La voce del padrone. Comunicato sulla stella maris.
Il comunicato del collettivo Antonin Artaud sulla recente sentenza di primo
grado relativa ai maltrattamenti alla stella maris.
LA VOCE DEL PADRONE
“Assolti” i dirigenti al processo sui maltrattamenti alla Stella Maris
Il processo di primo grado per i maltrattamenti nei confronti degli ospiti della
struttura per persone con disabilità di Montalto di Fauglia, gestita dalla
fondazione Stella Maris in provincia di Pisa, si è concluso, dopo 7 anni di
dibattimento, il 4 novembre scorso con 10 condanne agli operatori e alle
operatrici e 5 assoluzioni. Due operatori sono stati assolti. Assolti anche il
direttore sanitario e le due dottoresse responsabili della struttura.
Hanno vinto i potenti.
Il dispositivo applica quasi appieno la tesi che la Stella Maris aveva
caldeggiato sin dall’inizio. La giudice Messina ha condannato penalmente solo
gli esecutori materiali delle violenze, ed evidentemente non poteva farne a
meno: le immagini degli abusi e dei maltrattamenti erano e restano
inequivocabili. L’assoluzione dei dirigenti medici, figure apicali, vorrebbe
rappresentare un segnale chiaro: i piani alti non si toccano.
Ma, d’altro lato, alla Stella Maris è stata riconosciuta una responsabilità
civile da quantificare in un futuro processo civile, qualora lo decideranno le
famiglie.
E, si badi bene, non è poco.
Innanzitutto perché per molti mesi si è rischiato che tutto rimanesse
impantanato sino all’arrivo della prescrizione, tanto era stata lenta e
rallentata all’inizio la successione delle udienze. Poi perché, almeno in primo
grado, una qualche forma di responsabilità, anche se solo civile, è stata
comunque riconosciuta alla Stella Maris. Alla Fondazione spetta cioè il
pagamento delle spese processuali, anche di quelle spettanti agli operatori
condannati qualora non fossero in grado di sopperire autonomamente. Una parte di
coinvolgimento anche per l’istituzione Stella Maris risulta dunque stabilita dai
meccanismi della sentenza. Il “noi non c’entriamo nulla” che trapela dal
conciliante comunicato del presidente della Fondazione (che si conclude con uno
goffo appello al «Bene» con la “B” maiuscola) andrebbe perlomeno riconsiderato
in questa prospettiva. Rimane lì a testimoniare solamente un malcelato imbarazzo
nei confronti di una vicenda che ha gettato non poco discredito sulla
sbandierata “eccellenza” dell'”Istituto di Ricovero e Cura a Carattere
Scientifico”.
Rimane il fatto che la sentenza non soddisfa la richiesta di giustizia che le
famiglie si sarebbero aspettate dopo anni di attesa. La tesi del pubblico
ministero, che assegnava alle dottoresse la responsabilità maggiore per le
violenze perpetrate all’interno della struttura, è stata di fatto ribaltata.
Colpevole non è chi aveva assunto personale non qualificato, chi aveva la
gestione della struttura, chi doveva vigilare. Colpevole è, ancora una volta,
solo la manovalanza, chi si è sporcato le mani in prima linea. Rimangono
impuniti i responsabili delle assunzioni. È andato assolto chi doveva occuparsi
della formazione del personale. È stata considerata non colpevole penalmente
tutta la filiera della gestione e dell’organizzazione che avrebbe dovuto
occuparsi della presa in carico e della cura dei ragazzi con disabilità, su su
fino alle rappresentanze più alte.
Il primo a uscire di scena è stato il direttore generale Roberto Cutajar:
dapprima condannato a due anni e otto mesi, poi assolto in appello con la
motivazione che “le responsabilità della gestione e delle assunzioni andavano
ricercate altrove”, con il cavillo che lui era il responsabile dell’intera
Stella Maris e non solo del presidio di Montalto. Le responsabili effettive
della sede Stella Maris di Montalto sono state in seguito individuate nelle due
dottoresse. Ma anch’esse alla fine sono risultate non condannabili. Siamo
curiosi di conoscere quali argomentazioni saranno addotte nella motivazione
della sentenza.
Perché rimane al momento inevasa una domanda cruciale: ma allora chi gestiva
Montalto? Chi ne presiedeva l’organizzazione, la gestione, il controllo?
