
L’impossibile oltre l’immenso. George Simenon
Popoff Quotidiano - Saturday, August 9, 2025Il romanziere francese padre di Maigret in mostra a Bologna: viaggio in otto tappe tra vita e opere
La mattina del 18 settembre 1972 George Simenon scende nel suo studio, nel palazzone fatto costruire a Épalinges, non lontano da Losanna. La busta gialla col nome del prossimo romanzo è là sul tavolo, le matite sono temperate, le pipe cariche. Tutto è pronto per l’ennesima fatica, persino il titolo: Oscar. Manca solo il cartellino alla porta: “please, don’t disturb”, con cui usa isolarsi dal mondo. Si narra che una volta Hitchcock l’avesse chiamato al telefono e la moglie, notando quel cartellino appeso, gli abbia detto di richiamare senza neppure darsi la pena di disturbarlo. Quel cartellino non sarebbe stato appeso mai più, quel nome non avrebbe mai visto la luce, quella busta non sarebbe mai stata aperta. La carriera d’uno dei degli scrittori più prolifici e famosi d’ogni tempo si chiude lì, quel mattino di metà settembre. Simenon smette, se non di vivere, di scrivere quel giorno: di vivere come scrittore.
Pochi giorni dopo avrebbe mandato la cameriera a far cassare sul suo documento d’identità la qualifica di romanziere per apporvi quella di pensionato, poi nullafacente, e messo in vendita il villone per ritirarsi in un appartamento tutto sommato modesto, in città. Avrebbe ceduto solo alla voglia di mettere il suo vissuto su un magnetofono comprato tempo prima, registrazioni divenute autobiografia degli ultimi anni. Generazioni di critici, editori disperati, lettori in crisi d’astinenza si sono scervellati su come e perché lo scrittore arcinoto al mondo, straricco e prolifico come pochi abbia interrotto di botto la sua produzione, i suoi immensi guadagni. Oltre 600 milioni di copie vendute, ben 11 libri al minuto nell’arco di un secolo. Senza nessuna crisi creativa e tantomeno rimpianto. La madre era scomparsa da un paio d’anni, la figlia si sarebbe suicidata da lì a qualche anno. Nessuna ragione apparente, dunque, se non una crisi di rigetto. Era come se l’uomo capace di sfornare romanzi a josa, scrivere storie mai banali di getto, avesse perso ogni estro o voglia creativa. Come uno che dopo una grand’abbuffata non ne potesse più. Ed era così.
Del resto, assieme alla voglia di scrivere se n’era andata anche quella di possedere donne a mucchi; una collezione che ammontava a diecimila corpi posseduti, come lui stesso ammetteva senza una punta di compiacimento o d’ironia. Comprese le tre mogli con le quali aveva diviso le diverse fasi della vita. Con l’ultima, la friulana Teresa Sburelin, di fatto la sua badante, aveva infine trovato la pace dei sensi, e dello scrivere. Restavano, senza considerare articoli, reportage e pubblicazioni varie firmate con una trentina di pseudonimi, circa duecento romanzi scritti nell’arco d’un cinquantennio, meno della metà dei quali dedicati al commissario Maigret, il personaggio che l’aveva consacrato alla celebrità. La gran parte erano “romances dures”, come li definiva lo stesso autore. Storie dure non perché cariche di violenza o perfidia ma di vita, perché il mestiere di vivere è quello più difficile, come amava ripetere a sé stesso e ai figli.
Storie di gente comune che al dipanarsi della vita si trovano a un punto morto, e devono riavvolgerne il filo o perire. Storie di vita vera, vissuta, filtrata attraverso le maglie della sua immensa fantasia. Storie, insomma, di uomini e donne normali che a un certo punto inciampano in qualcosa più grande di loro: la vita stessa, che pochi come lui sapevano godere e raccontare a tavolino allo stesso tempo. La vita, o la si vive o la si scrive, diceva Pirandello, e mai verità come questa fu tanto falsa come nel caso di Simenon. Non aveva avuto una vita difficile, lui, tutt’altro. Forse neppure felice, come diceva Miller, stupito e forse geloso di come quell’uomo sobrio e meticoloso, geniale eppure banale – un uomo come gli altri, recita una sua celebre autobiografia – sapesse destreggiarsi bene nel mestiere di scrivere come di vivere, e pure in quello di genitore dalla voce pacata, mai irata. La vita non avrebbe risparmiato al grande scrittore, oltre ai drammi famigliari e ai divorzi, la delusione di vedersi considerato dal mondo letterario francese una sorta di paria. Un bestseller permanente e perciò sospetto. Una macchina da soldi e una fucìna di creatività. Uno scrittore per le masse, non un letterato con la puzza sotto al naso come certi mandarini, insomma. Ma di questo, forse, lo scrittore che mai privilegiò il bello scrivere senza per questo scadere nella banalità – virtù rara – non era tutto sommato scontento, anzi ne faceva vanto.
Tutto questo travaglio di vita e di lavoro, di passioni e d’affetti, si ripercorre nella mostra che ha aperto i battenti a Bologna, alla galleria Modernissima. Emergersi nel sottosuolo a due passi da piazza Maggiore per riemergerne assai più in là è un’esperienza unica, a tratti mistica. Per chi, come lo scrivente, è uso divorare ogni mostra di getto, ingolfandosi quasi d’emozioni e pensieri per poi lasciare che riemergano a freddo, una volta metabolizzati, una passeggiata d’oltre due ore passata in un fiat, come fosse un’opera di Simenon, è cosa più unica che rara. Otto viaggi di un romanziere, questo il sottotitolo della mostra dedicata a Simenon, curata da Gian Luca Farinelli e dal secondogenito dello scrittore, John, raccontano opere e viaggi, film e foto – tra cui Georges Massu, a capo della brigade criminelle della polizia parigina, ispiratore della figura di Maigret – in un collage dalla nascita e gli esordi di un genio della letteratura francese che seppe toccare i vertici di quella mondiale per accorgersi che dilà non si poteva andare, come nel conquistatore cantato da Vecchioni in Stranamore. E sedersi sulla sponda a lasciarsi andare. Infuggibile destino, quello del genio, al pari d’ogni altro umano, quello di non poter fuggire da sé, superare la propria natura, sfuggire al proprio talento: al fato. George Sim, come si firmava il ragazzo venuto da Liegi per farsi cittadino del mondo, tentò e riuscì anche in questo: l’impossibile oltre l’immenso. E pure in ciò si misura la sua grandezza.
Fino all’8 febbraio, qui le info e qui il video della mostra
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