In carcere si muore, dietro le sbarre aumentano le vite spezzate
A Vasto un quarantenne si è tolto la vita nella Casa Lavoro dieci giorni fa.
«Anche oggi un uomo si è tolto la vita dietro le sbarre. È successo proprio
oggi, mentre scrivo queste parole, ma potrebbe essere successo anche oggi, nel
giorno in cui queste parole vengono lette da un loro occasionale lettore. Un
giorno vale l’altro e ogni giorno è buono per morire, in carcere: questa,
purtroppo, è una drammatica verità del nostro sistema giudiziario, e noi vi ci
stiamo drammaticamente abituando».
È la denuncia pubblicata da Stefano Anastasia, Garante dei diritti delle persone
private della libertà del Lazio, su Diurna.net e rilanciata due giorni fa dal
sito web istituzionale del Garante. L’articolo originale è stato pubblicato da
Diurna il 7 luglio dopo che un trentenne, con problemi di tossicodipendenza,
solo, senza relazioni, condannato per reati minori, si era tolto la vita. Il
giorno prima un uomo si era tolto la vita all’interno della Casa Lavoro di
Vasto, in provincia di Chieti. Due vite spezzate dietro le sbarre, due persone
che non hanno retto più. A Vasto il quarantenne di origine nordafricana era
stato trasferito da pochi giorni nell’Articolazione per la Tutela della Salute
Mentale.
«Sale così a 37 (più uno ammesso al lavoro all’esterno e un altro in una REMS)
la tragica conta dei detenuti che si sono tolti la vita dall’inizio dell’anno,
cui bisogna aggiungere 3 operatori – ha sottolineato Gennarino De Fazio,
Segretario Generale della UILPA Polizia Penitenziaria, la notizia del suicidio
nella Casa Lavoro di Vasto – Una strage infinita, sulla quale incide anche il
caldo record di questi giorni, ma che è solo il detonatore di numerosissimi
altri problemi atavici».
«Alla casa di lavoro abruzzese sono associati 103, fra detenuti e internati,
certamente si connota per le voragini negli organici del Corpo di polizia
penitenziaria, laddove su un fabbisogno di almeno 143 agenti ne risultano
assegnati solo 69, dunque meno della metà – sottolinea De Fazio – Anche per
questo, pare che l’articolazione per la tutela della salute mentale dov’era
allocato il detenuto suicida molto spesso resti non presidiata. A questo si
aggiungono altre difficoltà di natura organizzativa che investono pure l’area
giuridico-pedagogica (i cc.dd. educatori) dei cui funzionari, fra l’altro, pare
non sia garantita la costante presenza in tutti giorni della settimana».
«Qui ci sono cittadini come voi, lo sapete?» in occasione della presentazione
del libro “Fuoriclasse – vent’anni di scuola di giornalismo Lelio Basso” (al cui
interno tra le inchieste del libro c’è un reportage di Alessandro Leone sulle
Case Lavoro) raccontò Giuseppina Rossi, funzionaria giuridico pedagogica della
Casa Lavoro, di aver chiesto ad una scolaresca in visita ricevendo come reazione
stupore da parte dei ragazzi. Dietro le sbarre, dietro le alte mura degli
istituti penitenziari ci sono persone, vite. È banale, scontato, dovrebbe essere
ovvio. Eppure così non è. Non è colpa di quei ragazzi perché questo dato, ovvio
e scontato, viene cancellato quotidianamente dalla società intera. A partire da
coloro che hanno responsabilità di governo e istituzionali per poi scendere
lungo l’intera scala sociale.
Il suicidio nella Casa Lavoro di Vasto non è il primo in Abruzzo. Quarantenne,
l’uomo di origine nordafricana che si è tolto la vita era affetto da problemi di
natura psichiatrica. Poco più di un anno fa nel carcere Castrogno di Teramo si
suicidò, nel giorno del suo compleanno, Patrick Guarneri. Era entrato in quel
carcere solo sei ore prima, era un ragazzo autistico le cui condizioni era
incompatibili – hanno denunciato alcune associazioni l’anno scorso – con
quell’istituto penitenziario.
Alessio Di Florio