Aree interne: anche i vescovi critici sul piano del governo
Il Piano strategico nazionale delle aree interne 2021-2027 (PSNAI), approvato
dal Ministro per le politiche di coesione è attraversato, come è stato
diffusamente rilevato, da un certo pessimismo. Si ha quasi l’impressione che di
fronte alle criticità di queste aree si sia sul punto di “gettare
definitivamente la spugna”, soprattutto quando si legge che “queste Aree non
possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza, ma non possono nemmeno
essere abbandonate a sé stesse. Hanno bisogno di un piano mirato che le possa
assistere in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento in modo da
renderlo socialmente dignitoso per chi ancora vi abita”, oppure che “nessun
Comune ha di fronte un destino ineluttabile in relazione alle coordinate
geografiche in cui si trova, ma sono molti i Comuni che rischiano un percorso di
marginalizzazione irreversibile per le dinamiche demografiche che li
caratterizzano”:
https://politichecoesione.governo.it/media/ihnf1qaq/1_contributo-cnel-demografia-delle-aree-interne-e-condizioni-per-uninversione-di-tendenza.pdf.
L’allegato al piano messo a punto dal demografo dell’Università Cattolica
Alessandro Rosina, all’Obiettivo 4, denominato “Accompagnamento in un percorso
di spopolamento irreversibile” è, per alcuni versi, ancora più esplicito: “Un
numero non trascurabile di Aree interne si trova già con una struttura
demografica compromessa (popolazione di piccole dimensioni, in forte declino,
con accentuato squilibrio nel rapporto tra vecchie e nuove generazioni), oltre
che con basse prospettive di sviluppo economico e deboli condizioni di
attrattività. Queste Aree non possono porsi alcun obiettivo di inversione di
tendenza, ma non possono nemmeno essere abbandonate a se stesse. Hanno bisogno
di un piano mirato che le possa assistere in un percorso di cronicizzato declino
e invecchiamento in modo da renderlo socialmente dignitoso per chi ancora vi
abita”:
https://politichecoesione.governo.it/media/ihnf1qaq/1_contributo-cnel-demografia-delle-aree-interne-e-condizioni-per-uninversione-di-tendenza.pdf.
Pur prendendo atto, senza alcun romanticismo, dell’oggettivo declino in atto in
queste comunità e delle difficoltà nel cercare di tirarle fuori dalla
marginalizzazione, il destino segnato che viene loro assegnato risulta per lo
meno sbrigativo, se non altro perché parliamo di 1.060 Comuni con circa 2
milioni di abitanti per una superficie territoriale di circa 51 mila kmq, che
rappresentano il 13,4% di tutti i Comuni italiani, il 3,3% della popolazione
nazionale e il 17% di tutta la superficie nazionale. Realtà ove a fianco di
indiscutibili criticità quotidiane, non mancano adattamenti, esperimenti e
resistenze che meritano di essere considerati.
Per questo, oltre 150 soggetti, tra cui docenti universitari, sindaci, urbanisti
e operatori culturali, a giugno hanno sottoscritto un appello pubblico contro
la logica dell’“irreversibilità”, che a loro avviso significa “un
accompagnamento alla buona morte, un’eutanasia”. I firmatari chiedono una
revisione del piano, invitano i Consigli comunali a pronunciarsi in merito e
offrono collaborazione per costruire strategie concrete di rilancio:
https://uncem.it/piano-aree-interne-e-lo-spopolamento-irreversibile-da-accompagnare-uncem-si-investa-nel-modo-giusto-con-la-nuova-programmazione-europea-28-34/.
Ora a far sentire la propria voce anche 139 tra cardinali, arcivescovi, vescovi
e abati, che hanno sottoscritto una “Lettera aperta al Governo e al Parlamento”
e che sarà consegnata all’Intergruppo parlamentare “Sviluppo Sud, Isole e Aree
fragili”, quale contributo affinché non ci si rassegni a sancire la morte di una
parte significativa del Paese. Nella lettera si chiede che venga esplorata con
realismo e senso del bene comune ogni ipotesi d’invertire l’attuale narrazione
delle aree interne, si sollecitino le forze politiche e i soggetti coinvolti a
incoraggiare e sostenere, responsabilmente e con maggiore ottimismo politico e
sociale, le buone prassi e le risorse sul campo, valorizzando un sistema di
competenze convergenti, utilizzate non più per marcare differenze, ma per
accorciare le distanze tra le diverse realtà nel Paese e si chiede di avviare un
percorso plurale e condiviso in cui gli attori contribuiscano a costruire
partecipazione e confronto così da generare un ripopolamento delle idee ancor
prima di quello demografico.
Occorre “ribaltare la definizione delle aree interne, si legge nella lettera,
passando da un’esclusiva visione quantitativa dello spazio e del tempo – in cui
è ancora il concetto di lontananza centro-periferia a creare subalternità – a
una narrazione che lasci emergere una visione qualitativa delle storie, della
cultura e della vita di certi luoghi: si favoriscano esperienze di rigenerazione
coerenti con le originalità locali e in grado di rilanciare l’identità rispetto
alla frammentazione sociale; s’incoraggi il controesodo con incentivi economici
e riduzione delle imposte, soluzioni di smart working e co working, innovazione
agricola, turismo sostenibile, valorizzazione dei beni culturali e
paesaggistici, piani specifici di trasporto, recupero dei borghi abbandonati,
co-housing, estensione della banda larga, servizi sanitari di comunità,
telemedicina.”
Qui la lettera:
https://www.chiesacattolica.it/aree-interne-lettera-aperta-al-governo-e-al-parlamento/.
Giovanni Caprio