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L’irresistibile escalation delle guerre
IL CAPITALISMO STA MOLTIPLICANDO LE GUERRE PERCHÉ È L’UNICO MODO IN CUI PUÒ SOPRAVVIVERE. ANCORA UNA VOLTA, LA DOMANDA È COSA FAREMO NOI, QUELLI DI NOI CHE SI DEFINISCONO ANTICAPITALISTI, SCRIVE RAÚL ZIBECHI. POSSIAMO AD ESEMPIO ADOTTARE, IN OGNI LUOGO A MODO SUO, LA PROPOSTA ZAPATISTA DI RESISTERE E CREARE QUALCOSA DI NUOVO, COME I BENI COMUNI, CHE RAPPRESENTANO UNA SFIDA ENORME PERCHÉ IMPLICANO PERCORSI COMPLETAMENTE NUOVI, PERCORSI CHE NESSUNA RIVOLUZIONE AL MONDO HA MAI PERCORSO FINO AD ORA Roma, 4 ottobre. Foto e bandiera di Raffaella Rossano, Tessiture di pace -------------------------------------------------------------------------------- Il capitalismo reale sta moltiplicando le guerre perché è l’unico modo in cui può sopravvivere. Guerre tra stati, guerre interne mascherate da lotta al narcotraffico o difesa della democrazia, guerre non dichiarate per accaparrarsi beni comuni, guerre imperialiste sempre più spietate. La prossima sarà probabilmente contro il Venezuela, poiché la fragile tregua a Gaza, che chiamano la “fine della guerra”, consente loro di scegliere altri scenari per continuare l’escalation militarista. Secondo l’analista Rafael Poch, l’espansione della guerra in Ucraina è imminente e potrebbe coinvolgere tutta l’Europa, minacciando di sfociare in una guerra tra le tre grandi potenze militari (La ampliación de la guerra de Ucrania está servida y bien anunciada). Dice che le élite europee mancano di storia, “non capiscono di cosa stiamo parlando e mancano sia delle conoscenze di base che della vitalità intellettuale per cercare di comprenderlo”. L’incapacità di comprendere o accettare la realtà è la strada verso il disastro. Il milionario Ray Dalio lancia da mesi l’allarme sui problemi dell’enorme e in crescita esponenziale debito degli Stati Uniti, che lui definisce la “bomba del deficit e del debito”, che rappresenterebbe una minaccia per l’ordine monetario. Ora aggiunge che “diverse guerre civili si stanno preparando in diverse parti del mondo”, in particolare nel cuore dell’Impero (Ray Dalio anticipa la economía que viene: varias guerras civiles, mucha deuda y “diferencias irreconciliables). Il mega-speculatore sostiene che si stia iniziando a percepire “un clima molto simile a quello degli anni precedenti la Seconda Guerra Mondiale”. Solo che coinvolgerà le armi nucleari. Gli economisti dell’establishment ammettono che la Cina sia già la più grande economia mondiale, rappresentando il 20% del PIL globale misurato a parità di potere d’acquisto, mentre quello degli Stati Uniti è sceso al 14%. Il 2014 è stato l’anno in cui la Cina ha superato l’Impero, ma il divario continua a crescere e aumenterà ulteriormente con le nuove politiche di Trump che si stanno rivelando controproducenti. Il rifiuto dell’immigrazione è un duro colpo per l’innovazione tecnologica, poiché è responsabile di una parte significativa delle nuove imprese del settore. “Il 29% degli imprenditori sono immigrati (sebbene rappresentino solo il 15% della popolazione); il 44% dei fondatori delle attuali aziende unicorno sono immigrati; e il 26% degli immigrati lavora nei campi della scienza, della tecnologia, dell’ingegneria e della matematica”, secondo la National Science Foundation. Cosa fai quando tutto è perduto, quando non hai più la possibilità di affrontare il tuo avversario con la minima possibilità di batterlo? Nel calcio, diciamo “infangare il campo”, sperando di prolungare il fischio finale dell’arbitro che sancirebbe la sconfitta. Le classi dominanti stanno facendo proprio questo. In questo caso, la sopravvivenza del capitalismo è genocidio, più guerre e una strategia di confusione che mira a intorbidire le acque, a confondere le persone per rimanere… le classi dominanti, al di là del nome del nuovo sistema. Parte di questa strategia di confusione è la presunta firma del trattato di pace a Gaza. Sappiamo tutti che la guerra è iniziata con la Nakba nel 1948, l’espulsione forzata di quasi un milione di palestinesi, la distruzione di centinaia di villaggi e della stessa società palestinese. Non c’è mai stata pace. Ciò che è iniziato due anni prima è stato un genocidio, una fase superiore della guerra contro quel popolo. La presunta fine della guerra è stata decisa per continuare a saccheggiare la Palestina senza troppa attenzione mediatica, lasciando le mani libere per iniziare una nuova guerra. L’enorme mobilitazione globale a sostegno del popolo palestinese, che ha dovuto essere riflessa anche dai