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Taranto e il perimetro dell’emergenza
Il 21 luglio, una piazza ampia e plurale ha proclamato lo «stato di emergenza democratica, sanitaria e ambientale». Un gesto carico di implicazioni politiche, rivolto al governo nazionale e alle istituzioni europee, che prende le mosse da un passaggio cruciale – il rinnovo dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) per l’ex-Ilva – ma che punta più in alto. Mette in discussione un equilibrio profondo e radicato, quello che da molti decenni tiene la città sospesa tra un’esposizione strutturale al rischio ambientale e una transizione continuamente annunciata ma mai realizzata. Le mobilitazioni che attraversano Taranto sono segnate da nuove parole. Non si limitano a denunciare la gravità dell’inquinamento: inaugurano un cambio di prospettiva. Oggi, persino tra chi difende gli impianti inquinanti, nessunə osa più negarne la nocività – a differenza del passato, quando l’occultamento del danno ambientale serviva a giustificare l’inerzia. Ora la tecnica di governo è un’altra. Se crisi non si può più nascondere, se ne rinvia continuamente la soluzione. Il governo continua a evocare percorsi di transizione ecologica, ma senza strumenti concreti per renderli effettivi. Il risultato è una paralisi mascherata da progettualità: l’inquinamento prosegue e la città è in un tempo sospeso. > La dichiarazione dei movimenti del 21 luglio cerca di rompere questo stallo. > La posta in gioco va oltre la dimensione tecnica dell’AIA: investe la > legittimità dell’intero paradigma produttivo che ha orientato – e continua a > vincolare – il destino della città. È un passaggio decisivo, anche per la tempistica. Il 30 luglio il Consiglio comunale sarà chiamato a discutere l’accordo di programma proposto dal governo, un documento giuridicamente ambiguo ma altamente significativo nella definizione dell’orizzonte urbano e industriale. Proprio su questo crinale, l’emergenza può diventare la leva attraverso cui ridefinire priorità, processi decisionali e strumenti di governo. NOMINARE L’EMERGENZA Stabilire cosa sia un’emergenza – e come vada governata – è un atto profondamente politico. Significa decidere chi ha il potere di intervenire, con quali strumenti e in quale relazione con la popolazione. Nella riflessione giuridico-politica del Novecento – da Schmitt ad Agamben – l’emergenza rappresenta l’angolo cieco del diritto: lo spazio in cui il potere sovrano si afferma sospendendo la norma. A Taranto, però, la torsione è diversa: non è l’abuso dello stato d’eccezione, ma la sua negazione a diventare tecnica di governo. L’emergenza ambientale, cronicizzata, smette di essere trattata come fatto straordinario e viene espunta dal discorso pubblico. L’evidenza dell’inquinamento non interrompe la continuità degli assetti produttivi: diventa parte del contesto. In questo scenario, la dichiarazione del 21 luglio non è solo un gesto simbolico o una forma di protesta. È un atto di riappropriazione del potere di nominare la propria condizione: un esercizio di contro-sovranità che riapre la dimensione costituente della democrazia. Le coordinate dell’emergenza sono molteplici. Alla specificità territoriale – un’esposizione prolungata e sistemica a un polo industriale ad alto impatto – si intreccia un orizzonte più ampio: la crisi climatica, la devastazione degli ecosistemi, la centralità di modelli produttivi incompatibili con i limiti del pianeta. Articolare insieme il “qui e ora” di Taranto e l’altrove diffuso della crisi ambientale globale può consentire, nello sviluppo delle mobilitazioni attuali, di sottrarre la città all’isolamento dell’eccezione e di inserirla in un paesaggio più vasto di lotte, in cui costruire alleanze, scambi, riconoscimenti. COMPOSIZIONE SOCIALE E APERTURA DEL CONFLITTO Il 21 luglio segna un salto qualitativo nelle mobilitazioni. Colpisce non solo la consistenza numerica della piazza – tra le più partecipate dell’ultimo decennio – ma soprattutto la sua composizione eterogenea. A prendere parola sono stati molteplici movimenti, soggettività ambientaliste, lavoratorə, precariə, insegnanti, studentə, genitori. Una presenza che non nasce dalla somma di sigle, ma dalla coesistenza