Grazie al PNRR assunti oltre 12mila ricercatori, il cui destino occupazionale resta però alquanto incerto
A maggio 2025, è stato rendicontato il 44% degli 8,5 miliardi PNRR con
l’obiettivo di rafforzare il trasferimento tecnologico tra università, enti di
ricerca e imprese, e impiegati principalmente per il personale (60%). Questi
investimenti hanno prodotto un impatto occupazionale significativo con oltre
12.000 nuovi ricercatori assunti, il 47% dei quali donne. Tuttavia, permane una
forte incertezza sulla sostenibilità post-PNRR, data l’assenza di misure
strutturali per garantire la continuità occupazionale e il consolidamento dei
risultati raggiunti, e per la debole domanda di competenze elevate da parte
dell’industria nazionale.
È quanto si legge nella quinta edizione della “Relazione sulla ricerca e
l’innovazione in Italia. Analisi e dati di politica della scienza e della
tecnologia” realizzata dai tre Istituti del Consiglio nazionale delle ricerche,
Irpps, Ircres e Issirfa, con il contributo dell’Area Studi Mediobanca.
La Relazione passa in rassegna anche il sistema universitario italiano,
evidenziando un certo distacco da quelli dei partner europei: minore spesa per
formazione terziaria, soprattutto da parte dello Stato, profilo demografico
maturo del corpo docente, rapporto relativamente sfavorevole rispetto alla
numerosità degli iscritti e una bassa incidenza dei laureati rispetto alla
popolazione. A ciò si combina, essendone probabilmente il portato, una modesta
capacità di attrazione degli studenti dall’estero, a fronte invece di una
evidente propensione di quelli nativi a intraprendere percorsi di formazione
terziaria oltre confine.
Per quanto riguarda la posizione dell’Italia nella competizione tecnologica
globale valutata attraverso l’analisi dei brevetti registrati presso l’Ufficio
Brevetti e Marchi degli Stati Uniti (USPTO) nel periodo 2002-2022, utilizzati
come proxy delle capacità inventive nazionali, la Relazione conferma come
l’Italia sia un attore intermedio nel panorama internazionale, con una forte
specializzazione in settori manifatturieri maturi (meccanica, trasporti,
ingegneria industriale), registrando però un ritardo marcato nelle tecnologie
emergenti ad alta intensità di conoscenza (digitale, biotech, intelligenza
artificiale).
“Questo dualismo, si sottolinea nella Relazione, riflette l’incapacità
strutturale del sistema produttivo italiano di riallinearsi alle nuove
traiettorie dell’innovazione. Un limite rilevante è rappresentato dalla
crescente dipendenza da organizzazioni straniere: la quota di brevetti italiani
controllati da soggetti esteri è elevata, a fronte di una limitata presenza
italiana nella titolarità di brevetti stranieri, specie nei settori ad alto
potenziale strategico. La frammentazione e debolezza del tessuto industriale,
privo di grandi imprese capaci di trattenere know-how, espone l’Italia a un
rischio di marginalizzazione tecnologica”.
Mentre cresce la brevettazione dei paesi asiatici (in primis Cina, Corea del
Sud, Taiwan), l’Italia, invece, mostra un incremento modesto, con una quota
mondiale di brevetti pari all’1% circa, e una prestazione inferiore alla media
anche in termini di citazioni brevettuali – indice della qualità e rilevanza
delle invenzioni. Anche rapportando i dati alla popolazione, l’Italia risulta in
coda tra i paesi sviluppati.
L’analisi della partecipazione italiana ai bandi ERC (European Research
Council), uno dei principali strumenti dell’Unione Europea per la ricerca
individuale, vede il nostro Paese collocarsi al quinto posto per numero di
progetti vinti nel decennio, dopo Germania, Regno Unito, Francia e Paesi Bassi,
con una media annua stabile che oscilla tra i 40 e gli 80 progetti. Questo
risultato conferma la qualità della comunità scientifica italiana, pur
evidenziando un gap strutturale rispetto ai Paesi con maggiore capacità di
attrazione e consolidamento di carriere scientifiche stabili.
Una delle caratteristiche degli ERC è rappresentata dal fatto che gli studiosi
che si aggiudicano il progetto possano poi scegliere da quale istituzione farsi
ospitare. E tra il 2014 e il 2024 emerge la netta predominanza delle istituzioni
italiane come sedi ospitanti. Con 846 progetti su un totale complessivo di 864
progetti finanziati a ricercatori italiani, l’Italia si conferma come il
principale Paese in cui i ricercatori italiani svolgono i propri progetti ERC.
La “corposa” Relazione non manca, in definitiva, di evidenziare luci ed ombre
per la ricerca italiana, alla capacità di intercettare bandi europei fa da
contraltare l’incapacità di attrarre figure senior e di superare i divari
territoriali e di genere, soprattutto nei settori Stem.
Qui la Relazione sulla Ricerca e l’Innovazione in Italia del C.N.R.:
https://www.dsu.cnr.it/wp-content/uploads/2025/11/interno_V_Relazione_sulla_ricerca_e_innovazione_in_Italia_2025.pdf.
Giovanni Caprio