Saluto a Goffredo Fofi
Qual è la possibile eredità di Goffredo Fofi? Per lui, la realtà può essere
divisa in due parti: coloro che accettano e coloro che non accettano il mondo
così come è. […] La forma della resistenza oggi è la disobbedienza civile: “Non
si deve accettare il mondo così com’è.
Da venerdì 11 luglio 2022 Goffredo Fofi vive nella compresenza. Questo discorso
pronunciato sabato 18 luglio è il saluto che le amiche e gli amici della
nonviolenza, riuniti contro l’atomica, tutte le guerre e tutti i terrorismi per
la 177° settimana a Torino, in piazza Carignano, rivolgono al grande
disobbediente.
Il funerale di Fofi, a cui ho partecipato personalmente e per il Centro studi
Piero Gobetti, insieme a Enzo Ferrara, Presidente del Centro Studi e
Documentazione Domenico Sereno Regis, è stato un non-funerale, una cerimonia che
non è stata una cerimonia, un’anticerimonia che si è svolta sabato dalle 11 alle
16 a Roma alla piccola Chiesa valdese. La Chiesa in cui ci siamo riuniti ha più
o meno le dimensioni del nostro cerchio, non di più.
All’ingresso della Chiesa c’era un registro dove visitatori e visitatrici
mettevano le firme, in fondo alla sala rettangolare il feretro, alcuni fiori,
non tanti, e una bellissima grande fotografia di lui con il bastone, quasi una
terza gamba che negli ultimi tempi lo sorreggeva e lo sosteneva nel suo
ininterrotto cammino di tessitore e di costruttore. La Chiesa valdese di Roma
può contenere meno di un centinaio di persone, ce n’erano alcune centinaia, e
poi nella strada adiacente alcune migliaia. Il suo popolo, il popolo di “Linea
d’ombra”, de “Lo Straniero”, di “Dove sta Zazà”, de “Gli Asini”. Un piccolo
movimento che si è ritrovato intorno a questo maestro non-maestro.
Il modo in cui Fofi è stato raccontato dai grandi giornali, il “Corriere della
Sera”, “la Repubblica”, “La Stampa”, è stato sorprendente, perché e stata la
prima volta che Fofi è entrato nelle prime pagine culturali dei giornali
nazionali. Ci è entrato dopo, quando non c’era più, solo in occasione della sua
morte. Il suo ricordo è stato prevalentemente nella forma del “coccodrillo” che
si riserva alle grandi personalità, come è accaduto sui grandi quotidiani, ma
anche in modo partecipe e significativo: su “Avvenire”, su “il manifesto e su
tanti post che sono usciti.
Chi ha colto e restituito il senso della sua vita è stato Mauro Biani che su “la
Repubblica” gli ha dedicato la vignetta di domenica 13 luglio 2025. Su uno
sfondo rosso, un Goffredo sereno con il bastone reclinato ci ammonisce a:
“Leggere, scrivere, disobbedire”. Con questo spirito a Roma Fofi, secondo i suoi
desideri, è stato ricordato in silenzio. Una cosa straordinaria, in questo
mondo veloce, in cui tutto si accavalla e non c’è mai tempo per nulla.
In pochi minuti Piergiorgio Giacché ha detto quello che noi presenti avevamo nel
cuore: “Il suo mestiere era creare relazioni. Era un viandante instancabile che
ci metteva insieme anche quando non lo sapevamo, noi fermi e lui sempre in
movimento. Ci passava in rivista e quando ti maltrattava sapevi che ti voleva
bene. La sua competenza era critica ed etica, due termini che non sono più di
moda”.
Dopo i brevi interventi iniziali, è iniziato un silenzio indeterminato, di cui
non era stata indicata la durata, che si è sciolto naturalmente quasi dopo
un’ora e mezza, quando a poco a poco le persone hanno creato dei piccoli
capannelli per parlare dell’amico e chiedersi, commossi, smarriti e più soli, in
che modo mantenerne viva la lezione. Concludo su questo.
Qual è la possibile eredità di Goffredo Fofi? Per lui, la realtà può essere
divisa in due parti: coloro che accettano e coloro che non accettano il mondo
così come è. Questa grande distinzione gli arrivava dal maestro dei maestri
della nonviolenza in Italia: Aldo Capitini. Chissà quante volte egli avrà letto
e riletto, proposto e riproposto questo brano da Religione aperta: “Quando
incontro una persona o anche un semplice animale, non posso ammettere che poi
quell’essere vivente se ne vada nel nulla, muoia e si spenga, prima o poi come
una fiamma. Mi vengono a dire che la realtà è fatta così, ma io non accetto. E
se guardo meglio, trovo anche altre ragioni per non accettare la realtà così
come è ora, perché non posso approvare che la bestia più grande divori la bestia
più piccola. Che dappertutto la forza, la potenza, la prepotenza prevalgano: una
realtà così fatta non merita di durare. È una realtà provvisoria, insufficiente,
ed io mi apro a una sua trasformazione profonda, a una sua liberazione dal male
nelle forme del peccato, del dolore, della morte. Questa è l’apertura religiosa
fondamentale, e così alle persone, gli esseri umani che incontro, resto unito
intimamente per sempre qualunque cosa loro accada, in una compresenza intima, di
cui fanno parte anche i morti”[1].
Mi vengono a dire che la realtà è fatta così, ma io non accetto. Una realtà così
fatta non merita di durare. Questa è la sua lezione. Se la Resistenza storica
che ci ha liberato dal fascismo e dal nazismo è stata un gigantesco fenomeno di
disobbedienza civile in nome di ideali superiori come libertà, eguaglianza,
giustizia, fratellanza dei popoli, ebbene la forma della resistenza oggi è la
disobbedienza civile: “Non si deve accettare il mondo così com’è”[2].
[1] A. Capitini, Religione aperta (1955), nuova edizione con prefazione di G.
Fofi, introduzione e cura di M. Martini, Laterza, Roma-Bari 2011, p. 79.
[2] G. Fofi, Elogio della disobbedienza civile, Nottetempo, Roma 2015.
Pietro Polito