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Giornata della Cultura Saharawi: un’Italia che ascolta, accoglie e condivide
Tra 1, 2 e il 3 agosto 2025, in numerose città italiane si sono svolte iniziative per celebrare la Giornata della Cultura Saharawi. Eventi pubblici, partecipati e profondamente sentiti, hanno offerto occasioni di incontro e riflessione sulla storia, le tradizioni e la resistenza del popolo saharawi. Promosse dalla Rete Saharawi e dalla Rappresentanza del Fronte Polisario in Italia, queste giornate hanno visto la partecipazione di autorità locali, associazioni, centinaia di volontari e rappresentanti istituzionali, tra cui personalità del Governo algerino, paese che dal 1975 accoglie nei propri territori i campi profughi saharawi della RASD – Repubblica Araba Saharawi Democratica, proclamata nel 1976. Un legame, quello tra il popolo italiano e il popolo saharawi, che si è consolidato nel tempo grazie anche al progetto “Piccoli Ambasciatori di Pace”: dal 1982, oltre tremila bambini e bambine saharawi sono stati accolti ogni estate in Italia, creando relazioni durature con famiglie, comuni e territori, molti dei quali hanno sottoscritto patti di amicizia e solidarietà con le tendopoli saharawi. A partire dal 2024, ogni primo sabato di agosto, gli accompagnatori saharawi, le associazioni e i volontari impegnati nel progetto celebrano questa Giornata della Cultura Saharawi, per raccontare la bellezza e la forza di una cultura millenaria, e al tempo stesso rinnovare l’impegno verso la causa del popolo saharawi e il suo diritto all’autodeterminazione. Quest’anno, le principali iniziative si sono svolte in: Campania – ad Agropoli (Salerno), presso l’Oratorio Padre Giacomo Selvi, grazie all’Associazione Piccoli Ambasciatori di Pace, in collaborazione con la Rete Saharawi e la Rappresentanza della RASD, con la partecipazione di Chaouki Chemmam, Console generale Algerino Napoli, Fatima Manfud, Rappresentante Fronte Polisario in Italia e Taleb Brahim Elkhalil, Responsabile del Dipartimento agronomia presso il ministero dello sviluppo economico della RASD (Repubblica Araba Saharawi Democratica). Lazio Nerola (Roma), insieme al Comune di Nerola e grazie all’Associazione Nerola ed Acquaviva per la Tradizione e il Futuro. Il 3 agosto ad Anguillara (Roma), grazie ad A.S.A.P.S., presso Oratorio Regina Pacis Emilia-Romagna • a Nonantola (Modena), grazie all’Associazione Kabara Lagdaf • a Sesso (Reggio Emilia), presso la Parrocchia di Villa, grazie all’Associazione Jaima Sahrawi, con il sostegno della Rete Saharawi e della Rappresentanza della RASD • a Bedonia (Parma), presso il Parco Peschiera, grazie a BedoniAccoglie e all’Associazione Help for Children Parma • il 3 agosto a Castenaso (Bologna), grazie all’Associazione El Ouali – Bologna Toscana – a Grassina (Bagno a Ripoli, Firenze), presso la Casa del Popolo, grazie al Comitato Selma, Saharawinsieme, CittàVisibili e la Rete Saharawi Per raccontare il significato profondo di questa giornata, vogliamo prendere in prestito un’immagine centrale della cultura saharawi: la cerimonia del tè. Secondo una leggenda del deserto, per preparare il tè servono tre cose: il fuoco, la compagnia e il tempo. In arabo: jimar, jamaʿ, jar. Il fuoco è la forza della volontà, la determinazione che non si spegne: come quella del popolo saharawi, che da decenni resiste all’occupazione e all’oblio. La compagnia è la presenza degli altri, lo stare insieme: perché non esiste cerimonia del tè da soli, così come non può esserci giustizia senza solidarietà, come ha scritto un sostenitore della causa saharawi. E il tempo è l’impegno che si rinnova ogni giorno, senza scorciatoie. “Non può esserci vera solidarietà senza un impegno costante per la giustizia. Questo significa lottare contro le ingiustizie sociali, economiche e politiche che affliggono il mondo, cercando di costruire una società più equa e giusta per tutti.”1 Con questo spirito, la Rete Saharawi continuerà a costruire ponti, mantenere viva la memoria e sostenere la lotta pacifica del popolo saharawi per il diritto all’autodeterminazione, nella convinzione che la cultura sia uno degli strumenti più forti per generare consapevolezza e trasformazione. 1 Il Decalogo della Solidarietà, le parole di Papa Francesco Redazione Italia
