La Francia in sciopero contro l’austerità

Popoff Quotidiano - Friday, September 19, 2025

Oltre 500mila in piazza: la giornata del 18 settembre non ha avuto l’affluenza sperata. Ma la rabbia è unanime contro Macron e Lecornu

Dalla mattina alla sera, ai quattro angoli della Francia, le stesse parole, la stessa rabbia.

Nella giornata di sciopero del 18 settembre, chiamata dall’Intersindacale, sono state censite quasi 600 azioni e manifestazioni. «Stop all’austerità, unitз per una giustizia sociale, fiscale e ambientale», proclamava lo striscione di apertura del corteo parigino, partito da place de la Bastille, a Parigi, verso le 14. Uno slogan generico, certo, ma che riassume lo stato d’animo di tuttз i/le manifestanti.

L’obiettivo è quello di pesare contro il «museo degli orrori» delle misure di austerità presentate quest’estate da François Bayrou, e che Sébastien Lecornu, nuovo primo ministro, non ha ancora del tutto escluso dal bilancio che presenterà nelle prossime settimane.

«Oggi lanciamo un avvertimento molto chiaro al governo e al primo ministro Sébastien Lecornu, che ci dice di essere aperto al dialogo», ha dichiarato la segretaria generale della CFDT, Marylise Léon. «È ora che il governo ci dica: “OK, abbiamo capito il messaggio, prenderemo decisioni di conseguenza”», ha insistito.

Sophie Binet, segretaria generale della CGT, si è invece lanciata in un elenco eloquente: «Vogliamo sapere se il raddoppio dei ticket sanitari sarà accantonato. Vogliamo sapere se la riforma dell’assicurazione-disoccupazione sarà accantonata. Se il taglio delle pensioni e delle prestazioni sociali sarà accantonato. Vogliamo sapere se la soppressione di posti nella funzione pubblica sarà accantonata».

Queste domande hanno animato i numerosi cortei, partecipatissimi. Secondo il ministero dell’interno, hanno sfilato oltre 506.000 persone, di cui 55.000 a Parigi. La CGT, dal canto suo, ne ha contati «più di un milione».

Mediapart, nel sommario di uno dei suoi pezzi di giornata, spiega che «con circa 500.000 partecipanti, la giornata del 18 settembre non ha avuto l’affluenza sperata. Ma in tutta la Francia, e in tutte le fasce d’età, la rabbia è unanime contro le scelte dell’esecutivo».

Liberation titola così: “La piazza interpella Lecornu. La massiccia partecipazione allo sciopero di giovedì dimostra la forza organizzativa dei sindacati. Sul piano politico, il Partito socialista spera di aumentare la pressione sul governo, mentre La France insoumise punta apertamente alle dimissioni di Emmanuel Macron”.

La partecipazione è comunque paragonabile a quella dei grandi giorni di protesta contro la riforma delle pensioni del 2023. Lo dice anche l’Humanité, organo del PCF, che nel titolo richiama il milione annunciato dalla CGT e definisce «pacifica e gioiosa» la marea umana che ha manifestato con buona pace del tandem securitario Retailleau-Darmanin del governo dimissionario che aveva paventato un’invasione barbarica per scoraggiare le manifestazioni.

Nei servizi pubblici, gli scioperi sono stati all’altezza della mobilitazione. Alle 14, il 10,9% del personale della funzione pubblica statale era in sciopero, soprattutto nell’istruzione – secondo il Snes-FSU, principale sindacato delle scuole secondarie, il 45% dei docenti era in sciopero nei collegi e nei licei, mentre la FSU-SNUipp, principale sindacato della primaria, aveva annunciato la vigilia che un terzo degli insegnanti del primo ciclo sarebbe stato assente.

E se i TGV hanno circolato quasi normalmente, non sono mancate le perturbazioni sulla rete Intercités. Quanto alla metropolitana parigina, hanno funzionato tutto il giorno solo le linee automatiche (1, 4 e 14). Le altre hanno garantito il servizio solo nelle ore di punta.