di traiettorie esistenziali, condizioni materiali, desideri tra loro differenti e tutti legittimi, senza un ordine gerarchico. La piazza restituisce una pluralità che sfugge alle vecchie dicotomie – ambientalistə contro operai e viceversa – e si propone come spazio politico in cui bisogni, rivendicazioni e forme di vita si intrecciano e si ricompongono. > Le domande che attraversano il conflitto non si esauriscono nel rapporto tra > salute e lavoro: riguardano la qualità della democrazia, la possibilità di > influire sulle decisioni, il riconoscimento di saperi e vissuti finora > esclusi. Riflettere su chi ha il potere di nominare l’emergenza significa riscrivere la grammatica della democrazia: chi ha voce? Chi viene ascoltatə? Chi è ammesso nel perimetro della decisione pubblica? In questo senso, la scadenza del 30 luglio si profila come un momento cruciale, non solo per gli esiti dell’accordo di programma, ma per il metodo che potrebbe inaugurare. Nello scenario attuale, dopo la decisione del governo di procedere al rinnovo dell’AIA, non avrebbe senso respingere di per sé l’idea di un accordo di programma. Con l’AIA approvata, l’unico esito sarebbe la cristallizzazione dell’attuale devastazione: un presente insostenibile senza alcuna prospettiva di cambiamento. Al contrario, è necessario accettare la sfida dell’accordo, ma rovesciarne radicalmente le coordinate. Questo strumento – nonostante la sua ambiguità giuridica – può diventare l’occasione per imprimere una svolta sostanziale, a condizione che se ne riscriva completamente il contenuto, a partire dai punti fondamentali rilanciati dalla piazza: la chiusura di ogni fonte inquinante, la riprogrammazione del futuro della città in termini di ambiente e salute, ma anche di welfare, giustizia sociale e partecipazione democratica. La frattura crescente tra governo centrale ed enti locali può far crescere le mobilitazioni e suggerire un cambio di paradigma: la città non più come oggetto di decisioni imposte, ma come soggetto capace di orientare, negoziare, imporre l’ordine del discorso. In questo quadro, l’emergenza non è più solo il segno della vulnerabilità. Può diventare un’occasione per un salto qualitativo delle lotte. L’immagine di copertina è di Lanzate, creative commons SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Taranto e il perimetro dell’emergenza proviene da DINAMOpress.
Il tempo della piazza. A Taranto si riapre la partita sull’ex Ilva
UNA CREPA NEL COPIONE Il tempo, in politica, è una risorsa decisiva. Può essere mobilitata con le finalità più disparate. Nelle politiche ambientali, il rinvio è una tecnica collaudata per non intervenire davanti all’avanzare della crisi climatica. A Taranto, in questo momento, il tempo gioca un ruolo del tutto differente. Il rinvio al 31 luglio della decisione sull’accordo di programma in tema di ex Ilva non ha una mera dimensione procedurale: è un’apertura politica. Indica uno spazio di possibilità. > Per i movimenti e per quella parte di città che immagina un futuro > radicalmente diverso dalle macerie del presente, è una buona notizia. Un primo prodotto della mobilitazione collettiva che può permettere di allargare lo scenario e sperimentare nuove alleanze. In questa direzione, la mobilitazione convocata per il giorno precedente ha avuto un ruolo di primo piano. Il 14 luglio, la piazza ha fatto irruzione nella partita. Davanti a Palazzo di Città, il presidio convocato da Giustizia per Taranto ha portato in strada una composizione larga, plurale, arrabbiata. Generazioni, contesti, storie diverse. Soprattutto: un’atmosfera elettrica, come non si respirava da tempo. Le parole d’ordine si alternano: c’è chi urla “chiusura!”, chi evoca le barricate, chi se la prende con lə protagonistə istituzionali della vicenda – Michele Emiliano è il più citato. Ma la postura della piazza è chiara: rigettare l’accordo così come prospettato dal governo. Riaprire una partita che sembrava chiusa. Costruire – qui e ora –  una discontinuità radicale. Il giorno dopo, nessuna firma è stata apposta. È stata accolta la richiesta del sindaco Bitetti di sottoporre la decisione al Consiglio comunale, convocato per il 30 luglio. Nel verbale si individua anche una commissione tecnica, incaricata