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Ex-Mercati Generali: un vuoto da proteggere
È di horror vacui che soffre l’amministrazione romana. È quello che la porta a voler riempire ogni spazio in maniera ossessiva e coprire di segni l’enorme tela del territorio romano. Eppure lo spazio che appare vuoto non è vuoto, al contrario offre infinite occasioni di lettura e di avvenimenti. Quando il valore di uno spazio però si misura solo sulla sua capacità di produrre rendita finanziaria, non si riesce a progettare trasformazioni in grado di garantire giustizia sociale e ambientale. > Forse è dovuto a questo “terrore del vuoto” il grande entusiasmo del sindaco > Gualtieri nell’annunciare, insieme alla sua Giunta, la firma della Convenzione > che integra la concessione sottoscritta nel 2006 dalla giunta Veltroni per > l’area degli ex-Mercati Generali nel quartiere Ostiense. Allora il progetto di riqualificazione, firmato da Rem Koolhaas, era quello risultato vincitore tra le 11 proposte presentate in risposta al bando che prescriveva di realizzare un centro di aggregazione giovanile, «un luogo under 30 destinato alla musica, alla cultura, alla cucina multietnica, con parcheggio sotterraneo, maxi-mediateca e anche piscina e palestra». I lavori avrebbero dovuto essere realizzati, in project financing, da un pool di imprese che aveva come capo cordata il gruppo Lamaro dei Fratelli Toti, la gestione della struttura sarebbe stata affidata ai privati per un massimo di 60 anni. Il gruppo Lamaro, nonostante nella Capitale avesse realizzato milioni di metri cubi, dalla Nuova Fiera di Roma, al Centro Agroalimentare, dalla Galleria Alberto Sordi a numerosi centri commerciali, è stato travolto da una crisi che ha condotto la società al concordato preventivo per ripianare i debiti. di Ex Mercati Generali – BASTA Speculazione (Fb) Di quel progetto dunque non si è fatto nulla, i lavori erano iniziati, poi subito interrotti per poi fermarsi definitivamente durante l’amministrazione di Ignazio Marino. A ogni cambio di consiliatura il progetto veniva trasformato, tanto che l’architetto che l’aveva firmato si era ritirato. Nel 2012 era stato eliminato il teatro da 2400 posti, così come erano state ridotte le attività socio-culturali e lo spazio verde. Nel 2017 è la giunta Raggi ad approvare una delibera che prevedeva l’ennesima trasformazione delle destinazioni d’uso, con l’inserimento di una galleria pubblica, una biblioteca, una sala conferenza, un centro anziani, ma che confermava quasi il 50% a uso commerciale. E poi c’erano gli “spazi privati ad uso pubblico” ovvero i 5mila metri quadri destinati alla casa dello studente, ma affermava l’allora assessore Montuori «i canoni di affitto saranno quelli decisi dall’Adisu», dunque calmierati. > Di tutti questi progetti nessuno è stato realizzato. Quell’area viene > descritta «vuota, abbandonata, degradata, inaccessibile» e finalmente sarà > riempita di manufatti, largamente impermeabilizzata, grazie alla generosità di > un attore privato, che investirà 380 milioni di euro. Scrive Sarah Gainsforth che ha dettagliatamente analizzato il progetto preliminare: «Secondo l’ultimo piano economico preliminare del privato, il progetto garantirà ricavi privati per oltre 32 milioni di euro l’anno di cui 21 milioni dallo studentato, a fronte di un canone per l’area, pubblica, di 165mila euro l’anno». È la realizzazione della residenza universitaria, ovvero di una struttura turistica ricettiva, per 2000 posti letto, che garantirà gli introiti maggiori. «L’atto firmato oggi – scrive sul suo sito il Comune di Roma – punta a garantire la tutela dell’interesse pubblico e la restituzione a Roma Capitale, al termine dei 60 anni di concessione, di tutte le opere realizzate. Hines, che in Italia ha maturato una lunga esperienza in progetti complessi di rigenerazione urbana e valorizzazione di patrimonio pubblico e privato, guiderà la realizzazione dell’intervento nel