Un sottile velo di omertà ha coperto sin dall’inizio le vicende di un processo
di per sé clamoroso e che avrebbe dovuto avere una ribalta nazionale. Si è
trattato del più grande processo per maltrattamenti a persone con disabilità
nella storia d’Italia. Eppure le telecamere sono state tagliate fuori sin dalla
prima udienza. Con la motivazione che, secondo la giudice, non sussisteva alcuna
rilevanza sociale per un evento di questa portata: 24 famiglie, 17 imputati, 284
episodi di violenza registrati dalle impietose microcamere (posizionate
esclusivamente negli spazi comuni) in tre mesi. E per finire, la stessa giudice
ha pensato bene di emettere la sentenza a porte chiuse. Erano presenti solamente
alcune famiglie. Come se per i 7 lunghi anni della durata del processo l’aula
fosse stata assediata da orde di parenti scomposti e irrispettosi. Eppure, mai
un urlo di sdegno, mai un commento sopra le righe si è levato nell’aula.
Non davanti alle immagini delle sevizie sui propri cari, quando qualche genitore
ha preferito uscire dall’aula piuttosto che inveire.
Non di fronte alle testimonianze di chi con arroganza parlava di “buffetti di
simpatia”, “linguaggio colorito”, “strumenti inadeguati di relazione” da parte
degli operatori.
Neanche di fronte a un consulente di parte che si permetteva impunemente di
affermare che “quelle persone non sono neanche in grado di provare dolore”.
E neppure quando, come se fosse una cosa normale, è venuta a galla l’aberrazione
dei “tappeti contenitivi”, comprati all’Ikea, spacciati come “un presidio di
civiltà” per “evitare i lividi sui pazienti” prodotti dai consueti strumenti di
contenzione fisica. Strumenti di contenzione che intanto continuavano a essere
utilizzati, producendo fratture e traumi vari.
Di fronte a questa galleria degli orrori il pubblico e i parenti hanno mantenuto
sempre un atteggiamento fin troppo rispettoso. Solo lacrime e dolore soffocato,
nel rispetto di chi avrebbe dovuto assicurare loro una parvenza di giustizia.
Solo al termine della requisitoria del PM Pelosi, nella quale erano state
individuate motivazioni e responsabilità di tanta violenza, a partire dalle
figure apicali, si è levato dai banchi in fondo (luogo di costante presenza
delle parti civili) un applauso lungo e liberatorio.
Eppure la Stella Maris sapeva. Risultano agli atti violenze compiute in quella
struttura sin dal 2002. E nel 2009 un altro operatore aveva mandato al pronto
soccorso un ospite per una ecchimosi e una frattura a un dito. E ancora nel
2014, quando lo stesso operatore avrebbe schiaffeggiato e schiacciato con le
ginocchia un adolescente. Davanti a questa denuncia il direttore Cutajar
sospenderà il responsabile, ma senza licenziarlo. Dalle intercettazioni
telefoniche nei colloqui le dottoresse responsabili della struttura lamentavano
di aver denunciato più volte i dipendenti violenti. «Questi quattro stronzi
dovevano essere mandati via illo tempore perché noi abbiamo fatto tutte le
segnalazioni all’istituzione, la quale si è ben guardata dal procedere…».
Ancora più inquietanti i messaggi dei genitori alla giornalista Maria Elena
Scandaliato della Rai che provava a intervistarli: «Io ho paura. Me lo dico da
sola che è una cosa sbagliata, ma io c’ho mio figlio lì dentro…». D’altronde il
tono degli scambi telefonici tra i dirigenti della Stella Maris, intercettati,
era questo: «I genitori sono ambigui, però io voglio dimettere tre persone, per
dare un segnale ai genitori eh… Perché loro devono stare attenti!».1
E tutto questo accadeva mentre la struttura di Montalto di Fauglia propagandava
sé stessa con queste parole tratte dalla sua “Carta dei servizi”:
«La nostra filosofia di intervento è ‘prenderci cura’ oltre che curare,
ascoltare e coinvolgere sia il paziente che i familiari. […] La nostra
organizzazione è centrata sul modello del piccolo gruppo di pazienti condotto da
educatori professionali e da assistenti con funzioni educative, che fungono da
‘io’ ausiliario o ‘compagni adulti’ dei pazienti, che li supportano
concretamente e psicologicamente in ogni atto della vita quotidiana. I diversi
programmi di trattamento sono differenziati sia sulla base dei protocolli che
sulla base delle caratteristiche individuali di ogni ragazzo che è visto come
portatore di affetti, bisogni emotivi, aspirazioni, competenze».
