Abbandonare l’autodifesa nel Rojava esporrebbe i curdi al massacro

Retekurdistan.it - Tuesday, August 5, 2025

La strategia guidata da Parigi mira a lasciare i curdi senza uno status, rendendo essenziali l’autodifesa e la diplomazia. Insigniti del Premio Nobel per l’Economia 2024 per il loro lavoro sulla formazione delle istituzioni e il loro impatto sulla prosperità, Daron Acemoglu e James A. Robinson esplorano il futuro degli stati, delle società e della libertà nel loro libro a quattro mani “Lo stretto corridoio”. La prefazione è dedicata a quello che descrivono come uno dei più grandi disastri umanitari del nostro tempo: la crisi siriana. Nella sezione intitolata scrivono: “Affinché la libertà emerga e prosperi, sia lo Stato che la società devono essere forti. Uno stato forte è necessario per prevenire la violenza, far rispettare le leggi e fornire servizi pubblici essenziali che consentano alle persone di fare le proprie scelte. Ma deve anche esserci una società forte e attiva, in grado di monitorare e limitare lo stato…”

Queste frasi indicano una verità universale che trascende il dibattito ideologico. Lo stretto corridoio tra il caos dell’apolidia e la tirannia di un potere incontrollato definisce ora l’equazione più critica che plasma il destino della Siria e, più specificamente, del Rojava.

Chiunque segua da vicino la crisi siriana può constatare che la guerra è entrata in una nuova fase. I massacri compiuti da Hayat Tahrir al-Sham (HTS) nei villaggi drusi e alawiti, gli attacchi di massa a Suwayda (Sweida) e lo sfollamento forzato di civili rivelano che la guerra civile è tutt’altro che finita e comporta un rischio sempre maggiore di aggravarsi ulteriormente. Nel suo articolo intitolato “Cosa vuole ogni attore in Siria?”, pubblicato da ANF il 30 luglio 2025, Zeki Bedran descrive la situazione in modo crudo: “La mentalità di HTS rimane immutata, non importa quanto venga affinata. Scatenano squadre di decapitatori contro la popolazione”.

Questa realtà e questo rischio, sui quali esiste un ampio consenso, riflettono anche un notevole livello di maturità politica da parte della leadership politica del Rojava, dimostrando che non si sbaglia né si accontenta delle proprie valutazioni.

Gli attacchi a Suwayda e nelle aree circostanti, seguiti alla formazione di un governo provvisorio allineato con HTS, non sono semplici atti di terrorismo. Fanno parte di una strategia deliberata volta a sottomettere la popolazione drusa e a modificare la demografia della regione attraverso la paura e la violenza. Mentre questi massacri hanno suscitato la condanna degli Stati Uniti e dell’Europa e hanno spinto Israele a intervenire direttamente, gli sforzi della Turchia per legittimare HTS e il suo rifiuto di denunciare le atrocità si distinguono come un chiaro riflesso di una mentalità condivisa.

Tutto ciò indica un’unica, cruda verità: se i curdi del Rojava abbandonano l’autodifesa, saranno esposti direttamente al massacro.

Anche la sola discussione sull’indebolimento dei parametri di autodifesa in termini tecnici, o sullo scioglimento delle Forze Democratiche Siriane (SDF) con il pretesto dell'”integrazione”, rappresenta un rischio serio. Potrebbe benissimo segnare l’inizio della fine. Per questo motivo, la diplomazia curda deve affrontare questa nuova fase con coraggio e determinazione. Allo stesso tempo, la comunità curda deve essere chiamata a rimanere vigile. Tutti gli attori politici in Turchia e nel Kurdistan settentrionale (Bakur) devono comprendere chiaramente che qualsiasi passo che indebolisca la difesa del Rojava equivale a un atto storico di autodistruzione. Il fatto che gli sviluppi politici in Turchia e nel Kurdistan settentrionale siano paralleli a quelli in Rojava non è una coincidenza. Il Rojava deve rimanere la massima priorità, perché il futuro del Rojava è, in senso più ampio, il futuro del Kurdistan nel suo complesso.