rispetto delle tempistiche e degli standard qualitativi definiti dalla Convenzione». Ma chi è la società Hines che vanta un così lungo elenco di operazioni di rigenerazione urbana nel nostro Paese? È una delle maggiori società immobiliari al mondo, con sedi in 30 Paesi e detiene 93,2 miliardi di dollari di asset in gestione. È la società immobiliare internazionale che ha raccolto 108 milioni di dollari da investitori israeliani per uno dei suoi principali fondi europei, l’Hines European Value Fund 2. Menora Mivtachim, una grande compagnia assicurativa israeliana che gestisce il più grande fondo pensione di Israele, ha investito 88 milioni di dollari in questo fondo. Menora Mivtachim insieme ad altre compagnie assicurative israeliane è complice del finanziamento della costruzione delle colonie, dello sfruttamento delle risorse naturali occupate e del complesso militare-industriale di Israele. > Nella vicenda degli ex-Mercati Generali non è da trascurare questo elemento > che contribuisce a definire i contorni dell’operazione finanziaria che si sta > configurando e i legami con quella che Francesca Albanese definisce «economia > del genocidio». Dal quel lontano 2006, quando fu firmata la prima concessione dell’area, molte cose sono cambiate. Roma è cresciuta, si è trasformata, i valori ambientali sono stati stravolti, molti spazi sono stati edificati. Oggi bisognerebbe ridisegnare il sistema dei parchi, le aree protette e i corridoi ecologici per garantire il collegamento fra le aree verdi, piuttosto che continuare a edificare. Per questo stupisce l’entusiasmo nell’annunciare la nuova convenzione. L’amministrazione dovrebbe proteggere i vuoti anziché riempirli. di Ex Mercati Generali – BASTA Speculazione (Fb) Sembra invece che le scelte dell’amministrazione non attribuiscano il giusto valore ai temi ambientali e climatici nel programmare le trasformazioni urbane. Il consumo di suolo non si è mai fermato, neanche negli anni della pandemia e i cambiamenti climatici in queste condizioni provocano devastanti effetti ecologici e sanitari. Secondo gli ultimi dati ISPRA del 2024, la percentuale di suolo consumato a Roma è arrivata al 13,18%, 70.620 ettari. Si agisce come se la risorsa suolo fosse inesauribile. > Lo scavo realizzato nell’area degli ex-Mercati Generali con i primi lavori > intorno ai bellissimi padiglioni ha portato alla luce l’acqua dell’antico > fiume Almone che scorre sotto il terreno, la natura ha trovato spazio per > riproporre l’habitat fluviale, con le più diverse specie di piante e animali. Molte zone definite “vuote” hanno assunto un grande valore naturalistico, zoologico e botanico e queste aree vanno considerate inedificabili. E invece si programma l’attività edilizia inarrestabile con i suoi premi edificatori, incentivi volumetrici e monetizzazione degli standard . Tutto questo impedirà di avere servizi adeguati, spazi verdi pubblici, qualità dell’aria e dell’abitare. Sarà negato il benessere ambientale, sociale, sanitario e climatico. Le piogge torrenziali e le bolle di calore renderanno la città sempre più invivibile.  Uno spazio vuoto, per di più di proprietà pubblica, assume quindi un grande valore. > Se ne sono accorti gli abitanti del quartiere che hanno formato il Comitato > cittadini per la trasparenza e la tutela dell’area ex-Mercati Generali – > Municipio VIII, che ha analizzato le criticità della convenzione e i danni che > l’edificazione porterà alla città. Hanno scritto in un comunicato: «Dopo oltre vent’anni di iter, il progetto dei Mercati Generali, nato come “Città dei Giovani”, appare oggi trasformato in una grande operazione immobiliare privata, incentrata su uno studentato di lusso e su funzioni commerciali, a fronte di benefici pubblici sempre più ridotti e indefiniti. Il progetto interessa un’area in centro storico ed è destinato ad avere un enorme impatto sui quartieri del quadrante Sud e su un territorio densamente popolato e privo di aree