale.
Resistenze urbane e l’emergenza di una pianificazione ribelle
Di fronte all’approfondimento della crisi urbana in Colombia e in America Latina -segnata dal saccheggio territoriale, dalla speculazione immobiliare e dall’esclusione sociale-, le comunità hanno articolato risposte collettive che sfidano l’egemonia dell’urbanesimo neoliberale.
L’Assemblea Urbana Popolare Nazionale (CUNAP 2025), realizzata a Bogotá a settembre 2025 dopo un processo preparatorio in più di quindici città, si è consolidata come uno spazio storico di convergenza tra movimenti sociali, organizzazioni di quartiere, sindacati, collettivi giovanili e settori accademici critici. Questo processo, concepito come un grande dialogo nazionale che parte dai territori, ha avuto come scopo quello di costruire un’agenda di esigibilità e trasformazione urbana dalle basi, riconfigurando le nozioni di città, cittadinanza e giustizia sociale.
Più di 2.000 rappresentanti di distinti territori hanno partecipato alla CUNAP, promuovendo una pianificazione ribelle, una pianificazione dal basso, partecipativa e vincolante, centrata sulla produzione sociale dell’habitat e la difesa dei beni comuni.
Il concetto di “pianificazione ribelle” sorge come una risposta critica all’urbanesimo tecnocratico ed escludente, ispirata alle esperienze di resistenza del Sud Globale, specialmente dell’America Latina. Secondo il Miraftab (2009), questa prospettiva promuove forme di pianificazione alternative, partecipative ed emancipatorie che sfidano il potere egemonico, rafforzano l’autogestione comunitaria e costruiscono città a partire dall’azione collettiva.
Tra le proposte discusse nell’Assemblea risaltano la creazione di osservatori comunitari di abitazione ed habitat, l’articolazione di reti pubblico-popolari di gestione territoriale e la richiesta di riforme normative che fermino la speculazione immobiliare e garantiscano la funzione sociale del suolo. Queste iniziative, che riconoscono la crisi climatica e abitativa, cercano di ricostruire un modello urbano che si sostenga sulla vita degna, il diritto alla casa e la giustizia ambientale, in contrapposizione alla città-merce imposta dal modello neolilberale.
Il Miraftab (2009), modo di intendere la pianificazione, deve essere la base di una Riforma Urbana e Rurale Integrale, orientata a redistribuire il territorio e garantire effettivamente il diritto alla città.
Verso una città di vita e dignità
Di fronte alla cattura neoliberale del territorio, le resistenze popolari e comunitarie aprono orizzonti di trasformazione. Le comunità organizzate dimostrano che la città può essere riimmaginata come territorio di vita, memoria e dignità, sempre che si democratizzi la pianificazione, si garantisca la partecipazione vincolante e si rafforzino i processi di autogestione ed autonomia a partire dai quartieri e dalle periferie.
Come sostengono Henri Lefebvre (1968) e David Harvey (2012), il diritto alla città non si limita allo spazio urbano, ma implica il diritto collettivo a trasformare la vita urbana e a ridefinire le sue priorità in funzione del bene comune, non del profitto. Questo principio, risignificato dalle lotte contemporanee, ispira la scommessa dell’Assemblea Urbana Popolare 2025, che si erge come un progetto costituente per un modello urbano emancipatorio, fondato sulla giustizia sociale, l’equità territoriale e la sostenibilità ambientale.
Costruire la città del futuro esige rompere con la logica dell’accumulazione, disputare il senso medesimo di quanto è urbano e recuperare l’orizzonte del comune.
Come hanno proclamato i movimenti durante l’Assemblea, nel canto che è diventato l’inno dell’incontro, la città non può continuare ad essere “per il padrone né per il banchiere speculatore”; deve essere, in cambio, per la vita degna e la speranza di coloro che la abitano e la costruiscono ogni giorno.
*Docente ricercatore della Universidad de San Buenaventura Medellín, cattedratico occasionale di Dottorato in Scienza Tecnologia, Società e Innovazione (ITM). Membro di REDIPAZ e del Gruppo Autonomo Kavilando.
Riferimenti:
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15 ottobre 2025
Desinformémonos
Traduzione del Comitato Carlos Fonseca: Alfonso Insuasty Rodríguez, “Ciudades en disputa: del despojo neoliberal a la planeación insurgente”, pubblicato il 15-10-2025 in Desinformémonos, su [https://desinformemonos.org/ciudades-en-disputa-del-despojo-neoliberal-a-la-planeacion-insurgente/] ultimo accesso 30-10-2025.