Anche EDF ha annunciato una riduzione di carico nelle sue centrali pari all’equivalente di quattro reattori nucleari (la Francia ne conta 57). Il settore delle industrie elettriche e del gas è mobilitato, su appello della CGT, dal 2 settembre, per chiedere aumenti salariali e una riduzione della fiscalità sull’energia per i/le consumatori/trici. Per questa giornata, la CGT rivendica «più di un lavoratore su tre in sciopero».

La giornata è stata scandita soprattutto da cortei tradizionali, ma come già il 10 settembre, numerosi blocchi sono stati organizzati fin dall’alba, e regolarmente sgomberati senza riguardi dalle forze dell’ordine. Olivier Besancenot, popolare portavoce del NPA-Anticapitaliste viene intervistato da Basta!, un media indipendente: «Sarà duratura questa auto-organizzazione? Impossibile dirlo. Ma si nota che qualcosa sta accadendo, soprattutto tra gli ospedalieri e in alcune regioni», dice osservando che dopo un lungo declino sta riprendendo piede lo strumento delle Assemblee generali.

Blocchi sgomberati senza riguardi

«Un livello di repressione simile non l’ho mai visto», racconta Julien, membro del collettivo L’Offensive, al sito Mediapart, poco dopo essere stato allontanato dal deposito di bus Ilevia a Villeneuve-d’Ascq (Nord), che bloccava con una manciata di compagni. «Durante il movimento contro la riforma delle pensioni, avevamo bloccato per un’ora e mezza davanti al consiglio regionale. Il mantenimento dell’ordine era sul modello tradizionale. Stavolta arrivano, ti sgomberano con intimazioni e lacrimogeni».

Le azioni sono state «meno intense del previsto», ha stimato a metà giornata il ministro dimissionario dell’interno Bruno Retailleau. Ciò non ha però impedito alcuni colpi di scena, come l’ingresso spettacolare di un centinaio di sindacalisti di Sud Rail nel cortile del ministero dell’economia, nel XII arrondissement di Parigi, arrivati in corteo dalla vicina Gare de Lyon, con fumogeni in mano.

A Marsiglia, la circolazione nel tunnel Saint-Charles è stata bloccata per diversi minuti. Operazioni “a lumaca” hanno avuto luogo su diverse arterie del Paese, ad esempio intorno a Lille e ad Arras, nel Var sull’A57, all’ingresso di Nantes o nei pressi di Poitiers, Limoges e Chambéry.

Secondo il ministero dell’educazione nazionale, sono stati effettuati anche settantacinque blocchi totali o parziali di licei. Al liceo Pasteur di Lille, gli studenti si sono organizzati con successo, così come al liceo Ravel, nel XX arrondissement di Parigi, dove 300 persone hanno impedito l’accesso ai cancelli.

La questione dei blocchi è oggetto di riflessione. Simon Duteil, sindacalista, ex portavoce di Solidaires, dice che «La buona notizia è che il 10 settembre ha diffuso largamente l’idea che per cambiare le cose bisogna riuscire a bloccare l’economia. I sindacalisti di lotta e trasformazione sociale lo sostengono da tempo. La questione da discutere con quante più persone possibile è: “Come ci si riesce?”. A volte c’è una forma di pensiero magico – diffuso anche da correnti politiche – che implica che basta bloccare un luogo per vincere. In passato è successo attorno alle raffinerie. Io penso profondamente che il blocco dell’economia si ottiene prima di tutto con lo sciopero. È perché le persone smettono di lavorare che si crea il blocco e si libera tempo per il movimento. Certo, possono esserci blocchi puntuali, ma non si costruisce dall’esterno. Non paralizzi il porto perché pochi lo bloccano, lo paralizzi perché i lavoratori portuali smettono di lavorare”.

