Il Nobel per la Pace va dato a Francesca Albanese
Ho trascorso trent’anni nell’Amministrazione degli Esteri in qualità di
diplomatico, prestando anche servizio a Buenos Aires, a Kathmandu e a Kabul. In
questo percorso, professionale ed esistenziale insieme, ho avuto modo di
conoscere dall’interno il modus operandi della Farnesina e dello Stato italiano
in generale.
Ho potuto così costatare, in particolare a Buenos Aires durante gli anni della
dittatura, che spesso si manifesta una dicotomia tra la cultura della Repubblica
democratica e il quotidiano operare del suo funzionariato, cui viene richiesto
di dare attuazione alle aspettative del potere reale, piuttosto che ai valori
fondanti della nostra Costituzione. Valga, a titolo d’esempio, la partecipazione
italiana alla prima guerra del Golfo, presentata in Parlamento come operazione
di polizia internazionale e come tale approvata.
Francesca Albanese, dal 2022 relatrice speciale delle Nazioni Unite sui
territori palestinesi occupati, sta svolgendo un ruolo politico e prima ancora
etico di estrema delicatezza ed importanza, a difesa della verità e del diritto
internazionale, con la lucidità e la forza che l’inaccettabilità del genocidio
in Palestina comporta.
Confesso la mia personale preoccupazione che gli attacchi subiti, a partire
dalle esternazioni del Presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump,
nonché le minacce di cui è stata fatta oggetto, possano preludere a un vero e
proprio pericolo per la sua incolumità fisica.
Ricordo, a questo proposito, la tragica vicenda del Segretario Generale delle
Nazioni Unite Dag Hammarskjold, vittima di un attentato aereo per il suo
coraggioso impegno per la pace in Congo, dove gli interessi neocoloniali
confliggevano con le legittime aspirazioni del popolo congolese.
Ritengo pertanto fondamentale che la società civile si stringa intorno a lei con
fattiva solidarietà, per proteggerla dalle gravi e indebite pressioni di cui è
quotidianamente oggetto. Francesca Albanese sta infatti svolgendo in maniera
inappuntabile il ruolo che le spetta come funzionario delle Nazioni Unite, nate
per difendere la pace e i diritti umani. Questo, mentre l’attuale classe
politica occidentale ci sta portando verso il baratro, come “I Sonnambuli” di
Cristopher Clark, che avanzavano con irresponsabile disinvoltura verso la Prima
Guerra Mondiale.
Al fine di non permettere che venga messa a tacere una così preziosa e rara
voce, sarebbe importante un sostegno dal basso a promuovere la sua candidatura
al Nobel per la Pace.
di Enrico Calamai
Vice Console a Buenos Aires, Enrico Calamai venne inviato in Missione a Santiago
del Cile, dove si adoperò per proteggere la vita degli oppositori alla giunta
golpista del generale Pinochet, che si erano rifugiati nell’Ambasciata Italiana.
Rientrato a Buenos Aires, insieme al sindacalista della CGIL Filippo Di
Benedetto e al Giornalista del Corriere della Sera Giangiacomo Foà,
si adoperò, senza alcun appoggio da parte dell’ Ambasciata, per fornire
documenti italiani a centinaia (forse trecento) dissidenti, ricercati, dopo il
golpe militare; per Mani Rosse Antirazziste presidia simbolicamente il Palazzo
del Viminale, tutti i giovedì, giorno che si ricollega alle proteste delle Madri
di Plaza de Mayo, per denunciare le complicità italiane nel migranticidio.
Redazione Italia