media mainstream, ha portato i responsabili a fare ciò che fanno sempre: mascherare il dominio con nuove modalità, cambiando semplicemente la veste grafica per mantenere tutto uguale. Questo è il cuore del cosiddetto progressismo, solo che questa volta la manovra è stata orchestrata dall’estrema destra di Trump. Ancora una volta, la domanda è cosa faremo noi, quelli di noi che si definiscono anticapitalisti e antimperialisti. Potremmo soccombere a questa manovra allentando la nostra resistenza e solidarietà, il che rappresenterebbe una grave sconfitta. Possiamo affrontare direttamente la guerra del sistema con la nostra guerra, il che ci porterebbe a facilitare un nuovo genocidio. Possiamo adottare, in ogni luogo a modo suo, la proposta zapatista di resistere e creare qualcosa di nuovo, come i Beni Comuni, che rappresentano una sfida enorme perché implicano percorsi completamente nuovi, percorsi che nessuna rivoluzione al mondo ha mai percorso fino ad ora. A poco a poco, stiamo arrivando a capire che i Beni Comuni sono una nuova strategia o forma di lotta e resistenza. Se ho capito qualcosa, credo che sia un modo per rafforzare la resistenza e, allo stesso tempo, un percorso verso la costruzione di un mondo nuovo. Una sorta di cardine che dobbiamo esplorare, trapiantare in ogni realtà, testare, fallire e così via. -------------------------------------------------------------------------------- Pubblicato anche su La Jornada -------------------------------------------------------------------------------- LEGGI ANCHE QUESTO ARTICOLO DI MASSIMO DE ANGELIS. > La risonanza vitale e il potere incrinato dalla piazza -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo L’irresistibile escalation delle guerre proviene da Comune-info.
Ascoltare i morti
LA CULTURA POLITICA ZAPATISTA IMPLICA CRITICA E AUTOCRITICA E COMPORTA UN NUOVO MODO DI PENSARE E DI FARE Foto di Red de Apoyo Iztapalapa Sexta, che ringraziamo -------------------------------------------------------------------------------- L’assemblea dei morti, caduti nella lotta, dialoga con gli zapatisti vivi. Questo scambio è stato rappresentato nel primo spettacolo dell’Incontro di Ribellioni e Resistenze, “Algunas partes del todo“, al Semenzaio di Morelia dal 2 al 16 agosto. I morti spiegano ai combattenti attuali che nella storia delle rivoluzioni e delle lotte la piramide si riproduce sempre; ci sono sempre alcuni in cima. E chiedono loro di non ripetere i loro errori perché, se lo facessero, la piramide permarrebbe, e con essa le stesse oppressioni contro cui si sono ribellati. Ecco quanto è semplice la storia del XX secolo, vista dal basso. La cultura politica zapatista comporta cambiamenti fondamentali rispetto a ciò che generazioni di ribelli hanno appreso e riprodotto fino ad oggi. Non si tratta di piccoli cambiamenti di stile o di parole, ma di una trasformazione radicale e profonda che implica critica e autocritica, portando a un nuovo modo di vedere e di fare. Se consideriamo ogni singolo aspetto della lotta rivoluzionaria, possiamo comprendere la profondità dei contrasti tra lo zapatismo e la vecchia cultura politica di sinistra. Negli anni Settanta, uno degli slogan che ci guidava era: “Siate come il Che”. Da un lato, faceva appello a un’etica di impegno militante, di mettere a repentaglio il proprio corpo e dare la vita se necessario, che trovo ancora valida. Dall’altro, ci invitava a seguire le sue orme, il che trovo problematico perché propone un percorso senza aver fatto una valutazione autocritica. Dal 1994, l’EZLN ha intrapreso un cammino proprio, tracciato dai popoli organizzati e non dall’avanguardia, che è stata presto rovesciata, forse mettendo al timone il CCRI (Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno). Il motto “comandare obbedendo” implica una rottura completa con i modelli d’avanguardia che obbediscono solo a ciò che viene deciso dalla leadership dell’avanguardia, ovvero maschi, bianchi o meticci, con istruzione universitaria, ben parlanti e poca o nessuna disponibilità ad ascoltare la gente. Una rivoluzione in lotta. Ma così diversa, così distinta, che molti militanti non hanno la capacità o la volontà di comprendere, di accettare che le cose non debbano essere come prima. Per quanto l’EZLN cerchi di spiegare di essere un movimento diverso, non è facile per chi rimane fedele alla vecchia cultura politica comprendere in cosa consistano la proposta e i modi di fare zapatisti. Una prima questione si riferisce a quel dialogo tra morti e vivi, che si riassume nella piramide e nella necessità di distruggerla