Giuliano da Empoli / Dare un nome al mondo
“In tempi difficili e pericolosi la letteratura ha il compito di dare un nome al
mondo”. Lo ha detto, non con queste esatte parole ma con questa stessa
intenzione, Albert Camus nel 1955, nel suo discorso di accettazione del premio
Nobel a Upsala. E lo ha ripreso, lo scorso 17 novembre a Mantova, Ian McEwan,
invitato per la festa di tesseramento di fine anno e per il primo appuntamento
che apre ufficialmente la corsa al trentennale di Festivaletteratura. Questa
frase “to name the world”, è molto difficile da tradurre. In rete usano la frase
“nominare il mondo”, che però in italiano suona imprecisa e appunto tradotta.
Dare un nome al mondo è migliore dal punto di vista tecnico ma usa il singolare,
che stona con il concetto sotteso a mondo, che è pluralissimo.
Ma spero di avervi comunicato il senso. Perché è quello che mi è venuto in mente
leggendo L’ora dei predatori. Il nuovo ordine mondiale visto da vicino, un
piccolo libro di Giuliano da Empoli. Di cui innanzitutto colpisce il titolo. È
chiaro che si riferisce ad alcuni Capi di Stato, ad alcuni imprenditori, ad
alcune figure pubbliche che, con quella connotazione, riconosciamo subito. Da
Empoli, studioso di politica internazionale ma anche romanziere (molto bello il
suo Il mago del Cremlino, vincitore del Grand Prix du roman de l’Académie
française), portatore sano di due culture, italiana e francese, ha accesso alle
stanze dei potenti e a quelle riunioni esclusive di cui qualche volta leggiamo
sui giornali, ma che il più delle volte ci sono ignote. Stanze e riunioni in cui
vengono prese decisioni che ci riguardano, ma che non ci vengono comunicate o
che addirittura ci vengono occultate.
La politica come ce la racconta da Empoli è ancora quella de Il principe di
Machiavelli, che sembra essere ancora uno dei pochi libri che ci danno “le
parole per dirlo”. Si sente dire o si legge, sulla stampa e sui social, che
stiamo vivendo in un nuovo Medioevo. Intendendo con questo un sistema sociale di
estreme disuguaglianze, in primis economiche e poi di diritti e libertà, in cui
il potere è concentrato nelle mani di pochissimi ed è arbitrario e
incontrollabile, in cui la mobilità sociale, la scolarizzazione obbligatoria e
gratuita, la sanità pubblica sono in via di sparizione. I nuovi potenti, quindi,
sono più simili a dei sovrani (non a caso le proteste americane contro Trump
erano piene di cartelli “No King”), che si ammantano di miti fantasiosi e vari
ma restano opachi e inconoscibili, nonostante siano a capo di stati democratici
e il più delle volte siano stati eletti dal popolo. Certo le elezioni non sono
sempre libere, e le democrazie possono essere puramente formali. Anche qui le
parole hanno il loro peso.
Il libro di da Empoli non ci aiuta a risolvere i nostri problemi, non ha
risposte per le questioni che ci angustiano e angosciano, non ha neppure la
pretesa di spiegarci il tutto. Ma ci accompagna e illumina i luoghi dove si
incontrano i potenti, per farci vedere come oggi la spettacolarizzazione, l’uso
spregiudicato delle informazioni e delle tecnologie, e soprattutto il caos sono
l’ambiente naturale per l’esercizio di un potere il cui unico scopo è la
perpetuazione di se stesso e l’accumulo di ricchezze, anche queste solo per se
stesse. Le alleanze internazionali, i summit, gli incontri al vertice, sono
gestiti attraverso la generazione di continui shock, ribaltamenti, sorprese e
imprevisti, così che alla fine la prevalenza del più prepotente, del più forte,
di quello che osa di più, del predatore tipicamente, sono garantiti. Le regole e
le istituzioni con cui siamo cresciuti, in cui abbiamo creduto, che abbiamo
magari anche malamente cercato di esportare e diffondere, non sono nulla di
universale e si stanno rivelando carta straccia al confronto di questi modi
molto più rozzi e spicci e tuttavia efficaci.
L’ora dei predatori ci conferma anche che esistono diversi mondi paralleli, che
ognuno di noi vive in uno di questi e poco riesce (o desidera) sapere degli
altri. Sui social si parla di bolle, dentro le quali stiamo immersi al punto di
credere che il mondo si esaurisca lì, nella propria bolla. E siccome i social
sono una rappresentazione della realtà, ecco che sì, viviamo ognuno in una
bolla, più o meno abitata e condivisa. Ma non è detto che si debba restarci.
Così come non è detto che le regole della democrazia, in questo momento
disprezzate e irrise, non vadano invece difese per il valore che continuano a
contenere, o per il fatto che nell’era dei predatori si vive proprio male ed è
nostro dovere di essere umani e senzienti cercare di migliorare la vita comune.
Quello che ci dà questo libro è qualche conoscenza, qualche informazione,
qualche insight in un mondo lontano, oscuro e inaccessibile. E come sempre, per
quanto la verità possa essere sgradevole, brutta e maleodorante, è sempre meglio
conoscere che cullarsi nell’ignoranza.
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