Mercato e manganello, così Macron liquida la libertà associativa

Popoff Quotidiano - Thursday, September 18, 2025

Sociologi e attivisti dell’Osservatorio delle libertà associative analizzano l’ondata di repressione che sta colpendo la società civile (Jérôme Hourdeaux)

L’Osservatorio L’Osservatorio delle libertà associative è stato creato nel 2019 per documentare le pressioni e gli ostacoli che già all’epoca subiva un numero crescente di associazioni. Da allora, la situazione è costantemente peggiorata e si è instaurato un clima di sfiducia tra i poteri pubblici e il settore associativo, in particolare sulla questione delle libertà pubbliche.

La legge del 24 agosto 2021 che rafforza il rispetto dei principi della Repubblica, nota come legge sul separatismo, ha rappresentato una svolta in quello che molte associazioni vivono come un allineamento politico. Questo testo ha in particolare istituito un contratto di impegno repubblicano (CER), che le associazioni devono firmare e rispettare, pena la perdita dei loro sussidi.

Una lotta contro il “separatismo” che ha preso di mira le associazioni musulmane, quelle che lottano contro l’islamofobia, gli ecologisti, i gruppi di estrema sinistra e di estrema destra. Un campo di applicazione molto più ampio della lotta contro il separatismo islamista, obiettivo iniziale del testo.

Nel loro libro L’État contre les associations. Anatomie d’un tournant autoritaire (Lo Stato contro le associazioni. Anatomia di una svolta autoritaria) (Textuel, 17 settembre 2025), due dei promotori dell’Osservatorio delle libertà associative, i sociologi Antonio Delfini e Julien Talpin, riflettono sulla volontà dello Stato di controllare il settore associativo e propongono alcune piste per difenderlo, o addirittura organizzare una risposta.

Mediapart ha intervistato Antonio Delfini, ricercatore presso l’Osservatorio delle libertà associative, ricercatore associato al Centro di studi e ricerche amministrative, politiche e sociali (Ceraps) dell’Università di Lille e dipendente della Coordinazione Pas sans nous.

Mediapart: Prima di parlare della legge sul separatismo, lei spiega che essa si inserisce in un continuum repressivo più globale, in un contesto di restringimento dello spazio pubblico. Può descrivere in dettaglio questa evoluzione e le diverse forme di pressione, ostacoli e repressioni che possono colpire le associazioni?

Antonio Delfini: L’Osservatorio delle libertà associative è stato creato in un periodo in cui diversi casi che opponevano associazioni allo Stato o agli enti territoriali avevano agitato l’attualità: il taglio dei sussidi all’associazione Genepi da parte del Ministero della Giustizia, l’accanimento giudiziario contro il collettivo Justice pour Adama, o i mezzi colossali messi in atto contro gli attivisti di Bure accusati di associazione a delinquere…

Il primo rapporto dell’Osservatorio, pubblicato nell’ottobre 2020, presentava cento casi di associazioni ostacolate, dimostrando che il fenomeno riguarda tutti i settori associativi, dal sociale allo sport, a tutti i livelli, dallo Stato ai comuni, e tutti gli eletti, sia di destra che di sinistra – anche se l’estrema destra è in prima linea in questa repressione.

Il rapporto proponeva una prima tipologia degli attacchi contro le associazioni: tagli ai sussidi, ma anche interdizione e messa al bando di alcuni attivisti, ricorsi abusivi in tribunale come cause per diffamazione o multe ripetute e, infine, ostacoli fisici e polizieschi.

Questi attacchi devono essere interpretati nel contesto più ampio della contrazione dello spazio civico, conseguenza dell’avvento di un neoliberismo autoritario. In un contesto di crisi politica istituzionale e di incessanti attacchi contro le minoranze, la repressione dei contro-poteri mediatici, giuridici, sindacali e associativi è sintomo di un momento storico che alcuni non esitano più a definire «pre-fascista».

In questo contesto, le associazioni sono prese tra due fuochi. Da un lato, vengono privatizzate, mercificate, messe in concorrenza tra loro tramite bandi di gara. Dall’altro, vengono represse, si cerca di zittirle. Il mercato e il manganello. Una frase che a volte si sente sul campo riassume questa filosofia: «Non si morde la mano che ti nutre».

