Il non senso di votare

Comitato Carlos Fonseca - Thursday, September 11, 2025

Raúl Zibechi

Quando il sistema politico si impegna affinché andiamo a votare, dobbiamo sospettare. Ma quando la possibilità di votare avviene in un paese la cui società si sta decomponendo in modo evidente, con risultati tremendi per la popolazione, dovremmo riflettere sull’utilità di mettere una scheda nell’urna.

Il tema è il seguente, e la riflessione che segue è centrata sull’Argentina, ma con le necessarie sfumature può essere estesa agli altri paesi: Qual è il principale problema della società argentina? Non domando per il paese, che sarebbe necessariamente indagare per lo stato-nazione e per il settore imprenditoriale, tra gli altri. Domando per la società civile, per gli esseri umani che non fanno parte del 10% più ricco.

Il suo principale problema è la decomposizione della società, questione che mi sembra più importante che la disoccupazione, i bassi salari o, anche, l’aumento della povertà. Ciò che si decompone smette di essere, si imputridisce, e la putredine genera contaminazione intorno a sé, cattivi odori che sono appena sintomi di qualcosa che va molto male. Una società che si decompone presuppone una guerra di tutti contro tutti, senza soluzione.

Però anche, e questo è centrale, la decomposizione sociale con la sua inevitabile dose di corruzione e disgregazione, ci insegna l’incapacità di quel corpo sociale di ricostruirsi, perché di questo si tratta la putrefazione. Un corpo che non è più corpo, qualcosa senza vita che pertanto non può fare nulla per evitare la decadenza. Una spirale discendente, senza fine. Per questo in Argentina quattro su dieci non sono andati a votare, perché hanno smesso di credere non solo nelle urne ma anche nella possibilità che la decadenza sia reversibile.

Così le cose, e per quanto non piaccia ai partiti e ai politici, il non andare a votare, anche se il voto è obbligatorio, è sinonimo di non credergli, di sapere che nessuno farà nulla per loro, anche se gli uni e gli altri li chiamano. Qualcosa di più: molti di coloro che sono andati alle urne questa domenica a Buenos Aires, non lo hanno fatto perché credono che le cose possano migliorare, ma per togliere di mezzo un personaggio così nefasto come Milei.

Nel caso argentino c’è qualcosa di ancor più grave. La gente smette di andare a votare non perché creda che nel proprio quartiere, nel proprio paese o nel proprio spazio di vita possa costruire collettivamente qualcosa, possibilità che è stata smantellata dal progressismo corrompendo con programmi sociali i movimenti che nel 2001 furono capaci di destituire un governo neoliberale. E questo è un punto centrale, secondo quanto posso intendere. Perché la decomposizione non può essere fermata, neppure in spazi delimitati, dall’attività collettiva organizzata come movimenti.

Questo è un dramma più grande che ora assume tutta la sua tragica dimensione. Nella storia sono sempre stati i movimenti (operai, femministi, studenteschi, contadini, di popoli originari e neri) quelli che con il loro attivismo hanno forzato le élite a correggere la rotta, anche se a malincuore. Lo storico Eric Hobsbawm ci ricorda che la rivoluzione russa costrinse il capitalismo a riformarsi creando lo Stato del Benessere, di fronte alla possibilità che il fuoco ribelle pregiudicasse i suoi affari.

Voglio dire due cose: la prima è che la decomposizione argentina si trascina da più di mezzo secolo, si è installata quasi come un senso comune nella società; due, che le forze capaci di frenare il disastro sono state neutralizzate con discorsi che assicuravano che agivano a loro nome. Rimane l’abisso, di fronte al quale milioni decidono di non recarsi a votare, sapendo che coloro che governano sono un disastro e che coloro che possono giungere al palazzo non faranno nulla di differente, salvo i discorsi.

Questo doppio dramma, questa doppia dimensione della decomposizione (la lunga durata e la mancanza di “antiossidanti collettivi”) è quello che molte persone intuiscono quando decidono di disinteressarsi di tutto e di ripiegare in un inutile individualismo, o di sbandare verso l’alienazione.

Certamente, non elogio che la gente rimanga a casa propria, senza votare e senza organizzarsi. È il cammino sicuro verso la peggiore situazione, tanto individuale come collettiva. Di modo che queste linee sono un appello a non smettere, di unirsi con gli altri e le altre, di organizzarsi. Esistono ancora collettivi autonomi in Argentina. Non tanti come le migliaia che ci furono, però esistono. Dovrebbero essere un riferimento per coloro che conservano la voglia di resistere, al di là delle urne.

8 settembre 2025

Desinformémonos

Traduzione del Comitato Carlos Fonseca: Raúl Zibechi, El sin-sentido de votar”, pubblicato il 08-09-2025 in Desinformémonos, su [https://desinformemonos.org/el-sin-sentido-de-votar/] ultimo accesso 11-09-2025.