
Bolivia, l’implosione del partito più potente dell’ultimo mezzo secolo
Popoff Quotidiano - Wednesday, August 20, 2025Il crollo elettorale del Mas. La disgregazione del capitale politico accumulato da Evo Morales e le conseguenze della svolta a destra del Paese andino
Una guerra interna tra fazioni, il declino del carisma di Evo Morales e, soprattutto, una crisi economica che ha eroso il consenso popolare. Intervistato da Fabien Escalona su Mediapart, Pablo Stefanoni, esperto della sinistra boliviana, attribuisce la disfatta del MAS boliviano a tre fattori principali: una guerra interna tra fazioni, il declino del carisma di Evo Morales e una crisi economica che ha eroso il consenso popolare. Eppure, negli ultimi decenni, il MAS è stato il partito dominante in Bolivia, capace di vincere elezioni con maggioranze assolute e di incarnare un progetto politico che univa nazionalismo economico e rivendicazioni indigene. Tuttavia, alle recentissime elezioni, il partito non ha superato nemmeno il 5% dei voti.
In generale si può sostenere, come fa ad esempio su il manifesto di ieri, 19 agosto, Álvaro García Linera, che il problema è che molti governi progressisti, soprattutto quelli al secondo o terzo mandato, sembrano bloccati nella difesa nostalgica dei successi passati. Mancano di una nuova visione trasformativa capace di riaccendere le speranze collettive. In questo vuoto, la destra sa appropriarsi del linguaggio del cambiamento, presentandosi come forza innovatrice. Non è un caso, ma il risultato di un progressismo che si è fatto conservatore.
E così è andata in Bolivia dove la lotta intestina nel MAS ha visto scontrarsi tre cordate: gli “evisti” fedeli a Morales, gli “arcisti” legati al presidente Luis Arce, e gli “androniquisti” sostenitori del giovane candidato Andrónico Rodríguez. Quest’ultimo, inizialmente considerato l’erede di Morales, è stato poi accusato di tradimento per essersi candidato senza il suo consenso. Morales ha reagito chiamando al boicottaggio del voto, contribuendo al collasso della candidatura di Rodríguez.
Il declino di Morales è stato evidente. Sebbene il 18% dei voti sia risultato nullo in risposta al suo appello, ciò riflette più la sua impotenza politica che una reale capacità di mobilitazione. Morales, ormai isolato nel suo bastione del Chapare, è sotto pressione giudiziaria e ha perso il controllo del MAS, che gli è stato formalmente sottratto tramite una manovra legale del governo Arce.
La crisi economica ha fatto il resto. Il cosiddetto “miracolo boliviano”, basato su alti prezzi delle materie prime e una gestione prudente del bilancio, è ormai un ricordo. Le promesse di industrializzazione si sono rivelate vuote, e le riserve di gas si sono esaurite. In questo contesto, i discorsi liberali hanno iniziato a guadagnare terreno, mentre il nazionalismo economico del MAS ha perso attrattiva.
Stefanoni sottolinea che l’originalità del MAS risiedeva nella centralità della questione indigena e nella proposta di una Bolivia “plurinazionale”. Tuttavia, con il tempo, queste idee hanno perso forza. Il simbolismo indigeno si è logorato, e la plurinazionalità è rimasta in gran parte una formula retorica. Nonostante ciò, il MAS ha favorito un reale empowerment popolare, i cui effetti potrebbero emergere nel nuovo ciclo politico.
Dopo il referendum del 2016, in cui Morales perse la possibilità di ricandidarsi, il suo progetto ha iniziato a mostrare segni di stanchezza. Il suo rovesciamento nel 2019, frutto di una mobilitazione civico-poliziesca, non ha impedito al MAS di tornare al potere nel 2020 con Luis Arce. Ma anziché facilitare il ritorno di Morales, Arce ha consolidato il proprio potere, scatenando una guerra interna che ha accelerato la disgregazione del partito.
Tentativi di mediazione da parte di leader internazionali come Nicolás Maduro, José Luis Rodríguez Zapatero e Raúl Castro sono falliti. Il MAS, più che un partito, è una federazione di sindacati e movimenti sociali, e questa struttura ha reso la crisi ancora più difficile da gestire. Morales ha finito per vedere traditori ovunque, persino nel suo ex vicepresidente Álvaro García Linera.
Oggi, Morales cerca di resistere con un nuovo movimento, EVO Pueblo, ma le sue posizioni ideologiche – come il sostegno a Putin e Maduro – trovano riscontro solo tra i suoi seguaci più radicali. Intanto, la Bolivia si prepara a essere governata dalla destra, con due candidati principali che promettono di allontanarsi da Venezuela e Iran per avvicinarsi agli Stati Uniti, pur mantenendo l’adesione ai BRICS.
Jorge “Tuto” Quiroga, anticomunista dichiarato, è vicino alla destra radicale e ostile al Mercosur, mentre Rodrigo Paz, meno ideologico, sembra destinato a seguire una traiettoria di destra pragmatica, simile a quella del padre Jaime Paz Zamora. La vittoria di Paz è stata una sorpresa: i sondaggi favorivano l’imprenditore Samuel Doria Medina e lo stesso Quiroga.
Paz ha saputo distinguersi dalle vecchie élite, anche grazie al suo colistiere Edman Lara, ex poliziotto popolare per aver denunciato la corruzione interna. Lara, ispirato dal presidente salvadoregno Bukele, ha proposto un “bukelismo soft” centrato sulla legalità e la lotta alla corruzione. La sua campagna virale su TikTok ha conquistato l’ovest andino del paese, ma il successo è dovuto anche a un intenso lavoro sul territorio.
La Bolivia popolare ha scelto l’alleanza Paz-Lara per evitare il ritorno delle élite tradizionali. Il voto che un tempo andava al MAS si è frammentato tra voti nulli e questa nuova coalizione, che unisce un politico navigato e un outsider carismatico. Intanto, la regione agroindustriale di Santa Cruz ha premiato Quiroga, confermando una polarizzazione territoriale e politica che segnerà il futuro del paese.
Sempre secondo Pablo Stefanoni, l’esito delle elezioni boliviane avrà comunque un impatto significativo per le sinistre del paese, anche se nessuno dei due finalisti rappresenta una vera opportunità di rinascita. Una vittoria del tandem Paz-Lara potrebbe almeno favorire un dialogo più diretto con i settori popolari, come suggerisce la distribuzione geografica del voto. Tuttavia, anche in questo scenario, la ricostruzione della sinistra sarebbe ostacolata.
Il MAS era nato da movimenti profondi come le guerre dell’acqua e del gas, e si era rafforzato in un contesto regionale di critica al neoliberismo. Evo Morales, figura centrale e aggregante, aveva saputo unificare la sinistra e il blocco popolare. Oggi, però, quel contesto è svanito. Le sinistre al potere in America Latina sembrano aver perso la capacità di trasformazione, e rischiano di essere travolte alle prossime elezioni in paesi come Cile, Colombia e forse Brasile.
In Bolivia, il futuro governo dovrà probabilmente affrontare una difficile congiuntura economica, con misure di austerità impopolari, senza una solida maggioranza parlamentare né leader capaci di mobilitare il consenso. Questo potrebbe aprire la strada a nuove ondate di protesta sociale, in un clima di disillusione e frammentazione politica.
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