o abbatterla, non di capovolgerla, come ha sottolineato il Capitano Marcos in uno dei suoi recenti comunicati. Una seconda questione riguarda i concetti di trionfo e sconfitta, per fare solo un esempio. Per la vecchia cultura, il trionfo è la presa del potere o, nella versione elettorale, l’accesso al Palazzo del Governo. Si tratta di riunire molte persone, che chiamano “masse”, che sono quindi inerti, attratte dall’attuale capo o leader, che devono semplicemente seguire. Per avere successo, non è solo necessario essere numerosi, ma anche unirsi e unificare i propri ranghi in modo da poter essere guidati dall’alto della piramide. In questa cultura, la piramide non solo è necessaria, ma diventa il centro, e questo dipende da chi sta in cima, sotto questo o quel nome. Potrebbe essere Evo Morales o chiunque altro, e quando se ne va, tutto crolla perché ha prosciugato l’energia collettiva, disorganizzando le persone, che ripongono tutto al di fuori di sé, nell’attuale capo o leader. Per il popolo, trionfare, guadagnare, significa rimanere persone. Qualcosa che non implica entrare nel palazzo, prendere il potere dagli altri, cosa che non serve a nulla e indebolisce il popolo. Si tratta di costruire il nostro: salute, istruzione, potere, o come vogliamo chiamare quel modo di prendere decisioni e di farle rispettare. In terzo luogo, il dialogo con i morti richiede una valutazione delle rivoluzioni passate. Tutte sono cominciate con la crisi degli stati nazionali, e tutte li hanno resi più forti, più potenti, mentre le loro società sono diventate più fragili e dipendenti. In breve, più piramidi, più alte, più imponenti. Questa è la triste realtà di tutte le rivoluzioni, sebbene abbiano portato anche cose positive al popolo. C’è molto di più che si riassume nei sette principi zapatisti. La cultura dell’avanguardia è molto simile a quella della sinistra elettorale: consiste nel prendere il potere. Ecco perché sono passati così facilmente dalla guerriglia alle elezioni. Lo zapatismo rappresenta qualcosa di diverso. Rifiuta l’omogeneità come tentativo di dominio fascista; rifiuta l’unità perché si realizza sotto la guida di qualcuno, individuale o collettivo. Niente di più, niente di meno. -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Ascoltare i morti proviene da Comune-info.
Nota sul Comune
PER GLI ZAPATISTI IL “COMUNE” NON È UNA VERITÀ CONSOLIDATA MA UNA PAROLA CHE RIGUARDA IL CONCETTO DI LOTTA E CHE IMPLICA UN CAMPO APERTO DI DISCUSSIONE. SAPPIAMO PERÒ CHE IL COMUNE È QUALCOSA DI ORGANIZZATO IN BASSO. SAPPIAMO PURE CHE NELLA LORO IDEA DI CAMBIARE IL MONDO IN PROFONDITÀ C’È IL RIFIUTO CONVINTO DELLA LOTTA FONDATA SU CATEGORIE DI DOMINIO COME EGEMONIA E IDENTITÀ. SAPPIAMO, INOLTRE, CHE TUTTO CIÒ IMPLICA UNA CRITICA DELLE FORME DI POTERE DEL CAPITALE, A COMINCIARE DALLO STATO In memoria di Gero, promotore del CELMRAZ, Centro Ribelle Autonomo Zapatista per le Lingue Spagnole e Maya di Oventik Cosa si intende per “Comune”, di cui gli zapatisti parlano oggi con particolare enfasi? Qual è il suo concetto e la sua incarnazione pratica? Questo non mi è sufficientemente chiaro e, poiché sono molto interessato all’argomento, mi sono concesso la seguente riflessione, a rischio di un’alta probabilità di errore. Ma è un rischio necessario. Perché seguendo il metodo o la via zapatista, possiamo basarci sulla prospettiva che “Comune” non è una verità consolidata, ma piuttosto una parola che implica un campo aperto di discussione. E questo perché quella parola, per come la intendo io, è un modo di nominare diverse lotte che nascono dall’antagonismo della forma capitalista delle relazioni sociali. In questo senso, diamo per scontato che “Comune” sia parte di un processo in costruzione “dal basso e verso sinistra”; come detto sopra, è qualcosa di aperto, e non qualcosa di dato, definito e cristallizzato in una forma sociale già evoluta. Di certo, sappiamo che il Comune è una parte fondamentale delle lotte zapatiste, nella cui esperienza la critica della proprietà in ogni sua forma (il tema della non-proprietà) è un asse centrale. Tuttavia, non è difficile rendersi conto che ciò che nomina va oltre quella particolare esperienza, e che al suo interno esiste un livello più generale che ci interpella ed è legato al concetto stesso di lotta. Questa domanda appare più chiara quando ci poniamo la domanda sul comune del Comune. Qual è il comune del Comune? L’essenza della domanda ci spinge verso una risposta affermativa e una definizione (è questo, è quello, ecc.). Tuttavia, dovremmo piuttosto sottolineare la negatività