L’Unione Europea non vuole più combattere il greenwashing?
> IL 20 GIUGNO SCORSO LA COMMISSIONE EUROPEA HA ANNUNCIATO IL RITIRO DELLA
> PROPOSTA DI DIRETTIVA “GREEN CLAIMS”, CHE HA L’OBIETTIVO DI CONTRASTARE
> IL GREENWASHING DELLE AZIENDE. L’ITALIA È TRA GLI STATI MEMBRI CHE HANNO
> REVOCATO IL PROPRIO APPOGGIO AL TESTO
Negli ultimi giorni pare profilarsi una clamorosa retromarcia dell’UE sulla
“Green Claims Directive“, la proposta di Direttiva pubblicata nel 2023 con
l’obiettivo di regolamentare gli annunci utilizzati dalle imprese per promuovere
e comunicare le loro precauzioni nei confronti dei fattori ambientali, sociali e
di governance.
Sostanzialmente, dunque, una direttiva che intendeva accogliere le richieste dei
consumatori e cittadini europei per stimolare un vero cambiamento delle attività
di impresa in direzione della piena sostenibilità, oggi troppo spesso
“dichiarata” dalle aziende stesse a suon di aggettivi e slogan non sempre
(eufemismo…) rispondenti alle reali condizioni.
Una situazione che ci siamo abituati a definire come “greenwashing“: le persone
chiedono alle aziende di dimostrare i loro autentici sforzi per perseguire la
“transizione ecologica“, le aziende rispondono con affermazioni roboanti ma non
verificabili e, dunque, affidabili.
Nella proposta di direttiva un green claim viene definito come “un messaggio o
una dichiarazione avente carattere non obbligatorio, compresi testi e
rappresentazioni figurative, grafiche o simboliche, in qualsiasi forma, tra cui
marchi, nomi di marche, nomi di società o nomi di prodotti, che asserisce o
induce a ritenere che un dato prodotto o professionista abbia un impatto
positivo o nullo sull’ambiente oppure è meno dannoso per l’ambiente rispetto ad
altri prodotti o professionisti oppure ha migliorato il proprio impatto nel
corso del tempo”.
Ovviamente alla base della proposta di direttiva vi erano precisi dati, da cui
emergeva come oltre la metà delle dichiarazioni ambientali esaminate nell’Ue
risultassero infondate o vaghe, compresa una moltitudine di etichette “green”
decisamente lacunose o non verificabili o, addirittura, sbandieranti principi di
sostenibilità esclusivamente “auto-certificata”.
Da qui la proposta di direttiva che, dopo un lungo iter pareva essere giunta
all’approvazione e che, invece, lo scorso 20 giugno ha visto l’annuncio di
ritiro, ufficialmente provocato da alcuni emendamenti proposti al testo
originario che andrebbero contro l’obiettivo di semplificazione della
Commissione e danneggiando in particolare le imprese più piccole.
L’Italia è tra gli Stati membri che hanno revocato il proprio appoggio alla
proposta di direttiva.
Uno stop grave, che rischia addirittura di amplificare l’abitudine di molte
imprese a promuovere i loro prodotti e servizi come elementi fondamentali del
nuovo benessere del pianeta, senza peraltro dimostrarlo.
I pubblicitari ne saranno forse contenti, i cittadini-consumatori molto meno.
E la politica europea ci auguriamo possa trovare ancora un impeto di orgoglio e
ritirare… il ritiro (della proposta di direttiva).
Ma l’ottimismo non sempre convive con la realtà, vedremo.
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