In effetti l’unica priorità geopolitica della Turchia è quella di lasciare i curdi del Rojava senza alcuno status politico. La politica di Ankara sulla Siria è diventata inequivocabilmente chiara:

1. Privare i curdi dello status politico

2. Smantellare l’Amministrazione Autonoma

3. Eliminare le SDF

Per raggiungere questo obiettivo, Ankara continua sia con le sue occupazioni militari sul terreno, sia con la sua pressione diplomatica al tavolo dei negoziati. Utilizza la sua appartenenza alla NATO come leva, ponendo le conquiste del popolo curdo sul tavolo delle trattative con gli Stati Uniti e l’Europa.

Eppure la popolazione del Rojava si governa da sola da oltre un decennio. Sulla base delle leadership femminile e organizzata attraverso comuni e consigli, questo sistema non mira a creare uno Stato separato. Piuttosto propone un modello democratico e decentralizzato per la Siria. Gli osservatori che hanno familiarità con il Medio Oriente riconoscono ampiamente l’Amministrazione Autonoma della Siria settentrionale e orientale come un modello praticabile e costruttivo. Il disarmo imposto dalla Turchia non è solo un invito all’indebolimento militare, ma un tentativo di smantellare completamente quel modello.

Oggi l’asse diplomatico più critico per il futuro della Siria è incentrato su Parigi. La Francia non è coinvolta solo dal punto di vista umanitario, ma svolge anche un ruolo attivo nella sicurezza del Mediterraneo, nella politica migratoria e nelle rotte energetiche strategiche di quello che storicamente viene definito “Le Levant”, che comprende Siria, Libano, Giordania, Israele, Palestina e in parte la regione di Hatay. I previsti colloqui di Parigi tra Damasco e le SDF-Amministrazione Autonoma sono stati rinviati a causa delle pressioni della Turchia. Per la diplomazia curda, Parigi rappresenta ora sia un’opportunità vitale che una corsa contro il tempo.

Nel corso della storia recente e remota, la Francia ha svolto un ruolo duraturo, a volte di supporto, altre volte dannoso, in tutte le parti del Kurdistan. Dall’inizio della crisi siriana la Francia ha nuovamente assunto questo ruolo in modo serio e attivo. In questo momento storico critico vale la pena ricordare come la diplomazia curda, plasmata da cuori giovani e determinati sia emersa in particolare durante e dopo la resistenza di Kobane, attraverso il suo impatto sull’opinione pubblica e lo sviluppo delle relazioni politiche.

Il risultato più chiaro dei negoziati che si stanno svolgendo all’ombra di Parigi è questo: c’è uno sforzo concertato per lasciare i curdi senza uno status politico. L’unico modo per contrastare questa strategia è mantenere l’autodifesa e intensificare la pressione diplomatica. Oggi, Parigi si distingue come un centro chiave sia per il Rojava che per il Kurdistan meridionale (Başur); è lì che devono essere concentrati particolare attenzione e sforzi.

In un momento in cui i massacri contro le comunità druse e alawite sono sotto gli occhi di tutti, qualsiasi disarmo dei curdi equivarrebbe a un suicidio storico. Abbandonare l’autodifesa non farebbe altro che innescare una nuova ondata di massacri.

Affidarsi agli equilibri temporanei delle potenze internazionali ha portato, in passato, a disastri, come si è visto ad Halabja e Shengal. Lo stesso rischio persiste oggi.

Oggi in Siria i curdi costituiscono non solo la spina dorsale della resistenza in difesa del proprio popolo, ma anche uno scudo protettivo per le minoranze che vanno dai drusi ai siriaci. Se questa spina dorsale venisse spezzata, la Siria precipiterebbe in una nuova oscurità.

In definitiva, se il processo in atto in Turchia e nel Kurdistan settentrionale non diventi eccessivamente interventista, l’Amministrazione autonoma della Siria settentrionale e orientale ha un forte potenziale per emergere come modello per tutta la Siria. Il popolo del Rojava, con oltre un decennio di autogoverno, ha costruito più di una semplice linea di difesa: rappresenta lo stretto corridoio verso la pace e la democratizzazione in Medio Oriente. Per i curdi, le richieste di disarmo non riflettono la realtà sul campo, anzi, rischiano di diventare il preludio di una nuova catastrofe.

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