David e William Genchi / Ludopatie black fantasy
David e William Genchi – lasciatemelo dire – sono due fottuti geni. Mi dispiace
solo esserci arrivato con tanto ritardo. Esordire nel settore dei libri-gioco
non è facile, perché si è sempre costretti a confrontarsi con i mostri sacri del
genere, con una profonda tradizione underground, con una lunga serie di cavilli
tecnici e con esigenze di originalità ed efficacia che rischiano di remare
contro questa stessa tradizione e questi stessi cavilli. In breve, si deve
scegliere tra l’ennesima riproposizione di Lupo Solitario e un salto nel buio; è
questo il bivio primordiale, il meta-bivio di tutti i giochi a bivi. I fratelli
Genchi, dal canto loro, hanno deciso di lanciare una testata nucleare sul
problema e ripartire da un’apocalisse tanto narrativa quanto strutturale.
A cominciare dal titolo, Analwizards proietta il giocatore in un contesto
provocatorio e di rottura, a metà strada tra il grottesco, il weird e lo
splatter. Questo anche grazie al contesto offerto dalla casa editrice
marchigiana Hollow Press, una delle realtà più felici e di successo del nostro
panorama editoriale indipendente. Non è un caso che questo stesso editore sia
anche dietro a uno di quei libri che non solo si prefigurano come futuri
classici ma che, al contempo, hanno contribuito alla nascita di un vero e
proprio genere fumettistico-letterario: Vermis (due volumi), il lorebook ideato
e realizzato dal misterioso illustratore conosciuto come Plastiboo. Per questo
la decisione di produrre un libro-game venduto a un prezzo concorrenziale (che
purtroppo ci priva di una copertina rigida), ma dall’alto profilo qualitativo
(avete idea di quanto diavolo costi stampare tutte queste pagine a colori?) la
dice lunga sulla mentalità dell’editore. Ancor più perché Analwizards si propone
al lettore in modo sfacciato, riversandogli addosso ettolitri di assurdità,
humour nero e nichilismo incendiario. Un coraggio che deriva da una forte
cornice editoriale e da un altrettanto forte fanbase.
Un ovvio plauso va al sistema di gioco, così chiaro e semplice da evidenziare
ancor di più l’intento estetico dei due autori: chiunque può dare inizio a una
run di Analwizards, a patto di riuscire a sopportarne il contenuto. Il formato è
lo stesso delle vecchie riviste anni ’80, quelle che negli Stati Uniti (ma anche
in Italia) pubblicavano moduli non ufficiali per GDR, dungeoncrawler, racconti e
miniserie giocabili; una fucina di intuizioni e sperimentazioni alle quali
Analwizards rende tributo solo per congedarsene con più convinzione. Ok, è vero,
in Analzwizards ci sono pur sempre i bivi, ma non si tratta della classica
soluzione logico-strutturale – ossia di una scelta dettata dalla fruibilità.
Anzi. È evidente come i fratelli Genchi si siano calati appieno in una mentalità
“dungeon”, più vicina a una sensibilità estetica o musicale, che a semplici
questioni di design. Se dovessimo parlare di progettazione, infatti, si potrebbe
addirittura dire che l’obiettivo del gioco sia quello di disorientare e
scoraggiare il lettore, più che assecondarlo. La stessa struttura narrativa
induce a pensare che non si riuscirà mai a percorrere tutti i percorsi contenuti
nel libro – a meno di non dedicargli la medesima attenzione che si potrebbe
riservare a un cosiddetto “videogioco hardcore”. Il modello, insomma, è quello
della proliferazione e della dispersione; qualcosa di estremamente simile a quel
che si può trovare in un libro ergodico quale Casa di Foglie, o in un album
grindcore o harsh noise.
L’esperimento è riuscito in maniera esaltante, complice l’impiego del fumetto
anziché del semplice testo narrativo. Decisamente esaltante il disegno, che
riesce a fondere e ibridare caratteristiche e palette che riportano alla mente
la seconda generazione di serie animate Cartoon Network e Nickelodeon; i
classici del fumetto beat, psichedelico e underground; Hieronymus Bosch; lo
splatter; il manga e l’eroguro giapponese. Una combinazione all’insegna del
bizzarro, che tanto più la si frequenta tanto più convince. Altrettanto
straordinaria la caratterizzazione dei personaggi, tenuta sempre in bilico tra
l’esilarante e l’estremamente perturbante; impossibile non ridere, non
schifarsi, non restare vagamente allibiti – in breve, non farsi coinvolgere
nelle dinamiche di questo folle universo.
Analwizards è, a mio parere, destinato a diventare un punto di riferimento per
chiunque, in Italia, l’estremo in tutte le sue forme e sia fermamente convinto
che possa avere anche una funzione ludica e felicemente perversa. Lo stesso vale
per il mondo dei libri-game, che con questa pubblicazione vede rompersi diverse
barriere e aprirsi un bel po’ di sentieri. A Cesare quel che di Cesare; ai
Genchi, si spera, fama internazionale.
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