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Fisco: ad essere controllate sono più le piccole e medie imprese che le grandi
Sono state le piccole e medie imprese il principale bersaglio dell’attività di accertamento fiscale dell’Agenzia delle Entrate nel 2024. Su un totale di 189.578 accertamenti ordinari eseguiti lo scorso anno, ben 81.027 – pari al 43% – hanno riguardato proprio le piccole e medie imprese. In particolare, le imprese di piccole dimensioni sono state oggetto di 73.056 accertamenti (38,5% del totale), mentre quelle di medie dimensioni hanno subito 7.971 verifiche (4,2%). A fronte di ciò, la maggiore imposta accertata per queste due categorie ammonta complessivamente a oltre 9 miliardi di euro, rappresentando il 63,9% del totale di 14,2 miliardi. Al contrario, le attività ispettive rivolte ai grandi contribuenti si fermano a 1.677 accertamenti (0,9%). È quanto emerge da un report del Centro studi di Unimpresa. Nel 2024 l’Agenzia delle Entrate ha eseguito un totale di 189.578 accertamenti ordinari nei confronti di contribuenti appartenenti a diverse categorie, con una crescita dell’8% rispetto all’anno precedente, anche se il volume complessivo di attività rimane inferiore ai valori pre-Covid, che superavano le 260.000 unità. Accertamenti che hanno interessato soprattutto le imprese di piccole dimensioni, con 73.056 accertamenti, pari al 38,5% del totale, e una maggiore imposta accertata di 5.115 milioni di euro, che corrisponde al 35,9% del totale accertato. Seguono le imprese di medie dimensioni, con 7.971 accertamenti (4,2%) e un’imposta accertata di 3.983 milioni (28%) e, infine, i grandi contribuenti, per i quali sono stati effettuati solo 1.677 accertamenti, pari allo 0,9%, con un’imposta accertata di 3.181 milioni di euro, ossia 22,4% del totale. Ci sono stati poi 19.845 accertamenti sui professionisti (10,5%), che hanno generato 329 milioni di euro (2,3%), e 3.292 accertamenti sugli enti non commerciali (1,7%), con 163 milioni di euro accertati (1,1%). La categoria residuale, denominata “accertamenti diversi”, comprende 82.062 procedimenti, pari al 43,3%, per un totale di 1.432 milioni di euro, che rappresentano 10% del totale della maggiore imposta accertata. Infine, la determinazione sintetica del reddito (accertamento sintetico Irpef), pur marginale per incidenza numerica (799 accertamenti, pari allo 0,4%), ha prodotto 16 milioni di euro, equivalenti a 0,1% della maggiore imposta complessiva accertata. Complessivamente, l’attività di accertamento ha portato a una maggiore imposta accertata pari a 14,225 miliardi di euro, ma l’effettiva somma riscossa nel corso dell’anno si è fermata a 2.457,7 milioni di euro, pari a circa il 17,3% del totale. Di questa cifra, 783,2 milioni provengono da attività di controllo sul territorio, mentre 1.674,5 milioni derivano da attività interna degli uffici, inclusi avvisi bonari e definizioni volontarie. “I numeri confermano, ancora una volta, sottolinea Marco Salustri, consigliere nazionale di Unimpresa, che le piccole e medie imprese italiane restano il bersaglio privilegiato del fisco. È l’ennesima dimostrazione di un accanimento selettivo e miope, che penalizza il tessuto produttivo più fragile e vitale del nostro Paese. Colpire le pmi è facile: sono più esposte, meno attrezzate sul piano legale e più vulnerabili sul fronte finanziario, ma questa strategia non produce giustizia fiscale, né getta le basi per una riscossione più efficace. Anzi, genera sfiducia e alimenta un clima di ostilità verso le istituzioni. Unimpresa chiede da tempo una riforma equa e coraggiosa del sistema di accertamento: servono criteri proporzionali, una maggiore attenzione ai grandi patrimoni e strumenti premiali per chi si mette in regola. Basta con le logiche punitive a senso unico. Il fisco deve accompagnare lo sviluppo, non ostacolarlo”. E sempre il Centro studi di Unimpresa ha evidenziato che sono quasi 74mila gli italiani nei paradisi fiscali (periodo dal 2013 al 2023). Si tratta di cittadini italiani residenti in Paesi a fiscalità agevolata, con redditi prodotti in Italia ma tassati all’estero per un ammontare complessivo superiore a 5,1 miliardi di euro. È la Svizzera a guidare la classifica, con 51.696 contribuenti e un totale di 3,34 miliardi di euro di redditi generati in Italia e tassati oltreconfine. Seguono il Principato di Monaco, con 2.980 italiani e 716 milioni di euro, e Singapore, con 1.649 residenti e 126 milioni.  Tra le altre destinazioni più gettonate: Portogallo (4.182 contribuenti, 185 milioni), Emirati Arabi Uniti (5.505, 340 milioni), Panama (735, 40 milioni) e Tunisia (2.105, 111 milioni). Qui per approfondire: https://www.unimpresa.it/fisco-unimpresa-in-2024-oltre-43-accertamenti-su-pmi-categoria-piu-controllata/68507. Giovanni Caprio
I 35 anni della Legge 185/90: preservare controllo e trasparenza su export di armi