di valutare le opzioni progettuali. Per la città è una boccata d’ossigeno. Il tempo guadagnato è molto prezioso. Può consentire di cambiare i termini della discussione. COS’È L’ACCORDO DI PROGRAMMA E COSA PREVEDE L’Accordo di Programma è lo strumento con cui le pubbliche amministrazioni disegnano il futuro dell’ex Ilva e della città. Il suo impatto giuridico diretto è limitato: sono altri gli atti – a cominciare dall’Autorizzazione Integrata Ambientale – che definiscono concretamente la cornice operativa dell’impianto. Ma l’accordo ha una funzione politica fondamentale: cristallizza i rapporti di forza del presente e prova a renderli orizzonte di governo. Dentro ci sono scelte produttive, traiettorie tecnologiche, margini di compromesso ambientale e occupazionale. Il contenuto dell’accordo è variato più volte. La versione attuale prefigura la cosiddetta decarbonizzazione dell’impianto, con la realizzazione di forni elettrici. La fonte di alimentazione – e quindi il ruolo della nave rigassificatrice da collocare nel porto – è parte fondamentale della contesa. Gli scenari tecnici sono cambiati più volte, ma rimangono allarmanti secondo associazioni ambientaliste ed espertə. Nella forma attuale – per quanto migliorata rispetto al “prendere o lasciare” presentato dal governo solo poche settimane fa – il piano non disegna una transizione complessiva fondata sulla giustizia ambientale e sociale. La variabilità dell’accordo, modificato in corsa sotto pressione, ne svela la natura flessibile. È un campo negoziale, non un esito obbligato. Anche per questo il rinvio al 31 è significativo: mostra che l’accordo può essere ancora ridiscusso. È il segno che la piazza può incidere. LE RAGIONI DEL CONFLITTO Nella percezione comune in città, l’ex Ilva è un dispositivo tossico. Non solo per l’ambiente, ma anche per la vita politica, economica e culturale della città. La proposta di accordo attualmente in discussione non viene percepita come un’occasione di rottura sostanziale col passato. I problemi sono due, distinti ma in dialogo. Il primo riguarda la configurazione produttiva disegnata. L’accordo è visto come un tentativo di normalizzare la presenza dell’ex Ilva, in una congiuntura in cui la chiusura dello stabilimento – sotto il fuoco incrociato di crisi ambientale, produttiva, finanziaria – appare per la prima volta concretamente possibile. Il secondo riguarda gli impatti specifici del piano proposto: la decarbonizzazione ipotizzata comporterebbe nuovi e differenti rischi ambientali. A rendere più complessa la partita, c’è il nodo dell’AIA – l’Autorizzazione Integrata Ambientale – in discussione nella Conferenza dei Servizi del 17 luglio. È il provvedimento che autorizza il funzionamento dell’impianto e si esprime sull’attuale assetto produttivo. L’AIA di cui si discute continua a basarsi sul carbone. Il rischio è che venga approvata in fretta, rendendo cogente la continuità industriale e chiudendo ogni spazio di transizione reale. Da qui al 31 luglio si gioca una partita decisiva come poche nella storia recente della città. Dal punto di vista delle piazze, non si tratta di sommare sigle o ricostruire fronti organizzativi tradizionali. La posta in gioco è più ampia: come consolidare un “noi” plurale – sufficientemente largo da includere tutte le soggettività disposte a mobilitarsi per la giustizia ambientale? Quali parole d’ordine possono avere un impatto espansivo? Come evitare che distinguo e protagonismi indeboliscano una dinamica che, per ora, appare promettente? Il passaggio in Consiglio comunale del 30 luglio potrebbe innescare nuove convergenze. L’investitura del Consiglio comunale, chiamato a discutere dei contenuti dell’accordo di programma, ha una valenza politica simbolica e materiale. Non si tratta solo di un passaggio formale, ma della possibilità concreta di rimettere al centro della vita istituzionale i destini della città. L’iniziativa dellə consiglierə che hanno chiesto al sindaco di non firmare l’ultima versione dell’accordo ha giocato un ruolo cruciale nella riapertura della partita: ha segnalato che esiste uno scarto tra la linea governativa e una parte della rappresentanza territoriale, attenta alla pressione esercitata dalla mobilitazione. Anche