La partecipazione dei giovani a tutte le forme di mobilitazione della giornata è stata un tratto comune in tutto il Paese. Altro punto comune, l’onnipresenza della tassa Zucman, nuovo totem della sinistra che punta a tassare gli ultraricchi al 2% del loro patrimonio. Attac riscuote un certo successo con i manifesti che ritraggono Bernard Arnault in una mise da aerobica anni Ottanta, invitandolo al «fiscal fitness». Durante un’azione davanti al ministero della cultura, anche i circa 70 artisti riuniti su iniziativa del Sindacato nazionale degli artisti plasticien·nes (Snap CGT) non hanno mancato di intonare «Tassate i ricchi!». Ovviamente i ricchi e i loro partiti sono scandalizzati dalla proposta. «C’è qualcosa di indecente nel dibattito pubblico che si scandalizza per una pseudo-stigmatizzazione dei più ricchi – dice Marylise Léon, segretaria generale della CFDT a L’Humanite – loro sono solo 2.000, mentre si parla di 10 milioni di persone in povertà».

Servizi pubblici allo sbando

In tutta la Francia, forse sono proprio i lavoratori della sanità a esprimere precisamente la precarietà che si è radicata nel Paese, a tutti i livelli. «Ci chiedono di rinunciare ai nostri giorni di riposo, avvertendoci che non siamo nemmeno sicuri di essere pagati, per mancanza di budget», racconta un’infermiera al CHU di Grenoble. «Si continuano a chiudere posti letto, a tagliare posti di lavoro, e ci dicono che bisogna ancora fare economie perché siamo in deficit. Ma siamo in deficit per colpa di chi?», domanda una collega, e segretaria CGT dell’ospedale Saint-Antoine di Parigi.

La palla passa all’Intersindacale

Ora si pone la questione della prosecuzione del movimento. Anche in Francia si evoca la convergenza delle lotte. Un operatore sociale di Montpellier spiega: «Noi l’abbiamo fatto, andando a sostenere i ferrovieri. E oggi sono loro a raggiungerci. Bisognerebbe che la settimana prossima facessimo lo stesso con l’Educazione nazionale. E tutto questo andrebbe fatto a livello nazionale! Ci sono tante cose da immaginare, ma per farlo bisogna strutturare e coordinare il movimento». Un suo collega, sentito sempre da Mediapart, concorda: «Si può provare un senso di disperazione quando si resta isolati, ognuno per sé». Entrambi lavorano nel sociale da vent’anni, iscritti a Sud Santé e non hanno mai visto piovere così tanti preavvisi di sciopero nel settore: «Prima, era un preavviso ogni dieci anni. Adesso, è ogni due o tre mesi! Oggi interi servizi decidono di discutere delle proprie condizioni di lavoro. È completamente nuovo. Il periodo è ultracritico, una rabbia si sta costruendo».

Queste parole riecheggiano il contesto nazionale. Le manifestazioni gigantesche contro la riforma delle pensioni, poi la dissoluzione e la mobilitazione elettorale contro l’estrema destra, danno a molti l’impressione di combattere invano, contro un potere totalmente sordo. «È chiaro che ci calpestano da tempo – commenta ancora Antoine, di Sud Santé – ma questo mi convince che siamo al posto giusto, in questa opposizione alle nostre lotte», conclude, invocando «auto-organizzazione e autodeterminazione della base». Ma è «l’intersindacale che può premere il bottone, è lei che mette 800.000 persone in piazza». E l’Intersindacale si riunirà il 19 settembre. Olivier Besancenot ricorda le sconfitte – gilet gialli, pensioni ecc… – «quando parti con alle spalle fallimenti globali, cerchi altre strategie, talvolta con un’illusione che occorra rinunciare allo sciopero o all’organizzazione a lungo termine. Ma ci sono anche movimenti sociali che cercano legittimamente come avere peso, un auto-apprendimento importante. Il movimento eredita qualcosa di profondo: la diminuzione dal 1970 del numero di giornate di sciopero, perché il lavoro salariato non è più lo stesso, i contratti sono cambiati e il movimento operaio si è disgregato. Non c’è soluzione miracolosa. Probabilmente ci saranno combinazioni di diverse modalità d’azione, anche alcune che non immaginiamo ancora».

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