Si celebra oggi, 9 luglio 2025, il trentacinquesimo anniversario dell’entrata in vigore della Legge 185 del 1990 che regola l’export di armamenti italiani: una data importante a ricordo di una pietra miliare dell’azione per la Pace e il Disarmo nel nostro Paese, oltre che un’occasione per riconoscere e fare memoria del ruolo cruciale delle campagne promosse su questi temi dall’associazionismo e dalle azioni collettive. La normativa italiana sulla esportazione di armi è infatti nata a seguito della pressione della società civile, sempre più consapevole dei problemi derivanti dal mantenere segreto e dominato solamente da valutazioni economiche un commercio dagli impatti così devastanti (sulle persone e sulla Pace). Grazie a questa visione innovativa e aperta la Legge 185/90 si è configurata come un passaggio avanzato e importante, riuscendo così ad ispirare ed  anticipare i meccanismi e i criteri delle norme internazionali che oggi regolano il commercio di armi, come la Posizione Comune dell’Unione Europea e il Trattato internazionale sui trasferimenti di armamenti ATT. La Legge 185/90 si basa infatti sul principio che la vendita di armi non possa essere considerata un semplice business, ma debba essere legata alla politica estera, al rispetto dei diritti umani e al ruolo di promotrice di Pace dell’Italia sancito dall’articolo 11 della Costituzione. Un altro elemento rilevante e fondamentale è quello della trasparenza, declinato in particolare attraverso la Relazione annuale che il governo deve inviare al Parlamento, trasmettendo tutti i dati sull’esportazione di armi. Proprio dall’analisi di tali dati la società civile – in particolare la nostra Rete Italiana Pace e Disarmo – nel corso degli anni ha potuto gettare luce su decisioni relative all’esportazione di armi prese dai vari governi non sempre in linea con i criteri della norma. Tanto è vero che sempre di più, con il passare del tempo, si è arrivati a una situazione per cui la maggior parte della vendita di armi italiane viene autorizzata verso Paesi non UE e non NATO. Senza dimenticare i casi evidenti di non allineamento con le norme previste dalla Legge, o quelli con palesi violazioni della stessa: le bombe e missili verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, che le utilizzavano per bombardare civili in Yemen, il caso dei bossoli italiani coinvolti nella repressione in Myanmar, le munizioni autorizzate verso la Repubblica Dominicana ma trovate in Senegal, le licenze di vendita di armamenti rilasciate verso un Paese come Israele… Tutti casi che evidenziano come l’esportazione di armi sia un aspetto troppo importante per essere gestito in maniera opaca, come successo nei decenni di scandali prima della Legge 185/90, e dunque l’importanza fondamentale di tale norma, che ci ha permesso di avere dati ed elementi chiari e ufficiali, riuscendo così a contrastare vendite problematiche o a esercitare pressione sul sistema di politico-economico che sostiene e favorisce il complesso militare-industriale (come ad esempio nel caso della “Campagna Banche Armate“). E ci ha permesso anche di ricostruire (anno per anno) il volume del commercio di armi italiane, inserendolo anche nel quadro globale. Anche oggi nel trentacinquesimo anniversario dell’entrata in vigore della Legge 185/90 (e così come sottolineato più volte nel passato recente) la Rete Italiana Pace Disarmo chiede al Parlamento di tornare a occuparsi in maniera seria di esportazione di armi (in un quadro di controllo complessivo su dinamiche e impatti di questo tema, non certo in termini di “aiuto” per l’industria militare), portando la positiva esperienza italiana anche in sede internazionale. In un mondo sempre più insicuro e sferzato da conflitti armati diventa cruciale rafforzare e implementare il Trattato internazionale sui trasferimenti di armi ATT e i suoi criteri, recuperare un effettivo allineamento con le prescrizioni della Posizione Comune UE, indagare tutti i casi in cui materiali d’armamento italiani (ed europei) sono stati autorizzati o spediti verso luoghi di conflitto, alimentando la violenza. Il primo passo su questo cammino è ovviamente quello di rigettare la proposta di modifica peggiorativa della Legge che è attualmente in discussione alla Camera dei Deputati (dopo una prima approvazione al Senato) a seguito di un DDL di iniziativa governativa. Una proposta davvero inaccettabile e deleteria, che non solo diminuirebbe il controllo sull’export di armi e l’allineamento con i criteri della Legge (e del Trattato ATT), ma porterebbe anche a un grave indebolimento dei meccanismi di trasparenza oggi comunque presenti. Ancora una volta è la società civile (fondamentale già quaranta anni fa per giungere alla Legge con la campagna “Contro i mercanti di morte”) a essersi messa in moto in prima persona per contrastare le spinte verso decisioni che favorirebbero solo gli interessi armati a discapito di Pace e sicurezza globali e del rispetto dei diritti umani e della vita di intere popolazioni. Nonostante il recente rinvio del voto in sede di Commissioni Esteri e Difesa della Camera la Campagna “Basta favori ai mercanti di armi” (sostenuta da oltre 200 organizzazioni della società civile) sta continuando la propria mobilitazione, monitorando l’iter parlamentare, per impedire che le idee innovative e importanti della Legge 185/90 vengano definitivamente messe in soffitta. E impedire che si ritorni a una completa assenza di controllo sul commercio di armamenti, situazione che sarebbe oggi ancora più pericolosa, vista la stagione di riarmo che stiamo vivendo. Rete Italiana Pace e Disarmo