Hanno vinto i potenti.
Medici e sanitari dei reparti psichiatrici (e non solo) hanno avuto l’ennesima
conferma di quella sorta di scudo penale che da sempre li protegge
nell’esercizio delle loro funzioni. Troppe volte come Collettivo Artaud abbiamo
assistito alla cerimonia inconcludente della giustizia dei tribunali. Questa
sentenza assolutoria è solo l’ennesima di una lunga serie, con la conseguenza
che all’aumento della presunzione di intoccabilità dei sanitari corrisponde un
incremento del ricorso agli strumenti più controversi della pratica
psichiatrica, di derivazione manicomiale: elettroshock, contenzioni, TSO.
La Fondazione (privata) Stella Maris continuerà a ricevere contribuzioni di
milioni di euro da parte della Regione Toscana, che da parte sua si era guardata
bene dal costituirsi parte civile al processo. E, al contrario, si era premurata
di premiare l’eccellenza Stella Maris con il Gonfalone d’argento, massima
onorificenza toscana, proprio nel 2021, quando il processo era nelle sue fasi
più calde.
D’altronde non si può condannare chi sta spostando ulteriori decine e decine di
milioni di euro. 27.830 mq su quattro livelli, 44 camere per la degenza,
altrettanti ambulatori, 50 sale per l’osservazione terapeutica, 24.000 mq di
parco. Sono le cifre del nuovo ultramoderno ospedale Stella Maris che sorgerà a
Pisa, zona Cisanello. L’inizio dei lavori è stato inaugurato poco tempo fa in
pompa magna da sindaco, vescovo e autorità varie, compreso il presidente della
Regione. Quelle autorità che non hanno rivolto nemmeno una parola alla famiglie,
di fronte allo scempio del dolore e delle immagini dei maltrattamenti e di un
processo che è andato avanti per anni.
Non si può sospettare di chi agisce per conto del “Bene”. «Nei nove anni che
sono trascorsi dai fatti di Montalto di Fauglia», afferma ancora il comunicato
di Stella Maris emesso dopo la sentenza di primo grado, «abbiamo impegnato tutte
le nostre energie per migliorare sempre più le nostre attività riabilitative. Il
nostro compito è sempre quello di dare il meglio con professionalità e
soprattutto con il cuore, imparando dagli errori». A Marina di Pisa, la
struttura che sostituisce Montalto di Fauglia da quando è stata chiusa, il
personale è cambiato. Ma a Marina non può entrare nessun visitatore, neanche i
genitori o i parenti dei ragazzi. Gli ospiti vengono accompagnati all’esterno
dal personale quando i familiari vanno a prenderli.
Nel frattempo, all’interno di altre strutture chiuse, dove nessuno entra, dove
non è previsto alcun tipo di controllo sociale, storie simili a quelle successe
alla Stella Maris continuano a ripetersi, riproponendo intatti i dispositivi
delle istituzioni totali. Imperia (Villa Galeazza), Manfredonia (Stella Maris),
Foggia (Opera Don Uva), Como (Comunità Sacro Cuore), Cuneo (Cooperativa Per
Mano), Ivrea (Ospedale di Settimo Torinese), Siracusa (strutture per disabili e
anziani), Bologna (Villa Donnini), Perugia (Centro Forabosco), Decimomannu
(Centro AIAS), Brescia (Comunità Shalom), tanto per citare solamente le più
recenti. Botte, violenze, contenzioni meccaniche, maltrattamenti, insulti,
umiliazioni.
Giustizia non è fatta.
Le pratiche manicomiali sopravvivono intatte e, malgrado le promesse della legge
180, continuano a seminare dolore. E le strutture che le utilizzano continuano a
presentarsi all’esterno come paradisi di accoglienza e cura.
Troppe volte come collettivo Artaud ci siamo trovati a interagire con persone
abusate dalla psichiatria. Troppe volte la giustizia dei tribunali si è girata
dall’altra parte di fronte agli abusi perpetrati da un modello di psichiatria
obsoleto e fallimentare.
Il potere giudiziario si è rivelato per l’ennesima volta connivente con il
potere psichiatrico.
E noi continuiamo a pensarla come Fabrizio De André.
«Per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti»
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
via San Lorenzo 38, 56100 Pisa
3357002669 antipsichiatriapisa@inventati.org
artaudpisa.noblogs.org