se, com’è evidente, il Consiglio comunale non è un’istituzione di partecipazione diretta, può diventare, in questa fase, un luogo in cui si esercita una forma di democrazia sostanziale. Questo può avvenire se non si limiterà a ratificare decisioni prese altrove, ma svilupperà una discussione aperta, profonda, sulle alternative possibili per la città. Perché questo accada, è utile immaginare forme creative di connessione tra piazza e aula consiliare: confronti pubblici, audizioni, assemblee informali, strumenti che rendano permeabile e aperto un processo che non può richiudersi nel recinto della tecnica. COSA INSEGNA TARANTO ALLE LOTTE AMBIENTALI Come spesso accade, la partita che si gioca a Taranto supera i confini della città. Non è in discussione solo un impianto industriale inquinante, ma la possibilità di affermare una politica dell’ambientalismo capace di radicarsi anche in contesti e conflitti apparentemente distanti. A Taranto, oggi, la giustizia ambientale non si limita a una critica esterna, etica o testimoniale. Entra nel merito della contesa, rivendica spazio decisionale, ambisce a determinare l’esito del confronto. > Il punto di forza della mobilitazione è la capacità di tenere insieme una > direzione strategica chiara – la chiusura delle fonti inquinanti – con parole > d’ordine flessibili, capaci di tradursi in obiettivi intermedi – che > prefigurano e anticipano l’obiettivo finale. Il rifiuto dell’attuale accordo di programma può rappresentare una di queste: una piattaforma in grado di tenere dentro posizioni diverse, anche parziali, accomunate dalla volontà di superare l’attuale modello produttivo. È una postura che non si limita a commentare dall’esterno. Segnala un metodo di intervento politico. La piazza dimostra che le decisioni non sono blindate neanche quando sono presentate come tali. Che gli atti istituzionali sono contendibili. Che la mobilitazione può modificare il corso delle cose. LA CONTESA È APERTA Il 14 luglio, per la città, è uno snodo carico di tensione simbolica. Evocare la presa della Bastiglia fa sorridere, per ora. Ma Taranto, città di tumulti profondi, ha più volte mostrato che la storia può riaprirsi anche quando sembra bloccata. Anche stavolta, la faglia è netta: da un lato chi difende la continuità produttiva; dall’altro chi prova a praticare una discontinuità sociale e politica ad ampio spettro. Un dettaglio racconta bene il momento. Ogni sera, dal Castello Aragonese, l’inno nazionale viene diffuso dagli altoparlanti. Il 14 luglio, per un attimo, ha coperto le voci della piazza. L’effetto è straniante. Ma poi la piazza ha ripreso ritmo e voce. È l’immagine plastica dello scontro in corso: da una parte il dispositivo nazionale – governo, ministeri, apparati – impegnato a garantire la continuità produttiva a ogni costo. Dall’altra, una città che non accetta l’accordo e prova a riscrivere le condizioni del presente. L’accordo di programma, se osservato dal cuore della piazza non è un mostro intoccabile. Non è nemmeno un elemento dato. È una tigre di carta: il contenuto è cambiato più volte. Può ancora essere ribaltato. I prossimi giorni saranno decisivi. Il 16 e il 21 luglio sono già stati convocati nuovi appuntamenti pubblici. Il 30 si riunisce il Consiglio comunale. La contesa è aperta. E si può ancora vincere. Immaginare l’accordo come una tavolozza bianca, più che come un testo da emendare, è un utile esercizio collettivo. Significa non limitarsi a migliorare ciò che propone il governo, ma pretendere di definire nel complesso le condizioni, la cornice, il futuro della città. Lo scenario della chiusura delle fonti inquinanti – per la prima volta – è percepito come una possibilità concreta. È un’immagine che suggestiona. Può essere allo stesso tempo affascinante e drammatica. Può ridefinire il futuro di Taranto su coordinate radicalmente diverse. Ma non accadrà senza l’energia che è tornata in circolo. Il tempo – almeno per ora – lo ha conquistato la piazza. Ora si tratta di usarlo con intelligenza collettiva e coraggio. L’immagine di copertina è di DimiTalen, da wikicommon SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Il tempo della piazza. A Taranto si riapre la partita sull’ex Ilva proviene da DINAMOpress.