Sahara Occidentale: arriva khaima.net per dare voce agli attivisti
“Khaima”, cioè tenda in lingua araba, vuol dire “luogo del cuore” nella cultura saharawi, simbolo di ciò che accoglie ma anche di resistenza: per questo un gruppo di giornalisti e attivisti ha scelto questa parola per il nuovo portale di approfondimento Khaima.net. Con l’agenzia Dire ne parla uno dei suoi membri e fondatori, Mohamad Dihani, rifugiato saharawi in Italia. “Intendiamo portare la voce del popolo saharawi in Italia” spiega. “L’idea è partita da giornalisti e attivisti che si trovano nelle regioni occupate dal Marocco e coinvolgerà anche attivisti che, come me, vivono all’estero con lo status di rifugiati”. Nel 1976 il popolo saharawi proclamò la nascita di una Repubblica democratica araba in un territorio ricco di fosfati e risorse naturali, a poche ore dalla fine del mandato spagnolo – di eredità coloniale – del territorio collocato tra il sud del Marocco e il nord della Mauritania, che passava sotto il controllo del Marocco. Rabat da allora ne rivendica la piena sovranità. Fino al 1991 si era però combattuta una guerra, che si era conclusa con un cessate il fuoco e una risoluzione delle Nazioni Unite che aveva stabilito la tenuta di un referendum tra le popolazioni locali per scegliere tra l’annessione della regione al Marocco oppure la nascita dello Stato indipendente. Come avverte Dihani, però, “i saharawi ancora aspettano di vedere riconosciuto il proprio diritto all’autodeterminazione”, mentre il cessate il fuoco che aveva retto per tre decenni, “tre anni fa è stato rotto”. Oggi, continua il reporter-attivista, “vediamo che il diritto internazionale viene violato in tutto il mondo e quindi anche nel Sahara occidentale: rileviamo violazioni sistematiche contro gli attivisti, con arresti e aggressioni sono continue”. Khaima.net riporta di quattro attivisti aggrediti dalla polizia marocchina a maggio, citando un comunicato dell’Isiacom, l’Organizzazione saharawi contro l’occupazione marocchina. Parte della popolazione saharawi vive nel sud dell’Algeria, dove fanno base anche i vertici del governo dell’autoproclamata Repubblica democratica araba guidata dal Fronte Polisario. Secondo Dihani, le violenze colpirebbero “anche i rifugiati laggiù”. L’attivista inoltre denuncia che quando questi rifugiati tentano di “tornare nelle parti liberate, vengono bombardati da droni marocchini”. A livello politico, Dihani avverte che la risoluzione Onu del 1991 “viene ancora bloccata alle Nazioni Unite da Francia e Spagna, che sostengono le rivendicazioni del Marocco”. E così, essendo decaduto il cessate il fuoco, “è tornata la guerra” denuncia il giornalista: “Le due parti si colpiscono a vicenda, come accade in tante zone dell’Africa e del Medio Oriente”. Quest’ultima regione secondo il co-fondatore di Khaima.net “sta oscurando mediaticamente tanti conflitti, come quello in Sudan, dato che il mondo è concentrato sul genocidio in corso a Gaza, che invece viene protetto da quei governi che dovrebbero fermarlo e che appoggiano anche il governo che lo sta commettendo”. Dihani sottolinea: “Riteniamo che tutto ciò danneggi la fiducia per i governi democratici e le istituzioni internazionali (come Onu e Ue)”. Il giornalista continua: “Noi africani abbiamo sempre creduto nella democrazia ma oggi vediamo violate tutte le leggi, locali e internazionali, pur di opprimere le voci di chi vorrebbe denunciare”. Secondo Dihani, Israele non sarebbe un pericolo solo per i palestinesi, ma per gli stessi saharawi per via della “collaborazione molto stretta e sorprendente” che si sarebbe instaurata a partire dal 2021 tra Tel Aviv e Rabat, dopo la firma dei cosiddetti Accordi di Abramo. Questa si espliciterebbe, denuncia Dihani, attraverso “la costruzione di basi militari israeliane in Marocco, vendita di armi – tra cui i droni usati anche contro i civili – e programmi di spionaggio” impiegati “contro attivisti saharawi, tramite società israeliane” che avrebbero permesso di “rafforzare l’occupazione”. Relazioni che, sempre stando al giornalista-attivista, “portano molti cittadini africani a riferirsi al Marocco ormai come all’Israele del Nord Africa”. Agenzia DIRE