Teresa Moda, una mostra per non dimenticare

SUDD Cobas - Sunday, May 25, 2025

Questo fine settimana, via Toscana si è riempita di nuovo. Persone, immagini e storie hanno colorato uno spazio altrimenti tristemente relegato a pattumiera a cielo aperto, a contorno delle fabbriche che non si fermano mai.

Intorno alla targa per le vittime della strage del Teresa Moda si è svolto un laboratorio con il fotografo Andrea Abati, allievo di Luigi Ghirri, per ripensare i Macrolotti attraverso l’arte. Ed è stata allestita una mostra con le opere del fotografo Stefano Morelli, che in quei giorni del 2013 ha catturato i volti e la lotta dei familiari delle vittime della strage.

Le famiglie, arrivate dalla Cina, manifestarono inascoltate al Consolato cinese di Firenze e occuparono un pronto moda i cui titolari erano connessi ai padroni del Teresa Moda. Lo fecero per chiedere giustizia e gli stipendi non pagati per poter sostenere i costi dei funerali. Questo presidio, che in pochissimi raccontarono e in ancora meno sostenerono, fu alla fine sgomberato dalla polizia.

La mostra “Fuori fuoco. Volti e voci da Teresa Moda” rappresenta la voglia di riscatto di operaie e operai cinesi che hanno provato a dire “Mai più” e sono stati lasciati soli. Una storia cancellata dalla Storia, che è nostro dovere ricordare. Una tragedia, che al suo interno ne contiene molte altre.

La tragedia delle sette persone morte nell’incendio della fabbrica dove dormivano. Impossibilitate a uscire perché chiuse dentro dal padrone, con le sbarre alle finestre che ne hanno impedito la fuga. La tragedia delle loro famiglie, costrette a lottare per vedere riconosciuto uno dei diritti più basilari della società: il rispetto per le persone care che non ci sono più.

La tragedia della giustizia assente, incapace di condannare in via definitiva i proprietari dei capannoni, inizialmente ritenuti responsabili per la morte di queste persone, di cui conoscevano perfettamente le condizioni di lavoro e di vita su cui hanno macinato miliardi grazie agli affitti. La tragedia che si consuma ogni giorno nelle fabbriche pratesi, in cui migliaia di persone lavorano 12 ore al giorno, 7 giorni su 7. Persone vive, a cui però viene impedito di vivere.

La mostra getta luce sulla verità di quelle persone descritte come “lavoratori fantasma” da chi alimenta la narrazione di una comunità cinese chiusa e impermeabile, dove le persone “si auto-sfruttano” e rifiutano di farsi aiutare. Un’esposizione che mostra senza veli la realtà della mobilitazione spontanea di donne e uomini alla ricerca di giustizia, che hanno occupato una fabbrica, dormendo in loculi simili a quelli che furono fatali ai loro parenti per essere sgomberate dalla polizia.

Oggi si sprecano i “Perché i cinesi non si ribellano?”. Ma in tanti, nei palazzi istituzionali, dovrebbero chiedersi: “Cosa abbiamo fatto quando si sono ribellati?”.

Il presidio permanente a difesa della targa va avanti, per aprire una trattativa con la proprietà che garantisca la preservazione del memoriale. Ancora oggi, da parte di chi possiede i capannoni, l’unico riscontro arrivato è stata la minaccia di denunce verso il sindacato. Questa città ha bisogno di capire da che parte stare.

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