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C’è margine
Oggi, una persona su quattro vive in un’Italia in cui studiare o curarsi significa dover partire. Un’Italia che spesso non dà altra scelta se non quella di andare. Questa parte del Paese è stata a lungo romanticizzata nell’immaginario collettivo, ma raramente è stata presa sul serio. Nella migliore delle ipotesi, è diventata una meta per fughe domenicali o fine settimana di evasione urbana. Nei territori più isolati, neanche questo. Eppure, questa Italia esiste. E custodisce un potenziale ancora in gran parte inesplorato, spesso senza saperlo. Questa di cui parliamo è l’Italia delle cosiddette “Aree Interne” dove – a differenza dei poli urbani in cui si inizia seriamente a soffocare, i prezzi aumentano e la solitudine prevale sul senso di comunità – esistono innumerevoli alternative ai modelli socioeconomici attuali che tendono ad accentrare tutte le risorse e le opportunità in pochi contesti, innegabilmente sovraccarichi. Si tratta, infatti, di luoghi di immense possibilità, laboratori d’innovazione, dove l’economia non consuma ma rigenera ed è in grado di indicare la rotta per un futuro più equo, sostenibile e desiderabile per ognuno. Serve solo saper guardare. Forse tu che stai leggendo vivi proprio in un’Area Interna e sai di cosa stiamo parlando. “C’è margine” è una rete di coordinamento di abitanti, professioniste/i, attiviste/i, dottorande/i, ricercatrici/tori, reti organizzate, associazioni, enti del terzo settore, sindache/ci e cittadine/i. Scegliamo di mobilitarci e di unirci oggi grazie all’impulso di un gruppo di under 35 che ha deciso di essere la cassa di risonanza di una porzione nazionale che rappresenta il 60% dei territori e un quarto della popolazione italiana. Rappresentiamo te che appartieni a questa Italia. Rappresentiamo te che cerchi un’alternativa alla città e stai iniziando ad immaginare un futuro diverso: forse proprio in un’Area Interna. Perché nonostante le Aree Interne siano definite come quei territori caratterizzati da una distanza significativa dai centri di offerta di servizi essenziali, esse rappresentano in realtà molto di più: sono i luoghi dove può nascere un nuovo futuro. Bellezza, silenzio, patrimonio naturalistico, aria, cibo ed energia pulite, filiere corte, un forte senso di comunità e una vasta disponibilità di alloggi a prezzi accessibili. Sono fucine di modelli di sviluppo socioeconomico innovativi, comunitari e partecipati e si prefigurano a tutti gli effetti come un’alternativa ai modelli urbanocentrici che conosciamo bene. Eppure, le aree interne sono oggi fortemente minacciate dalle politiche pubbliche. Ma in che modo? Un piccolo passo indietro: originariamente le Aree Interne entrano a far parte delle azioni di Governo e delle politiche pubbliche con la Strategia Nazionale per le Aree Interne 2014-2020 (SNAI), una politica nazionale di sviluppo territoriale in risposta ai bisogni dei territori, che ha il merito di aver ispirato e generato echi in tutta Europa. Tutt’oggi rappresenta uno dei dispositivi più innovativi e visionari che siano mai stati concepiti, sia a livello nazionale che a livello europeo. Il primo ciclo di programmazione SNAI 2014-2020 portava con sé, come ci si aspetta che accada per una politica sperimentale, delle criticità fisiologiche da superare e alcuni parametri da rafforzare e/o mettere a punto nel ciclo successivo. Invece, contro ogni aspettativa, nel mese di marzo 2025, il Dipartimento per la politiche di coesione e il sud reso pubblico il Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne 2021-2027, che non solo non supera nessuna delle criticità, ma addirittura stronca e mortifica con fatalismo tutto il potenziale e le opportunità connesse a queste aree. Il sentore è che il Governo stia procedendo a togliere questo piatto dal menu, con il rischio di lasciare a digiuno una gran fetta di popolazione, presente e futura. Infatti, il nuovo documento rappresenta uno spaccato che arriva da una lettura parziale dei dati CENSIS e ISTAT sul declino demografico, sullo squilibrio intergenerazionale e sulla disparità tra territori che affligge su queste aree. Essenzialmente, si propone che ogni Comune classificato come Area Interna, e non solo, valuti in quale di queste due macabre alternative collocarsi: o avviene un “aumento progressivo delle nascite di figli per donna o fenomeni di ripopolamento” oppure si procede verso “l’accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile per quelle aree demograficamente compromesse, basse prospettive di sviluppo e poco