C’è quindi una sorta di estensione alle associazioni dei doveri di riservatezza e neutralità politica richiesti agli organi dello Stato. Non possono più svolgere il loro ruolo di contro-potere, di stimolo democratico, di denuncia. Possiamo riassumerlo con la formula: «Difficile d’être contestataire quand on est prestataire», è difficile essere contestatori quando si è fornitori.

In che modo la legge sul separatismo ha rappresentato una svolta per le libertà associative?

Questo testo ha la particolarità di riguardare una serie di settori che a priori sono piuttosto lontani dal campo di applicazione abituale dell’antiterrorismo: l’istruzione, lo sport e quindi il mondo associativo.

Questa estensione dell’antiterrorismo al mondo associativo è giustificata da una tesi ampiamente condivisa all’interno dello Stato che identifica un continuum tra, da un lato, azioni legali, come il velo o la difesa dei diritti dei musulmani, e, dall’altro, azioni riprovevoli come il proselitismo abusivo o il terrorismo.

Secondo questo approccio, il passaggio all’atto violento è favorito da un terreno associativo che è quindi opportuno indebolire (tramite il contratto di impegno repubblicano) o far scomparire (tramite misure di scioglimento amministrativo).

Il problema è che gli obiettivi di questa legge sono vaghi: il lavoro parlamentare è stato avviato senza alcuna quantificazione precisa delle associazioni interessate. E, durante tutte le discussioni, le qualificazioni sono rimaste vaghe: i parlamentari hanno preso di mira a turno associazioni “separatiste”, ‘islamiste’, “comunitariste” senza che si capisse bene cosa questi aggettivi significassero precisamente per loro…

Cosa è cambiato in questo testo riguardo allo scioglimento delle associazioni?

Estende i motivi di scioglimento amministrativo, una decisione presa su proposta del ministro dell’Interno in Consiglio dei ministri. Prima del 2021, la legislazione consentiva lo scioglimento delle associazioni che «incitavano a manifestazioni armate nelle strade». Da allora, essa riguarda anche le associazioni che incitano a «atti violenti contro persone o beni».

Questa modifica comporta diverse implicazioni importanti. Qualificando i danni alla proprietà come “violenza” e non più come ‘degradazione’, come nel caso del codice penale, questa misura ridefinisce il perimetro della violenza. Ma è anche l’estensione del concetto di “provocazione” che deve essere messa in discussione. Non si tratta più di sanzionare atti, ma intenzioni, discorsi, idee.

Ancor prima della legge sul separatismo, dall’inizio del quinquennio di Emmanuel Macron si è assistito a un forte aumento delle misure di scioglimento. Quarantaquattro associazioni sciolte tra il 30 marzo 2019 e il 12 giugno 2025: quasi il 25% delle misure adottate dalla creazione del dispositivo nel 1936.

Al di là del numero, è la frequenza che riflette il cambiamento di status di questo dispositivo: mentre in passato gli scioglimenti erano concentrati in brevi ondate in momenti cruciali della storia (la Liberazione, la decolonizzazione, il Maggio ’68, gli attentati terroristici, ecc.), oggi la procedura è diventata uno strumento di regolamentazione ordinario. Da misura eccezionale, è diventata una pratica di routine dello Stato.

Lei sostiene che ci si debba opporre a tutti i provvedimenti di scioglimento, anche quelli che riguardano le associazioni di estrema destra. Perché?

Innanzitutto perché lo scioglimento è uno strumento di polizia amministrativa che prescinde dai principi della procedura giudiziaria (contraddittorietà, presunzione di innocenza, proporzionalità della pena, ecc. Se le associazioni hanno commesso atti riprovevoli, i tribunali sono lì per accertarli e sanzionarli, se del caso. Tanto più che esiste una procedura di scioglimento giudiziario che non viene quasi mai utilizzata.

Gran parte dei recenti scioglimenti o tagli di sovvenzioni sono stati giustificati sulla base di azioni o dichiarazioni che, o non sono mai state pronunciate o commesse, o sono in realtà del tutto legali. Una semplice istruttoria giudiziaria potrebbe dimostrare il carattere abusivo e arbitrario della sanzione.

Ma è anche la lunga storia a dimostrarci che l’introduzione di strumenti repressivi, anche se concepiti con le migliori intenzioni, si ritorce sempre contro il campo dell’emancipazione. È il caso della misura di scioglimento stessa, creata inizialmente per combattere le leghe fasciste negli anni ’30, che molto rapidamente si è rivoltata contro i movimenti decoloniali, la sinistra extraparlamentare, ecc.

