
Dalle lotte portuali una proposta di trasparenza
Weapon Watch - Wednesday, September 3, 2025Nelle ultime settimane, Weapon Watch ha concentrato la sua attenzione su due porti italiani: Genova e Ravenna.
A Genova lo sciopero proclamato per non caricare un cannone navale OTO Melara-Leonardo su una “nave della morte” saudita ha di fatto avuto successo, anzi ha fatto capire che sul traffico di armi la concorrenza infra-sindacale si può stemperare. È anche questo un segno dei tempi sempre più foschi, e della generale percezione che se ne ha a Genova. Ulteriore prova è lo straordinario successo della raccolta degli aiuti affidati alla Global Flottilla Sumud, a cui hanno espresso vicinanza anche la sindaca Silvia Salis e l’arcivescovo mons. Tasca. A questo diverso clima sembra riferirsi la magistratura genovese, che ha aperto un fascicolo per accertare la legalità dei transiti di armi sulle navi saudite: intervento che Weapon Watch aveva richiesto già cinque anni fa, e che oggi rischia di essere inadeguato rispetto alla dimensione dei movimenti di armi in porto in violazione alla legge 185.

A Ravenna sono venuti alla luce alcuni casi di palese violazione di leggi e trattati internazionali, in gran parte relativi ad armi e affari in complicità con l’apparato industrial-militare di Israele. Abbiamo riferito, in un recente articolo intitolato “Ravenna crocevia dei traffici di armi per Israele?”, delle indagini condotte dalla magistratura ravennate, ma con l’ultimo articolo di Linda Maggiori, pubblicato da il manifesto il 2 settembre scorso, [lo trovate anche nella nostra rassegna stampa] il punto interrogativo va tolto. Ravenna è senza dubbio un porto vitale nella possente corrente di forniture militari che si convoglia nell’Adriatico da tutti i paesi dell’Europa centro-orientale e si dirige verso Israele. E con Ravenna lo sono anche Trieste, Capodistria e Venezia-Marghera: è qui che si forma la supply chain diretta a Haifa e Ashdod, una rotta percorsa con regolarità da almeno due navi che hanno attirato l’attenzione degli attivisti locali, «ZIM New Zealand» e «Contship Era».
I casi emersi a Genova e Ravenna rivelano una grave asimmetria tra ciò che vedono e denunciano i lavoratori dei porti e degli aeroporti italiani – cioè la vistosissima crescita del traffico di armi, e la grave carenza dei controlli preventivi – e il ruolo inerte delle autorità, a partire da quelle di sistema portuale, di fronte a quelle denunce. Mentre il quadro internazionale sta assumendo tinte drammatiche, non possono più valere gli escamotages, il rimpallo sulle competenze che porta al mutismo informativo, ultima spiaggia di chi non vuole assumersi le proprie responsabilità. Nel caso citato oggi su il manifesto, l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli locale ha avanzato ragioni di “riservatezza” per non rivelare la destinazione finale di ciò che non poteva essere autorizzato al transito ma che è comunque transitato dal porto di Ravenna: una spedizione di armi autorizzata dalla Repubblica ceca verso un paese extra-UE (Israele), per giunta coinvolto nel peggior massacro di popolazioni civili a cui l’umanità assiste via social, doveva essere fermata in ottemperanza alle stesse disposizioni governative in vigore dal 7 ottobre 2023.
Nella loro lucidità, i portuali genovesi hanno avanzato una proposta intesa a non far peggiorare il clima nel primo porto italiano, e a ristabilire un nesso tra il funzionamento del porto stesso come piattaforma del commercio internazionale e la cornice “aperta” entro cui Genova vuole svolgere questo ruolo, di pace, fratellanza e solidarietà, e non di guerra, deportazione e affamamento.
Per rendere almeno accettabile il livello delle informazioni che devono essere garantite ai lavoratori nel caso del commercio degli armamenti, è indispensabile la trasparenza sulla natura delle merci e la loro destinazione finale, come del resto è scritto nella lettera stessa della Legge 185 del 1990. Destinatario di queste informazioni, che sono certamente nella disponibilità di tutte le autorità coinvolte in un trasferimento internazionale di armi (AdSP, Guardia Costiera, Prefetture), potrebbe essere un “osservatorio permanente” a cui far partecipare i delegati delle autorità insieme a quelli dei lavoratori, da riunirsi periodicamente e in via preventiva, cioè in vista di un arrivo di navi con carichi militari e soprattutto di munizioni ed esplosivi.
Crediamo che una ragionevole circolazione di informazioni, anche su un tema così delicato, possa contribuire a ridurre la tensione sulle banchine, e nello stesso tempo a togliere ad autorità e governi l’illusione che bastino opacità e segretezza per evitare di rispondere di una complicità di fatto, quale oggi si sta prefigurando, tra gli autori di un genocidio e chi ha fornito loro i mezzi per compierlo.