attrattive”. Secondo il Piano possono esserci aree interne in cui si punta a una presunta esplosione di fertilità e all’accoglienza di nuove persone tra i residenti, senza però che ce ne siano i reali presupposti, e aree interne che invece devono accettare la diagnosi di una morte certa. Un aut aut senza possibilità di scampo. Ma le alternative ci sono, eccome. Quello che dagli alti funzionari di Governo viene letto come “declino” per noi rappresenta un valore aggiunto in questo momento storico. Grazie a dieci anni di lavoro, le Aree Interne sono state riscoperte, viste, abitate e raccontate nelle pratiche, nelle politiche e nel dibattito pubblico come luoghi di vita e di opportunità. Non condividiamo e non possiamo accettare di lasciare morire pezzi d’Italia nei quali è invece di assoluto interesse generale che ci sia presenza umana: lo spopolamento non è una malattia cronica, ma l’inevitabile conseguenza di scelte volute che hanno concentrato risorse e opportunità altrove. Alla luce dei dati, delle pratiche e delle energie che attraversano i territori, chiediamo che le politiche pubbliche (PSNAI 2021- 2027): — Favoriscano flussi di migrazione interna e internazionale per un’inversione di tendenza: mettere in atto politiche e disegni di ripopolamento per facilitare il movimento di flussi migratori da un paese all’altro; semplificare le procedure amministrative per la richiesta di un visto/permesso di soggiorno; promuovere l’integrazione nei territori (corsi di lingua, politiche abitative, formazione professionale etc.); incentivare il rientro di risorse che si sono formate altrove, valorizzando le competenze acquisite e sostenendo l’inserimento nelle reti locali. — Rendano le aree interne protagoniste della transizione ecologica e digitale. Progetti ambientali partecipati, formazione all’uso sostenibile delle risorse e creazione di comunità energetiche possono fare delle aree interne un modello per tutto il Paese. — Creino opportunità economiche, lavoro e spazi di innovazione. Occorrono politiche attive del lavoro, incentivi per imprese sociali e culturali, officine tematiche, laboratori di innovazione diffusi, servizi e spazi per chi vuole intraprendere e innovare nei territori. — Prevedano e finanzino per ogni comune interessato profili professionali (attivatori territoriali, facilitatori, assistenza tecnica locale, etc.) capaci di accompagnare la comunità in politiche di partecipazione in maniera continuativa per creare luoghi di confronto, spazi per la cittadinanza attiva e la co-progettazione tra comunità, giovani e amministrazioni, costruendo politiche condivise, e non per delega. — Favoriscano l’accesso alla casa e alla terra attraverso norme e regole che disincentivino l’inutilizzo di terreni, spazi e case, e che al contempo ne incentivino il riutilizzo, non solo dei patrimoni demaniali o pubblici, ma anche ecclesiastici e di soggetti privati. Riteniamo, inoltre, fondamentale una spinta maggiormente innovativa nell’ambito dei servizi essenziali già previsti, in modo da: rafforzare i servizi educativi e la formazione radicati nei territori; potenziare il welfare di prossimità e i servizi di assistenza sanitaria territoriale; facilitare una mobilità su misura. Prima che l’Italia vada in vacanza, siamo a chiedere al Ministro Foti e ai funzionari di Governo un’attenta revisione degli indirizzi del PSNAI 2021-2027 affinché si consegni ai cittadini e alle cittadine un dispositivo all’altezza di fronteggiare le sfide del presente e di fare luce sulle potenzialità delle alternative esistenti. Al contrario, non è possibile tollerare un indirizzo politico che guarda alla SNAI in generale come ad un vecchio attrezzo prossimo al pensionamento. Si rende necessario avviare un percorso di mobilitazione collettiva per vigilare sulla politica pubblica perché questa ha il dovere di essere all’altezza dei sogni/fabbisogni di ognuno e di generare un progressivo miglioramento della qualità della vita collettiva in tempi di azione rapidi e compatibili con i progetti di vita delle persone. C’è margine! è un coordinamento promosso da: Studentesse e studenti della Londa School of Economics Rete dei Dottorandi Comunali Rete RIFAI – rete italiana facilitatori aree interne Tra i principali sottoscrittori: Forum disuguaglianze e diversità Riabitare Italia LAMA impresa sociale   Per aderire al coordinamento: https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLSdlxdwUx-GtMhQOX4SMW93XQL5Y4tt7wLFC2qsx2gYKiRJZEA/viewform Olivier Turquet
E se la soluzione allo spopolamento fosse un flusso migratorio virtuoso verso i paesi?