verdi. Lo studentato occupa oltre il 60% della superficie utile e garantisce al concessionario ricavi di oltre 21 milioni di euro l’anno, mentre il Comune incassa un canone irrisorio (165mila euro annui), cifra non aggiornata che potrebbe configurare un danno erariale. Se il concessionario è rimasto inadempiente dalla firma della prima convenzione nel 2006 con l’obiettivo di aggiornare l’opera alle condizioni di mercato per garantire la remunerazione dell’investimento, oggi i cittadini hanno il diritto di riformulare il progetto con funzioni che rispondano alle esigenze del quartiere, anche in considerazione della necessità di fermare il consumo di suolo e di incrementare il verde urbano, come previsto dal vigente Regolamento Europeo 2024/1991 sul Ripristino della Natura. Il progetto mortifica la componente ambientale dell’area e non prevede la rinaturalizzazione del tratto del fiume Almone oggi tombato. Manca una visione ecologica integrata, con verde permeabile e non di semplice arredo, visione che dovrebbe essere parte essenziale di ogni vera riqualificazione urbana». Chiedono l’avvio di un confronto pubblico trasparente e partecipato per un nuovo progetto sull’area in grado di superare le criticità evidenziate. Tutti e tutte insieme possiamo superare l’horror vacui e immaginare un’altra città? La copertina proviene dalla pagina Facebook Ex Mercati Generali – BASTA Speculazione SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Ex-Mercati Generali: un vuoto da proteggere proviene da DINAMOpress.
Il tempo della piazza. A Taranto si riapre la partita sull’ex Ilva
UNA CREPA NEL COPIONE Il tempo, in politica, è una risorsa decisiva. Può essere mobilitata con le finalità più disparate. Nelle politiche ambientali, il rinvio è una tecnica collaudata per non intervenire davanti all’avanzare della crisi climatica. A Taranto, in questo momento, il tempo gioca un ruolo del tutto differente. Il rinvio al 31 luglio della decisione sull’accordo di programma in tema di ex Ilva non ha una mera dimensione procedurale: è un’apertura politica. Indica uno spazio di possibilità. > Per i movimenti e per quella parte di città che immagina un futuro > radicalmente diverso dalle macerie del presente, è una buona notizia. Un primo prodotto della mobilitazione collettiva che può permettere di allargare lo scenario e sperimentare nuove alleanze. In questa direzione, la mobilitazione convocata per il giorno precedente ha avuto un ruolo di primo piano. Il 14 luglio, la piazza ha fatto irruzione nella partita. Davanti a Palazzo di Città, il presidio convocato da Giustizia per Taranto ha portato in strada una composizione larga, plurale, arrabbiata. Generazioni, contesti, storie diverse. Soprattutto: un’atmosfera elettrica, come non si respirava da tempo. Le parole d’ordine si alternano: c’è chi urla “chiusura!”, chi evoca le barricate, chi se la prende con lə protagonistə istituzionali della vicenda – Michele Emiliano è il più citato. Ma la postura della piazza è chiara: rigettare l’accordo così come prospettato dal governo. Riaprire una partita che sembrava chiusa. Costruire – qui e ora –  una discontinuità radicale. Il giorno dopo, nessuna firma è stata apposta. È stata accolta la richiesta del sindaco Bitetti di sottoporre la decisione al Consiglio comunale, convocato per il 30 luglio. Nel verbale si individua anche una commissione tecnica, incaricata di valutare le opzioni progettuali. Per la città è una boccata d’ossigeno. Il tempo guadagnato è molto prezioso. Può consentire di cambiare i termini della discussione. COS’È L’ACCORDO DI PROGRAMMA E COSA PREVEDE L’Accordo di Programma è lo strumento con cui le pubbliche amministrazioni disegnano il futuro dell’ex Ilva e della città. Il suo impatto giuridico diretto è limitato: sono altri gli atti – a cominciare dall’Autorizzazione Integrata Ambientale – che definiscono concretamente la cornice operativa dell’impianto. Ma l’accordo ha una funzione politica