Infine, insieme ad altri ricercatori e ricercatrici, abbiamo condotto uno studio sulle conseguenze degli scioglimenti per le associazioni interessate. Risulta che lo scioglimento sia meno costoso per le associazioni di estrema destra – che comunque operano ai margini della legalità – rispetto alle associazioni antirazziste, ad esempio, che utilizzano il diritto per difendere cause e minoranze.

Le prime riescono a ricostituirsi clandestinamente, mentre le seconde subiscono un impatto più duro. È per questi motivi che l’estrema destra deve essere combattuta alle urne, nei tribunali, nelle strade, ma non in Consiglio dei ministri.

E cosa è cambiato con il contratto di impegno repubblicano?

Si tratta di uno strumento intermedio rispetto allo scioglimento. Non si tratta di far scomparire, ma di indebolire in modo duraturo un’associazione privandola dei sussidi. Queste due misure sono state comunque concepite come complementari.

Se l’introduzione del CER ha suscitato importanti critiche da parte del mondo associativo, la sua applicazione è più sfumata. Ad oggi, il dispositivo è stato mobilitato esplicitamente solo in cinque casi, spesso contro associazioni locali. In due casi, il Planning familial 71 e Alternatiba Poitiers, le associazioni hanno vinto la causa. La compagnia teatrale Arlette Moreau è oggi davanti al tribunale amministrativo di Bordeaux e diverse associazioni hanno procedimenti in corso.

In sintesi, il dispositivo è molto poco utilizzato dalle istituzioni perché sistematicamente contestato davanti ai tribunali. E, al momento, sistematicamente bocciato. Ma il CER svolge un ruolo indiretto ben sintetizzato da Sonia Backès – allora segretaria di Stato alla cittadinanza – in una valutazione intermedia del dispositivo un anno dopo la sua applicazione: si trattava di «disinibire l’amministrazione» facendo saltare un «blocco psicologico».

Quali soluzioni esistono per ridare spazio al mondo associativo? Lei ne difende la politicizzazione. Può spiegarsi meglio?

Le associazioni sono presenti ovunque nella vita quotidiana: sanità, sport, alloggio, lavoro, ecologia, istruzione, ecc. Svolgono un ruolo fondamentale nell’attuazione concreta delle politiche pubbliche, nell’accompagnamento dei più svantaggiati, nell’istruzione popolare. Ma le associazioni non sono riconosciute per il giusto valore del ruolo politico che svolgono: quello di un contro-potere necessario al funzionamento della democrazia, che mira a colmare il vuoto lasciato dal crollo dei partiti, a far emergere gli interessi e le cause dei gruppi emarginati nel dibattito pubblico.

Non mancano esempi di iniziative associative che hanno portato a grandi progressi: basti pensare ad Act Up sulla salute, agli Enfants de Don Quichotte sull’alloggio, ecc. Ma, lungi dall’essere riconosciute, queste mobilitazioni potrebbero oggi essere sanzionate con il CER.

È necessario difendersi in tribunale e sui media. È per questo che abbiamo messo in atto, sulla scia dell’Osservatorio delle libertà associative, , un sistema di difesa delle associazioni per fornire loro gli strumenti necessari quando vengono attaccate per una presa di posizione o un’azione che hanno intrapreso.

Ma è anche necessario reagire sviluppando la solidarietà tra associazioni su base territoriale o settoriale. Diverse associazioni attaccate si sono già impegnate in questa direzione: a Brest, una sessantina di associazioni hanno firmato un testo di sostegno a seguito dei tagli ai finanziamenti della prefettura nei confronti di un patronato laico e di media associativi che avevano sostenuto uno squat culturale; a Lille, un centinaio di persone si sono riunite pochi giorni dopo l’utilizzo del CER contro l’Atelier populaire d’urbanisme.

Nei settori della cultura e della difesa dei diritti delle donne, federazioni come l’Union fédérale d’intervention des structures culturelles (Ufisc) o il Planning familial svolgono un importante lavoro di sostegno e difesa dei membri della loro rete. Tutte queste iniziative inviano un messaggio: se un’associazione viene attaccata, altre si alzeranno in suo sostegno.

 

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