Partendo dal dibattito che si è acceso sul tema in questi giorni, Paolo Piacentini – presidente onorario di FederTrek – prova a immaginare una risposta al problema dello spopolamento delle aree interne. Nelle ultime settimane è esplosa la polemica politica sul tema dello spopolamento delle aree interne. Il confronto dal Parlamento si è trasferito all’esterno coinvolgendo l’antropologo Vito Teti, chiamato in causa in modo alquanto maldestro dal ministro Foti. Vito ha risposto con la sua consueta lucidità e altrettanto ha fatto lo storico dell’Appennino Augusto Ciuffetti. Entrambi hanno evidenziato l’assenza di una visione chiara che, bisogna ammetterlo, viene da molto lontano e quindi ha responsabilità politiche bipartisan. Alle prime risposte accennate è seguita una lettera molto importante per contenuti e valenza politica da parte del sindaco di Gagliano Aterno Luca Santilli, a cui ha fatto seguito un articolo a più pagine, sul quotidiano il Centro. A seguito della ferma presa di posizione del sindaco di Gagliano Aterno si sono fatti sentire altri sindaci per evidenziare tutti quei fenomeni di nuovi insediamenti che danno quella speranza che il governo sembra non voler cogliere. Parlare dello spopolamento come fenomeno irreversibile vuol dire lasciare che le nostre aree interne, soprattutto in alcune aree montane più lontane dal “centro” politico e geografico, diventino un territorio da invadere con un economia estrattivista sempre più imperante. Senza riprendere le riflessioni di Vito e di Augusto, che pur nelle loro sfumature e diversità condivido da tempo, provo a mettere il dito nella piaga di alcune problematiche troppo spesso sottovalutate. Quando si parla di politiche per arginare lo spopolamento o addirittura provare ad attivare un controesodo la presenza della natura o del valore dei paesaggi sembrano essere elementi secondari perché non hanno un valore economico tangibile. Come a essere trascurata è la fragilità della maggior parte delle aree interne, soprattutto quelle montane. Di quest’ultimo problematica ci si rende conto solo quando arriva la frana di turno, fenomeno che negli ultimi è sempre più frequente. Partiamo dalla presenza delle risorse naturali nel loro insieme alle quali, da molti anni, è stato riconosciuto un valore economico attraverso il meccanismo virtuoso dei servizi ecosistemici. L’aver dato un valore economico alle risorse naturali per incentivare le comunità locali a mantenerle nel tempo anche a beneficio delle future generazioni è stata una grande novità, ma purtroppo ad oggi siamo all’anno zero. Qualche situazione è stata attivata ma rispetto alla grande opportunità di trasformazione  culturale, sociale ed economica sul come riabitare le aree interne con una nuova consapevolezza purtroppo nulla di significativo sembra emergere. Il mancato funzionamento dei servizi ecosistemici sta, in piccola parte, nella complessità del meccanismo, ma il limite più grande lo troviamo nelle  istituzioni preposte e nella politica tutta che non hanno creduto alle potenzialità di tale strumento. Immaginate una piccola comunità, anche quella più marginale in termini geografici, che viene coinvolta nella corretta gestione delle risorse naturali traendone un vantaggio economico e sociale. A quel punto, se il meccanismo dovesse andare a regime forse non servirebbero altre politiche fiscali di vantaggio e nel medio lungo termine i finanziamenti d’investimento o per la spesa corrente potrebbero trovare una finalizzazione più coerente con le esigenze delle comunità interessate. ll territorio urbano e l’area rurale hanno perso le funzioni storiche dell’attività umana e con queste anche la ritualità che dava un senso all’abitare. Se i luoghi non trasmettono più un significato legato alle attività umane – siano esse produttive, ludiche, religiose o altro – a subentrare è quello che Vito Teti definisce in modo molto chiaro come spaesamento. Si vive in un territorio come residenti senza esserne dei veri abitanti se leghiamo questo sostantivo al prendersi cura di uno spazio geografico ben definito. Non ci potrà mai essere una seria politica per la montagna e per le aree interne se le istituzioni preposte non andranno oltre quelle misure legislative, economiche e fiscali che comunque vanno messe in campo, per andare a lavorare seriamente per far nascere una nuova cultura dell’abitare. Mi capita spesso di affermare, nel mio girovagare appenninico, che il vero abitante di un luogo è colui che si prende cura dei paesaggi, intesi nella loro complessità storico-culturale, naturale e ambientale. Può esistere anche un abitare temporaneo, come accade ad esempio al viaggiatore consapevole che contribuisce a far ri-nascere un nuovo modo di rapportarsi ad ogni singolo territorio. Certo non può definirsi abitante temporaneo il turista mordi e fuggi, fosse pure “ lento” e dolce. Il territorio urbano e l’area rurale hanno perso le funzioni storiche dell’attività umana e con queste anche la ritualità che dava un senso all’abitare. Capita sempre più frequentemente che a ridare un senso all’abitare in modo nuovo le aree interne e montane siano i nuovi arrivati ed è per questo che non è assolutamente banale pensare a una politica demografica che incentivi un virtuoso flusso migratorio verso i piccoli paesi. Per stare con i piedi per terra e cercare di tenere aperto un confronto laico con chiunque ha a cuore le aree interne della nostra Penisola bisogna allora avviare una nuova stagione d’ascolto e proposta che abbia alcuni punti fermi: * Effettiva attuazione dei servizi ecosistemici, compresa la parte dei benefici immateriali per attivare la non più rinviabile alleanza tra città e montagna basata sulla consapevolezza di quanto l’urbanizzazione delle pianura e della costa dipendono dalle risorse della “spina dorsale” del Paese. * Favorire i processi migratori dalla città alle aree interne – cosa che, in piccola parte, accade da qualche anno – attraverso una seria defiscalizzazione delle attività produttive, sociali e culturali. * Frenare con norme molto stringenti i fenomeni speculativi che, oltre a essere molto spesso eterodiretti, estraggono risorse senza nessun vantaggio per le comunità locali. La politica per frenare la crisi demografica è molto complessa e la mia vuole essere un’analisi parziale che tocca aspetti scarsamente attenzionati nel dibattito pubblico. Ci torneremo.   Italia che Cambia