fondamentale: cristallizza i rapporti di forza del presente e prova a renderli orizzonte di governo. Dentro ci sono scelte produttive, traiettorie tecnologiche, margini di compromesso ambientale e occupazionale. Il contenuto dell’accordo è variato più volte. La versione attuale prefigura la cosiddetta decarbonizzazione dell’impianto, con la realizzazione di forni elettrici. La fonte di alimentazione – e quindi il ruolo della nave rigassificatrice da collocare nel porto – è parte fondamentale della contesa. Gli scenari tecnici sono cambiati più volte, ma rimangono allarmanti secondo associazioni ambientaliste ed espertə. Nella forma attuale – per quanto migliorata rispetto al “prendere o lasciare” presentato dal governo solo poche settimane fa – il piano non disegna una transizione complessiva fondata sulla giustizia ambientale e sociale. La variabilità dell’accordo, modificato in corsa sotto pressione, ne svela la natura flessibile. È un campo negoziale, non un esito obbligato. Anche per questo il rinvio al 31 è significativo: mostra che l’accordo può essere ancora ridiscusso. È il segno che la piazza può incidere. LE RAGIONI DEL CONFLITTO Nella percezione comune in città, l’ex Ilva è un dispositivo tossico. Non solo per l’ambiente, ma anche per la vita politica, economica e culturale della città. La proposta di accordo attualmente in discussione non viene percepita come un’occasione di rottura sostanziale col passato. I problemi sono due, distinti ma in dialogo. Il primo riguarda la configurazione produttiva disegnata. L’accordo è visto come un tentativo di normalizzare la presenza dell’ex Ilva, in una congiuntura in cui la chiusura dello stabilimento – sotto il fuoco incrociato di crisi ambientale, produttiva, finanziaria – appare per la prima volta concretamente possibile. Il secondo riguarda gli impatti specifici del piano proposto: la decarbonizzazione ipotizzata comporterebbe nuovi e differenti rischi ambientali. A rendere più complessa la partita, c’è il nodo dell’AIA – l’Autorizzazione Integrata Ambientale – in discussione nella Conferenza dei Servizi del 17 luglio. È il provvedimento che autorizza il funzionamento dell’impianto e si esprime sull’attuale assetto produttivo. L’AIA di cui si discute continua a basarsi sul carbone. Il rischio è che venga approvata in fretta, rendendo cogente la continuità industriale e chiudendo ogni spazio di transizione reale. Da qui al 31 luglio si gioca una partita decisiva come poche nella storia recente della città. Dal punto di vista delle piazze, non si tratta di sommare sigle o ricostruire fronti organizzativi tradizionali. La posta in gioco è più ampia: come consolidare un “noi” plurale – sufficientemente largo da includere tutte le soggettività disposte a mobilitarsi per la giustizia ambientale? Quali parole d’ordine possono avere un impatto espansivo? Come evitare che distinguo e protagonismi indeboliscano una dinamica che, per ora, appare promettente? Il passaggio in Consiglio comunale del 30 luglio potrebbe innescare nuove convergenze. L’investitura del Consiglio comunale, chiamato a discutere dei contenuti dell’accordo di programma, ha una valenza politica simbolica e materiale. Non si tratta solo di un passaggio formale, ma della possibilità concreta di rimettere al centro della vita istituzionale i destini della città. L’iniziativa dellə consiglierə che hanno chiesto al sindaco di non firmare l’ultima versione dell’accordo ha giocato un ruolo cruciale nella riapertura della partita: ha segnalato che esiste uno scarto tra la linea governativa e una parte della rappresentanza territoriale, attenta alla pressione esercitata dalla mobilitazione. Anche se, com’è evidente, il Consiglio comunale non è un’istituzione di partecipazione diretta, può diventare, in questa fase, un luogo in cui si esercita una forma di democrazia sostanziale. Questo può avvenire se non si limiterà a ratificare decisioni prese altrove, ma svilupperà una