Sahara Occidentale: arriva khaima.net per dare voce agli attivisti
“Khaima”, cioè tenda in lingua araba, vuol dire “luogo del cuore” nella cultura
saharawi, simbolo di ciò che accoglie ma anche di resistenza: per questo un
gruppo di giornalisti e attivisti ha scelto questa parola per il nuovo portale
di approfondimento Khaima.net. Con l’agenzia Dire ne parla uno dei suoi membri e
fondatori, Mohamad Dihani, rifugiato saharawi in Italia. “Intendiamo portare la
voce del popolo saharawi in Italia” spiega. “L’idea è partita da giornalisti e
attivisti che si trovano nelle regioni occupate dal Marocco e coinvolgerà anche
attivisti che, come me, vivono all’estero con lo status di rifugiati”.
Nel 1976 il popolo saharawi proclamò la nascita di una Repubblica democratica
araba in un territorio ricco di fosfati e risorse naturali, a poche ore dalla
fine del mandato spagnolo – di eredità coloniale – del territorio collocato tra
il sud del Marocco e il nord della Mauritania, che passava sotto il controllo
del Marocco. Rabat da allora ne rivendica la piena sovranità. Fino al 1991 si
era però combattuta una guerra, che si era conclusa con un cessate il fuoco e
una risoluzione delle Nazioni Unite che aveva stabilito la tenuta di un
referendum tra le popolazioni locali per scegliere tra l’annessione della
regione al Marocco oppure la nascita dello Stato indipendente.
Come avverte Dihani, però, “i saharawi ancora aspettano di vedere riconosciuto
il proprio diritto all’autodeterminazione”, mentre il cessate il fuoco che aveva
retto per tre decenni, “tre anni fa è stato rotto”. Oggi, continua il
reporter-attivista, “vediamo che il diritto internazionale viene violato in
tutto il mondo e quindi anche nel Sahara occidentale: rileviamo violazioni
sistematiche contro gli attivisti, con arresti e aggressioni sono continue”.
Khaima.net riporta di quattro attivisti aggrediti dalla polizia marocchina a
maggio, citando un comunicato dell’Isiacom, l’Organizzazione saharawi contro
l’occupazione marocchina. Parte della popolazione saharawi vive nel sud
dell’Algeria, dove fanno base anche i vertici del governo dell’autoproclamata
Repubblica democratica araba guidata dal Fronte Polisario.
Secondo Dihani, le violenze colpirebbero “anche i rifugiati laggiù”. L’attivista
inoltre denuncia che quando questi rifugiati tentano di “tornare nelle parti
liberate, vengono bombardati da droni marocchini”.
A livello politico, Dihani avverte che la risoluzione Onu del 1991 “viene ancora
bloccata alle Nazioni Unite da Francia e Spagna, che sostengono le
rivendicazioni del Marocco”. E così, essendo decaduto il cessate il fuoco, “è
tornata la guerra” denuncia il giornalista: “Le due parti si colpiscono a
vicenda, come accade in tante zone dell’Africa e del Medio Oriente”.
Quest’ultima regione secondo il co-fondatore di Khaima.net “sta oscurando
mediaticamente tanti conflitti, come quello in Sudan, dato che il mondo è
concentrato sul genocidio in corso a Gaza, che invece viene protetto da quei
governi che dovrebbero fermarlo e che appoggiano anche il governo che lo sta
commettendo”. Dihani sottolinea: “Riteniamo che tutto ciò danneggi la fiducia
per i governi democratici e le istituzioni internazionali (come Onu e Ue)”. Il
giornalista continua: “Noi africani abbiamo sempre creduto nella democrazia ma
oggi vediamo violate tutte le leggi, locali e internazionali, pur di opprimere
le voci di chi vorrebbe denunciare”.
Secondo Dihani, Israele non sarebbe un pericolo solo per i palestinesi, ma per
gli stessi saharawi per via della “collaborazione molto stretta e sorprendente”
che si sarebbe instaurata a partire dal 2021 tra Tel Aviv e Rabat, dopo la firma
dei cosiddetti Accordi di Abramo. Questa si espliciterebbe, denuncia Dihani,
attraverso “la costruzione di basi militari israeliane in Marocco, vendita di
armi – tra cui i droni usati anche contro i civili – e programmi di spionaggio”
impiegati “contro attivisti saharawi, tramite società israeliane” che avrebbero
permesso di “rafforzare l’occupazione”. Relazioni che, sempre stando al
giornalista-attivista, “portano molti cittadini africani a riferirsi al Marocco
ormai come all’Israele del Nord Africa”.
Agenzia DIRE