manifestata in particolari lotte: la forza di ciò che viene negato nella forma di classe delle relazioni sociali; il traboccamento di quella forma da parte di ciò che viene negato; la crisi di quella forma dovuta a questo traboccamento. In questo senso, ciò che ci interessa sottolineare è che il tema del Comune apre la possibilità di una discussione attorno all’idea di lotta di classe, con una particolarità: non sussumerla in un campo già teoricamente cristallizzato, ma aprirne criticamente il concetto. Sviluppare un’argomentazione ampia e approfondita su questo tema esula dallo scopo di questa breve nota, che mira solo a esprimere intuitivamente un approccio personale all’argomento. Tenendo presente ciò, ci interessa sottolineare che l’idea di lotta di classe ha una sua storia, e che non è stata univoca, ma piuttosto un campo di disputa teorica con conseguenze pratiche. Un tratto che va evidenziato in questa storia è la positivizzazione e la reificazione del concetto. In questo spostamento, l’idea di lotta di classe ha gradualmente perso il suo contenuto critico-dialettico. La caduta dell’URSS ci ha rimandati al 1917, questa volta per interrogarci su una sconfitta storica. La domanda ci perseguita, ed è parte del nostro sogno anticapitalista. In questo senso, come possiamo mettere in relazione il Comune con una controlettura dell’idea reificata di lotta di classe? Per un approccio, è necessario considerare l’idea di rivoluzione che gli zapatisti hanno dispiegato nelle loro dichiarazioni e nella loro pratica. Come è noto, questa idea rifiuta la lotta come soluzione pratica ed epistemica, espressa in categorie di dominio come egemonia, omogeneità, identità e altre; ciò implica una critica delle forme di potere del capitale, in particolare dello Stato. Hanno sostenuto che lo Stato non è una soluzione ma un problema (ciò non implica un rifiuto astratto del soggetto, ma piuttosto la necessità di sviluppare, dal basso, un’altra politica, coerente con la critica di questa forma). Il Comune dello zapatismo non va confuso con l’idea di una comunità particolare; e, in generale, con una politica epistemicamente fondata su una chiusura identitaria. In questo senso, si può dire che il Comune designa qualcosa che non può essere afferrato con categorie di totalità, ma piuttosto in termini di crisi della totalità e della sua critica, fondata sulla necessità di abolire il lavoro astratto come nucleo della forma di classe delle relazioni sociali. In altre parole, il Comune può essere inteso come categoria critica solo in termini negativi (non identitari). Perché ciò che chiamiamo beni comuni è ciò che viene negato nella classe come forma di dominio del capitale; ma è anche il negativo della classe e, in quanto tale, la testimonianza di una possibilità storica, quella della dissoluzione della classe e di un universale che si riproduce in e attraverso quella forma. In questo senso, sarebbe necessario dire che la classe è una categoria contraddittoria. Da un lato, è una forma di relazioni sociali e, in quanto tale, condensa il dominio del sistema, dell’universale; dall’altro, è la possibilità oggettiva di creare un mondo liberato dalla forma di classe delle relazioni sociali. Vale la pena parlare, quindi, di “Comune” come un modo per dare un nome alla lotta per quest’altro mondo. A volte questo viene presentato come un’atmosfera, come un’aria, come qualcosa che va oltre definizioni specifiche e dimensioni operative; tuttavia, il Comune è qualcosa di organizzato dal basso, dal cuore della lotta, che è anche un’idea. Ogni lotta ha il suo linguaggio specifico. Il linguaggio comune della lotta non è l’imposizione di un linguaggio generale dall’astrazione del pensiero, ma emerge piuttosto dalla comunicazione delle lotte. -------------------------------------------------------------------------------- Pubblicato sul numero 3 della Revista Crítica Anticapitalista (intitolato Crítica Anticapitalista 3 – La Tormenta, la castástrofe… ¿Y ahora qué?) di Comunizar, non-collettivo argentino fratello di Comune. Traduzione di Comune. Sociologo e storico guatemalteco, Sergio Tischler insegna all’Università di Puebla, in Messico, dove vive da molti anni. Alcuni suoi saggi sono stati tradotti in più lingue. Con John Holloway e Fernando Matamoros è autore di Negativity and Revolution. Adorno and Political Activism (Pluto press). In Italia, nel 2010 è apparso un volume di cui è tra gli autori: Zapatismo: tracce di ricerca (editpress). -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Nota sul Comune proviene da Comune-info.