discussione aperta, profonda, sulle alternative possibili per la città. Perché questo accada, è utile immaginare forme creative di connessione tra piazza e aula consiliare: confronti pubblici, audizioni, assemblee informali, strumenti che rendano permeabile e aperto un processo che non può richiudersi nel recinto della tecnica. COSA INSEGNA TARANTO ALLE LOTTE AMBIENTALI Come spesso accade, la partita che si gioca a Taranto supera i confini della città. Non è in discussione solo un impianto industriale inquinante, ma la possibilità di affermare una politica dell’ambientalismo capace di radicarsi anche in contesti e conflitti apparentemente distanti. A Taranto, oggi, la giustizia ambientale non si limita a una critica esterna, etica o testimoniale. Entra nel merito della contesa, rivendica spazio decisionale, ambisce a determinare l’esito del confronto. > Il punto di forza della mobilitazione è la capacità di tenere insieme una > direzione strategica chiara – la chiusura delle fonti inquinanti – con parole > d’ordine flessibili, capaci di tradursi in obiettivi intermedi – che > prefigurano e anticipano l’obiettivo finale. Il rifiuto dell’attuale accordo di programma può rappresentare una di queste: una piattaforma in grado di tenere dentro posizioni diverse, anche parziali, accomunate dalla volontà di superare l’attuale modello produttivo. È una postura che non si limita a commentare dall’esterno. Segnala un metodo di intervento politico. La piazza dimostra che le decisioni non sono blindate neanche quando sono presentate come tali. Che gli atti istituzionali sono contendibili. Che la mobilitazione può modificare il corso delle cose. LA CONTESA È APERTA Il 14 luglio, per la città, è uno snodo carico di tensione simbolica. Evocare la presa della Bastiglia fa sorridere, per ora. Ma Taranto, città di tumulti profondi, ha più volte mostrato che la storia può riaprirsi anche quando sembra bloccata. Anche stavolta, la faglia è netta: da un lato chi difende la continuità produttiva; dall’altro chi prova a praticare una discontinuità sociale e politica ad ampio spettro. Un dettaglio racconta bene il momento. Ogni sera, dal Castello Aragonese, l’inno nazionale viene diffuso dagli altoparlanti. Il 14 luglio, per un attimo, ha coperto le voci della piazza. L’effetto è straniante. Ma poi la piazza ha ripreso ritmo e voce. È l’immagine plastica dello scontro in corso: da una parte il dispositivo nazionale – governo, ministeri, apparati – impegnato a garantire la continuità produttiva a ogni costo. Dall’altra, una città che non accetta l’accordo e prova a riscrivere le condizioni del presente. L’accordo di programma, se osservato dal cuore della piazza non è un mostro intoccabile. Non è nemmeno un elemento dato. È una tigre di carta: il contenuto è cambiato più volte. Può ancora essere ribaltato. I prossimi giorni saranno decisivi. Il 16 e il 21 luglio sono già stati convocati nuovi appuntamenti pubblici. Il 30 si riunisce il Consiglio comunale. La contesa è aperta. E si può ancora vincere. Immaginare l’accordo come una tavolozza bianca, più che come un testo da emendare, è un utile esercizio collettivo. Significa non limitarsi a migliorare ciò che propone il governo, ma pretendere di definire nel complesso le condizioni, la cornice, il futuro della città. Lo scenario della chiusura delle fonti inquinanti – per la prima volta – è percepito come una possibilità concreta. È un’immagine che suggestiona. Può essere allo stesso tempo affascinante e drammatica. Può ridefinire il futuro di Taranto su coordinate radicalmente diverse. Ma non accadrà senza l’energia che è tornata in circolo. Il tempo – almeno per ora – lo ha conquistato la piazza. Ora si tratta di usarlo con intelligenza collettiva e coraggio. L’immagine di copertina è di DimiTalen, da wikicommon SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Il tempo della piazza. A Taranto si riapre la partita sull’ex Ilva proviene da DINAMOpress.